Le foglie stanno per cadere

Jerzi Sas Kulczycki
Angelo Giuseppe Zancanaro (Arsiè, 22 maggio 1894 – Feltre, 19 giugno 1944) è stato un militare e partigiano italiano pluridecorato. Nato nella frazione di Incino di Arsiè fu capitano degli Arditi nella Prima guerra mondiale. Nel dopo guerra intraprese la carriera militare diventando tenente colonnello. Dopo l’8 settembre 1943, coordinò l’intera organizzazione militare delle forze partigiane della provincia di Belluno. Per queste motivazioni e per la sua tragica morte per mano fascista gli fu concessa nel 1976 la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria. […] L’armistizio dell’8 settembre 1943 lo vide da tenente colonnello al comando del Battaglione “Gemona” dell’8º Reggimento Alpini – Divisione Julia unità di Tricesimo che farà sciogliere senza che nessun alpino venisse preso prigioniero dai tedeschi. Come ricorda la medaglia d’oro al valor militare nella lotta di liberazione dopo essere rientrato a Feltre prese i contatti con le FADP (Le Forze Armate della Patria) organizzate dal ‘’Colonnello Sassi’’ (ovvero il capitano di vascello di origine polacca Jerzy Sas Kulczychy (1905-1944) e con il CLN Veneto. A questo scopo partecipò alla riunione dell7 ottobre 1943 che si svolse nella canonica di Bavaria di Nervesa della Battaglia. Il tessuto organizzativo su cui poteva contare Zancanaro era quello della Azione Cattolica, organizzata da don Giulio Gaio e dai parroci. Quest’ultimi costituirono subito un “Comitato cittadino clandestino feltrino” e si esposero per tutti i venti mesi della lotta di liberazione dal nazifascismo. Il Tenente colonnello Zancanaro, forte di questi legami e del prestigio personale di militare pluridecorato, dopo l’esaurimento dell’iniziativa del FADP fu nominato dal neo costituito CLN di Belluno responsabile militare dell’intera provincia. Nella sua zona costituì, assieme agli ufficiali Vida e Taricco e il ragionier Luigi Doriguzzi, un gruppo partigiano autonomo, la Brigata alpina “Feltre”. Erano circa 350 ex alpini della zona distribuiti nei vari paesi del Feltrino. Zancanaro e la sua organizzazione ebbe anche contatti radio col Maresciallo d’Italia Giovanni Messe, capo di stato maggiore del Comando Alleato, che aveva conosciuto durante la Prima guerra mondiale nel IX Reparto d’assalto degli arditi sul Monte Grappa. Inoltre divenne anche il referente delle forze anglo-americane in zona a cui indirizzare gli aviolanci con i rifornimenti e l’armamento. Durante l’inverno organizzò a scopo difensivo, secondo l’orientamento “attendista” del mondo cattolico-moderato, una “resistenza passiva” con la creazione di depositi di armi e l’allestimento dei due campi di lancio a Malga Erera (Val Canzoi) e sulle Vette Feltrine. Dal 7 marzo 1944 alla fine di aprile Zancanaro fu arrestato e incarcerato (carcere di baldenich) dai nazifascisti bellunesi con altri ufficiali di carriera. Il comando della “Brigata Feltre” fu assunto dal maggiore Francesco Vida con la collaborazione di Luigi Doriguzzi del CLN di Belluno (Luciano Granzotto Basso e l’ingegner Attilio Tissi). […] La notte tra il 18 e il 19 giugno 1944 a Feltre degli uomini in divisa tedesca, guidati da “quello sparuto gruppo di fascisti” fecero irruzione nella casa di Zancanaro, dove uccisero con una raffica di mitragliatrice lo stesso Zancanaro e il figlio Luciano di 19 anni. Nella stessa azione furono poi uccisi anche l’ingegner Pietro Vendramin (1891-1944), Oldino De Paoli (1907-1944), e un giovane veneziano, che si trovava casualmente in città, Gino Colonna-Romano (1920-1944), furono invece prelevati due sacerdoti: il Rettore del Seminario Candido Fent e Monsignor Giulio Gaio. Il 21 giugno, due giorni dopo la morte di Zancanaro, il CLN di Feltre decise che il reparto che era da lui comandato assumesse la denominazione di Battaglione “Zancanaro” e fosse fatto confluire nella Brigata Garibaldina Antonio Gramsci. Con l’afflusso degli uomini di Zancanaro la Brigata Garibaldina composta da un centinaio di uomini raggiunse in settembre 996 effettivi. Redazione, Angelo Giuseppe Zancanaro, www.owlapps.net
Un documento di riconoscimento firmato dal colonnello del V.A.I. Efisio Simbula – Fonte: Luigi Manuel Gismondi

“Le foglie stanno per cadere”. In una casa di Milano, la notte del 9 gennaio 1944, almeno una persona sapeva perfettamente che cosa significasse lo strano messaggio, uno dei tanti in codice irradiati da Radio Londra. Quella persona si chiamava Jerzi Sas Kulczycki. Trentanovenne capitano di fregata della Regia marina militare, romano di nascita, ma discendente da una nobile famiglia polacca di origini russe, Kulczycki era stato sorpreso dall’armistizio dell’8 settembre 1943 a Trieste, imbarcato sulla corazzata Cavour.

s. fasc. 27. “26. organizzazione V.A.I dall’8 settembre 1943”.
Comprende relazione con relativi allegati del Tenente Colonnello Efisio Simbula sull’operato dei VAI (volontari armati italiani).
Valeria Barresi, IL FONDO H8 CRIMINI DI GUERRA, Ministero della Difesa

