Milano, 8 settembre 1943: ho trovato l’invasor…

Fonte: ANPI Barona Milano cit. infra
Fonte: ANPI Barona Milano cit. infra
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Erano le 18:42 dell’8 settembre 1943 quando dalla radio si sentì il proclama del maresciallo Badoglio:
“Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse, però, reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.
Poche parole che lasciarono gli italiani, civili e soldati, allo sbando sotto il pericolo nazista e ovunque si cercò di riorganizzarsi per difendersi, in Italia come sui fronti di guerra in cui si trovava il nostro esercito.
A Milano, la notizia colse di sorpresa, ma già da tempo le forze antifasciste si preparavano. Già ai primi di agosto, infatti, si reclamava un armistizio, facendo presente che le masse lavoratrici erano in agitazione perché, dopo il 25 luglio e la caduta del fascismo, non avevano migliorato le loro condizioni lavorative, non avevano ottenuto maggiori diritti e ancora facevano la fame sempre in nome dei sacrifici imposti dalla guerra. Il 20 agosto organizzarono anche uno sciopero in cui a gran voce chiedevano la pace e che venissero espulsi dalle fabbriche gli ex fascisti e la ricostituzione delle commissioni interne di fabbrica.
Per questo a Milano non si indugiò nemmeno un secondo e si cercò di contattare immediatamente il generale Ruggero, che comandava la piazza di Milano, per avere aiuti sostanziali, armi, equipaggiamento, per poter fronteggiare i tedeschi invasori. Subito si aprirono le iscrizioni per la Guardia Nazionale.
Proprio la mattina dell’8 settembre giunsero a Milano due figure che saranno fondamentali per la lotta partigiana: Francesco Scotti ed Egisto Rubini con il compito di organizzare la lotta armata contro i tedeschi e i fascisti.
Le poche armi che si ottennero furono dei fucili ’91, portati per lo più da soldati che scappavano dalle caserme.
Subito il 9 settembre si organizzò un Comitato di difesa che decise di creare una Guardia Nazionale: venne lanciato un appello a tutti i cittadini milanesi, operai, soldati sbandati, impiegati, studenti. E la cittadinanza milanese non si fece attendere specie gli operai che affluirono numerosi sui camion delle fabbriche alla sede del Comando della Guardia Nazionale in via Manzoni 43, nello studio dell’avvocato Verrati, prima, in via del Lauro, nello studio dell’avvocato Della Giusta, poi.
Fermare i nazisti che erano già in Milano sarebbe stata una cosa possibile considerando che in quel momento c’erano poche truppe che, facilmente, avrebbero potuto essere disarmate. Alla Stazione Centrale, per esempio, avvennero subito degli scontri contro gli uomini della Wermacht addetti al Comando Tappa della stazione; in zona Porta Venezia, in via Lazzaretto si sparava; nei paraggi della piscina Cozzi due ufficiali di Marina alla testa di una piccola squadra di soldati già in abiti civili si scontrarono contro un drappello di tedeschi. Erano i primi segnali di quella che diventerà la guerriglia partigiana dei GAP (gruppi di azione patriottica) in città.
All’interno della Guardia Nazionale esistevano due correnti: una che prospettava la difesa armata della città delle cinque giornate e l’altra che spingeva per ripiegare verso il comasco e le montagne. Ad insistere per la difesa della città furono Francesco Scotti, Giuseppe Dozza, Maffei e l’onorevole Gasparotto (che perderà il figlio nella lotta di liberazione, massacrato nel campo di Fossoli). Ma prestò circolò la voce che il Comitato di difesa aveva deciso per la ritirata verso Como e, lentamente ma inesorabilmente, si iniziò il viaggio verso questa destinazione abbandonando la città. Non tutti, ovviamente, ma fu questo uno dei motivi per cui prima della metà di ottobre fu difficile trovare uomini per la lotta armata in città.
