L’opposizione al marxismo, pertanto, si dipanò su diversi piani, da quello militare a quello culturale

La guerra. Un fenomeno che ha caratterizzato, e continua a caratterizzare, la razza umana dalla notte dei tempi. Se si volesse dare una definizione tecnica di guerra, la si descriverebbe come un confronto armato tra due o più paesi, o tra gruppi organizzati, il cui scopo è risolvere dispute territoriali, politiche o economiche. <12
In una situazione di questo tipo, le parti avversarie, così come il territorio della battaglia, gli obiettivi, sono chiare e ben delineate. Una definizione sostanzialmente univoca.
Durante la guerra fredda, tuttavia, l’univocità di tale concetto venne scardinata. Questo periodo fu infatti teatro di conflitti convenzionali, non convenzionali e psicologici, dando luogo a una definizione di guerra molto più complessa. Da un lato, nel Terzo Mondo, i gruppi marxisti rivoluzionari o i movimenti indipendentisti fecero un massiccio uso della guerriglia come strategia di combattimento, camuffandosi tra la popolazione e rendendo arduo il riconoscimento del nemico da parte delle forze armate regolari; dall’altro, nei paesi industrializzati, i partiti comunisti, i sindacati e i movimenti sociali venivano considerati dai governi filoatlantici come il cavallo di Troia utilizzato dall’Unione Sovietica per sferrare l’attacco finale al “mondo libero”. In sostanza, nell’Occidente inteso in senso lato, vi era la percezione, con venature paranoiche, di una guerra totale e silenziosa che il comunismo stava portando avanti per la conquista mondiale, o con la guerriglia o con il consenso elettorale.
Di fronte a una minaccia eterogenea e camaleontica, l’opposizione al comunismo di sviluppò su diversi fronti, rigettando il suo «egualitarismo, la sua giustificazione della violenza politica, l’ateismo, la distruzione della proprietà privata, la negazione dei diritti individuali, la collettivizzazione dell’economia, il Bolscevismo e il materialismo dialettico». <13 L’opposizione al marxismo, pertanto, si dipanò su diversi piani, da quello militare a quello culturale, creando dei legami che superavano i confini nazionali e a volte continentali.
La controinsorgenza
Le recenti campagne militari della NATO in Afghanistan e in Iraq rispettivamente nel 2001 e nel 2003 hanno risvegliato l’interesse della comunità scientifica nei confronti di una dottrina che prende il nome di controinsorgenza.
Prima di procedere con una rassegna storiografica su questa teoria, potrebbe essere opportuno fornire una definizione chiara e articolata di “insorgenza”: “Insurgency is a protracted political-military struggle directed toward subverting or displacing the legitimacy of a constituted government or occupying power and completely or partially controlling the resources of a territory through the use of irregular military forces and illegal political organizations. The common denominator for most insurgent groups is their objective of gaining control of a population or a particular territory, including its resources. This objective differentiates insurgent groups from purely terrorist organizations. It is worth noting that identifying a movement as an insurgency does not convey a normative judgment on the legitimacy of the movement or its cause; the term insurgency is simply a description of the nature of the conflict”. <14
L’insorgenza, con la sua azione di lungo periodo, si pone i seguenti obiettivi: – Minare le possibilità del governo di fornire alla popolazione sicurezza e servizi pubblici, comprese utenze, educazione e giustizia. Un gruppo insorgente potrebbe tentare di soppiantare il governo attraverso l’erogazione di servizi alternativi alla popolazione, accusando il governo di essere incapace di farlo. – Ottenere il supporto attivo o passivo della popolazione. Non tutto il sostegno deve provenire necessariamente da reali simpatizzanti o presunti tali. La paura e l’intimidazione possono far guadagnare il consenso di più persone. – Spingere il governo a commettere abusi che portino i civili ancora neutrali dalla parte degli insorti e consolidino la lealtà di chi è già sostenitore. – Minare il supporto internazionale per il governo e, se possibile, ottenere riconoscimento internazionale o assistenza per l’insurrezione. <15
Uno degli strumenti utilizzati dai gruppi fautori dell’insorgenza è la guerriglia, definita come “…a form of warfare in which small, lightly armed groups use mobile tactics against a stronger opponent. Guerrillas employ small-scale attacks, such as ambushes and raids, to harass their enemy rather than to win a decisive victory in battle”. <16
Nell’immaginario collettivo, la parola insorgenza è molto spesso considerata come appannaggio di movimenti della sinistra rivoluzionaria. Tuttavia, come si evince dalle definizioni date dagli analisti nordamericani, essa è una dottrina squisitamente militare, che non si contraddistingue dal “perché” o dal “chi”, bensì dal “come”. Di riflesso, il carattere politico è assente anche nella definizione di controinsorgenza, intesa come “the combination of measures undertaken by a government to defeat an insurgency. Effective counterinsurgency integrates and synchronizes political, security, legal, economic, development, and psychological activities to create a holistic approach aimed at weakening the insurgents while bolstering the government’s legitimacy in the eyes of the population”. <17
Il fenomeno dell’insorgenza e del suo strumento principale, la guerriglia, affonda le sue radici in tempi molto remoti. Secondo Anthony James Joes, forme di combattimento non convenzionale furono riscontrabili già cinquecento anni prima della nascita di Cristo nella «hit-and-run tactics» <18 utilizzate delle tribù sciite contro gli eserciti di Dario I. In tempi più recenti, pratiche tipiche della guerriglia furono utilizzate in Francia durante la rivolta della Vandea contro il governo rivoluzionario, o dagli spagnoli contro gli eserciti napoleonici. <19 La necessità di teorizzare una strategia di difesa contro questa insidiosa tecnica di combattimento si avvertì, invece, solo molti anni dopo, agli albori della guerra fredda, quando l’insorgenza venne adottata come metodo di lotta dalle formazioni marxiste filosovietiche e dai movimenti di liberazione in Asia e Africa.