Quel messaggio significava per lui una cosa precisa: lo Stato Maggiore degli Alleati in Italia aveva riconosciuto il V.A.I., movimento dei Volontari Armati Italiani che si era formato nei mesi precedenti in tutto il Nord dell’Italia ancora sotto l’occupazione tedesca. Costituito per lo più da ex ufficiali e militari sbandati delle disciolte forze armate italiane decisi a battersi contro le truppe occupanti e i loro alleati della Repubblica di Salò, il VAI con quel riconoscimento otteneva la garanzia che gli Alleati non avrebbero mai fatto mancare il loro aiuto in armi, rifornimenti e informazioni. Si trattava anche di una vittoria personale per Kulczycki, che a organizzare il VAI aveva lavorato fin dall’ottobre 1943, prima nell’entroterra veneto e poi spostandosi per tutto il nord del paese, sempre sotto false identità: Sassi, De Cunis, Saponaro, Ferrari, Ferrarin… Era stato un alto ufficiale di fiducia del Re e di Badoglio, il colonnello Cordero di Montezemolo, ad affidare segretamente a Kulczycki, subito dopo l’armistizio, l’incarico di dar vita a una forma di resistenza armata a tedeschi e fascisti. Negli ambienti vicini alla Corte si temeva infatti che i movimenti resistenziali potessero essere monopolizzati dai partiti antifascisti, per lo più ostili alla Corona. Da qui l’investitura del valoroso ufficiale decorato sul campo con Medaglia di bronzo al valor militare, fedele alla monarchia e Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia. Florio Magnanini in Uomini nomi memoria

In ottobre [1943] si tenne a Bavaria, nel Trivignano, un convegno, cui presero parte politici di tutte le tendenze, volontari civili, ufficiali; la discussione si sviluppò attorno al tema della costituzione di un vero e proprio esercito clandestino, con gerarchia riconosciuta e rispettata, e l’idea comunista (appoggiata anche da altri) della istituzione di piccole cellule armate, dipendenti dai partiti politici, ciò che avrebbe escluso dalla lotta i così detti “apolitici”, che intendevano combattere non per un partito, ma per la libertà e la democrazia. Il Convegno nominò Comandante generale delle Forze Armate della Patria (FADP) il comandante Kulczycki. Ad esse aderirono numerosi ufficiali, specie degli alpini e di cavalleria. Dopo la nomina, Kulczycki sviluppò un progetto di organizzazione e di regolamento e prese contatto con numerosi ufficiali, fra cui il tenente di vascello Arrivabene Valenti Gonzaga. Il 20 novembre Kulczycki si trasferì a Venezia. Il suo progetto incontrò molte opposizioni e si giunse a un accordo sulla base del quale Kulczycki fu inserito nel Comitato di Liberazione Nazionale, come consulente militare. La sua opera fu però bruscamente interrotta per l’arresto, il 22 dicembre 1943, a Venezia, di alcuni suoi collaboratori e il sequestro di molto materiale relativo alle FADP. Trasferitosi a Milano, Kulczycki diede vita ai Volontari Armati Italiani (VAI), un corpo concepito e voluto come un unico blocco di tutte le forze patriottiche con caratteristiche esclusivamente militari e apolitiche; il Comando Supremo, con messaggio trasmesso dalla Stazione Radio di Bari, lo nominò capo di stato maggiore della nuova organizzazione. Nella sua azione di allargamento dell’organizzazione, Jerzy (Giorgio) SAS Kulczycki, prese contatto con il tenente di cavalleria Aldo Gamba, tenente K., appartenente alla rete informativa nota come Reseau Rex, per cercare di fare entrare nel V.A.I. le Fiamme Verdi, le formazioni armate degli alpini organizzate e comandate dal generale degli alpini Luigi Masini, Fiori, già molto noto negli ambienti partigiani. Masini, di tendenze repubblicane, si dichiarò contrario all’iniziativa. Poiché però il VAI poteva essere una buona fonte di informazioni, Gamba si mise in contatto con Kulczycki. Il VAI ebbe diramazioni in tutta l’Italia settentrionale. Che il VAI abbia avuto una sua notevole importanza, in seguito del tutto ignorata dalla storiografia della Resistenza, è detto dallo stesso Ferruccio Parri, Maurizio, uno dei capi del C.L.N.A.I., vice-comandante del C.V.L., che, nel suo libro Scritti, a pagina 563 dice: “… Aspetti particolarmente preoccupanti derivano per noi dai tentativi insistenti condotti da parte della monarchia, nel Nord, di seminare zizzania, di dividere, di prendere il controllo delle nostre organizzazioni. Si cercò di formare anche un esercito monarchico antagonista del nostro; fu il VAI dei volontari monarchici, che finì un po’ perché riuscimmo a neutralizzare il tentativo, un po’ perché i tedeschi arrestarono e ammazzarono il bravo comandante Kulcsyski che era alla loro testa. Ma il pericolo fu serio.” In tale frase due sono i punti che meriterebbero un ulteriore approfondimento: riuscimmo a neutralizzare (come?), e il pericolo fu serio. Il VAI, il cui regolamento fu approvato a Genova, all’inizio del 1944 previde anche l’inserimento di personale civile, e sembra raggiungesse la consistenza non trascurabile di 5000 uomini, che svolsero un ampio servizio informativo a favore delle Armate alleate e operarono con attività di guerriglia e di sabotaggio. Due altri motivi rinforzano la convinzione che si trattasse di un’organizzazione seria e importante: l’interessamento personale del sotto segretario di stato per la Marina della Repubblica Sociale, comandante Ferrini, che ritenne opportuno segnalare ai tedeschi l’attività del comandante Kulczycki, e la grossa taglia (inizialmente mezzo milione e, successivamente, un milione di lire) che fu messa sulla testa dello stesso comandante. Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale – Anno XXIX – 2015, Editore Ministero della Difesa

