L’ufficiale Barton era in realtà Paolo Buffa e arrivava da Roma

Monterotondo nel 1940 – Fonte: Wikipedia

Nei primi mesi del 1945 i bombardamenti aumentarono in frequenza, volume di ordigni sganciati e numero di vittime causate. Sarebbe però errato ritenere che abbiano centrato bersagli militarmente rilevanti. Per esempio, malgrado numerosi tentativi, il Viadotto Littorio di Cuneo (monumentale ponte ferrostradale sulla Stura, ideato in età giolittiana) non fu mai colpito. Il 28 agosto 1944 fu centrato l’Ospizio dei cronici (22 vittime tra ricoverati e suore) anziché una caserma.
In un caso abbiamo la certezza documentata della sollecitazione di un attacco aereo da parte di un autorevole militante del PdA, il geometra Ettore Cosa, comandante della V Zona del Cuneese, designato sindaco del capoluogo provinciale. Il 27 aprile reparti di “Giustizia e Libertà” attraversarono a guado la Stura e si attestarono alla periferia della città. I tedeschi tennero libere le strade principali per consentire la ritirata in assetto di guerra della XXXIV Divisione dal crinale liguro-piemontese verso la destinazione assegnata nel corso delle trattative a Caserta tra germanici e anglo-americani. Gli scampati di una piccola Squadra di Azione Partigiana (SAP), mandata allo sbaraglio, dopo aver subito perdite gravissime bussarono alla porta della questura, per chiedere alla polizia di unirsi a loro per “prendere la prefettura”. Il vicecommissario Pietro Benigni rispose lapidario: “Io sono un commissario di Pubblica Sicurezza della RSI e non posso arrendermi a voi. Se arrivano le truppe americane mi arrendo a loro. Se arrivano i tedeschi vi consegno a loro”.
Per spezzare la resistenza avversaria Rosa chiese allora al tenente Paolo Buffa (in realtà Paul Barton, ufficiale di collegamento della Special Force), da tempo operante come responsabile della Missione Siamang I, di chiedere via radio agli aerei alleati di stanza a Nizza di bombardare Cuneo per sloggiarne tedeschi e “repubblichini”. Il 27 aprile Barton inviò il messaggio n. 196. “Nizza” rispose che il cielo era nuvoloso. Non era il caso di rischiare aerei e uomini in una guerra ormai finita. In quel teatro l’avversario sarebbe caduto “per manovra”. Gli americani picchiarono duro invece nel Veneto, causandovi rovine e vittime, in linea con il bombardamento anglo-americano “pedagogico” su Dresda del 26 aprile 1945.
Aldo A. Mola, PensaLibero.it, 17 Giugno 2019

Paolo Buffa, di famiglia valdese antifascista, già durante il Liceo prese a frequentare ambienti comunisti della Capitale, pur senza impegnarsi direttamente nell’attività politica clandestina. Iscritto alla facoltà di Medicina, entrò in clandestinità quando i tedeschi ebbero occupata Roma. Il 10 settembre 1943 lo studente, con due amici, prende la strada del Sud, con lo scopo di partecipare alla formazione di un corpo di volontari antifascisti. Il progetto fallisce e Buffa, con Paolo Petrucci e Giaime Pintor, riprende la strada di Roma, per organizzare nel Lazio gruppi di resistenza partigiana. Il gruppetto finisce su un campo minato e Pintor muore. Così Buffa a Petrucci tornano indietro e si uniscono agli Alleati. Due settimane di addestramento a Monopoli e ad Ischia, poi i due amici sono paracadutati su Monte Rotondo. Di qui raggiungono Roma, dove Buffa ha la fidanzata (Enrica Filippini-Lera, impegnata, con i comunisti della Capitale, nell’attività contro i nazifascisti), che li accoglie nella sua casa. Un mese d’intensa azione antifascista, soprattutto tra gli studenti, poi il 14 febbraio le SS irrompono nell’abitazione della Filippini e arrestano la padrona di casa, il suo fidanzato, Paolo Petrucci, Vera Michelin-Salomon e suo fratello Cornelio. Buffa è condotto prima in via Tasso e poi è trasferito nel terzo braccio di Regina Coeli. Processato il 23 marzo 1944 da un Tribunale militare tedesco, il giovane è assolto dalle accuse, ma è trattenuto in carcere sino al 4 giugno, quando gli angloamericani arrivano a Roma. Buffa (il suo amico Petrucci era stato intanto trucidato alle Ardeatine), prende subito contatto con gli inglesi che lo paracadutano nel Cuneese. Col nome di battaglia di “Barton” e il grado di tenente della “Special Force”, Buffa diventa istruttore e ufficiale di collegamento delle formazioni partigiane di Giustizia e Libertà e partecipa, in questo ruolo, alle fasi finali della guerra di Liberazione. ANPI