Nel frattempo il generale Ruggero, totalmente sordo alle richieste del Comitato di difesa, il 10 settembre, con un comunicato alla radio, rese noto che stava trattando con i tedeschi per stipulare un accordo che prevedeva:
1) il comando germanico rinunciava al disarmo delle truppe italiane;
2) il generale Ruggero avrebbe continuato ad occupare Milano con le sue truppe e ad assicurare l’ordine in città;
3)la collaborazione tra truppe tedesche e italiane per la difesa e il funzionamento dei servizi e delle ferrovie;
4)le truppe tedesche non sarebbero entrate in città a meno di dover intervenire in caso di disordini.
Ruggero dichiarò: “Ho accettato questo accordo con l’animo straziato e sapendo di assumermi una gravissima responsabilità. Ma, mentre non potevo ammettere il disonore di lasciar disarmare le mie truppe, non potevo a cuor leggero esporre queste a delle perdite sanguinose che non avrebbero approdato ad alcuna proficua conseguenza […] Ora, avendo assunto l’impegno di mantenere il comando della città e l’ordine in essa, sono fermamente deciso a tenere l’ordine ad ogni costo, tanto più che il comando germanico ha dichiarato nettamente che occuperà direttamente la città e disarmerà con la forza le nostre truppe se io non sarò in grado di mantenere l’ordine”.
Il pomeriggio dell’11 settembre, entrando da Rogoredo e dilagando verso Porta Romana, i tedeschi invasero la città, ma trovarono subito la testimonianza dello spirito resistenziale della città: i muri dei palazzi erano tappezzati di manifesti che incitavano alla lotta , firmati dai partiti antifascisti che entravano in clandestinità.
Il 12 settembre il comando nazista, con il colonnello Rauss e il capitano Saevecke, prendeva possesso dell’Hotel Regina, via Silvio Pellico angolo Regina Margherita, e prendeva pieni poteri sulla città, sulla vita e la morte di tutti i suoi abitanti, iniziando immediatamente la caccia agli ebrei e agli antifascisti.
Magda Ceccarelli De Grada, moglie di Raffaellino De Grada e di Ernesto che dovette fuggire per non finire nelle mani dei nazisti, scrisse, il 14 settembre: “La città è piena di carri armati e di cannoni. Le orribili SS vi giganteggiano sopra e ci guardano sprezzantemente sfidandoci. Atmosfera di incubo. […] MI ha detto il dottor Kalk di aver visto il cadavere di un uomo presso la posta, ucciso perché aveva sputato al loro passaggio”.
Fonti:
Luigi Meda, “Milano e la Lombardia nella crisi del 1943 sino all’8 settembre” in “La Resistenza in Lombardia”.
Francesco Scotti, “La nascita delle formazioni” in “La Resistenza in Lombardia”
Italo Busetto, “Brigate Garibaldi baciate dalla gloria le prime nella lotta le prime alla vittoria”
Camilla Cederna, Marilea Somarè, Martina Vergani, “Milano in guerra”
Magda Ceccarelli De Grada, “Giornale del tempo di guerra”
Redazione, La Storia siamo Noi, Periodico della Sezione ANPI Barona Milano, a cura di Stefania Cappelletti, Speciale 8 settembre, ripubblicato in ANPI Barona Milano, 8 settembre 2021

Fonte: ANPI Barona Milano cit.
Fonte: ANPI Barona Milano cit.
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Le richieste avanzate alle autorità militari di armare e inquadrare al comando di ufficiali alcune migliaia di operai e il tentativo di costituire una Guardia nazionale si arenarono per lo squagliamento dell’esercito e la fellonia del generale Ruggero, comandante il presidio di Milano, mentre il concentramento nel Comasco di alcune centinaia di operai sestesi in armi venne sciolto dai carabinieri. Tra il pomeriggio del 10 e il 12.9.1943 Milano venne occupata da reparti della divisione Waffen SS – Leibstandarte A. Hitler che per giorni si abbandonarono a violenze e saccheggi indiscriminati. I primi caduti furono un operaio della Pirelli, colpito il 10.9.1943 dalle parti della Stazione Centrale in uno dei rarissimi tentativi di opposizione armata e tre civili, più un quarto fucilato, uccisi per avere preso parte all’assalto di un magazzino militare abbandonato nella zona di piazzale Corvetto. I rapporti del comando divisionale germanico, nel segnalare manifestazioni di ostilità della popolazione e il ferimento di un ufficiale delle SS, comunicavano inoltre la fucilazione di 13 comunisti rei di aver recuperato materiale della contraerea italiana nell’area di Milano.