Una comunicazione dell’11 novembre 1943 aveva anche reso ufficiale l’investitura. Ma la trasmissione di Radio Bari che diffuse la notizia trovò orecchie interessate anche al di là del fronte, nell’Italia occupata. Per i servizi segreti tedeschi l’alto ufficiale spedito al Nord dal Regno del Sud con l’obiettivo di organizzare una forma di resistenza armata appoggiata dagli Alleati diventò ben presto un’ossessione. Misero una taglia sulla sua testa ed escogitarono ogni trucco per catturarlo. Uno di questi trucchi fu l’invenzione del generale Della Rovere. [..] quell’ufficiale di grande coraggio e audacia, animato da solidi sentimenti antifascisti, ma anche fedele al Re e convinto che un’organizzazione partigiana dovesse mantenersi estranea alla politica, essendo suo esclusivo obiettivo la cacciata dei tedeschi dal suolo italiano. Era questo, del resto, il quadro assegnato all’azione del V.A.I. dal Comando supremo di Bari e dall’OSS, il servizio segreto alleato, con il quale Kulczycki era in contatto attraverso un agente con base a Venezia. Ed è sempre per questa visione degli scopi della guerra partigiana che, al contrario, il VAI venne considerato dal CLN uno strumento della monarchia per “seminare zizzania” fra le file della resistenza. Florio Magnanini, Op. cit.

Di origine polacca, capitano di fregata della Regia Marina (si trovava a Trieste all’epoca dell’armistizio) e poi partigiano monarchico, nell’autunno del 1943 Kulczycki organizzò il VAI (Volontari armati italiani), composto esclusivamente da militari fedeli al Re, e rifiutò la subordinazione al CLNAI. Nella primavera del 1944 tutto il gruppo dirigente fu catturato e Kulczycki, arrestato a Genova il 15/4/44, fu fucilato a Fossoli il 14/7/44. Avrebbe avuto contatti con il Reseau Rex di Aldo Gamba “il più importante servizio informativo dopo la Franchi” (Giannuli, op. cit., p. 30), creato per raccogliere informazioni, documenti, ordini repubblichini per avvisare tempestivamente il comando italiano delle azioni che questi organizzavano contro i partigiani (cfr. Fucci, op. cit., p. 213 e seguenti; Fini-Giannantoni, op. cit., p. 327, 328).
Claudia Cernigoi, Alla ricerca di Nemo. Una spy- story non solo italiana su La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo, supplemento al n. 303, Trieste, 2013

Aldo Gamba era una figura per molti versi atipica nel panorama della Resistenza bresciana. In contatto con Louis De Pace, che aveva costituito in Francia una organizzazione di spionaggio il Reseau Rex, nella prima metà del gennaio 1944 costituì una sottorete del Rex nelle province di Torino, Milano, Padova, Brescia, Verona, Mantova e Como. Il suo impegno fu di raccogliere e recapitare le informazioni all’addetto militare italiano, il quale poi provvedeva a passarle agli inglesi e ai francesi. Durante la sua attività partigiana Gamba fu arrestato due volte. La prima il 17 aprile del 1944 a Milano. Portato a San Vittore, si offrì come addetto alle pulizie, perché poteva disporre di maggiore libertà, e il 22 maggio riuscì a fuggire. Il secondo arresto risale al 12 dicembre 1944 sempre a Milano. Portato nel carcere di San Vittore, vi restò fino alla mattina del 24 aprile.
[…] Nei pochi minuti di durata del filmato i partigiani ritratti sembrano e sono dei ragazzini: mostrano il loro volto, sorridono, scherzano fra di loro, recitano anche allegramente una parte: mimano azioni di ricognizione e persino una baruffa giocosa. Soprattutto i resistenti italiani incontrano i partigiani russi Michele e Nicola (forse Pankov?) che indossano divise dell’Armata Rossa e mostrano nel loro volto e nei loro movimenti la maturità di chi ha fatto e sofferto la guerra. Il filmato immortala anche lo smontaggio di un fucile, nonché la lettura di gruppo di un giornale svizzero. […]
Redazione, Partigiani, il video ritrovato, Corriere della Sera. Brescia, 25 aprile 2018