[…] Chi erano i compagni di avventura di Giaime Pintor? Da Aldo Garosci sapevamo che la mattina del 3 dicembre, due giorni dopo la morte di Giaime, s’erano presentati a lui “i due Paoli (Paolo B…. e Paolo Petrucci) che erano nel suo gruppo” per comunicargli l’esito tragico della spedizione . Paolo B…. non era altri che Paolo Buffa, che Garosci non nomina per esteso per una semplice misura di prudenza, in quanto nel periodo in cui usciva la sua testimonianza, dicembre 1944, Paolo Buffa si trovava al nord a combattere, con lo pseudonimo di Paul Barton , sempre tra le file della Special Force N.1, cioè i servizi segreti inglesi, la guerra di liberazione. Paolo Buffa veniva da una famiglia valdese antifascista. Iscritto alla facoltà di Medicina dell’Università di Roma, aveva preso a frequentare gli ambienti comunisti romani, dove aveva conosciuta la sua futura fidanzata Enrica Filippini Lera, già impegnata nel movimento clandestino comunista, la quale lo aveva introdotto nei salotti delle famiglie Lombardo Radice, Pintor, Natoli ecc.. insomma nelle famiglie i cui figli erano ormai attivi nella rete clandestina comunista. La frequentazione di Paolo Buffa e di Enrica Filippini Lera con il giovane Luigi Pintor è testimoniata in particolare da una foto del 1942, che ritrae i tre insieme in una casa di campagna .
Il secondo dei due Paoli, citato da Garosci, era Paolo Petrucci, un giovane che aveva già fatto la campagna d’Africa e che l’8 settembre s’era battuto contro i tedeschi per la difesa di Roma. I due erano amici e con l’occupazione tedesca avevano deciso di recarsi al sud per organizzare una formazione di volontari antifascisti. Li accompagnava un altro vecchio amico, Rinaldo (Aldo) Sanna, che ritroveremo tra i reclutati del Soe. I tre avevano raggiunto Napoli ed erano finiti nel gruppo che il generale Pavone stava cercando di organizzare. A Napoli incontrano Giaime Pintor che appunto già conoscono.
Che la missione fosse una operazione del Soe e che i membri fossero tutti agenti dei servizi segreti inglesi lo veniamo a sapere dagli stessi archivi inglesi, i quali rivelano che certamente tre elementi della spedizione, Paolo Petrucci, Paolo Buffa, e lo stesso Aldo Garosci, che la doveva dirigere se non si fosse ammalato, erano agenti dei servizi segreti inglesi. Al servizio del Soe era anche un altro loro amico, che quasi certamente era a Castelnuovo al Volturno, cioè Rinaldo Sanna. La firma di Paolo Filippini, che appare in calce alla relazione pubblicata in appendice al volume “Il colpo di stato del 25 luglio 1943”, nasconde quindi l’identità di Paolo Buffa, che in quella circostanza utilizzò il cognome della fidanzata, Enrica Filippini Lera. Quindi la missione era stata concepita e organizzata dai servizi segreti inglesi e il gruppo era composto esclusivamente da agenti del Soe.
Ma a sorprendere e a gettare ancora più luce sulla vicenda sono alcuni sviluppi della storia che i documenti inglesi ora ci consentono di seguire. Come racconta lo stesso Garosci, i due Paoli, cioè Buffa e Petrucci, a causa degli esiti tragici della spedizione di Castelnuovo al Volturno, furono costretti a tornare indietro. Ripeterono il tentativo nel gennaio 1944, facendosi questa volta paracadutare su Monterotondo, da dove riuscirono in un secondo momento a raggiungere Roma, cercando rifugio nella casa di Enrica Filippini Lera. Dopo un mese di intensa attività clandestina, di cui purtroppo si sa poco, furono sorpresi da una irruzione delle SS. Vennero arrestati Paolo Petrucci, Paolo Buffa, e due cugini di quest’ultimo, cioè Cornelio e Vera Michelin-Salomon, anch’essi attivi militanti antifascisti. Enrica, ignara della irruzione delle SS, veniva arrestata mentre rientrava in casa con una borsa piena di volantini anti-nazisti. Essa, durante i mesi di assenza di Paolo Buffa, aveva stretta ancora di più i legami con la organizzazione comunista clandestina e quando cadde nelle mani delle SS era la responsabile femminile della VI zona Gap. Mentre i tre giovani uomini, processati da un tribunale tedesco, sebbene assolti, rimasero reclusi a Regina Coeli, le due donne, Enrica e Vera, condannate a tre anni di reclusione da scontare in una prigione tedesca, venivano tradotte, nell’aprile del 1944, in Germania . Paolo Petrucci fu tra i martiri delle Fosse Ardeatine, mentre Paolo Buffa trascorse in carcere a Regina Coeli il resto dei giorni che lo dividevano dalla liberazione di Roma .
