Mommo Piromalli era notoriamente massone o, comunque, vicinissimo ad ambiente della massoneria

Come si legge negli atti della Commissione antimafia, alla fine degli anni Settanta iniziano ad essere segnalate, da parte della magistratura, ipotesi di collegamenti tra criminalità organizzata calabrese e massoneria. Ma bisognerà attendere la stagione dei collaboratori per avere delle conferme attendibili: «Solo a partire dal 1992, e in particolare negli atti della Operazione cosiddetta “Olimpia” della DDA di Reggio Calabria, giungerà una ricostruzione organica di tali rapporti anche alla luce dei mutamenti che proprio alla fine degli anni Settanta si erano registrati all’interno della ‘ndrangheta, mutamenti […] funzionali proprio alla formazione di quei rapporti e di quei collegamenti con una parte della massoneria» <222.
Esistono molte similitudini tra mafie e massoneria; pensiamo, in generale, al patrimonio simbolico rituale di riferimento, ai più o meno rigidi meccanismi di selezione degli affiliati, all’importanza che il silenzio sulla vita associativa comporta (Davis 1977). E poi ancora alla valenza del rito di iniziazione, al giuramento o promessa solenne, al fatto che l’affiliazione – ad entrambi i tipi di organizzazione – sia per la vita, ad eccezione dei casi gravi di espulsione (Hutin 1955).
Il giornalista Mario Guarino (2004, 14-20) fa risalire i contatti organici tra ‘ndrangheta e massoneria alla metà degli anni Settanta quando al vertice dell’organizzazione mafiosa calabrese si trovano i fratelli Giuseppe e Girolamo (Mommo) Piromalli, Antonio Macrì e Domenico Tripodo. Tutti e quattro intrattengono già rapporti con la mafia siciliana e ne mutuano, in parte, la strategia di avvicinamento alla massoneria: «Don Mommo – rispetto agli altri boss – ha una mentalità meno legata alle tradizioni ‘ndranghetiste. Sa che l’organizzazione non può restare in eterno in conflitto con le istituzioni statali. Ergo: allacciare rapporti con esse può soltanto facilitare (e produrre) nuovi affari. Come? Attraverso la massoneria coperta, sull’esempio di quanto hanno già fatto i suoi referenti mafiosi in Sicilia: Bontate, Inzerillo, Riina e via via altri boss».
Questa svolta di Mommo Piromalli, secondo Guarino, consentirà di penetrare nelle forze dell’ordine, nella politica, nella magistratura perché molti degli esponenti di questi istituti appartenevano anche alla massoneria.
Secondo la testimonianza di Gaspare Mutolo, la massoneria è decisiva per i boss da quando tutti i punti chiave, sia commercialmente sia nelle istituzioni, sono occupati per la maggior parte da massoni. Mutolo cita il caso dei processi parlando di giudici compiacenti e, in particolare, di due psichiatri appartenenti alla P2, usati dai mafiosi per redigere perizie a loro favorevoli: «Mutolo conferma che alcuni uomini d’onore possono essere stati autorizzati ad entrare in massoneria “per avere strade aperte ad un certo livello” e per ottenere informazioni preziose, ma esclude che la massoneria possa essere informata delle vicende interne di Cosa Nostra. Gli risulta che iscritti alla massoneria sono stati utilizzati per “aggiustare” processi attraverso contatti con giudici massoni. Riferisce anche sul ruolo svolto dagli psichiatri Semerari e Ferracuti, di cui non conosceva la comune appartenenza alla loggia P2, nel predisporre perizie favorevoli agli uomini d’onore» <223.
Alcuni boss della ‘ndrangheta decidono di creare la “Santa”, una sorta di struttura parallela i cui affiliati – i “santisti” – sono autorizzati a intrattenere rapporti con i rappresentanti delle istituzioni allo scopo di incrementare e facilitare gli affari e di procurarsi coperture sul piano politico e giudiziario. Come scrive Catino (2014, 286) sin dalla seconda metà degli anni Settanta è stata costituita la Santa, un’«organizzazione segreta, una specie di loggia» all’interno della ‘ndrangheta, di cui fanno parte i membri più in vista all’interno dell’organizzazione, «autorizzati non solo a intessere rapporti con il mondo esterno, con la politica, ma anche a farne parte, violando una delle regole fondamentali dell’associazione».
