
Alcune diplomazie straniere premevano perché gli scambi culturali con l’Italia riprendessero su una nuova base, più aperta e disponibile a far entrare studiosi stranieri nel Paese e a garantire loro libertà di ricerca, dopo gli anni in cui il regime aveva limitato e irrigidito queste possibilità . Un documento dell’ambasciata britannica a Roma metteva in luce il problema di una “ever-increasing discrimination against foreigners in matters of research” praticata durante il fascismo, che aveva avuto effetti negativi anche sulla stessa qualità delle accademie e delle scuole italiane. La commissione alleata continuava però a scorgere un pericolo anche dopo la caduta del regime: “without due safeguards, the establishment of democratic Government in Italy is not in itself a guarantee against a return to the pre-war attitude towards cultural activity”. Si proponeva dunque di inserire a questo riguardo un apposito articolo nel futuro trattato di pace o di concludere una convenzione culturale con l’Italia in modo da “ensure free and equal access to Italy’s valuable heritage for scholar of all nations” <55.
Un mezzo importante per reinserirsi nella vita cultura internazionale, terminate le ostilità, era la riapertura di manifestazioni artistiche in grado di richiamare l’attenzione della stampa e del pubblico all’estero. Nel campo in cui l’Italia da poco uscita dalla guerra si era fatta più apprezzare, quello cinematografico, si scelse di puntare sulla mostra internazionale di Venezia (la cui prima edizione si era tenuta nel 1932 e che durante gli ultimi tre anni di guerra era stata interrotta). Già nel 1946 si tenne un’edizione in tono minore, mentre ancora alcune strutture della città erano requisite dagli Alleati; dal 1947 la rassegna tornò a vantare una giuria internazionale e ad attrarre visitatori. La decisione della Francia di lanciare anch’essa un festival del cinema a Cannes (a partire dal 1946) fu oggetto di uno dei primissimi accordi culturali dell’Italia post-bellica: nell’agosto del 1946, per evitare sovrapposizioni di date che avrebbero nuociuto a entrambe le manifestazioni, Francia e Italia si accordarono riservando il periodo primaverile alla Costa Azzurra e il mese di settembre alla città di San Marco.
Una decisione non scontata, se all’inizio di quello stesso mese il rappresentante del governo provvisorio francese a Roma aveva plaudito agli “efforts du Gouvernement en vue de supplanter Venise”, riferendosi all’originaria idea di sostituire sul palcoscenico mondiale la rassegna italiana con quella francese <56. Quando il comitato del festival di Cannes, pochi mesi dopo l’accordo, ipotizzò di rimetterlo in discussione per assumere un atteggiamento concorrenziale nei confronti della manifestazione italiana, il consigliere culturale francese all’ambasciata di Roma, Jean René Vieillefond, intervenne con durezza paventando i pericoli di una simile scelta: “Cet accord est le premier qui se place dans le cadre des relations culturelles francoitaliennes. Or, au moment où nous entreprenons une laborieuse action pour reprendre notre place intellectuelle en Italie, où nous essayons à nouveau de faire respecter et admirer nos traditions d’honneur et de droiture, il serait déplorable que nous puissions nous faire accuser à juste titre de déloyauté en paraissant pratiquer la politique du chiffon de papier. Le climat de confiance et d’amitié dans le monde spirituel, que nous nous efforçons de créer, en serait immédiatement et irrémédiablement vicié”.
Vieillefond esprimeva perplessità, oltre che sull’opportunità politica di compiere un gesto aggressivo, anche sulle possibilità di Cannes di rivaleggiare con Venezia, che aveva “l’experience, et pour ainsi dire la spécialité, des fetes et des concours artistiques”, alle quali aggiungeva “l’eclat et l’attirance d’une ville unique au monde. Ses théatre, ses musées, ses galeries, ses monuments, peuvent preter aux films une orchestration culturelle de premier ordre difficilement réalisable à Cannes”. Insomma la “guerre ouverte contre Venise” avrebbe rischiato di condurre i francesi a “cuisants déboires” <57.
Accanto al cinema, l’arte che più poteva aiutare l’Italia era la musica: riuscire ad attrarre e a formare aspiranti musicisti stranieri, ad organizzare manifestazioni concertistiche di respiro internazionale e ad inviare regolarmente solisti e complessi nelle sale più prestigiose rappresentava un punto irrinunciabile della politica culturale, specialmente in alcuni Paesi. La compositrice e pianista Elsa Respighi, vedova del più famoso Ottorino, scrisse nel ’46 – in qualità di presidente dell’ente italiano di propaganda musicale – all’ambasciata di Washington una lettera, che fu accolta con interesse, riguardo alle potenzialità di un’accorta espansione musicale negli Stati Uniti. Secondo la Respighi era “essenziale […] mantenere al livello più alto le manifestazioni artistiche in Italia, per poter attrarre allievi ed amatori stranieri che alimenterebbero la desiderata ripresa del turismo nel nostro paese”; ella si adoperava al contempo perché nel ’47 una lunga tournée di tre mesi attraverso gli Stati Uniti potesse mostrare al pubblico americano i migliori cantanti del panorama lirico italiano <58. Già a partire dal gennaio del ’46 il commissario straordinario della Scala, Antonio Ghiringhelli, che aveva gestito la ricostruzione del teatro, si dedicò ad organizzare una serie di rappresentazioni in Svizzera, Cecoslovacchia, Francia e Russia della compagnia operistica milanese, primi passi per un rilancio globale che avrebbe fatto della Scala la punta di diamante della cultura musicale italiana all’estero.