I primi interrogativi su questi ultimi risvolti della vicenda sorgono dal fatto che sappiamo ora dai documenti inglesi che anche Enrica e suo padre, Giuseppe Filippini-Lera, hanno un fascicolo personale nel fondo degli agenti del Soe. Insomma erano agenti del Soe. Un altro interrogativo sorge da alcuni degli sviluppi della vicenda personale di Buffa dopo la liberazione di Roma. Infatti, appena uscito da Regina Coeli, Buffa riprendeva i contatti con i servizi segreti inglesi e si faceva paracadutare nel Cuneese, dove prese a operare con il grado di tenente dello Special Force N.1 e sotto la copertura dello pseudonimo di ‘Paul Barton’. La sua mansione era quella di ufficiale di collegamento tra gli Alleati e le formazioni partigiane di Giustizia e Libertà.
Paolo Buffa ci interessa in modo particolare per quel suo nome di battaglia, “Paul Barton”, poiché è lui, Paolo Buffa, il vecchio amico dei due Pintor, quel “Ltg P.Batron” , che, incaricato da Londra, si presentò il 22 agosto 1945 alla famiglia Pintor a nome dei servizi segreti inglesi, sintetizzando i risultati dell’incontro nel fascicolo di Giaime. E’ lui quindi che ebbe il colloquio col più giovane dei Pintor il 22 agosto 1945, e che riferì a Londra firmando le dichiarazioni raccolte da Luigi con il nome “Lt. P.Batron”, dove è ora evidente l’errore di battitura che ha trasformato P.Barton in P.Batron. E’ ancora lui quindi quel misterioso personaggio che, nel febbraio del 1944, in un incontro segreto nella Roma occupata dai nazisti, riferì a Luigi Pintor, come racconterà in seguito questi omettendone l’identità, le prime notizie sulla morte del fratello Giaime.
Quindi, Giaime Pintor nella sua ultima tragica fase della sua vita aveva scelto di legarsi ai servizi segreti inglesi. Ma ora sappiamo che non era solo in questa scelta. Gli facevano compagnia un gruppo di giovani che egli ben conosceva; amici della sua adolescenza e compagni dei suoi primi impegni politici, amici che a Roma egli incontrava quotidianamente nei salotti delle famiglie Lombardo Radice, Pintor, Natoli. A Napoli s’erano evidentemente ritrovati e avevano deciso di condurre insieme quell’operazione, tutti sotto la copertura dei servizi segreti inglesi. Proprio il coté famigliare e amicale in cui si muovevano tutte le personae dramatis rafforza la certezza che Luigi Pintor fu messo al corrente delle scelte ultime del fratello sia nell’incontro clandestino del febbraio 1944 sia, a maggior ragione, nell’incontro documentato dai fascicoli del Soe dell’agosto del 1945, quando il tenente P.Batron, alias P.Barton, cioè Paolo Buffa, reduce dalla guerra di liberazione condotta al nord, si recò a via Nizza, in una casa e da una famiglia a lui ben note, per spiegare bene ed esaurientemente la vicenda della morte di Giaime Pintor, di cui era stato testimone oculare.