Il 13.9.1943, con l’insediamento all’hotel Regina del comando della Sicherheitspolizei-Sicherheitsdienst – da cui dipendeva la Gestapo – iniziò la caccia ad ebrei e antifascisti già schedati, e negli stessi giorni Aldo Resega ricostituì il partito fascista divenendone segretario federale e Franco Colombo, un ex sergente della Milizia, diede vita alla squadra d’azione Ettore Muti (200 uomini circa al dicembre 1943) poi battaglione e infine, dal 16.3.1944, legione autonoma mobile, con oltre 3000 militi alla fine del 1944 inquadrati in 21 compagnie e squadre operative impiegate in una feroce repressione antipartigiana nel Milanese e in Piemonte.
Il panorama resistenziale milanese, e in particolare l’avvio, lo sviluppo e la conduzione della lotta armata e delle lotte operaie, furono dominati per tutta la lunga fase iniziale quasi esclusivamente dall’organizzazione comunista e dalle brigate Garibaldi ai quali, solo in un secondo tempo e sempre in una posizione minoritaria per forza numerica e per volume dell’attività svolta, si affiancarono socialisti, giellisti e repubblicani. I democristiani, delle cui formazioni i bollettini del comando piazza del periodo agosto 1944 – aprile 1945 riportano solo sporadiche azioni, si impegnarono fondamentalmente nel fiancheggiamento della lotta e nel soccorso ad ex prigionieri di guerra, ebrei, ricercati e arrestati servendosi della rete assistenziale e di organizzazioni clandestine dello scoutismo cattolico, la più attiva delle quali fu l’Organizzazione Soccorso Cattolico agli Antifascisti Ricercati (Oscar) che, guidata da don Aurelio Giussani e don Andrea Ghetti, ebbe i propri centri più attivi nelle sedi milanese e varesina del Collegio San Carlo.
I primi tentativi di dare vita a una opposizione armata furono diretti dall’avvocato Galileo Vercesi (fucilato a Fossoli il 16.7.1944) ma solo negli ultimi mesi sorsero nel legnanese e nel gallaratese alcuni gruppi di orientamento democristiano i quali, poi inquadrati nel raggruppamento brigate Fratelli Di Dio, non risulta tuttavia abbiano svolto una attività armata preinsurrezionale e pertanto le rimanenti brigate del popolo sono da considerarsi, almeno operativamente, insurrezionali. I liberali, contrari del resto ad una impostazione di massa della lotta, lavorarono invece con nuclei ristretti – il più noto ed attivo dei quali fu l’organizzazione Franchi facente capo ad Edgardo Sogno – legati ai servizi alleati ai quali trasmettevano informazioni di carattere economico e militare, fungendo anche da raccordo con alcune formazioni autonome operanti però fuori dal Milanese. Immediatamente dopo l’occupazione nazista, interrottisi i naturali collegamenti con numerose fabbriche a causa dei massicci licenziamenti attuati dal padronato nelle incertezze della nuova congiuntura produttiva, il Pci, costituito il comando generale delle brigate Garibaldi il 20.9.1943 in un appartamento delle case popolari di via Lulli 30, mobilitò le proprie esigue forze nell’immediata attivazione dei Gruppi di Azione Patriottica (Gap).