Si legge, negli atti della Commissione antimafia, che «nella seconda metà degli anni Settanta la ‘ndrangheta si trova di fronte a un bivio: o continuare ad essere una organizzazione criminale dedita ad estorsioni e sequestri di persona, oppure fare un salto di qualità e inserirsi nei circuiti del potere per trasformarsi in “mafia imprenditrice”, in soggetto economico e politico autonomo, capace di interloquire con i rappresentanti delle istituzioni, delle amministrazioni pubbliche, dei partiti, e offrire i propri “servizi” nel settore degli appalti, nella raccolta dei consensi elettorali, e così via. Per fare questo la ‘ndrangheta si trovò nella necessità di creare una struttura nuova […] in grado di muoversi in maniera spregiudicata, senza i limiti della vecchia onorata società e della sua subcultura, e soprattutto senza i tradizionali divieti, fissati dal codice della ‘ndrangheta, di avere contatti di alcun genere con i cosiddetti “contrasti”, cioè con tutti gli estranei alla vecchia onorata società. […] Nasce così la “Santa”, e “santisti” sono denominati i suoi appartenenti, che costituiscono quella che si può definire la “direzione strategica” della nuova ‘ndrangheta, che la caratterizzerà per circa un ventennio» <224.
Il collaboratore di giustizia Gaetano Costa riporta come fosse stato Mommo Piromalli che, considerati gli interessi che alla fine degli anni Settanta sussistevano nella zona di Reggio Calabria (il troncone ferroviario, la centrale siderurgica, il porto di Gioia Tauro eccetera), al fine di gestire direttamente la realizzazione delle opere pubbliche, si fregiò del grado di santista che, a suo dire, gli era stato conferito direttamente a Toronto, dove esisteva una importantissima ‘ndrina. Non tutti vollero riconoscere l’esistenza della Santa; ciò portò ad alcuni contrasti che si conclusero con l’affermazione di Piromalli e del suo strettissimo alleato, Paolo De Stefano: «Poiché Mommo Piromalli era notoriamente massone o, comunque, vicinissimo ad ambiente della massoneria, per qualificare e differenziare ulteriormente la società di Santa da quelle minori, lo stesso introdusse, o comunque fece conoscere, la regola secondo cui ogni componente la società di santa poteva entrare a far parte della massoneria. Quest’ultima circostanza mi venne narrata da Peppino Piromalli, nel 1989, al carcere di Palmi» <225.
Costa dirà che con la nuova nuova riorganizzazione della Santa si erano cementati i collegamenti con Cosa nostra e con la nuova Camorra, tant’è che era stata programmata una nuova strategia per il futuro: «Tale strategia, sinteticamente, riguarda: un’azione comune per la salvaguardia dei processi in corso e per quelli già celebrati; assicurare le ricchezze accumulate; gestire di comune accordo i rapporti con massoneria, politica, ed istituzioni» <226.
Nelle carte della Commissione antimafia leggiamo dei rapporti della Santa con ambienti massonici; si tratterebbe di un mutamento radicale per la ‘ndrangheta, che passa da un atteggiamento di contrapposizione o distacco rispetto alla società civile, ad un atteggiamento di integrazione, alla ricerca di una nuova legittimazione attraverso legami estesi alla sfera della politica, dell’economia, delle istituzioni: «L’ingresso nelle logge massoniche esistenti, o in quelle costituite allo scopo, doveva dunque costituire il tramite per quel collegamento con ruoli e funzioni appartenenti a figure sociali per tradizione aderenti alla massoneria, vale a dire professionisti (medici, avvocati, notai),
imprenditori, funzionari della pubblica Amministrazione, uomini politici, rappresentanti delle istituzioni, tra cui magistrati e dirigenti delle Forze dell’ordine» <227.
Potremmo dire, parafrasando l’ex Gran Maestro del Goi Raffi, che ha sempre sostenuto che «la P2 sta alla massoneria come le Br stanno al Partito comunista», che la Santa può stare alla ‘ndrangheta come la P2 stava alla massoneria. Difficile capire se i collaboratori facciano riferimento a logge di Obbedienze regolari e riconosciute, o a raggruppamenti spuri. Anche nella relazione redatta dall’allora senatore Michele Figurelli, si legge come non sia facile trovare prove certe, in relazione alle persone chiamate in causa, circa la loro appartenenza a logge massoniche. Questo perché sia la massoneria che la ‘ndrangheta sono non solo due organizzazioni entrambe soggetto e oggetto di segreto e di riservatezza, ma anche perché molti calabresi hanno scelto di iscriversi a logge massoniche aventi sede in altre parti d’Italia, venendo quindi meno l’elemento della territorialità cui ho fatto cenno parlando del requisito che il Goi richiede ai propri affiliati prima di entrare.