Ciò rende del tutto inverosimile l’ipotesi che Luigi Pintor fosse all’oscuro delle ultime scelte del fratello […]
[Note:]
21 Garosci, Un mese e mezzo con Giaime Pintor, in “Mercurio”, dicembre 1944, p. 106.
22 Quindi il P. Barton citato nel fascicolo di Giaime, che viene spedito a parlare con la famiglia e con Luigi non è altro che il vecchio amico di famiglia Paolo Buffa. E’ dello stesso parere il prof. Calandri, direttore dell’Istituto Storico della Resistenza e della Società contemporanea in provincia di Cuneo, che colgo l’occasione per ringraziare. Il prof. Michele Calandri mi segnala giustamente il bel lavoro di Mario Giovana, Missione ‘Siamang I’. Paolo Buffa: un ‘dilettante di ‘Special Force’, in “Notiziario dell’Istituto storico della Resistenza in Cuneo e Provincia”, n.32, dicembre 1987, p. 7 ss., in cui, giovandosi dell’archivio di Paolo Buffa e di una serie di incontri, Giovana conferma che dietro lo pseudonimo di Paul Barton vi era appunto Paolo Buffa.
23 In E. Filippini Lera, Maria Lea Cavarra, ….i fiori di lillà quel giorno…., Modena, Edizioni Nuovagrafica, 1995, p. 12.
24 Condotte a Dachau, vengono poi recluse nel carcere di Aichah, da dove verranno liberate dagli Alleati alla fine di aprile del 1945. Su questa parte della vicenda cfr. E. Filippini Lera, Maria Lea Cavarra, ….i fiori di lillà quel giorno…., Modena, Edizioni Nuovagrafica, 1995.
25 Una testimonianza molto bella del carattere fermo e sereno di Paolo Buffa la fornirà il suo compagno di cella Italo Zingarelli, che lo documenterà nel suo libro di ricordi Il terzo braccio di Regina Coeli, Staderini Editore, 1944.
26 Cfr. il saggio di Mario Giovana, Missione ‘Siamang I’. Paolo Buffa: un ‘dilettante di ‘Special Force’, in “Notiziario dell’Istituto storico della Resistenza in Cuneo e Provincia”, n.32, dicembre 1987, p. 7 ss.,
27 Cfr. il mio articolo, Le ultime ore di Giaime Pintor, apparso su “la Repubblica” del 14 maggio 2007.
28 L. Pintor, Servabo, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 35.

Mauro Canali, Il mito del “compagno Giaime Pintor” tra Pci e servizi segreti inglesi, Nuova Storia contemporanea, anno 11, n. 4. 2007

Enrica Filippini-Lera, una donna formidabile che ha attraversato interamente il “secolo breve” vivendone da protagonista gli snodi più tragici e dolorosi […] Il periodo d’intenso studio, condiviso con Paolo Buffa che diventerà il ompagno di tutta la vita, non le impedì d’interessarsi di politica e di stringere legami con i giovani dagli eventi e da una straordinaria figura ingiustamente dimenticata come Bruno Sanguinetti, era già iscritta al Partito Comunista clandestino e frequentava regolarmente le riunioni del cosiddetto gruppo comunista romano. Divenne amica di Lucio Lombardo Radice, Aldo Natoli, Giaime Pintor, e durante un concerto all’Augusteo conobbe Paolo Petrucci. Si trattava, come l’ha definita lo stesso Pietro Ingrao, di una gracile cospirazione che con il passare dei mesi formerà il primo nucleo della Resistenza armata romana. Enrica […] Dopo l’8 settembre ’43, mentre Roma “città aperta” viveva sotto il cielo di piombo dell’occupazione nazista, Enrica era impegnata nell’attività clandestina della VI zona comandata da Carlo Salinari come responsabile del gruppo femminile e della distribuzione della stampa comunista. In questa sua attività collaborava con Natoli e Gioacchino Gesmundo. Trasformò la sua casa di via Buonarroti in un importante centro della Resistenza, ed insieme a Vera Michelin-Salomon dava il suo contributo con un lavoro capillare tra gli studenti universitari e liceali. Con la forza d’animo che sempre l’ha contraddistinta, in quei mesi Enrica doveva sopportare anche la separazione da Buffa, che il 10 settembre aveva attraversato le linee con Petrucci per recarsi al Sud. Enrica sapeva dei pericoli che correvano, del primo fallito tentativo di rientro a Roma con la missione Arnold e della morte di Pintor; sapeva che i suoi compagni si erano arruolati nella N.1 Special Force britannica e che presto sarebbero stati aviolanciati nei pressi di Roma. Il lancio della missione Abercorn avvenne il 16 gennaio ’44 e Buffa e Petrucci raggiunsero Enrica a via Buonarroti. Erano di nuovo tutti insieme, i due Paoli, Enrica, Vera e Cornelio Michelin-Salomon e pronti a combattere. Tuttavia, la gioia per aver riabbracciato riabbracciato il suo Paolo durò poche settimane. Il pomeriggio del 14 febbraio si presentarono a via Buonarroti le SS guidate dall’agente “Fritz”, alias Federico Scarpato, una spia al servizio dei nazisti. Vera era stata individuata durante un’azione che i ragazzi avevano fatto al Liceo Cavour alla fine di gennaio. Venuti per arrestare la sola Vera, le SS arrestarono tutti e cinque e li rinchiusero prima nell’inferno di via Tasso e poi al terzo braccio tedesco di Regina Coeli in attesa del processo. La loro posizione non era delle migliori perché durante la perquisizione le SS avevano trovato una pistola senza munizioni e dei volantini antitedeschi.
