Leone Efrati, pugile martire della Shoah

“…. Fu costretto a combattere frequentemente con militari tedeschi e poco importava se spesso erano dei pesi welter o addirittura dei medi . Sui suoi match le guardie, le SS ,i soldati di guarnigione scommettevano forte . Si scommetteva che il pugile tedesco di turno lo avrebbe battuto per ko e invece la cosa succedeva raramente.
Tutto crollò un pomeriggio quando seppe che suo fratello ,internato con lui ,era stato picchiato a sangue da alcuni kapò che lui individuò e coprì di botte.”
Leone Efrati nacque a Roma nel maggio del 1916. Di famiglia ebraica entrò nella palestra romana della Audace quando non aveva ancora 16 anni e nel 1935 era già pronto per passare professionista.
Nel 1936 si fece conoscere nel mondo del pugilato della capitale per aver combattuto per ben 11 match consecutivi senza sconfitte. Un campione come Gino Cattaneo interruppe questo suo exploit ma “Lelletto” era già entrato nel novero dei migliori piuma italiani .Nel 1937 sconfisse il quotato Magnolfi e perse due volte da Gino Bondavalli dopo match durissimi ed equilibrati.
Verso la fine del 1937 il procuratore svizzero Alois gli procurò ingaggi in Francia dove calcò ring celebri come la Salle Wagram e il Palais des Sports a Parigi. Disputò all’estero cinque match riportando quattro vittorie . Nel 1938 partì in cerca di fortuna per gli Stati Uniti. Alla fine del 1938 un successo che lo lanciò tra i migliori della categoria . Leone superò il duro puncher di Brooklyn Frankie Covelli sul ring di Chicago e il successo gli procurò un ingaggio con Leo Rodak a quel tempo in pole position per battersi per il titolo mondiale.
The Ring definì quel match una specie di semifinale mondiale . Dopo quell’incontro Rodak fu proclamato, infatti, campione del mondo Nba ma gli emigrati italiani presenti al Coliseum di Chicago protestarono rumorosamente perchè secondo loro Efrati aveva vinto nonostante un kd al quarto tempo .
Leone rimase negli States fino alla fine del 1939. Il manager Frank Donati gli consigliò caldamente di chiedere la cittadinanza americana considerato che gli echi della guerra erano arrivati minacciosi anche oltre oceano. Leone voleva però rientrare in Italia per stare vicino alla famiglia. Dopo un mese dal suo ritorno in Italia chiese l’affiliazione alla Federboxe ma alcuni dirigenti fascisti fecero in modo di negargliela anzi lo segnalarono alla polizia come ebreo .
Fu rastrellato a Roma il 16 ottobre del 1943 dalla polizia del regime e deportato in Germania nel campo di concentramento di Auschwitz Birkenau. Arrivato spossato da un viaggio disumano fu destinato a un blocco diretto da un franco- tedesco che lo riconobbe come un valido pugile . Da li partì il viaggio che lo porterà all’inferno . Fu costretto a combattere frequentemente con militari tedeschi e poco importava se spesso erano dei pesi welter o addirittura dei medi . Sui suoi match le guardie, le SS ,i soldati di guarnigione scommettevano forte . Si scommetteva che il pugile tedesco di turno lo avrebbe battuto per ko e invece la cosa succedeva raramente.
La domenica scendeva nell’arengo spesso a digiuno o con i danni sul corpo delle lotte precedenti . Un pezzo di pane era la sua borsa . Ma “lelletto” non mollava .La sua eccellente tecnica e il suo temperamento costringevano spesso i suoi immancabili vincitori a tributargli un fugace gesto di rispetto. Tutto crollò un pomeriggio quando seppe che suo fratello ,internato con lui ,era stato picchiato a sangue da alcuni kapò che lui individuò e coprì di botte.
La denuncia al capo delle SS del campo fu automatica ed Efrati fu assalito e colpito a sangue selvaggiamente con il calcio dei fucili. Non riuscendo più a stare in piedi lo avviarono a un forno crematorio. In realtà fu solo sconfitto ma non ucciso se ancora oggi la sua arte vive ancora nella nostra memoria.
La medesima sorte tragica era toccata due anni prima al tunisino Victor “Young” Perez, anche lui ebreo e indimenticato campione del mondo dei pesi mosca nel 1931-32
Efrati è stato inserito nella International Jewish Sports Hall of Fame.

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