Nel marzo 1944 a Genova si intensificarono gli arresti dei collaboratori di Kulczycki, ma egli continuò nella sua opera mettendo a punto il piano di sabotaggio della città e dei suoi impianti ferroviari, piano che doveva essere attuato dalle sue formazioni agli inizi di giugno. Nell’organizzazione si infiltrò una spia, un certo Secchi che, per soldi, fece arrestare dalle SS, a Genova, il 31 marzo, altri collaboratori vicini a Kulczycki. Caddero in mano tedesca, per loro imprudenza o per delazione, anche tutti i capi del V.A.I. milanese. Lo stesso tenente Gamba fu arrestato a Milano, il 17 aprile, da una squadra della polizia italiana alle dirette dipendenze delle SS. Messo nel raggio tedesco del carcere milanese, Gamba riuscì a fuggire, il 22 maggio 1944, riprendendo la propria attività informativa. Alcuni dei dipendenti di Gamba furono a loro volta arrestati, fra questi il sottocapo di Marina Antonio Di Pietro che, con il cugino Armando e l’altro sottufficiale di Marina, Renato Mancini, furono fucilati a Fossoli nel luglio del 1944. Kulczycki fu catturato a Genova, il 15 aprile 1944, e subito trasferito nel carcere di San Vittore a Milano, da dove riuscì ancora a continuare la sua opera di fervente patriota. Fu successivamente trasferito nel famigerato campo di concentramento di Fossoli, ove resistette a tutte le torture e fu fucilato il 14 luglio 1944. Fu decorato di Medaglia d’Oro al Valore Militare alla memoria [Ufficiale superiore di eccezionali virtù militari e morali, già distintosi in operazioni di guerra e pervaso da profondo amor patrio, faceva fronte, all’armistizio, ai nemici della Patria iniziando, senza indugio, l’organizzazione dei primi gruppi militari di resistenza nella regione veneta. Riconosciuto successivamente Capo di Stato Maggiore del Movimento dei volontari armati italiani, dava vita nelle regioni settentrionali a notevole attività militare e di sabotaggio contro l’oppressore e i suoi accoliti. Sottoposto a grossa taglia, indifferente ai rischi incombenti, svolgeva durante sette mesi opera fattiva di animatore e di capo. Attivamente ricercato, veniva arrestato solo in seguito a delazione. Superbo esempio ai presenti per serenità e grandezza d’animo di fronte al plotone d’esecuzione, donava alla Patria un’esistenza tutta dedicata alla sua grandezza ed al proprio dovere di soldato e di marinaio. Fossoli, luglio 1944]. Giuliano Manzari, Op. cit.

[42] Eugenio Sannia (1917-2007), originario di Chiavari; ufficiale d’Accademia in contatto con ambienti militari genovesi antifascisti e membro, dal novembre del 1943, dei Volontari armati italiani, fondati dal capitano di fregata Jerzy Sas Kulczycki (1905-1944, fucilato a Roma), organizzazione diretta a Genova dal tenente colonnello Efisio Simbula (n. 1892); ricercato, salì in montagna nel luglio del 1944 e fu poi nominato comandante della brigata Berto.
La Divisione Partigiana Coduri. Fonti per la Storia

[…] «Questa è la prima ricerca su Jerzy Sas Kulczycki, nome di battaglia “Colonnello Sassi” del V.A.I. Volontari Armati Italiani. Il 12 luglio 1944 a Cibeno furono trucidati 67 prigionieri come ritorsione per l’uccisione a Genova di soldati tedeschi. Una rappresaglia immotivata perché condotta lontanissima dal luogo degli attentati. A Fossoli, in quell’alba d’estate vennero uccisi il cinquantenne Giovanni Bertoni, truffatore e infiltrato giocoforza che nel carcere di San Vittore si era presentato a Indro Montanelli come generale Della Rovere, incaricato dal governo del Sud di Badoglio di allestire una rete cospirativa al Nord, e l’inviato del governo del Sud (vero), il capitano di fregata Jerzy Sas Kulczycki che non era mai sbarcato da un sottomarino, non era mai arrivato in treno e che non era mai morto sulle spiaggie di Genova. Bertoni è l’unico ucciso nel poligono di tiro di cui gli italiani si ricordino ancora, grazie a Montanelli e al film di Roberto Rossellini.
Come nella vicenda “Della Rovere-Bertoni”, la storia degli sbarchi dai sommergibili sulle coste del nord sembra essere stato il punto ispiratore delle vicende letterarie. Da un sommergibile era sbarcato nel gennaio 1944 anche Emanuele Strassera, agente dell’OSS, con il compito di coordinare la lotta partigiana. Strassera aveva il compito di consegnare un rapporto agli agenti alleati operanti in Svizzera. Contattò Francesco Moranino alias Gemisto e altri quattro partigiani, Campasso, Santucci, Francesconi, Scimone […]
Redazione, Capitano di Fregata Jerzy Kulczychy “Sass” alias Colonnello Sassi alias… Della Rovere?, lacorsainfinita

Questo giovane [Ernesto Celada] dall’aspetto tranquillo, sergente maggiore di cavalleria, dichiarò, al suo ingresso a San Vittore, di essere meccanico di professione.
Forse sperava, così, di allontanare i sospetti dalla sua vera attività: secondo Franco Fucci (Spie per la Libertà, Milano 1983, pp. 214, 220) egli apparteneva a una rete informativa alleata, il “Reseaux Rex”, costituita prevalentemente da ufficiali e militari. Era costituita da piccoli gruppi di 3-4 persone che non si conoscevano fra di loro, e raccoglievano informazioni soprattutto di tipo militare, sulla dislocazione dei reparti tedeschi e sui loro movimenti, sull’entità delle forze nazi-fasciste, sui lavori di fortificazione in corso, sulla produzione bellica delle industrie, sull’ubicazione dei depositi di esplosivo, ecc.
Tutte queste informazioni venivano poi raccolte e passate al capo della rete in persona, un giovane tenente bresciano di cavalleria, Aldo Gamba, che passava clandestinamente o sotto copertura in Svizzera – il suo stato di servizio conta ben 24 passaggi! – e le faceva giungere ai servizi inglesi, francesi, italiani e svizzeri.
La zona di operazioni della rete si estese alle province di Torino, Milano, Padova, Brescia, Verona, Mantova e Como, nel periodo tra il gennaio 1944 e l’aprile del 1945.
Non superò mai una ventina di membri attivi; ma non ebbe mai delatori al suo interno.
Ebbe invece alcuni caduti: tra i fucilati a Cibeno, oltre a Ernesto Celada, si ricordano Armando Di Pietro, Luigi Ferrighi e Antonio Mancini (v. rispettive note biografiche).
Di Ernesto Celada, però, non sono state rintracciate altre notizie.
Ernesto Celada, di anni 27, nato a Mantova, residente a Milano, coniugato.
Entrato a San Vittore il 22 aprile 1944, matricola 1966, fu inviato a Fossoli il 9 giugno, matricola 1653.
Il suo corpo, contrassegnato all’esumazione col numero 55, fu riconosciuto dalla matricola del Campo di concentramento.
È sepolto nel Cimitero Maggiore Musocco di Milano, Campo 64 detto “della Gloria”, lapide 199.
Anna Maria Ori, Carla Bianchi Iacono, Metella Montanari, Uomini nomi memoria. Fossoli 12 luglio 1944, Comune di Carpi (MO), Fondazione ex Campo Fossoli, Edizioni APM, 2004

