L’estrema destra

Prima di chiarire il significato di “estrema destra”, è bene definire quella fascista un’ideologia totalitaria che si propone come una “terza via” (rispetto al liberalismo e al socialismo), basata sul corporativismo e l’organicismo, in cui un leader carismatico conduce alla rinascita nazionale promuovendo il culto dell’azione, anche violenta, e della guerra (Mudde 2020). Neofascismo è invece un termine utilizzato per indicare quell’area politica che si rifà ancora all’ideologia fascista a partire dal secondo dopoguerra, nonostante la sconfitta. Anche se ha una matrice ideologica fascista, il neofascismo italiano è stato caratterizzato fin dall’inizio da diverse correnti (dai socializzatori, ai corporativisti, passando dai tradizionalisti fino ad arrivare alla Nouvelle Droite), che hanno poi dato forma ad organizzazioni diverse, non sempre capaci di cooperare tra loro.
In mezzo a tanta complessità ideologica, alcuni studiosi e alcune studiose hanno cercato di ottenere una definizione minima che accomunasse tutte queste correnti e riuscisse ad inscrivere tutti gli attori che ne sono ispirati. C’era infatti la necessità di raccogliere all’interno della stessa definizione attori in parte diversi, ma facenti parte di una stessa area che si stentava a definire con chiarezza. Nel tentativo di assolvere questo compito e raggiungere questo obbiettivo, alla complessità ideologica si è aggiunta quella accademica. Infatti, Mudde (2000) nel tentare di fare chiarezza circa la letteratura esistente sul tema, conta ben ventisei diverse definizioni di estrema destra e ben diciotto diverse caratteristiche afferite ad essa. È lo stesso Mudde (1996; 2000; 2007) quindi che prova a definire l’estrema destra in base a proprie e altrui ricerche empiriche. Riconosce infatti cinque importanti caratteristiche che la definiscono: nazionalismo, razzismo, xenofobia, antidemocraticità e il supporto per una forte presenza dello stato.
Il nazionalismo
Il nazionalismo è “l’ideologia della Nazione” (de Nardis 2013, 251), che considera stato e nazione come coincidenti (Gellner 1983; Hobsbawn 1990). Usando le parole di Gellner:
“Nationalism is primarily a political principle, which holds that the political and the national unit should be congruent. […] In brief, nationalism is a theory of political legitimacy, which requires that ethnic boundaries should not cut across political ones, and, in particular, that ethnic boundaries within a given state should not separate the power-holders from the rest” (1983, 1).
Quindi la dottrina del nazionalismo prevede non solo una certa coincidenza tra stato e nazione, ma prevede anche che il controllo politico di un territorio riesca ad esprimere e a preservare questa coincidenza. Questa definizione implica non solo una divisione “noi/loro”, ma anche una certa unità all’interno della nazione e di esclusività nei confronti dei membri esterni ad essi:
“On the one hand, it strives for internal homogenisation: only people belonging to the X-nation have the right to live within the borders of state X […] On the other hand, there is the drive for external exclusiveness: that is, state X needs to have all people belonging to the X-nation within its borders” (Koch 1991, 31).
Da un lato quindi si tratta di garantire e preservare l’omologazione interna basata sull’esaltazione della nazione e l’appartenenza ad essa; dall’altro si tende ad escludere chi non appartiene alla nazione. Come precisa Gellner (1983), non esiste una soglia sotto la quale gli stranieri sono tollerati e sopra la quale vengono percepiti come un problema. Il grado di omologazione interna ed esclusività verso l’esterno va di volta in volta misurato a seconda dei contesti. È per questo che il concetto di nazionalismo, se si vuole definire l’essenza dell’estrema destra, deve essere accompagnato dai concetti di razzismo e xenofobia, che aiutano proprio a definire questo grado di omologazione/esclusività.
Il razzismo e xenofobia
La classica definizione di razzismo è quella che si basa sulla credenza che esistono in natura delle differenze tra le razze, con alcune superiori rispetto alle altre (Miles e Phizacklea, 1979; Geiss 1988). Come già accennato nei paragrafi precedenti a proposito della Nouvelle Droite, a partire dalla fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, il così detto “neo-razzismo” ha messo in discussione il concetto classico di razzismo. Infatti, in entrambi i casi si enfatizza la differenza naturale e permanente tra le razze, solo che a differenza del razzismo classico (che prevede la superiorità di alcune razze su altre), il neo-razzismo le considera uguali, ma hanno il diritto e l’obbligo di vivere separatamente: ogni persona è legata indissolubilmente con la propria cultura e questa deve svilupparsi in luoghi separati e diversi. Quindi se per razzismo classico il criterio di divisione e discriminazione è la razza, per il neo-razzismo questo diventa la cultura (Barker 1981). A questo aspetto si collega la xenofobia che, sebbene significhi paura e ostilità verso un generico straniero, in questo caso va legata al concetto di etnocentrismo. Infatti, si intende quella paura, ostilità e odio nei confronti dello “straniero”, inteso portatore di una cultura diversa e vista come una minaccia (Geiss 1988). Sebbene nei suoi lavori Mudde (anni?) tende a spiegare questi aspetti una alla volta, ho deciso di metterli insieme perché rappresentano il filo di un unico pensiero che, partendo dall’esclusività del concetto di nazione, arriva a definire i confini dell’altro escluso e anche quanto profondo possa essere questo solco.