Superate, dopo un intenso lavoro di chiarificazione, remore di carattere morale, ideologico e personale, a un primo nucleo tratto dalle maggiori fabbriche di Sesto San Giovanni (inizialmente 17° distaccamento), seguirono i distaccamenti Gramsci (Sesto San Giovanni e Niguarda), 5 Giornate (Porta Romana e Porta Vittoria), Matteotti (Porta Ticinese) e Rosselli (zona Farini – Affori), con una forza di 40-50 volontari i quali, insieme alle prime bande sui monti del Lecchese e del Comasco, formarono la 3ª brigata Garibaldi Lombardia. Diretta dal comitato militare del Pci, composto da Vittorio Bardini, Cesare Roda e Egisto Rubini e con la supervisione politico-militare di Francesco Scotti e l’assistenza tecnica di Ilio Barontini, tutti ex garibaldini di Spagna poi attivi nei Francs tireurs partisans della Francia meridionale, la brigata compì tra l’ottobre 1943 e il gennaio 1944 56 azioni di cui 33 in città infliggendo al nemico sensibili perdite. Tra le azioni più eclatanti: la distruzione del deposito di benzina dell’aeroporto di Taliedo (2.10.1943), la collocazione di una bomba nell’ufficio informazioni tedesco della Stazione Centrale (7.11.1943), l’eliminazione in pieno giorno del federale fascista Aldo Resega (18.12.1943), l’attentato al questore di Milano Camillo Santamaria Nicolini (3.2.1944) e l’attacco alla casa del fascio di Sesto San Giovanni (10.2.1944).
Luigi Borgomaneri, La Resistenza a Milano dalla voce “Milano” del Dizionario della Resistenza, Einaudi Torino, 2001, articolo pubblicato in ANPI Comitato Provinciale di Milano

La “Muti” aveva camerate e magazzini anche nei corridoi dell’Arena, sotto le gradinate.
Il 19 dicembre 1943, per rappresaglia all’uccisione del commissario federale Aldo Resega, prelevati dal carcere di piazza Filangieri, furono fucilati in quello stadio otto detenuti accusati di “scarso rendimento in azienda bellica”, di “false qualifiche” o di “detenzione di armi”. Per l’esecuzione fu scelto lo spalto a destra della porta del locale che fungeva da carcere. Il plotone d’esecuzione era composto da militi delle squadre d’azione “Muti” e “Trieste” (un’altra fonte, come citiamo nel capitolo terzo, parla di un plotone misto del 3° Bersaglieri della G.N.R.). I condannati furono invitati a sistemarsi su sedie, ma rifiutarono e vollero morire in piedi, senza le bende agli occhi. Alle loro spalle erano già pronte le casse da morto. Alcune ore dopo la fucilazione giunse Pavolini con un altro ufficiale e intavolò una discussione perché non l’avevano aspettato. Nel silenzio si sentì un rantolo: uno dei fucilati non era ancora morto. Il segretario del P.F.R. si arrabbiò perché il medico non aveva constatato la morte di tutti, si avvicinò ai corpi, estrasse la pistola dalla fondina e sparò. Il moribondo era l’ultimo a destra, quasi vicino alla ringhiera.
Ricciotti Lazzero, Le Brigate Nere, Rizzoli, 1983

L’O.S.C.A.R. (acronimo di Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati), fu un’organizzazione dedita all’espatrio in Svizzera di ex prigionieri, dissidenti e ebrei creata in Italia dopo l’8 settembre 1943 dalle Aquile Randagie, il più famoso movimento scout clandestino nato e vissuto durante il ventennio. Poco dopo la sua creazione, per proteggere ulteriormente l’identità degli appartenenti la parola Scout (o Scoutistica secondo alcuni) fu sostituita con Soccorso.
Subito dopo l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati viene chiesto ad alcune Aquile Randagie di intraprendere l’organizzazione dell’espatrio in Svizzera di alcuni ex prigionieri. Se all’inizio sembrava un’operazione “una tantum” ci si accorse poco dopo che la fuga dall’Italia era un fenomeno di grande portata, visto che comprendeva ex prigionieri di guerra, ebrei e dissidenti; si ebbe quindi la necessità di creare un’organizzazione “ad hoc”, l’Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati, abbreviata, più per segretezza che per comodità, in O.S.C.A.R. Il termine Scout fu presto corretto in “Soccorsi” per prudenza, in quanto la parola “Scout” era troppo compromettente. L’organizzazione fu creata da alcuni preti, tra i quali Andrea Ghetti delle Aquile Randagie, e fu approvata in segreto dall’arcivescovo Schuster. Tale Opera ricevette molti aiuti: la collaborazione del clero, in particolare tra le provincie di Milano e Varese, di simpatizzanti nelle polizie fasciste e tedesche. Il numero complessivo di persone che furono parte attiva nell’organizzazione è tutt’oggi sconosciuto, sicuramente superava le 40 unità.