Al processo che si svolse il 22 marzo Enrica e Vera si addossarono coraggiosamente tutte le responsabilità e vennero condannate a tre anni di carcere duro da scontare in Germania, mentre i tre ragazzi vennero «dichiarati dichiarati liberi per mancanza di prove suicienti». Ma in attesa della firma di Kesselring vennero tutti riportati a Regina Coeli. Il 24 marzo Petrucci venne inserito nella lista dei 335 uomini da fucilare alle Fosse Ardeatine come rappresaglia alla legittima azione di guerra dei GAP in via Rasella.
Per Enrica fu un dolore lancinante che l’accompagnerà per il resto della vita […]
Ma le sofferenze non erano terminate.
Un mese dopo, il 24 aprile, Enrica e Vera vennero prelevate dalla loro celle per compiere il viaggio verso l’ignoto.
Vennero caricate sui camion a via della Lungara insieme ad altre 66 persone.
Era l’ultimo trasporto partito da Roma con destinazione il terribile KL Dachau […]
Il 29 maggio Enrica e Vera arrivarono nel carcere femminile di Aichach, loro definitiva destinazione.
La vita carceraria si mostrò loro immediatamente in tutta la sua durezza […]
L’incubo terminò il 1° giugno ’45 quando comparve improvvisamente Paolo Bufa, alias tenente Paul Barton della N.1 Special Force, che le riportò in Italia con la sua jeep. Massimo Sestili su Patria Indipendente, luglio 2014

La guerra dei poveri [di Nuto Revelli] è infine più di una cronaca militare: è la storia di come l’Italia fallì la propria redenzione dal fascismo. Accanto all’evoluzione morale e umana del personaggio autobiografico, nel libro prende gradualmente piede un’accresciuta consapevolezza del ruolo della Resistenza nella strategia militare degli Alleati. Nell’entrata del 23 settembre 1944, dopo meno di un mese dal trasferimento in Francia, i partigiani della “Rosselli” conoscono questa nuova dimensione politica della Resistenza:
“La situazione della brigata è complessa ed estremamente incerta. Operativamente dipendiamo dal comando americano di Lantosque: logisticamente dal comando francese. Gli americani, gente pratica, guardano alla nostra formazione come ad un reparto che può dare un contributo operativo immediato. I francesi sopportano mal volentieri l’esistenza di un reparto autonomo italiano, in posizione di parità, fra le forze alleate: un reparto a cui è stato assegnato un tratto di fronte. Gli inglesi, dopo la scomparsa di Flight, non rinunciano a seguire la nostra brigata, anzi, tendono a controllarla: con prudenza però, senza interferire nei programmi francesi. Per la Rosselli questa è un’esperienza nuova, fra situazioni ed interessi che sovente minacciano l’esistenza stessa della formazione”.
Solo pochi mesi prima sarebbe stato impossibile per l’autore del diario afferrare in modo semplice e lucido la complessità della situazione internazionale. L’incidente in moto del 24 settembre 1944, che allontanò Nuto dalla zona d’azione partigiana, fornì invece l’occasione per spingersi ancora più addentro al retroscena politico, in una fase in cui il partigianato si trasformava radicalmente: «una brigata che porta il nome di Carlo Rosselli, deve avere un preciso orientamento ideologico, e una visione non limitata al momento, ma spinta al poi, ai problemi del domani, al profondo rinnovamento della vita del nostro paese».
