Gianfranco Quilici aveva quattordici anni quando venne rastrellato a Massaciuccoli [n.d.r.: Massaciuccoli Romana, frazione di Massarosa (LU)] e nel 1995 ha rilasciato una testimonianza sulla sua esperienza in quei giorni. Un tedesco si presentò al mattino presto di quel 1° settembre, passando casa per casa e dicendo che tutta la popolazione avrebbe dovuto essere condotta a Kattedrale. Sentendo questa parola alcuni credono che il militare si riferisca alla vicina Quiesa, la cui assonanza con il termine «chiesa» poteva aver indotto il tedesco a definire questa località come Kattedrale. Alla domanda della sorella di Quilici riguardo a quando sarebbero potuti tornare, la risposta del tedesco fu che nessuno sarebbe tornato, tutti kaputt <635.
Nonostante tutto però, il tono con cui il militare aveva fatto questa affermazione era sembrato scherzoso, tanto che nessuno si allarmò. La popolazione venne incolonnata sulla via Pietra a Padule ed inviata in direzione di Quiesa, che distava solamente tre chilometri. Nei pressi della località Molinaccio però, la colonna venne fermata e la gente viene rinchiusa all’interno della «brilla». Inizialmente la permanenza non viene percepita da Quilici come troppo opprimente, in quanto ai giovani viene permesso di rimanere nel grande spazio aperto retrostante l’edificio, dove l’ombra degli alberi e l’acqua fresca del piccolo canale erano di grande aiuto. Anche la presenza dei carcerieri si dimostrava discreta, nonostante la presenza di due carri armati posti nelle vicinanze <636. Il 4 settembre, dopo due giorni di permanenza nella «Brilla», a seguito di un momentaneo allentamento della sorveglianza Quilici e la sua famiglia riuscirono a fuggire e a rientrare a Massaciuccoli. Fu solamente allora che vennero a conoscenza della morte del capofamiglia, e padre di Gianfranco, Michele Quilici, fucilato dai tedeschi a Compignano il 2 settembre precedente <637.
Intanto, la maggior parte delle 400 persone – il cui numero è comunque imprecisato, perché a Massaciuccoli si trovavano ancora parecchi sfollati provenienti da altri comuni – si trovava ancora rinchiusa nel brillatoio. L’edificio era molto grande, su quattro piani, ma le centinaia di anime accalcate al suo interno erano comunque troppe per lo spazio a disposizione. Il caldo di inizio settembre era ancora molto intenso e le condizioni igieniche spaventose perché esisteva una sola latrina, all’aperto sul retro dell’edificio. Come se questo non fosse abbastanza, il 2 settembre volute di fumo erano state viste salire dalla villa del conte Minutoli e pur non potendo conoscere i terribili fatti che vi erano accaduti, ciò non fu di assicurazione ai 400 rastrellati, che erano ancora incerti sul proprio futuro. Sul muro dell’edificio erano state accatastate diverse taniche di benzina e questo faceva presagire il peggio. Eppure, l’8 settembre, dopo più di una settimana di permanenza nella «brilla», i prigionieri si resero conto che i tedeschi si erano ritirati e poterono rientrare alle proprie case: erano salvi.
Le motivazioni che portarono i tedeschi a rinchiudere un così grande numero di persone in un singolo edificio, tenerle lì per otto giorni, e poi ritirarsi lasciandosele dietro, a tutt’oggi non sono chiare. È stata ventilata l’ipotesi, assolutamente non peregrina, che l’intenzione ultima fosse quella di sterminarle, probabilmente dando fuoco al brillatoio; si sarebbe trattato né più né meno di una seconda Sant’Anna. Mons. Francesco Baroni, parroco di Compignano, nel suo “Memorie di Guerra in Lucchesia” afferma che l’ordine criminale non venne eseguito perché l’ufficiale incaricato dell’operazione finì ucciso saltando su una mina sul ponte del fosso Priscilla, nei pressi di Lucca <638. La storia della 16ᵃ Divisione non riporta alcun ufficiale ucciso in azione nei primi dieci giorni di settembre in questa zona, ma tale volume è significativamente parco sulle azioni della RFSS compiute nei mesi di agosto e settembre, quindi non si può escludere che le affermazioni di Baroni siano esatte <639. Non si può del resto escludere che la stessa impellente necessità di ritirarsi rapidamente abbia impedito ai tedeschi di portare a compimento il massacro.