Le attività svolte dall’O.S.C.A.R. sono basate tutte sulla segretezza e comprendono all’inizio la produzione di documenti falsi utili per la fuga, quindi veniva la necessità di trovare rifugio sicuro per i fuggiaschi, infine le operazioni di espatrio vere e proprie. Attraverso le aquile randagie, in venti mesi, vengono aiutati 850 prigionieri di guerra, 100 ricercati politici, 500 tra renitenti ed ebrei, 200 ricercati vengono sottratti all’arresto e messi in luoghi sicuri. L’opera in generale dell’O.S.C.A.R. può essere riassunta nei seguenti numeri:
2.166 espatri clandestini (tra i quali anche quello di Indro Montanelli, detenuto a San Vittore per attività partigiane e poi liberato segretamente)
3.000 documenti falsi
L’attività di O.S.C.A.R., collegata a quella dei giornali “Il Ribelle” e la “Carità dell’Arcivescovo”, fanno sì che il regime fascista e le SS, si impegnino in una caccia all’uomo, con arresti, deportazioni e fucilazioni. In seguito a queste fu eliminata la redazione del Ribelle. Rolando Petrini, Franco Rovida e Teresio Olivelli furono deportati con Carlo Bianchi e nessuno di loro tornò dai campi di concentramento.
Redazione, La Resistenza a Milano, CSA Baraonda

Lo scoutismo clandestino delle “Aquile Randagie” di Milano e di Monza è sicuramente una delle pagine più ammirevoli della Resistenza nel Nord Italia, in particolare proveniente da quel mondo cattolico così presente nella grande metropoli e nei suoi dintorni. Una delle leggi fascistissime infatti aveva decretato lo scioglimento del movimento Scout, le cui finalità educative erano peraltro in competizione con quelle dei giovani Balilla, ma anche incompatibili con quel progetto formativo. Alcuni giovani però si sottrassero a quell’obbligo di dissoluzione, e nella clandestinità iniziarono una incessante opera di resistenza passiva senz’armi, proseguendo nelle consuete attività dello scoutismo come i campi estivi, e creando dopo l’armistizio quella struttura segreta denominata OSCAR, la cui attività fu quella di riuscire a far espatriare le tante persone perseguitate dal regime, come gli ebrei, i renitenti alla leva, i ricercati politici. OSCAR nella sua incessante azione riuscì a salvare migliaia di uomini e di donne, e financo i persecutori di ieri, come certi esponenti delle SS, che, al termine del conflitto furono aiutati, come Eugen Dollmann. Nelle “A.R.” militò anche quel don Giovanni Barbareschi, all’epoca soltanto diacono, che fu inviato dal cardinale Schuster a piazzale Loreto per benedire i corpi dei partigiani lì crudelmente uccisi ed esibiti ai passanti.
Don Giovanni successivamente subirà pesanti torture da parte delle SS, riuscendo a mantenere il silenzio. Quel don Barbareschi che diventò partigiano aggregandosi alle Brigate Fiamme Verdi della Valcamonica, e ne divenne cappellano, e che insieme ad altri illustri antifascisti dell’epoca di sensibilità cattolica contribuì alla redazione del “Ribelle”, organo di stampa di quelle Brigate Partigiane, il cui motto era “Non vi sono liberatori, ci sono solo uomini che si liberano”.