Altre volte l’appartenenza alla massoneria, o l’ingresso in una loggia, avvengono saltando i rituali simbolici e sono comunicati direttamente all’orecchio del Gran maestro (come accadeva nel caso della P2): «L’argomento è complesso e coinvolge aspetti che prescindono da quelle che potrebbero a prima vista apparire le uniche cause di tale difficoltà nel reperimento di riscontri documentali oggettivi: la riservatezza che contraddistingue le associazioni massoniche, la perdurante diffusione nel nostro Paese di organizzazioni massoniche coperte e delle cosiddette affiliazioni coperte (“alla memoria” o “all’orecchio del Gran Maestro”), vale a dire le affiliazioni di persone la cui appartenenza alla “famiglia” è conosciuta soltanto dal vertice dell’organizzazione massonica e da una ristretta cerchia di confratelli» <228.
Ciò non esclude che queste logge, anche se coperte, possano far parte o siano emanazione di una Obbedienza ufficiale, come accaduto con la P2. Tra gli stessi collaboratori di giustizia si trovano versioni contrastanti in merito alla natura, ufficiale o meno, delle logge massoniche collegate alla ‘ndrangheta. Nel dizionario enciclopedico di mafie e antimafia <229, Dino riporta le parole di Leonardo Messina rivolte alla Commissione antimafia nel dicembre 1992, in cui il pentito sostiene che una parte della massoneria che è coinvolta con la mafia non ha niente a che vedere con la massoneria ufficiale. In seguito, invece, sono riportate le parole di un uomo di punta della ‘ndrangheta, Saverio Morabito, che decide di collaborare con la giustizia intorno al 1992, il quale rivela: «Non è certo un caso […] che taluni dei membri di maggior spicco della ‘ndrangheta si dice siano inseriti nella massoneria ufficiale, come ad esempio la famiglia Nirta di San Luca […]» <230.
Il pentito Giacomo Lauro, appartenente alla cosca ionica rappresentata da Don Antonio Macrì e da Antonio Nirta di San Luca, spiega come la storia politica-affaristica-criminale della provincia reggina si articoli in due periodi: «Sino alla prima guerra di mafia la massoneria e la ‘ndrangheta erano vicine, ma la ‘ndrangheta era subalterna alla massoneria, che fungeva da tramite con le istituzioni. Già sin da allora la massoneria ricavava un utile diretto percentualizzato, in riferimento agli affari che per conto nostro mediava. Invero vi era una presenza massonica massiccia nelle istituzioni tra i politici, imprenditori, magistrati, appartenenti alle forze dell’ordine e bancari, e pertanto vi era un nostro interesse diretto a mantenere un rapporto con la massoneria» <231. In questo modo la ‘ndrangheta era costretta a delegare la gestione di alcuni interessi; ciò comportava minori guadagni e un necessario affidamento a persone che non facevano parte delle famiglie mafiose: «A questo punto capimmo benissimo che se fossimo entrati a far parte della famiglia massonica avremmo potuto interloquire direttamente ed essere rappresentati nelle istituzioni» <232.
Alcuni rappresentanti della magistratura – nelle parole di Lauro – assumevano un ruolo di garanzia nella gestione degli interessi della ‘ndrangheta. L’iniziazione di questi magistrati alla massoneria pare fosse avvenuta “all’orecchio”, difatti i loro nominativi venivano tramandati oralmente da maestro in maestro (o, più probabilmente, da Gran Maestro in Gran Maestro). Lauro conclude dicendo che «altri magistrati erano rappresentati da fratelli regolarmente iscritti alle logge di Reggio Calabria, di Gioiosa Jonica e Roccella Jonica» <233. Da quanto affermato, quindi, sembra quasi che potesse esistere un doppio livello di appartenenza massonica. Nel caso specifico dei magistrati citati da Lauro, si può ritenere che una parte di questi – a diretto contatto con gli ‘ndranghetisti – facesse parte di logge coperte, mentre un’altra parte fosse regolarmente iscritta a logge ufficiali. Viene da credere che le logge coperte in questione – come nel caso della P2 – fossero strettamente legate a quelle ufficiali, perché di emanazione della medesima Obbedienza. Ma queste sono solo supposizioni. Come detto in precedenza, i resoconti dei collaboratori di giustizia sono molti, ma poco precisi in termini di denominazioni di logge ed Obbedienze di appartenenza degli individui da questi nominati.
Un esempio, per chiarire il filo delle supposizioni sopra riportare, è dato dalla vicenda della costituzione di una “Superloggia” da parte di esponenti mafiosi e di estrema destra e il ruolo che vi assume tale Cosimo Zaccone, massone.