Gianluca Cinelli, Gli scrittori partigiani del Cuneese

«Un ufficiale britannico riservato, padrone di un eccellente lessico italiano, soltanto con lievi inflessioni anglosassoni nella pronuncia; un interlocutore molto misurato negli apprezzamenti e molto incline ad ascoltare». Così – secondo il giornalista-scrittore Mario Giovana – appare ai partigiani italiani con i quali è venuto a contatto il tenente Paul Barton. In realtà Paul Barton non esiste e quell’ufficiale dei servizi speciali britannici è un italiano: Paolo Buffa, laureando in medicina, appartenente al XX distaccamento della French Mission di Special Force di stanza a Nizza. E’ venuto nelle vallate cuneesi per eseguire la missione «Siamang I» da lui stesso ideata e diretta: siamo nell’aprile del 1945, alla vigilia della Liberazione. L’episodio è stato ricostruito nei particolari da Mario Giovana attraverso le testimonianze dello stesso Paolo Buffa – divenuto docente di patologia medica all’Università di Modena e ora in pensione – e degli altri protagonisti, ed è apparso sull’ultimo numero del notiziario dell’Istituto storico della Resistenza di Cuneo diretto da Michele Calandri.
Chi è il prof. Paolo Buffa o tenente Paul Barton? Nasce a Milano nel 1913, figlio di poverissimi contadini valdesi che nella città lombarda sono portieri dell’Albergo ricovero dell’esercito della salvezza. Anche Paolo, trasferitosi a Roma, farà il custode di un albergo ricovero; conosce e frequenta l’ambiente antifascista della capitale, e saranno gli amici a incoraggiarlo e ad aiutarlo a studiare. Nel 1939 ottiene la maturità scientitica e l’8 settembre del ’43 lo trova impegnato a preparare la tesi di laurea in medicina. Paolo Buffa odia le armi e la vioIenza ma è deciso a partecipare attivamente alla battaglia contro il nazitascismo. Supera le linee tedesche e raggiunge Napoli dove entra a far parte della Special Force con la nuova identità di tenente Paul Barton. Durante una delle prime missioni a Roma viene arrestato con un amico, il filologo Paolo Petrucci, nella casa di due antifascisti Enrica Filippini e Vera Salomon rispettivamente fidanzata e cugina del Buffa. Le due donne al processo si addosseranno tutte le responsabilità e saranno inviate in Germania nel campo bavarese di Aichach presso Monaco. Benché assolti, Buffa e Petrucci sono trattenuti in carcere dai tedeschi e Petrucci verrà poi fucilato alle Ardeatine. Tornato libero con l’arrivo degli alleati a Roma, il tenente Barton riprende il servizio presso la Special Force e nell’aprile del ’45 viene inviato a Nizza come ufficiale di collegamento con il «Groupe Nuto» fermo a Belvedere. Si tratta della brigata «Carlo Rosselli» di Nuto Revelli, sconfinata in Francia dopo aver contrastato il tentativo della 90ª divisione corazzata tedesca di arrivare in Provenza attraverso il Colle della Maddalena. A Nizza il ten. Barton prepara la missione «Siamang I» e la propone al suo comando: è un’azione antisabotaggio nelle valli Maira e Varaita dove sorgono sei impianti idroelettrici che alimentano il sistema ferroviario del Sud Piemonte e alcune industrie della Liguria. Gli uomini devono essere scelti dal Groupe Nuto. In questo modo – lo si scoprirà in seguito – Paul Barton intende favorire il rientro in Italia della Rosselli. Il progetto viene accettato.

Val Tinéee – Foto: Mauro Marchiani
Colle Fous, 3-4 aprile 1945. Partigiani della Brigata GL Valle Stura “Carlo Rosselli” durante un tentativo di rientro in Italia dalla val Vésubie con la missione Soe comandata da Paul Barton (Paolo Buffa) – Fonte: I Partigiani d’Italia
La pattuglia della missione del tenente Paul Barton (Paolo Buffa), 13 aprile 1945 – Fonte: I Partigiani d’Italia

L’operazione scatta nella notte tra il 14 e il 15 aprile dopo che dieci giorni prima era fallito un tentativo di Nuto Revelli di scendere in Italia con un centinaio di uomini. L’ex olimpionico di sci, Giulio Gerardi, della «Rosselli», e altri tre partigiani di Bagni di Vinadio costituiscono la scorta del tenente Barton; a loro si aggiungono l’avv. Augusto Astengo e il professore di lettere Giovanni Bessone che vogliono rientrare (1) nelle loro formazioni nel Monregalese al termine di una lunga missione. Bessone è malato di cuore, Barton soffre allo stomaco per i postumi di un intervento.