Giovanni Bianchi e Andrea Rinaldo, La Resistenza dalla foce. Quale nazione per gli italiani postmoderni, Eremo e Metropoli Edizioni, Sesto San Giovanni, aprile 2017

Anche Baden è impegnato nella Resistenza da prete e da scout: è l’unione di queste due appartenenze, che non possono essere divise, a determinare la creazione dell’OSCAR. Don Ghetti non subisce le stesse peripezie di don Barbareschi ma anche lui è ricercato e, su consiglio del card. Schuster, si decide a rifugiarsi tra le montagne di Esino Lario per un breve periodo, prima di tornare a essere pienamente operativo per l’OSCAR e per le Aquile Randagie. Sulle attività dell’Organizzazione non ci sono molte notizie poiché, anche dopo la fine del conflitto, i membri hanno preferito evitare la notorietà, non essendo nello spirito scout la pubblicità che del resto offenderebbe quanti hanno servito senza misura e senza calcolo, silenziosamente. Si può dire però qualcosa sul significato e sul senso dell’OSCAR a partire da alcune testimonianze di don Ghetti.
«In ogni momento della vita ognuno di noi è posto di fronte a delle scelte: quella, per esempio, di misurare fatti o avvenimenti sul metro dell’utile o della convenienza, non solo materiale, oppure di valutare la realtà che ci circonda sulla dimensione dei valori fondamentali dell’uomo, quei valori senza i quali il nostro esistere perde il suo senso. Così il cristiano che crede nelle realtà soprannaturali deve continuamente fare riferimento ad esse. Non può mai giocare al compromesso che ignora il messaggio evangelico. Questo è stato il punto di partenza!» <619. Solo le persone abituate a esercitare un senso critico, capaci di confrontare gli avvenimenti con i valori e disposti ad avere il coraggio di mettere in gioco la propria vita si salvano dall’assoggettamento delle coscienze operato dal fascismo.
Baden spiega la ribellione come provocata dall’appartenenza alla fede cristiana, che esorta a prendere le parti dei perseguitati contro delle leggi ingiuste, rifiutando ogni discriminazione. Le Aquile Randagie non si scoprono antifasciste il 25 luglio 1943 ma lo sono sempre state, in quanto ancorate in quei valori derisi dal fascismo – non violenza, apertura internazionale, spirito di servizio, rispetto delle convinzioni altrui – e in quanto gruppo di giovani cristiani che rifiutano un Regime fondamentalmente anticristiano. La volontà di negare la libertà individuale è opposta alla peculiarità dello scoutismo secondo cui è il singolo a dover emergere per rendere migliore la comunità, senza rinunciare alle prerogative personali. L’iniziativa dell’OSCAR rappresenta un modo di concretizzare lo spirito scout nella vita da una parte, vivendo nella dimensione più totale lo spirito di servizio e le parole della Legge e della Promessa, e dall’altra costituisce un inserimento attivo tra le forze della Resistenza.
Bisogna sottolineare la convinzione con la quale chi ha scelto di pronunciare la Promessa non si è limita a professare solennemente una formula, ma ne vive i contenuti fino all’estremo limite di essere disposto a donare la propria vita per l’altro: ad esempio Natale (Nino) Verri, aquila randagia, in fuga da un rastrellamento con un gruppo di partigiani, si offre di fermarsi presso un ferito ben sapendo quale destino lo attende alla cattura; entrambi vengono fucilati. Un’altra aquila randagia, Dino Del Bo, eredita da don Barbareschi, che deve allontanarsi da Milano perché ricercato, l’attività relativa all’aiuto ai ricercati e alla fabbricazione di documenti falsi: il suo generoso servizio si conclude quando viene arrestato dai fascisti e muore massacrato di botte. Pino Glisenti, quello che aveva esposto la bandiera per la guerra d’Etiopia, diventa staffetta tra la Svizzera e il Comando del CLN di Milano e viene ucciso durante un’operazione.
L’operatività degli scout dà prova della sua validità nella coesione che i capi hanno saputo creare nel gruppo, nell’abitudine a una vita rischiosa vissuta nella dimensione del gioco, nella resistenza fisica e nelle tecniche scout di collegamento e segnalazione.