Le formazioni autonome, chiamate anche monarchiche e azzurri, non facevano riferimento a nessun partito antifascista. Composte per lo più da reduci dei vari fronti, riconoscevano in Raffaele Cadorna il loro capo militare. Di esse fecero parte la Franchi di Edgardo Sogno, il I Gruppo Divisioni Alpine di Enrico Martini Mauri (che nel 1971 si unì a Sogno nei Comitati di Resistenza Democratica, motivo per cui i due furono successivamente indiziati di associazione a delinquere a scopi sovversivi), la Divisione Val Toce di Alfredo Di Dio ed Eugenio Cefis, che si unì alla Divisione Tito Speri delle Fiamme Verdi (comandate dal generale Luigi Masini Fiore, dando vita al Raggruppamento divisioni patriotti cisalpine. Diciamo qui che molti comandanti di formazioni autonome furono decorati con la Bronze star dell’esercito statunitense (l’onorificenza militare più alta attribuibile a cittadini stranieri), tra essi Cadorna e Sogno, ma anche lo stesso promotore delle formazioni autonome, il maggiore di artiglieria Mario Argenton, che dopo avere preso parte alla difesa di Roma contro i tedeschi combattendo agli ordini del colonnello Montezemolo, andò al Nord, dove entrò nel Comando generale del CVL come vice capo di Stato maggiore, rappresentando le formazioni autonome ed il Partito liberale e con la supervisione del Servizio I, cioè informativo. Fu arrestato e imprigionato dalla banda fascista Carità nell’autunno del ‘44 nel corso di una missione nel Veneto; riuscì ad evadere fortunosamente e riprese l’attività a Milano come capo di Stato maggiore del gen. Cadorna.
Claudia Cernigoi Op. cit.

Verso la metà di novembre [1943] , recatomi a Genova, presi contatto con Ten. Ferruccio (Avv. Renato Piccinino) che ebbe fiducia in me e mise a parte dell’esistenza del VAI. A Lui diedi tutte le informazioni che avevo raccolte e mi presi l’incarico della zona dell’entroterra di Chiavari. Verso la metà di febbraio [1944] presi contatto con un gruppo di ufficiali che, alle dipendenze del Ten. Zilli (Alberto Boyer) cospiravano nel campo militare. Per mezzo del Ten. Zilli conobbi pure Sergio (Dott. Giorgio Altaras Levi) del Partito d’Azione. Quando, nei primi di maggio lo Stato Maggiore del V.A.I. e quindi anche il Ten. Ferruccio furono arrestati, mi allontanai da Genova ritornando a Cento Croci con un incarico di Sergio: studiare la situazione della zona Aveto-Cento Croci col compito di agganciare formazioni partigiane e di costituirne. Misi così in condizione il partito d’azione di agganciare la banda Beretta (che prese il nome di Brigata e poi di Divisione Centocroci) poiché già nel marzo 1944 avevo preso contatto con i Fratelli Beretta e con Ricchetto [anche Richetto, Federico Salvestri]. Gostisa Dusan (Capitano Prati), documento da archivio non precisato, consultato da  Giuseppe Mac Fiorucci in preparazione del suo Gruppo Sbarchi Vallecrosia  < ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia – Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM), 2007 > 