I primi segnali di allarme giunsero già all’indomani della vittoria del Partito Comunista nella guerra civile cinese nel 1950: essa rappresentava un elemento novità anche rispetto alla lotta partigiana che si ebbe in Europa durante gli ultimi anni del secondo conflitto mondiale. Mentre in Europa questa operava in funzione pressoché complementare all’azione degli Alleati, le vicende cinesi avevano dimostrato che la guerriglia poteva agire anche in maniera autonoma senza il sostegno di truppe regolari, dimostrando di poter essere anche superiore a queste ultime. La conferma della pericolosità di questa nuova forma di combattimento arrivò dall’Indocina, dove l’esercito francese, composto da circa 500.000 unità, subì una pesante disfatta a Dien Bien Phu ad opera di una milizia di contadini, inferiori per numero ed equipaggiamento. Un altro evento che ebbe una profonda influenza sulle nuove evoluzioni delle dottrine militari che caratterizzarono parte della Guerra Fredda fu la Guerra d’Algeria, durante la quale il Fronte Popolare di Liberazione riuscì a mettere più volte in difficoltà l’Esercito Francese. Dall’altra parte del globo, un altro schiaffo venne dalla Rivoluzione Cubana, durante la quale uno sparuto gruppo composto da circa 80 uomini, con uno scarso armamentario, riuscì a ingrossare le proprie fila, sconfiggere le truppe regolari di Fulgencio Batista e sottrarre agli Stati Uniti uno dei suoi più consolidati satelliti. Un fil rouge collegava i tre conflitti: le truppe regolari erano state sconfitte da guerriglieri male armati e in netta inferiorità numerica.
In questa fase storica, gli studi sull’insorgenza e sulla guerriglia iniziarono proprio da chi queste sconfitte le aveva subite. Uno dei massimi teorici della controinsorgenza è stato infatti Roger Trinquier, ufficiale dell’Esercito Francese durante la Seconda Guerra Mondiale, la Guerra d’Indocina e la Guerra d’Algeria. In “Modern Warfare: A French View of Counterinsurgency”, <20 Trinquier descrive la guerra moderna come un sistema complesso di azioni politiche, economiche, psicologiche e militari il cui scopo è sovvertire l’autorità costituita di un paese e sostituirla con un altro regime. Per raggiungere questo obiettivo, l’aggressore sfrutta le tensioni interne, cavalcando ogni conflitto che potrebbe avere influenza sulla popolazione. <21 Egli individuava le ragioni della sconfitta delle truppe regolari nell’incapacità da parte di queste ultime di appropriarsi delle tecniche di combattimento tipiche della guerra moderna. Queste comprendevano l’utilizzo di piccole squadre d’assalto, la creazione di forze di autodifesa reclutate tra la popolazione e la loro collocazione nelle zone sensibili, operazioni psicologiche.
