L’unica fonte attendibile di informazione nella Grande guerra furono i giornali americani, ma solo fino a quando, nel 1917, gli Stati Uniti non entrarono nel conflitto

Ma è solo nel corso del XX secolo che si delineano le caratteristiche del moderno rapporto tra i mass media e le guerre <17. Con la sempre crescente alfabetizzazione delle masse e grazie alla diffusione del telefono e del telegrafo, e a partire dagli anni ‘20 con la diffusione della radio, i mezzi di comunicazione assumono un ruolo sempre più rilevante in un’epoca in cui la guerra diventa un fenomeno sociale, non riguardando più soltanto i combattenti, ma anche le popolazioni civili, chiamate a partecipare in misura sempre maggiore allo sforzo bellico della nazione.
Il grande spartiacque del nostro tempo nel rapporto tra guerra e mass media, specialmente per quanto attiene alla trasformazione delle strutture mentali delle persone, alle forme della percezione degli eventi in corso e della comunicazione di massa, è costituito dalla prima guerra mondiale. Anche nelle drammatiche vicende della prima guerra del Golfo “la memoria è andata a quella prima, gigantesca e stupefacente esplosione della modernità, a quella prima, terrificante affermazione del binomio tecnologia-produzione di morte. Essendo stata la prima è anche quella che ha lasciato l’impronta più profonda” <18. Durante questo conflitto la rivoluzione delle comunicazioni avviatasi a cavallo tra l’800 e il ‘900 giunge a compimento: la guerra estende infatti a milioni di persone un nuovo modo di vedere, di sentire e di comunicare.
Non è la guerra ad inventare il cinema, nato circa vent’anni prima, ma durante la guerra, nei paesi coinvolti nel conflitto, il numero di spettatori nei cinema aumenta notevolmente, dimostrando l’esistenza di un nesso molto forte tra gli avvenimenti dei campi di battaglia e il nuovo modo di comunicare che si sta affermando grazie alle nuove tecnologie di riproduzione e comunicazione. Anche se la stampa rimane – e rimarrà ancora per decenni – il principale mezzo di comunicazione di massa, l’uso del cinematografo “è probabilmente la più grande innovazione della prima guerra mondiale nel campo della propaganda” <19.
Fondamentali nel raggiungere le masse di analfabeti, che costituivano la maggioranza della popolazione, le immagini contenute nei cinegiornali e nei film di guerra rappresentarono uno strumento decisivo per aumentare il consenso dei cittadini sulle scelte dei governi. E’ proprio in questo periodo, del resto, che si comprende come la mobilitazione della pubblica opinione sia ormai indispensabile nella gestione di una guerra.
Gli storici delle comunicazioni di massa ritengono che le origini della propaganda moderna risalgano alla Rivoluzione francese, ma è con la Grande guerra che questo strumento così importante comincia a giocare un ruolo decisivo per puntare alla vittoria <20. Tutti i paesi coinvolti nel conflitto si dotano perciò di un apparato governativo di propaganda, qualcosa di simile a un ministero delle informazioni. Si comincia a capire che, per affrontare il nuovo tipo di guerra totale, i contendenti devono considerare tre fattori fino a quel momento sottovalutati: il morale delle truppe nemiche, il coinvolgimento dell’opinione pubblica interna e la determinazione di quella dei paesi nemici <21.
Come hanno osservato gli storici del settore, infatti, la grande novità di questo periodo fu la manipolazione delle notizie, realizzata spesso direttamente dai vertici militari e politici, in quanto si era compreso che riuscire a far circolare informazioni false ma credibili era fondamentale sia per lo svolgimento e la realizzazione delle strategie militari sia per ottenere il decisivo favore dell’opinione pubblica <22.
La guerra globale apre agli occhi della gente comune nuovi scenari, fornendo una grande quantità di immagini e di notizie. Nel 1914, oltre al cinema, esistono già, grazie all’elettricità, il grammofono, l’altoparlante elettrico, il telefono e altri strumenti tecnologici (come ad esempio i riflettori). Anche il telegrafo registra un’evoluzione: dal telegrafo senza fili che utilizzava l’alfabeto Morse si passò infatti ad un apparecchio in grado di trasmettere la voce umana, con vere e proprie trasmissioni radio.