Angelo Giuseppe Zancanaro (Arsiè, 22 maggio 1894 – Feltre, 19 giugno 1944) è stato un militare e partigiano italiano pluridecorato. Nato nella frazione di Incino di Arsiè fu capitano degli Arditi nella Prima guerra mondiale. Nel dopo guerra intraprese la carriera militare diventando tenente colonnello. Dopo l’8 settembre 1943, coordinò l’intera organizzazione militare delle forze partigiane della provincia di Belluno. Per queste motivazioni e per la sua tragica morte per mano fascista gli fu concessa nel 1976 la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria. […] L’armistizio dell’8 settembre 1943 lo vide da tenente colonnello al comando del Battaglione “Gemona” dell’8º Reggimento Alpini – Divisione Julia unità di Tricesimo che farà sciogliere senza che nessun alpino venisse preso prigioniero dai tedeschi. Come ricorda la medaglia d’oro al valor militare nella lotta di liberazione dopo essere rientrato a Feltre prese i contatti con le FADP (Le Forze Armate della Patria) organizzate dal ‘’Colonnello Sassi’’ (ovvero il capitano di vascello di origine polacca Jerzy Sas Kulczychy (1905-1944) e con il CLN Veneto. A questo scopo partecipò alla riunione dell7 ottobre 1943 che si svolse nella canonica di Bavaria di Nervesa della Battaglia. Il tessuto organizzativo su cui poteva contare Zancanaro era quello della Azione Cattolica, organizzata da don Giulio Gaio e dai parroci. Quest’ultimi costituirono subito un “Comitato cittadino clandestino feltrino” e si esposero per tutti i venti mesi della lotta di liberazione dal nazifascismo. Il Tenente colonnello Zancanaro, forte di questi legami e del prestigio personale di militare pluridecorato, dopo l’esaurimento dell’iniziativa del FADP fu nominato dal neo costituito CLN di Belluno responsabile militare dell’intera provincia. Nella sua zona costituì, assieme agli ufficiali Vida e Taricco e il ragionier Luigi Doriguzzi, un gruppo partigiano autonomo, la Brigata alpina “Feltre”. Erano circa 350 ex alpini della zona distribuiti nei vari paesi del Feltrino. Zancanaro e la sua organizzazione ebbe anche contatti radio col Maresciallo d’Italia Giovanni Messe, capo di stato maggiore del Comando Alleato, che aveva conosciuto durante la Prima guerra mondiale nel IX Reparto d’assalto degli arditi sul Monte Grappa. Inoltre divenne anche il referente delle forze anglo-americane in zona a cui indirizzare gli aviolanci con i rifornimenti e l’armamento. Durante l’inverno organizzò a scopo difensivo, secondo l’orientamento “attendista” del mondo cattolico-moderato, una “resistenza passiva” con la creazione di depositi di armi e l’allestimento dei due campi di lancio a Malga Erera (Val Canzoi) e sulle Vette Feltrine. Dal 7 marzo 1944 alla fine di aprile Zancanaro fu arrestato e incarcerato (carcere di baldenich) dai nazifascisti bellunesi con altri ufficiali di carriera. Il comando della “Brigata Feltre” fu assunto dal maggiore Francesco Vida con la collaborazione di Luigi Doriguzzi del CLN di Belluno (Luciano Granzotto Basso e l’ingegner Attilio Tissi). […] La notte tra il 18 e il 19 giugno 1944 a Feltre degli uomini in divisa tedesca, guidati da “quello sparuto gruppo di fascisti” fecero irruzione nella casa di Zancanaro, dove uccisero con una raffica di mitragliatrice lo stesso Zancanaro e il figlio Luciano di 19 anni. Nella stessa azione furono poi uccisi anche l’ingegner Pietro Vendramin (1891-1944), Oldino De Paoli (1907-1944), e un giovane veneziano, che si trovava casualmente in città, Gino Colonna-Romano (1920-1944), furono invece prelevati due sacerdoti: il Rettore del Seminario Candido Fent e Monsignor Giulio Gaio. Il 21 giugno, due giorni dopo la morte di Zancanaro, il CLN di Feltre decise che il reparto che era da lui comandato assumesse la denominazione di Battaglione “Zancanaro” e fosse fatto confluire nella Brigata Garibaldina Antonio Gramsci. Con l’afflusso degli uomini di Zancanaro la Brigata Garibaldina composta da un centinaio di uomini raggiunse in settembre 996 effettivi. Redazione, Angelo Giuseppe Zancanaro, www.owlapps.net Angelo Giuseppe Zancanaro (Arsiè, 22 maggio 1894 – Feltre, 19 giugno 1944) è stato un militare e partigiano italiano pluridecorato. Nato nella frazione di Incino di Arsiè fu capitano degli Arditi nella Prima guerra mondiale. Nel dopo guerra intraprese la carriera militare diventando tenente colonnello. Dopo l’8 settembre 1943, coordinò l’intera organizzazione militare delle forze partigiane della provincia di Belluno. Per queste motivazioni e per la sua tragica morte per mano fascista gli fu concessa nel 1976 la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria. […] L’armistizio dell’8 settembre 1943 lo vide da tenente colonnello al comando del Battaglione “Gemona” dell’8º Reggimento Alpini – Divisione Julia unità di Tricesimo che farà sciogliere senza che nessun alpino venisse preso prigioniero dai tedeschi. Come ricorda la medaglia d’oro al valor militare nella lotta di liberazione dopo essere rientrato a Feltre prese i contatti con le FADP (Le Forze Armate della Patria) organizzate dal ‘’Colonnello Sassi’’ (ovvero il capitano di vascello di origine polacca Jerzy Sas Kulczychy (1905-1944) e con il CLN Veneto. A questo scopo partecipò alla riunione dell7 ottobre 1943 che si svolse nella canonica di Bavaria di Nervesa della Battaglia. Il tessuto organizzativo su cui poteva contare Zancanaro era quello della Azione Cattolica, organizzata da don Giulio Gaio e dai parroci. Quest’ultimi costituirono subito un “Comitato cittadino clandestino feltrino” e si esposero per tutti i venti mesi della lotta di liberazione dal nazifascismo. Il Tenente colonnello Zancanaro, forte di questi legami e del prestigio personale di militare pluridecorato, dopo l’esaurimento dell’iniziativa del FADP fu nominato dal neo costituito CLN di Belluno responsabile militare dell’intera provincia. Nella sua zona costituì, assieme agli ufficiali Vida e Taricco e il ragionier Luigi Doriguzzi, un gruppo partigiano autonomo, la Brigata alpina “Feltre”. Erano circa 350 ex alpini della zona distribuiti nei vari paesi del Feltrino. Zancanaro e la sua organizzazione ebbe anche contatti radio col Maresciallo d’Italia Giovanni Messe, capo di stato maggiore del Comando Alleato, che aveva conosciuto durante la Prima guerra mondiale nel IX Reparto d’assalto degli arditi sul Monte Grappa. Inoltre divenne anche il referente delle forze anglo-americane in zona a cui indirizzare gli aviolanci con i rifornimenti e l’armamento. Durante l’inverno organizzò a scopo difensivo, secondo l’orientamento “attendista” del mondo cattolico-moderato, una “resistenza passiva” con la creazione di depositi di armi e l’allestimento dei due campi di lancio a Malga Erera (Val Canzoi) e sulle Vette Feltrine. Dal 7 marzo 1944 alla fine di aprile Zancanaro fu arrestato e incarcerato (carcere di baldenich) dai nazifascisti bellunesi con altri ufficiali di carriera. Il comando della “Brigata Feltre” fu assunto dal maggiore Francesco Vida con la collaborazione di Luigi Doriguzzi del CLN di Belluno (Luciano Granzotto Basso e l’ingegner Attilio Tissi). […] La notte tra il 18 e il 19 giugno 1944 a Feltre degli uomini in divisa tedesca, guidati da “quello sparuto gruppo di fascisti” fecero irruzione nella casa di Zancanaro, dove uccisero con una raffica di mitragliatrice lo stesso Zancanaro e il figlio Luciano di 19 anni. Nella stessa azione furono poi uccisi anche l’ingegner Pietro Vendramin (1891-1944), Oldino De Paoli (1907-1944), e un giovane veneziano, che si trovava casualmente in città, Gino Colonna-Romano (1920-1944), furono invece prelevati due sacerdoti: il Rettore del Seminario Candido Fent e Monsignor Giulio Gaio. Il 21 giugno, due giorni dopo la morte di Zancanaro, il CLN di Feltre decise che il reparto che era da lui comandato assumesse la denominazione di Battaglione “Zancanaro” e fosse fatto confluire nella Brigata Garibaldina Antonio Gramsci. Con l’afflusso degli uomini di Zancanaro la Brigata Garibaldina composta da un centinaio di uomini raggiunse in settembre 996 effettivi. Redazione, Angelo Giuseppe Zancanaro, www.owlapps.net