Il gruppo parte da Isola nella valle della Tinée e attraverso il colle di Tesina, il monte Tichal, scende a Bagni di Vinadio in valle Stura, poi risale diretto in valle Grana a Pradleves, «zona libera» tenuta dai partigiani. Una traversata difficile fatta camminando di notte tra le insidie della montagna e dei tedeschi. La sera del 17 il gruppo al completo scende in valle Grana. Scrive Giovana: «Il tenente Barton appariva sfinito, ma aveva tenuto l’andatura tacendo i suoi disturbi. Bessone si era quasi sfracellato in una caduta e però niente sembrava avesse il potere di arrestarlo. Morirà il 25 febbraio 1946, appena un anno dalla fine del partigianato, vittima di un cuore a pezzi cui si era rifiutato di concedere tregue». Il ten. Barton si rende conto che tutte le misure per prevenire sabotaggi tedeschi sono già state prese tanto che confessa di sentirsi «quasi superfluo». Nei suoi messaggi a Nizza dà una valutazione entusiastica dell’efficienza dei partigiani. E la sera del 22 aprile, in una riunione con i comandanti delle valli Maira e Varaita, incoraggia la proposta di rompere gli indugi e di occupare i paesi nelle valli prima che si muovano i francesi della prima divisione France Libre del gen. Doyen. Quando la sera fra il 25 e il 26 aprile arriva l’ordine di insurrezione le unità partigiane sono già appostate sopra le centrali elettriche e controllano bene i presidi fascisti. La missione «Siamang I» si conclude ufficialmente il 6 maggio e il giorno dopo il suo ideatore, tenente Paul Barton, si congeda dai comandanti partigiani rivelando la sua vera identità. Bruno Marchiaro su Istoreto

(1) Verso il 24/25 settembre 1944, Micheletti venne convocato dai Dirigenti Divisionali (Cosa e Giocosa), per urgenti, indifferibili motivi. Quando fu di ritorno nel Distaccamento, mi descrisse, un po’ eccitato, l’accaduto […] Da questa indifferibile esigenza, nasce l’iniziativa di rivolgersi al neonato governo del Sud, di concerto con il Comitato Regionale di Liberazione Piemontese, e l’appoggio del grande amico, Maggiore Temple * , per segnalare le principali carenze che mettevano in grave pericolo non solamente i soggetti combattenti ma, altresì, tutti i civili della zona. Per fronteggiare tale seria contingenza, si rendeva pertanto necessario contattare tempestivamente e senza indugi, il nuovo governo centrale, presieduto da Ivanoe Bonomi, da poco insediato a Brindisi.
Il Comando divisionale, forse rassicurato dalla notizia che la squadra di Micheletti si era procurato tutto l’armamento rastrellando periodicamente l’area monregalese e quella tendasca, non esitò ad affidare a Micheletti e compagni il gravoso incarico di scortare i due messaggeri, Bessone e Astengo, oltralpe, per consentir loro di accedere all’aeroporto di Nizza, da pochi giorni liberata dagli alleati anglo-americani, e di lì raggiungere la meta prefissata. In realtà, i quattro partigiani della scorta, Micheletti, Mondino, A. Clerico e Maccalli, ignoravano totalmente le caratteristiche di quella zona alpina che avrebbero dovuto affrontare […] Partimmo [compresi gli uomini della Missione inglese Flap] da Rastello, piccolo borgo della Valle Ellero, il giorno 27 settembre 1944. A motivo delle precarie condizioni di salute del prof. Bessone, fummo accompagnati dal giovane medico monregalese Serafino Travaglio sino alla Frazione Piaggia di Briga Marittima, ove pernottammo. […] dopo un secondo faticoso giorno di marcia, arrivammo, sfiniti, a Pigna, ubertoso Comune medioevale dell’alta Valle Nervia. […] Ci mise in contatto con due comandanti garibaldini […] Tenendo presente l’urgenza degli adempimenti affidati ai due emissari, decidemmo, sempre d’intesa con i nostri inaspettati generosi amici, di includere nel primo gruppo il prof. Bessone, l’Avv. Astengo, il Capitano inglese Lees [della Missione inglese Flap]