Per rispondere alle nuove esigenze militari si fa inoltre ricorso ad un gran numero di fotografi, inviati al seguito delle truppe con attrezzature tecnologiche avanzate <23. Rispetto alle guerre precedenti, le innovazioni tecnologiche hanno reso possibile la ripresa di azioni in movimento, ma quasi mai si riprendono i combattimenti: si fotografa sempre il prima o il dopo, non il corso degli eventi. Per mostrare gli scontri e i morti si ricorre in prevalenza ancora al disegno, come avveniva nell’800, in quanto l’immagine ricostruita dal disegnatore “attutisce la crudezza della realtà, conferendole nobiltà e gloria” <24.
Un secolo fa, all’inizio della guerra, molti giornalisti avevano già sviluppato una piena coscienza del proprio ruolo nei confronti della pubblica opinione. Ma, nonostante questo, la copertura giornalistica del primo conflitto mondiale costituisce una pagina nera nella storia del giornalismo di guerra, perché fece perdere a gran parte dell’opinione pubblica dell’epoca la fiducia nel sistema dell’informazione. I corrispondenti dai teatri di guerra, infatti, spesso facevano prevalere i sentimenti patriottici sull’oggettiva realtà dei fatti oppure erano sottomessi ai comandi militari e quindi non riportavano le reali condizioni di vita dei soldati nelle trincee, le migliaia di morti inutili e le diserzioni, evitando quasi sempre di rivolgere critiche agli stati maggiori: si può affermare che, purtroppo, nel 1914-1918 la stampa, con poche eccezioni, era di fatto subordinata al potere politico. I giornalisti che tentavano di rappresentare la realtà dei fatti in maniera indipendente rischiavano l’arresto per spionaggio. <25
La censura governativa, come si è visto, aveva due scopi: da un lato, controllare le informazioni diplomatiche e militari, bloccando le notizie potenzialmente utili per il nemico; dall’altro orientare l’opinione pubblica a proprio vantaggio. I giornali furono di fatto arruolati con l’ordine dei governi di “aderire alla causa nazionale” <26. In Germania, addirittura, nessun corrispondente indipendente ebbe il permesso di raggiungere il fronte e le uniche notizie ammesse furono quelle ufficiali, pilotate e fornite dal comando tedesco in apposite conferenze stampa. La Gran Bretagna non fu da meno, tanto è vero che il ministro della guerra, lord Kitchener, vietò l’accesso dei fotografi al fronte. In questo paese e in Francia, e poi anche in Italia, con quello che oggi definiremmo news management, fu costruita ad arte l’immagine del ‘tedesco cattivo’: per rafforzare l’appoggio dell’opinione pubblica in favore della guerra, i giornali venivano inondati di notizie riguardanti le efferatezze compiute dall’esercito tedesco, i cui soldati erano rappresentati come dei mostri che saccheggiavano, violentavano e compivano ogni genere di nefandezze, perfino sui bambini <27.
Già nel 1915 cominciarono a uscire i primi film commissionati dal governo britannico per favorire l’identificazione della popolazione con le truppe combattenti. Il cinema ebbe un ruolo ancora più importante negli Stati Uniti, dove all’epoca una media di 80 milioni di persone a settimana frequentavano le sale. Stelle del cinema come Charlie Chaplin e Douglas Fairbanks interpretarono ruoli mirati a creare un nuovo immaginario collettivo volto a facilitare l’identificazione dei cittadini con i soldati che combattevano in Europa. E’ quindi durante il primo conflitto mondiale che “l’industria del cinema si ridefinisce come un’istituzione patriottica, assumendo per la prima volta un ruolo che verrà consolidato durante la seconda guerra mondiale e successivamente” <28.
Tornando alla carta stampata, dal 1915 al 1918, in Italia, la tiratura dei giornali aumentò di sei volte, e i più venduti furono i periodici illustrati, che davano sempre più spazio alle immagini di guerra, considerate il mezzo migliore per rappresentare un’informazione oggettiva <29. Il Corriere della Sera e La Stampa, per citare soltanto i due quotidiani più importanti, si erano attrezzati con un apparato “che aveva poco da invidiare a quello di un quartier generale delle operazioni” <30. Ma in Italia, come in tutti i paesi coinvolti nel conflitto, la stampa, lo si è già ricordato, non fu mai obiettiva. Per esempio, la sconfitta di Caporetto fu rappresentata in maniera assai carente e senza dire quasi nulla sulle reali perdite che l’esercito italiano aveva subito. L’unica fonte attendibile di informazione nella Grande guerra furono i giornali americani, ma solo fino a quando, nel 1917, gli Stati Uniti non entrarono nel conflitto ed allora anche in America il patriottismo e l’inquadramento ebbero la meglio sull’imparzialità.