Altre reti furono sfruttate dagli Alleati, come il Reseau Rex, che operò fra la Liguria e la Lombardia, sfruttando, come fonte di informazioni a Genova, un capitano di corvetta della Marina repubblicana. La rete U-16 del maggiore degli alpini Antonio Usmiani, già internato in Svizzera, assieme ad altri 22 000 italiani, fu messa in piedi da Allen Welsh Dulles, Arturo o zio Arturo, rappresentante dell’O.S.S. in Svizzera. Usmiani rientrò in Italia nel gennaio del 1944 e la rete iniziò a funzionare dal mese successivo. Essa era suddivisa in cinque gruppi e aveva competenze e fonti informative in tutto il Nord Italia. Il 2° gruppo era diretto dal sottotenente di vascello Pietro Baragiola e aveva le sue fonti d’informazione a Milano, Venezia e Genova, e s’interessava, in particolare, della produzione bellica dell’Ansaldo e della Breda, delle costruzioni navali e delle nuove armi tedesche. Nell’ottobre 1944 Usmiani, tempestivamente avvertito, sfuggì alla cattura riparando in Svizzera. Rientrato clandestinamente in Italia, nel gennaio 1945, Usmiani arricchì la rete di altri quattro gruppi e riuscì a ottenere notizie anche sulla Venezia Giulia. Il 6° gruppo si interessò degli apprestamenti difensivi tedeschi nella Venezia Giulia, dell’efficienza delle navi militari in Adriatico, della consistenza della Flotta mercantile. Usmiani inoltrò in Svizzera sette dispacci, fra l’altro con notizie:
– sulla costruzione da parte dell’Ansaldo dei sommergibili tipo S.23;
– un rapporto sulla situazione dei Cantieri navali e delle Società di navigazione triestine;
– la costruzione in corso, a Milano, di uno scafo silurante con un siluro fissato fra due galleggianti, azionato da un motore di aereo, capace di raggiungere i 180 km/h.
Usmiani fu arrestato a Milano il 1° febbraio 1945; portato a San Vittore, ne uscì il 7 marzo, liberato assieme a Parri come prova di buona volontà nelle trattative che i tedeschi avevano intrapreso in Svizzera per la resa delle loro truppe in Italia. Ritornato in Svizzera, rientrò in Italia il 26 aprile, aggregandosi alla colonna dell’O.S.S. guidata dal capitano dell’Esercito US Daddario, di cui si parlerà successivamente.
Giuliano Manzari, Op. cit.