ed il radiotelegrafista Biagio [Secondo Ballestri della Missione LLL2-CHARTERHOUSE]. Costoro, il 2 ottobre [1944] si avviarono verso i sentieri montani, accompagnati da due esperti locali e, come si seppe poi, raggiunsero dopo molte fortunose peripezie il luogo stabilito. La spedizione del secondo “quartetto” (cap. Long, giornalista Morton, militare scozzese Mac Clelland, sergente Larouche) [della Missione inglese Flap] si rivelò molto più complicata e rischiosa, nonostante i costanti, generosi aiuti dei garibaldini locali. Luigi Mondino nel supplemento al numero 1 dell’aprile 2010 de “L’ELMETTO”, Cuneo *[l’arrivo del maggiore Temple rappresentava qualcosa di più: era arrivato tra noi un ambasciatore e un addetto militare del governo inglese e degli Alleati, era il riconoscimento ufficiale e tangibile della legittimità della nostra lotta; con lui diventavamo cobelligeranti. L.B. Testori, La missione Temple nelle Langhe, in AA.VV., N. 1 Special Force nella Resistenza italiana, Volume I, Bologna, 1990, p. 159 – Nell’agosto ’44 erano attive ben 4 missioni italiane, con 13 agenti italiani; 9 missioni britanniche con 16 agenti britannici; 13 italiani in missioni britanniche. In Piemonte, le comandava il maggiore “Temple”, missione “Flap”. Cfr. M. BERRETTINI, op. cit., p. 38. “Temple” (Neville Darewsky), classe 1914, ufficiale dell’esercito inglese, morì il 15 novembre 1944 in un incidente a Marsaglia (CN). Era stato paracadutato tra le formazioni di Mauri il 6-7 agosto 1944. Ebbe importanti incontri con il Cmrp; a lui si deve l’idea della costruzione dell’aeroporto di Vesime (AT); qui giunsero Stevens e Ballard, gli ufficiali dello Soe che lo sostituirono. Marilena Vittone, “Neve” e gli altri. Missioni inglesi e Organizzazione Franchi a Crescentino, in “l’impegno”, n. 2, dicembre 2016, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia]

L’arrivo del maggiore Neville Darewski “Temple” presso il comando di “Mauri”, nell’agosto del ’44, preceduto da una visita alle formazioni nelle valli Stura, Grana e Gesso e in val Ellero presso Piero Cosa, offriva agli occhi di garibaldini e GL l’impressione che “Mauri” potesse ottenere un vantaggio da quella circostanza; tanto più che il comando della VI divisione non otteneva lo stesso interessamento da parte inglese, almeno fino a quando “Temple” non concorderà con “Andreis” un regolare lancio di armi, interrotto poi verso la fine del ’44. 814
Con l’arrivo del colonnello John Stevens e del capitano Edward Ballard il 19 novembre, 815 il contesto non sembra cambiare. Il primo, in veste di capo delle missioni alleate in Piemonte, si sposta continuamente tra le Langhe e Torino, dove giunge una prima volta il 20 dicembre per esporre il suo progetto di organizzazione delle forze partigiane per la regione, lasciando Ballard quale capo missione presso la I divisione alpina comandata da Bogliolo. 816 A questo poi si aggiunge un altro capitano inglese, Patrick O’Regan “Chape”. I due ufficiali restano nelle Langhe in modo continuativo, stabilendo contatti con tutte le formazioni dell’area. 817
814 Lo ricorda lo stesso “Andreis” in una relazione del 6 febbraio 1945, che fa seguito all’incontro avuto con O’ Regan a Cortemilia il 27 gennaio, in cui scrive: «[…] con il maggiore Temple si avevano presi degli accordi che ora [con O’Regan, NdA] non venivano rispettati […]», in C. Pavone (a cura di), Le Brigate Garibaldi, vol. III; cit., doc. 588 “Relazione dell’ispettore Andreis ‘sulla riunione tenuta a Cortemilia col rappresentante della missione inglese’”, 6.2.45, p. 334
815 Il capitano Edward Ballard era giunto in Langa con il col. Stevens verso la fine di novembre, in sostituzione di Temple, morto in un incidente d’auto a metà novembre, “Relazione sugli avvenimenti che hanno accompagnato la morte del maggiore Temple”, AISRP, A LRT 1 a
816 M. Giovana, Guerriglia, p. 296
817 Edward Ballard resta nelle Langhe fino alla fase insurrezionale, mentre O’Regan verrà inviato da Stevens nel paese di None, in qualità di capo della missione alleata della IV zona – val Chisone, A. Young, “La missione Stevens e l’insurrezione di Torino”, cit., p. 99

Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Facoltà Lettere e Filosofia, Corso di laurea magistrale in Storia e civiltà, Anno Accademico 2012-2013