[NOTE]
17 Enrico De Angelis, Guerra e mass media, Carocci, Roma, 2007, pagina 11.
18 P. Ortoleva e C. Ottaviano, (a cura di), Guerra e mass media. Strumenti e modi della comunicazione in contesto bellico, Liguori, Milano 1994, pag. 50.
19 E. De Angelis, op. cit., pagina 21.
20 ibidem, pag. 14.
21 Claudio Fracassi, Bugie di guerra. L’informazione come arma strategica, Mursia, Milano 2003, p. 66.
22 vedi la voce ‘Manipolazione’ di Guido Gili in Dizionario della comunicazione, Carocci, Roma 2009, p. 1201.
23 Inquadrati nella Sezione cine fotografica del Comando supremo dell’esercito italiano.
24 Cicognetti- Servetti-Sorlin, op. cit. La guerra in televisione. I conflitti moderni tra cronaca e storia, Marsilio, Venezia 2003, pag 89.
25 È quello che accadde a Luigi Barzini, uno dei più grandi corrispondenti di guerra italiani, divenuto famoso durante la guerra russo-giapponese del 1904, che fu arrestato sul fronte francese.
26 Mimmo Candito, op. cit., p. 305.
27 Vincenzo Damiani, Professione reporter di guerra. Da Russell ad Al Jazeera: storie, analisi ed evoluzione di un mestiere difficile, Prospettiva, Roma 2007, p. 23.
28 Enrico De Angelis, op. cit., pag. 23
29 Cicognetti-Servetti-Sorlin, La guerra in televisione, i conflitti moderni tra cronaca e storia, Marsilio, Venezia 2003
30 Mimmo Candito, op. cit., p. 298.
Davide Campennì, Guerra e mass media. L’uso dei mezzi di comunicazione di massa durante gli eventi bellici, Tesi di laurea, Università LUISS “Guido Carli”, Anno accademico 2014-2015

Una nuova rivoluzione sul fronte dell’informazione, che comportò un radicale cambiamento nel modo di comunicare e trasmettere le notizie, si ebbe poi con lo sviluppo e l’impiego delle nuove tecnologie di comunicazione, in particolare durante la Prima Guerra Mondiale. L’uso del telefono permise di abbattere definitivamente i confini spaziali e temporali, rendendo la comunicazione più semplice, diretta e veloce.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale era quindi ormai chiaro che le tecniche del giornalismo stavano cambiando. Così come mutarono le battaglie e il modo di combattere, vide una profonda trasformazione anche il lavoro dell’inviato di guerra, il quale fu costretto a sottomettersi agli ordini dei comandanti e del governo, portando così ad un inevitabile sviluppo della censura.
I giornali e i giornalisti iniziavano quindi ad essere una pedina di gioco nelle mani dei potenti, e l’inviato del passato, libero di agire, di domandare e di scrivere iniziò progressivamente a sparire, per lasciare posto a uomini manovrati e controllati dagli “eserciti” al fine di orientare l’opinione pubblica e impedire la diffusione di notizie che potessero tornare utili alla strategia del nemico.
Fu proprio in questo periodo che gli Stati Uniti crearono la “Committee on Public Information”, un’agenzia indipendente composta dal Presidente, dai Ministri della guerra, dalla Marina, da pubblicisti e giornalisti, tra i quali figurava l’ideatore del progetto George Creel. La “Creel Commeetee” aveva il compito di influenzare l’opinione pubblica con ogni mezzo a sua disposizione; tra questi rivestirono particolare importanza la fotografia e il cinema, che attraverso i cinegiornali divenne presto un potente mezzo di comunicazione e propaganda.
I cinegiornali erano cortometraggi di attualità ed informazione generalmente a taglio documentaristico o di reportage, che avevano la funzione di intrattenere gli spettatori presenti al cinema in attesa della proiezione del film, tramite la trasmissione di video notizie ad alto potere persuasivo. Il vantaggio che l’uso delle video-immagini comportava era una sensazione di maggiore veridicità della notizia, data dal fatto che, a differenza della carta stampata, le immagini più difficilmente potevano mentire.
Eleonora Rizzardini, Reportage di guerra: l’evoluzione mediatica, Tesi di Laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano, Anno Accademico 2015-2016