L’8 settembre infatti impone una scelta e i cristiani sono chiamati a rispondere da cristiani, cioè mettendosi dalla parte dei perseguitati: «La Resistenza fu primariamente un fatto dello spirito, una ricerca di giustizia e di libertà: fu gesto di solidarietà con chi era nel pericolo. Immediatamente – quasi per istinto – preti, suore, laici strutturarono soccorsi, assistenza agli sbandati. […] Fu una scelta dura allora, ma lucida: in nome della propria vocazione di cristiani, per i quali non ci può essere dignità umana senza verità e giustizia per la difesa dei valori supremi di un popolo, per opporsi all’aggressore, fu necessario prendere le armi. Qui è utile una precisazione: i cattolici combatterono nelle varie formazioni per realizzare un domani di libertà e di giustizia fra i popoli. Fu perciò una lotta ideale. Per questo i nostri fratelli sono morti davanti ai plotoni di esecuzione, perdonando all’uccisore. Così come si sono consumati nei lager di sterminio, fissando Colui che è morto per renderci liberi. La Resistenza dei cattolici fu tutta fondata su contenuti spirituali: riflesso di essi è la preghiera del ribelle di Olivelli. Invece per altri partiti politici la Resistenza era prodromo di una rivoluzione per la conquista del potere: con qualsiasi mezzo» <620. Anche Baden si inserisce dunque nel solco già tracciato dai preti ribelli analizzato precedentemente. Il comportamento dei cattolici nella Resistenza si caratterizza per una difesa della persona senza odio e per il mantenimento di un comportamento coerente che non propende per l’utile immediato, ma per la difesa dei valori cristiani. OSCAR è l’inverarsi della Resistenza scout e di tutti coloro che combattono il fascismo anzitutto con un atteggiamento morale e ideale che si incarna nella vita. «La conseguenza di un modo di vivere e pensare forgiatasi in netta contrapposizione con la mentalità del momento storico fu alla base della nascita di OSCAR. La finalità era chiara e precisa: reagire all’ingiustizia, al sopruso e aiutare coloro che erano in pericolo indipendentemente da chi fossero. A muoverci non fu l’ideologia, un odio o una causa politica: si trattava di mettere in salvo donne, uomini, famiglie intere, punto e basta e lo facemmo senza sparare un colpo d’arma da fuoco.
[…] Ogni giorno era un rischio mortale che accompagnava le imprese di questi giovani. Erano pur essi “ribelli per amore” nella volontà di servire la Patria – secondo la loro Promessa – in ore di angoscia e di devastazione: senza odiare nessuno, senza recriminare. Educati a una scuola di libertà, questi giovani giocarono la vita per rimanere uomini liberi. Finita la guerra nulla chiesero, di nulla menarono vanto, nella coscienza di avere semplicemente compiuto il loro dovere» <621.
Per quanto riguarda le attività propriamente scout dei ragazzi più giovani delle Aquile Randagie, esse non si interrompono durante l’ultimo biennio di guerra, nonostante le enormi difficoltà, ma continuano fino al 25 aprile 1945: esattamente sedici anni, undici mesi e cinque giorni, uno in più del fascismo, come si erano promessi nel lontano 1928. Il 26 aprile le Aquile Randagie passano semplicemente dalla clandestinità alla luce del sole e si mettono subito a disposizione per collaborare alle attività di soccorso, in attesa del ritorno degli assenti, prigionieri o internati. Ai primi di giugno nasce il Comitato Regionale Lombardo, ma se per il resto d’Italia si può parlare di rinascita dello scoutismo, per le Aquile Randagie si tratta di una prosecuzione. Kelly e Baden, che hanno constatato il successo e le possibilità del metodo scout, esigono che questo, nonostante l’entusiasmo generale, non venga edulcorato: «Se si vuole fare dello scoutismo esso deve essere svolto e accettato in pieno nel suo programma senza adattamenti e senza varianti» <622.
[NOTE]
619 Vittorio Cagnoni, Baden, cit., p. 541.
620 Ivi, pp. 542-543.
621 Ivi, pp. 543-544.
622 Carlo Verga, Vittorio Cagnoni, Le Aquile Randagie, cit., p. 158.
Filippo Danieli, Fedeli e ribelli. Paradigmi di Resistenza cristiana al nazifascismo, Tesi di laurea, Università degli Studi di Trento, Anno Accademico 2018/2019