Inoltre, egli studiò l’applicazione del terrorismo e della tortura all’interno della controinsorgenza. L’utilizzo del supplizio durante gli interrogatori aveva infatti un ruolo cardine nella teoria di Trinquier. Uno dei punti critici dell’insorgenza, infatti è la difficoltà nel riconoscere il nemico, che tendeva a mimetizzarsi nella popolazione. Una volta catturato un guerrigliero, la tortura doveva spingerlo a tradire i suoi compagni e la sua organizzazione. I torturatori dovevano conoscere in precedenza quali domande rivolgere al prigioniero, che dovevano essere relative esclusivamente al suo movimento di appartenenza. Una volta ottenute le informazioni, la tortura terminava, e il prigioniero tornava nella sua cella. <22 L’evanescenza dell’avversario e la conseguente inesistenza di centrali visibili da attaccare obbligavano l’esercito ufficiale a rimanere sulla difensiva, lasciando al nemico il vantaggio dell’iniziativa. Dall’altro lato, la necessità da parte delle truppe regolari di proteggere i propri obiettivi sensibili comportava invece la dispersione dei soldati su un vasto territorio. Secondo Trinquier, la somma di questi due elementi condannava le forze armate ufficiali a una sicura sconfitta. Ragion per cui, per sconfiggere la guerriglia era necessario ricorrere ai suoi stessi metodi.
Un’interpretazione differente è invece fornita da un altro importante teorico della controinsorgenza, David Galula, anch’egli reduce delle guerre di Indocina e Algeria. Autore di “Counterinsurgency Warfare. Theories and Practise”, <23 l’autore francese ritiene invece non appropriato l’adozione dei metodi dell’insorgenza da parte delle forze regolare. L’asimmetria di fondo che caratterizza questo tipo di conflitto rende infatti impossibile l’efficace utilizzo dei modus operandi in questione date le caratteristiche intrinseche che un esercito regolare possiede. Pertanto, egli propone quattro “leggi” per fronteggiare l’insorgenza: 1) lo scopo principale della guerra non è conquistare il territorio, bensì il consenso della popolazione; 2) la gran parte della popolazione sarà neutrale nel conflitto, ragion per cui il supporto delle masse potrebbe essere ottenuto attraverso una piccola parte di esse favorevole alla causa controinsorgente;
3) il supporto della popolazione non è definitivo. Essa deve tassativamente essere protetta in modo che possa collaborare senza il timore di rappresaglie da parte dell’avversario; 4) la priorità è l’eliminazione o lo spostamento dell’avversario dal territorio. Successivamente bisogna guadagnare il supporto della popolazione e rafforzare il rapporto con essa, in modo da stabilire una relazione a lungo termine. Questo procedimento deve essere seguito zona per zona, usando un territorio non in guerra come base per conquistare le zone limitrofe. <24
Trasposte su un piano operazionale, una volta conquistata una zona ben definita, le quattro leggi della controinsorgenza si declinano come segue: “1. Concentrate enough armed forces to destroy or to expel the main body of armed insurgents. 2. Detach for the area sufficient troops to oppose an insurgent’s comeback in strength, install these troops in the hamlets, villages, and towns where the population lives. 3. Establish contact with the population, control its movements in order to cut off its links with the guerrillas. 4. Destroy the local insurgent political organizations. 5. Set up, by means of elections, new provisional local authorities. 6. Test these authorities by assigning them various concrete tasks. Replace the softs and the incompetents, give full support to the active leaders. Organize self-defense units. 7.Group and educate the leaders in a national political movement. 8. Win over or suppress the last insurgent remnants”. <25
Secondo Galula, la vittoria nella controinsorgenza non consiste nel semplice distruzione delle armate nemiche e della loro organizzazione. Il vero elemento di trionfo consiste nell’isolamento permanente delle forze insorgenti dalla popolazione. Uno degli strumenti per ottenerlo è ciò che lui chiama terrorismo selettivo. “The aims are to isolate the counterinsurgent from the masses, to involve the population in the struggle, and to obtain as a minimum its passive complicity. This is done by killing, in various parts of the country, some of the low-ranking government officials who work most closely with the population, such as policemen, mailmen, mayors, councilmen, and teachers. Killing high-ranking counterinsurgent officials serves no purpose since they are too far removed from the population for their deaths to serve as examples”. <26
Grande importanza riveste inoltre la guerra psicologica. Per quanto riguarda la popolazione, la propaganda deve avere i seguenti tre obiettivi: 1. Ottenere qualche forma di approvazione, o quanto meno comprensione, per le azioni organizzate dalla controinsorgenza che toccano direttamente la popolazione (censo, controllo degli spostamenti ecc.); 2. Preparare le basi per una eventuale dissociazione della popolazione dagli insorti. 3. Predisporre le condizioni per l’impiego di elementi solidali, ma ancora neutrali. <27