In questo sorgere della Resistenza, che era ancora di «bande» non coordinate e non organizzate (basta pensare che alla fine del 1943 i partigiani non raggiungevano il numero di quattromila in tutta Italia), si delineò subito una delle sue caratteristiche: la competizione, più che la collaborazione, tra i vari gruppi ideologici. Gradualmente divennero minoritarie le formazioni «autonome» che, appellandosi soltanto alla lotta contro tedeschi e fascisti, rifiutavano una etichetta di parte, e tendevano a ripetere nella guerriglia la disciplina e le gerarchie formali dell’Esercito. Divennero minoritarie perché prive di collegamenti con le strutture politiche clandestine che progressivamente si andavano consolidando nelle città, ma lo divennero anche perché quel tipo di mentalità non si adattava alle esigenze della guerriglia: e infine perché tra questi autonomi vi erano ufficiali di fede monarchica i quali non tardarono a rendersi conto che la lotta partigiana era antitedesca, antifascista, ma anche – e forse soprattutto – anti Regno del Sud. Si determinò così quello che è stato definito l’«attesismo» dei professionisti e degli specialisti: la convinzione cioè che non valesse la pena di sfidare il tedesco là dove era forte, ma che convenisse presidiare e fortificare «santuari» ben protetti.
«E – ha scritto Battaglia – l’ideologia dei gruppi conservatori trascinati loro malgrado nel fronte della lotta antifascista.» Non loro malgrado: anzi alcuni con grande slancio ed eroismo. Ma per gli ufficiali di carriera fu difficile, a un certo punto, stare fianco a fianco con chi identificava l’Esercito regolare con Badoglio, e Badoglio con il Re, e il Re con la rovina d’Italia.
All’attesismo furono contrari i gruppi politicizzati, ciascuno con le sue peculiarità, proprio perché in loro esisteva già, in embrione, una visuale di potere. E questo vale soprattutto per i comunisti, alcuni dei quali – e tra i più autorevoli – avevano conosciuto la lotta clandestina, le sue esigenze, e le sue crudeltà. Nei comunisti lo scopo militare della guerriglia – ossia il contributo alla sconfitta del tedesco -s’intrecciò indissolubilmente fin dall’inizio allo scopo politico. Quando Luigi Longo spiegò, in uno scritto apparso in novembre su La nostra lotta, il perché del rifiuto all’attesismo, scrisse: «Noi non possiamo e non dobbiamo attenderci passivamente la libertà dagli anglo-americani. Il popolo italiano potrà avere un suo governo, il governo al quale da tanto tempo aspira, un governo che faccia veramente i suoi interessi, un governo non legato alle cricche reazionarie, solo se avrà lottato per la conquista della indipendenza e della libertà». Dove si vede come gli anglo-americani – lì Longo identificava senza ombra di dubbio le «cricche» – siano considerati poco meno che nemici.
I partigiani di «Italia libera», emanazione di «Giustizia e Libertà», interpretazione partigiana dell’azionismo, furono «puri e duri», una élite umana erede di una élite culturale, come dicono i nomi dei loro «padri storici» (Piero Gobetti, i fratelli Rosselli) e come dicono i nomi dei loro leaders politici (Parri, Lussu, Valiani, Mila, Bauer, Garosci). Duccio Galimberti affermò in una lettera: «Siamo e in qualunque evenienza resteremo un piccolo gruppo di italiani che mettono al disopra di tutto la fede in una Italia libera e unita, e la fedeltà a quei princìpi che il popolo francese ci ha insegnato ad apprezzare con una rivoluzione che l’Italia ha ancora da fare e che troppi hanno dimenticato».
I cattolici, le «Fiamme verdi», forti soprattutto nel Bresciano e nell’Udinese, si diedero una «legge del patriota» che insisteva sui contenuti morali a sfondo religioso, più che su quelli politici. «Il patriota è leale, combatte non per una avventura… Il patriota è onesto… Il patriota è nobile d’animo… Il patriota è sereno, fiducioso nell’aiuto di Dio che non è mai assente a chi si sacrifica per la giustizia… Il patriota è integro, è nobile anche con il nemico vinto e abbattuto…» La ribellione fu dunque un mosaico di «bande» di diversa ispirazione. Le divisioni non vennero mai veramente sanate. Qualche volta sfociarono in scontri, non mancarono delazioni – od omissioni di soccorso d’una «banda» a danno di un’altra – in nome della ragione di partito. Nel territorio giuliano non bastò più neppure il mastice ideologico: la frattura nazionale ed etnica, e gli appetiti di conquista di Tito, fecero sì che vi fosse ostilità tra partigiani comunisti italiani e partigiani comunisti iugoslavi. Un comunista, Luigi Frausin, che già il 9 settembre si mosse da Muggia con una quarantina di operai del cantiere San Rocco per combattere la sua guerriglia, seppe presto in quale trappola si fosse cacciato: da una parte c’erano i tedeschi, ma dall’altra c’erano gli sloveni, non meno spietati. E analoga sorte toccò alle formazioni friulane.
L’avvio della Resistenza fu ricco di episodi umanamente toccanti, ma povero di risultati. In questo periodo i tedeschi si preoccuparono molto poco delle «bande» anche se, quando esse si manifestavano, reagivano con prontezza a volte feroce. Il fenomeno partigiano era considerato uno strascico minore e non allarmante dell’8 settembre. In effetti le poche migliaia di «ribelli» non costituivano una forza militare, privi com’erano di un comando unificato, di direttive, di una strategia. I primi a dare un assetto organico alle loro formazioni furono, ed era logico, i comunisti, che già ai primi di novembre istituirono a Milano un Comando generale delle formazioni Garibaldi, con Longo, il veterano delle brigate internazionali in Spagna, comandante militare, e Pietro Secchia – un intrattabile fanatico – commissario politico. I comunisti disposero che tutte le loro organizzazioni cittadine mandassero in montagna a combattere il 10 per cento dei quadri e il 15 per cento degli iscritti. Che siano stati obbediti, è dubbio: ma che abbiano potuto fornire un numero di partigiani superiore a quello di ogni altro schieramento ideologico, è certo.
Indro MontanelliMario Cervi, Storia d’Italia. L’Italia della guerra civile. Dall’8 settembre 1943 al 9 maggio 1946, Rizzoli, 1983