Nell’ottica di raccordare gli intellettuali italiani ai più recenti sviluppi internazionali, mostrando tangibilmente l’ansia di riaprirsi allo scambio e mostrare un volto accogliente del Paese, si puntò anche su convegni ed esposizioni nei più diversi campi quali il congresso internazionale di filosofia che si tenne a Roma nel novembre 1946, promosso dall’istituto di studi filosofici, con il quale l’Italia intendeva dare “l’esempio di una cooperazione intellettuale che abbatta le frontiere delle Nazioni per rendere i popoli fratelli nella ricerca e nella conquista della verità, la quale delle frontiere non sopporta le angustie” <59; la International Housing Exhibition di Milano, il Convegno di studi per la ripresa degli scambi con l’estero a Palermo e il Convegno internazionale di cartografia e ottica di Firenze nel 1947.
Infine, l’Italia cercò di riportare in vita e di patrocinare alcune manifestazioni all’estero che commemoravano eventi e personalità ad essa legati. In tali occasioni era possibile coinvolgere le comunità di origine italiana, rinsaldare i legami e fornire loro indicazioni sulla nascente democrazia, in un contesto festoso e popolare: il Columbus Day negli Stati Uniti era l’occasione più importante e partecipata in cui i nuovi uomini politici e di governo italiani potessero presentarsi all’opinione americana. Il 12 ottobre del 1946, in occasione della celebrazione del navigatore genovese, il ministro dell’istruzione Guido Gonella tenne a Roma un discorso che fu radiotrasmesso negli Stati Uniti riguardo ad “origini e motivi della fraternità italo-americana”. L’impresa di Colombo diventava una ardita metafora del cammino storico dell’Italia: come il primo era stato un “creatore di patrie” al prezzo di perdere la propria, la seconda aveva dato al mondo una stirpe cosmopolita e generosa, che sentiva “quasi come una vocazione della sua natura” ed una “espressione del suo genio” il dovere di “abbattere le frontiere”, in nome dell’universalismo cristiano ed anche a costo dei propri interessi. Colombo era dunque “il simbolo del contributo che gli Italiani sono chiamati a dare alla umana civiltà, non mediante conquiste militari o politiche, ma mediante la genialità delle loro opere”; a lui andava affiancata, per similitudine di destino, “l’odissea di un altro grande italiano”, Dante Alighieri, che aveva subito “i travagli e i tormenti di quasi tutti i nostri spiriti magni”. Erano queste suggestioni che avrebbero ispirato a lungo e in varie forme una parte consistente della Dc, con lo spostamento della primazia italiana dal piano traballante su cui l’aveva poggiata il fascismo – il valore militare, la romanità conquistatrice, il sacro interesse nazionale – a quello della vocazione universalistica di marca cristiana, anzi precisamente cattolica, in qualche modo esemplificata dalla biografia di alcune figure storiche di spicco, associate disinvoltamente <60.
Su questo solco si sviluppò ad esempio uno dei discorsi tenuti via radio dal vice-presidente della “Dante Alighieri”, Torquato Carlo Giannini, ai soci all’estero nel 1947: egli citò un elenco di uomini “magnanimi o eccelsi nell’azione” fra i quali Marco Polo, Caboto, Colombo, Vespucci, Machiavelli, Galileo, Vico, Beccaria da affiancarsi ai “forgiatori di anime” come Francesco d’Assisi e Bernardino da Siena, Tommaso d’Aquino e… Girolamo Savonarola, oltre che ad una “pleiade di artisti”, tutti accomunati da una missione di civiltà e di elevazione – civile, spirituale o artistica – nei confronti del genere umano. Esempi e retaggi che però non dovevano “inorgoglire gli italiani, ovunque viv[essero]” né essere “cagione di misero vanto”, ma fornire invece lo sprone per un “esame di coscienza” e per “rendersi degni di un così luminoso passato” <61.
Anche la figura di Giuseppe Garibaldi fu rievocata all’estero: il console italiano di Los Angeles colse l’occasione delle commemorazioni organizzate per l’anniversario della sua morte per rivolgere agli italoamericani un appello all’unità e alla lealtà nei confronti dell’Italia e delle sue nuove istituzioni, attribuendo a Garibaldi uno spirito eroico “tipicamente italiano” cui si accompagnava la capacità di “inchinarsi […] di fronte alla legalità, obbedire, rientrare nei ranghi come soldato con una romana grandezza”, qualità che andavano emulate per agevolare il successo di ogni iniziativa del giovane stato repubblicano <62.
[NOTE]
55 KA, FO 924, f.181, Cultural Relations 1945, LC3021, Question of freedom of cultural research in Italy for scholars and students of all nations, British Embassy, Rome, 14 luglio 1945
56 AMAEF, R.C. 1945-47, b.38, f.0.221, Italie, lettera al direttore generale delle relazioni culturali, 8 agosto 1946
57 CADN, Rome, Service culturel, b.146, lettera di Vieillefond al direttore generale delle relazioni culturali, 21 dicembre 1946
58 ASMAE, DGAP 1946-50, USA, b.40, Appunto della DIE, 2 agosto 1946
59 IS, fondo Gonella, b.144, discorso inaugurale di Gonella, 15 novembre 1946
60 IS, fondo Gonella, b.140, f.1, stampa del discorso di Guido Gonella tenuto in occasione del Columbus Day il 12 ottobre 1946
61 La “Dante Alighieri” ai suoi soci all’estero, in “Italiani nel mondo”, a. III, n.4, 25 febbraio 1947
62 ASMAE, DGAP 1946-50, USA, b.16, f.1150.65, Missioni diplomatiche, Consolato di Los Angeles, Cerimonie commemorative in onore di Giuseppe Garibaldi, 6 giugno 1947
Andrea Spanu, Il rilancio culturale dell’Italia nel mondo dopo la Seconda guerra mondiale: la reinvenzione di un’immagine (1945-1960), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Pisa, 2013