Nell’intervista rilasciata a Pinotti (2007, 538), Nicaso sostiene come il contatto tra massoneria, destra eversiva e ‘ndrangheta si ritrova alla fine degli anni Settanta, nel periodo della latitanza a Reggio Calabria di Franco Freda: «In Calabria il processo di integrazione con gli ambienti eversivi e paramassonici avvenne nel 1979 quando, durante la latitanza a Reggio del terrorista Freda, venne costituita la cosiddetta Superloggia, un organismo segreto con diramazioni a Messina e Catania, collegato alla Loggia dei Trecento. Alla Superloggia, oltre ai più importanti capobastone della ‘ndrangheta, avrebbero aderito esponenti della destra eversiva, fratelli già affiliati alla P2 e ad altre logge coperte». Il collaboratore Filippo Barreca ha fornito elementi circa questa Superloggia che si sarebbe costituita nel 1979, in concomitanza con la presenza di Freda nella sua abitazione. Riferisce Barreca di aver partecipato ad alcuni incontri avvenuti a casa sua tra Franco Freda, Paolo Romeo e Giorgio De Stefano, nei quali si discuteva circa la costituzione di una loggia super segreta, nella quale dovevano confluire personaggi di ‘ndrangheta e della destra eversiva: «La super loggia di cui ho parlato doveva avere sede a Reggio e veniva ad inserirsi in una loggia massonica ufficiale, e precisamente quella di cui faceva parte il preside Zaccone» <234.
Come si legge nella relazione della Commissione antimafia, «la “Santa” entra in contatto con la massoneria, o meglio entra nella massoneria, tramite logge compiacenti e personaggi quali Zaccone, Modafferi, Marrapodi, tutti massoni, tutti in qualche modo coinvolti negli affari, negli interessi, negli organigrammi della ‘ndrangheta» <235.
Quindi Cosimo Zaccone sembra essere una figura centrale di raccordo tra ‘ndrangheta e massoneria.
Come ho riportato sopra, Barreca dichiara che Zaccone faceva parte di una loggia ufficiale, anche se non risulta chiaro a quale Obbedienza appartenesse. Ma un indizio possiamo desumerlo analizzando la vicenda di un furto effettuato dal pentito Giacomo Lauro, concernente 150 cassette di sicurezza del caveau della Cassa di risparmio di Calabria e Lucania, nel corso della rapina cosiddetta “della lancia termica” <236. Una di queste cassette di sicurezza apparteneva a Zaccone; all’interno, venne ritrovata un’agenda piena di nominativi di massoni. I magistrati reggini decisero quindi di recarsi presso l’abitazione della vedova De Carlo, dove Lauro sosteneva trovarsi l’agenda del professor Zaccone. Dell’agenda non vi è traccia; in compenso, viene rinvenuta una copiosa documentazione riguardante le logge massoniche Bovio e Logoteta, opuscoli sul Rito Scozzese, sul Grande Oriente, nonché numerose schede su personaggi iscritti alle Logge ufficiali. In effetti le logge Bovio e Logoteta fanno ancora oggi parte del Grande Oriente d’Italia, per cui viene da pensare che Zaccone appartenesse a questa Obbedienza.
[NOTE]
222 Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari, relazione sullo stato della lotta alla criminalità organizzata in Calabria. Relatore: Senatore Figurelli, 26 luglio 2000, p. 117.
223 Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari. Relazione del presidente Violante sui rapporti tra mafia e politica. Seduta del 6 aprile 1993, p. 64.
224 Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari, relazione sullo stato della lotta alla criminalità organizzata in Calabria. Relatore: Senatore Figurelli, 26 luglio 2000, pp. 117-118.
225 Ivi, p. 120. Preso da: Verbale del 16.9.1994, DDA Palermo.
226 Ibid. Preso da: Verbale del 26.2.1994 – dr Verzera – Atti proc. n. 46/93 DDA RC (Operazione ”Olimpia”).
227 Ivi, p. 118.
228 Ivi, p. 119.
229 Dino A., Dizionario enciclopedico di mafie e antimafia, 2013, s.v. “massoneria”, p. 365.
230 Ivi, p. 367.
231 Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari, relazione sullo stato della lotta alla criminalità organizzata in Calabria. Relatore: Senatore Figurelli, 26 luglio 2000,
p. 122. Preso da: Verbale del 21.6.1994, DDA Messina, in Atti Operazione Olimpia.
232 Ibid.
233 Ibid.
234 Ivi, p. 123. Preso da: Verbale del 8.11.1994, in Atti Operazione “Olimpia”.
235 Ivi, p. 125.
236 Ivi, p. 123.

Eleonora Salina, Dentro la massoneria. Una ricerca sull’Obbedienza del Grande Oriente d’Italia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Torino, 2017