Per ciò che concerne la propaganda diretta all’insorgenza, invece, l’obiettivo che Galula pone è fomentare le divisioni interne e lo scollamento tra gruppi guerriglieri e popolazione, tra le masse e i loro leader. <28 Per quanto riguarda le cause, considerato il ruolo fondamentale che il rapporto con la popolazione riveste nell’insorgenza, le sue istanze devono essere quando più condivise possibili all’interno del tessuto sociale, in modo da avere molti sostenitori e pochi oppositori. Per la nascita della guerriglia è pertanto necessaria la presenza di un problema politico di fondo, dovuto a fattori esogeni o endogeni. Un paese è più o meno esposto al rischio di insorgenza in base alla gravità e alla profondità del problema. <29
Un ampliamento della visione strettamente militare della dottrina si deve invece a Robert Thompson, ufficiale dell’Esercito Britannico durante la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra del Vietnam. In un suo famoso testo, “Defeating Communist Insurgency. Experiences from Malaya and Vietnam”, <30 il teorico aggiunse l’elemento della policy all’analisi sviluppata da Trinquier e Galula. Secondo il teorico inglese, un elemento imprescindibile per la “conquista” dell’appoggio della popolazione è rappresentato da una visione politica, chiara e di lungo periodo, in grado di oscurare la proposta politica degli insorti. Tale progetto politico deve dipendere dalle esigenze locali della popolazione e deve spaziare dai progetti di sviluppo economico all’autonomia politica. In sostanza, modellare la proposta politica della controinsorgenza in base alle contingenze. Per questa ragione, l’azione pratica deve essere condotta ai livelli di comando più bassi affinché la proposta politica elaborata possa essere considerata “competitiva”. Per quanto riguarda l’uso della forza, la controinsorgenza non deve mai eccedere nella risposta alle provocazioni della guerriglia, poiché una reazione troppo aggressiva potrebbe creare una frattura con la popolazione e allontanarla dalla propria causa.
Il tema dell’insorgenza fu, per ovvi motivi, molto ricorrente anche in diversi “Field Manual” prodotti dall’apparato militare degli Stati Uniti. In particolare, il “Field Manual 31-21” <31 dedica attenzione alle azioni psicologiche, definite come segue: “Planned psychological operations assist in the conduct of unconventional warfare operations both before and during hostilities and through those cold war activities in which the United States Army may be engaged. These psychological operations are designed to create, reinforce or sustain those attitudes held by the population which cause them to act in a manner beneficial to their own and to United States objectives”. <32
Il manuale continua individuando i tre target principali delle azioni psicologiche, vale a dire il nemico, la popolazione ostile e la popolazione neutrale. Per quanto riguarda il secondo target, il testo prescrive l’uso della violenza in caso di mancata collaborazione, poiché l’uso di metodi cruenti con i collaboratori fungerà da monito e indebolirà gli altri. <33
[NOTE]
12 Cfr. J. Reinel Sánchez, Una respuesta a la pregunta “¿Qué es la guerra?”, in «Aposta. Revista de Ciencias Sociales», n. 6, marzo 2004.
13 G. Scott-Smith et al., a c. di, Transnational Anti-Communism and Cold War. Agents, Activities and Networks, Londra, Palgrave Macmillan, 2014, p. 2.
14 Aa.Vv., Guide to the Analysis of Counterinsurgency, US Gorvernment, 2012, p 1.
15 Ibidem, p. 2.
16 Ibidem.
17 Ibidem.
18 Cfr. Andrew James Joes, Guerrilla Warfare: A Historica, Biographical and Bibliographical Sourcebook, Westport (CT), Greenwood Press, 1996, p. 3.
19 Ibidem, p.4.
20 Roger Trinquier, Modern Warfare: A French View of Counterinsurgency, Londra, Pall Mall Press, 1964. Ed. or. La Guerre moderne, Paris: La Table ronde, 1961.
21 Ibidem, p. 6.
22 Ibidem, capitolo 4.
23 David Galula, Counterinsurgency Warfare. Theories and Practice, Westport – Londra, Praeger Security International, 1964.
24 Ibidem, capitolo 5.
25 Ibidem, pp. 55-56.
26 Ibidem, p. 40.
27 Ibidem, p. 85.
28 Ibidem, p. 86.
29 Ibidem, p. 14. 30 Robert Thompson, Defeating Communist Insurgency: The Lessons of Malaya and Vietnam, Londra, Chatto & Windus, 1966.
31 Headquarters, Department of the Army, Field Maual 31-21, Guerrilla Warfare and Special Forces Operation, Washington DC, 1961.
32 Ibidem, p. 170.
33 Ibidem, p. 172.
Vito Ruggiero, Il neofascismo italiano in America Latina: network anticomunisti transnazionali nel “Cono Sur” (1977-1982), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di “Roma Tre”, 2019

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