È anche possibile che, in seguito alla strage di Sant’Anna di Stazzema, lo stesso Kesselring si sia reso conto che azioni su questa scala fossero controproducenti, tanto che lo stesso Feldmaresciallo affermò, il 21 agosto, che «poiché la lotta deve essere condotta con i mezzi più rigorosi, in tali occasioni può darsi che vengano colpite anche persone innocenti», ma ciò «ci ha procurato nuovi nemici ed ha favorito la propaganda avversaria» <640. Eppure questa non appare una spiegazione convincente. Le stragi continuarono e nel mese di settembre ci sarebbe stata quella di Monte Sole, mentre nel contesto stesso dei rastrellamenti di Massaciuccoli ci furono due distinti massacri a Compignano [frazione di Lucca] e nella villa del conte Minutoli.
È probabile che non sia possibile arrivare ad una risposta definitiva. Le dinamiche che spinsero alle azioni più efferate unità come la «Richsführer SS», pur essendo state affrontate e spiegate in maniera esauriente, non sono ancora del tutto chiare. Sarebbe necessario affrontare i singoli casi uno per uno, ma per le vicende accadute all’interno della brilleria del riso in quella prima settimana di settembre non vi sono fonti sufficienti da parte tedesca per chiarire una volta per tutte quali fossero le reali intenzioni dei militari delle SS.
Se le 400 persone rinchiuse nella «brilla» e nel frantoio se la cavarono con tanta paura e notevoli disagi, durante queste ultime operazioni di rastrellamento si verificarono due gravi fatti di sangue che sarebbero rimasti per sempre impressi nella memoria degli abitanti di Massaciuccoli. Lo stesso giorno dell’inizio dello sfollamento generale del paese, alcuni tedeschi si recarono a villa Minutoli, dove in quel momento si trovavano il conte – soldato del Reggimento dei «Lancieri di Montebello» e rimasto mutilato nel settembre del 1943 durante la difesa di Roma -, sua moglie Giacinta (conosciuta come «Ciquita»), la cognata baronessa Elisa Brusch Cohenstein di Sardegna con la figlia Emanuela di sette anni e la zia Maria Piscitelli. Ad essi si aggiungevano la cameriera Marianna Olivieri Gabrielli con i due figli Emanuele e Franca (17 e 10 anni) e l’armaiolo Luigi Cavallacci, sfollato da Lucca insieme alla moglie e alla domestica.
Giunsero infine due anziani contadini della zona, Egisto Del Soldato e la moglie Olimpia <641. A tutti i presenti fu consentito di rimanere nella villa, a parte la contessa Giacinta che decise di condividere le sorti delle donne di Massaciuccoli e le raggiunse nella «brilla». Nel corso della giornata diverse pattuglie tedesche, transitando nei pressi della villa, ne approfittarono saccheggiando denaro e oggetti preziosi alla famiglia del conte. In serata poi, il Cavallacci venne sospettato di essere un partigiano. L’insinuazione fu dovuta al possesso di alcune armi provenienti dal suo negozio di Lucca, le quali però erano per lo più vecchi fucili di particolare valore proprio perché d’epoca. Fatto sta che l’armaiolo, sentendosi comprensibilmente in pericolo, durante la notte riuscì a fuggire dalla villa eludendo la sorveglianza delle sentinelle tedesche <642. Il mattino seguente, 2 settembre, si compì il destino di quelli che erano rimasti nella casa. Forse per eliminare i testimoni dei furti o più probabilmente come punizione per la fuga di Cavallacci, i prigionieri vennero portati nella legnaia adiacente alla villa e fucilati, dopodiché venne dato fuoco alla legnaia con i corpi dentro <643. È stata avanzata anche l’ipotesi che le motivazioni della strage risiedessero nell’aiuto prestato ai partigiani dal conte Minutoli, che in qualche modo era già «reo di aver resistito ai tedeschi insieme al suo reggimento, il quale avrebbe rifornito di un carro di grano una formazione della Resistenza sulle vicine colline» <644. La vendetta tedesca si sarebbe quindi consumata proprio sulla persona stessa del conte e a farne le spese sarebbero state le altre otto persone che in quel momento si trovavano insieme a lui nella villa. Quello che non cambia però, al di là delle varie interpretazioni, è che in questa azione efferata persero la vita nove persone, otto
delle quali donne, anziane o di età compresa tra i 7 e i 17 anni.
[NOTE]
635 Comune di Massarosa, Ricordare la guerra per educare la pace. Massaciuccoli, cit., p. 24.
636 Ivi, p. 27.
637 Ivi, pp. 27-28.
638 Mons. Francesco Baroni, citato in ivi., p. 14
639 Cfr., AA.VV., Im gleichen Schritt und Tritt.
640 Ivi, p. 15.
641 Fulvetti, Uccidere i civili, cit., p. 248.
642 Ibid.
643 Comune di Massarosa, Ricordare la guerra per educare la pace, cit., pp. 15-16
Jonathan Pieri, Massarosa in guerra (1940-1945), Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2013-2014