L’antidemocraticità
Utilizzando le parole di Carter, l’antidemocraticità riguarda “a rejection of the fundamental values, procedures and institutions of the democratic constitutional state; a rejection of the principle of fundamental human equality” (2005, 17).
Questo non comporta necessariamente rifiutare tutte le regole della democrazia liberale, anche perché molti partiti dell’estrema destra odierni partecipano al gioco elettorale, utilizzano i suoi strumenti, e li hanno fatti propri. Nella sostanza, quindi, si tratta di rigettare quei principi fondamentali della democrazia, secondo cui le differenze vanno rispettate e tutelate, e che nonostante queste differenze tutte gli esseri umani sono uguali: in altri termini, si tratta del principio di pluralismo ed eguaglianza (Mudde 2000; Carter 2018). Nel caso dell’estrema destra, il lato antidemocratico quindi non ha tanto a che vedere con il rifiuto dello strumento elettorale, quanto nel rifiuto dei principi e dei valori che danno sostanza al concetto di democrazia. L’antidemocraticità riguarda la visione organicistica della società, che non prevede contraddizioni al suo interno, in cui ogni corpo sociale ha un suo compito e si affida alla guida di uno stato forte, organico e corporativo (Carter 2018).
Lo Stato forte
Nei primi lavori di Mudde (1995), l’espressione “stato forte” si legava ai concetti di “ordine-e-disciplina” e militarismo. Come ho spiegato nel paragrafo precedente, una società organica non prevede che vi siano contraddizioni al suo interno e “ordine-e-disciplina” significa che lo stato ha il dovere di garantire che ognuno rispetti il proprio ruolo e le regole, ricorrendo anche a pene molto severe per chi trasgredisce le regole (compresa la pena di morte o punizioni fisiche). L’apparato di polizia ha quindi un ruolo molto importante. Per quanto riguarda il militarismo, si basa sulla concezione che la guerra è la condizione naturale in cui vive l’uomo, condizione esistenziale valutata positivamente (al contrario della pace e del pacifismo). Così come avere delle forze di polizia che controllino scrupolosamente che l’odine interno sia garantito e rispettato, avere delle forti forze armate pronte a difendere lo stato e la nazione è altrettanto importante, e farne parte è un’attività considerata di grande privilegio e responsabilità. Come lo stesso Mudde ha notato, nell’estrema destra contemporanea lo stato forte così definito non è più così evidente. Questa caratteristica è più legata al concetto di autoritarismo, quindi l’enfasi all’autorità e all’ordine gerarchico dello stato e della società (Mudde 2007). Questo ha a che vedere con la visione organicistica di stato (Carter 2018), guidato da una o poche persone, che riescono ad incarnare la vera anima dello stato, e composto da organi diversi, in parte autonomi ma coordinati costantemente dal centro, che hanno diverse funzioni con importanze diverse. Riprendendo l’omologazione interna che deriva dal nazionalismo e dell’antidemocraticità, questa visione organica dello stato prevede il riconoscimento di una differenza essenziale tra il leader e il resto (quindi un asse verticale di differenziazione tra chi governa e chi è governato), ma considera gli abitanti dello stato come facenti parte di un grande organo, indivisibile, in cui ognuno ha la propria funzione (sull’asse orizzontale le persone sono governate tutte allo stesso modo), coordinata e gestita dal centro. Non è necessario quindi prevedere degli attori intermedi che rappresentino le istanze di diverse classi sociali, ad esempio, in quanto spezzerebbero l’unità interna dello stato; queste istanze vanno piuttosto rappresentate in maniera corporativa. In altre parole, lo stato è visto come un unico corpo la cui testa coordina e guida i vari organi che, pur avendo funzioni e compiti diversi, viene guidato e gestito come corpo unico.
Federica Frazzetta, L’estrema destra in Italia. Quali reti e quali strategie d’azione?, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Catania, Anno accademico 2019-2020