Negli aeroporti la situazione assunse aspetti drammatici

Fonte: Aerostoria.com
Fonte: Ministero della Difesa

Nei mesi successivi alla proclamazione dell'”Armistizio” dell’8 settembre 1943, di fatto una resa senza condizioni, circa 2.000 militari appartenenti alla Regia Aeronautica cercano di raggiungere con ogni mezzo, oltre la metà in volo, le basi aeree del Sud-Italia, andando a ricostituire con i propri velivoli, con le insegne del “Cavallino Rampante” e del “Gatto Nero”, nonché la coccarda tricolore delle origini nel 1923 della nuova Arma “Azzurra”, quella nuova “Unità Aerea” che parteciperà attivamente e con successo alla Guerra di Liberazione.
Anche se di dimensioni modeste e tra inenarrabili difficoltà, soprattutto tecnico-logistiche, la creazione ed il consolidamento dell’Unità Aerea, sempre erede comunque della cosiddetta “Arma del Regime”, segnano significativamente la frattura storica con un passato ormai da ripudiare e la rifondazione di un patto sociale con il Paese del futuro, attraverso la comune lotta civile e militare per il riscatto e la rinascita dell’Italia.
Luciano Russo, La Regia Aeronautica tra il 1943 e il 1945, TusciaRomana.Info

Fonte: Ministero della Difesa
Fonte: Ministero della Difesa

Solo qualche mese dopo la costituzione della Regia Aeronautica, il 10 dicembre 1923 nacque il Regio Corpo degli aeroporti con il compito di presiedere all’organizzazione e al funzionamento dei servizi a terra connessi con l’attività di volo.
Il Regio Decreto Legge n. 627 del 4 maggio 1925 soppresse il Regio Corpo degli Aeroporti (art. 59) prevedendo che il personale che ne faceva parte fosse incorporato nell’Arma Aeronautica che, a sua volta, venne suddivisa in Ruolo Combattente e Ruolo Specializzati. In questi due Ruoli confluirono rispettivamente gli ufficiali del Regio Corpo degli Aeroporti e gli ufficiali stanziari, addetti ai servizi di aeroporto.
La legge 23 giugno 1927 n.1018, agli effetti dell’avanzamento, suddivise quindi gli ufficiali dell’Arma Aeronautica, Ruolo Combattente, in tre categorie prevedendo nella terza la figura degli ufficiali di aeroporto.
L’art. 13 della legge 6 gennaio 1931 n. 98 sancì la nascita del Ruolo Servizi; la successiva legge 21 maggio 1931 n. 894 precisò che in esso confluissero gli ufficiali del Ruolo Combattente, categoria Aeroporti, e del Ruolo Specializzato, categoria Governo.
Con il Regio Decreto Legge 22 febbraio 1937 n. 220 la Regia Aeronautica fu articolata in Arma Aeronautica, Corpo del Genio Aeronautico, Corpo del Commissariato Aeronautico, Corpo Sanitario Aeronautico e Scuole militari della Regia Aeronautica. Gli ufficiali dell’Arma Aeronautica furono ordinati in Ruolo Naviganti, Ruolo Servizi e Ruolo Specialisti. Nel 1938 ebbe luogo il primo reclutamento di ufficiali del Ruolo Servizi: 230 sottotenenti in SPE (Servizio Permanente Effettivo).​
Molti ufficiali del Ruolo Servizi fecero, inoltre, parte delle formazioni partigiane impegnate nella guerra di Liberazione. Fra essi il Cap. Italo Piccagli, eroico protagonista delle gloriose vicende di Radio CORA a Firenze, ucciso a Cercina, presso il capoluogo toscano, il 12 giugno 1944, e il S. Ten. Osvaldo “Pippo” Alasonatti, anch’egli partigiano e capo di stato maggiore della 2a Divisione Garibaldi che, già detenuto presso le carceri Nuove, fu fucilato per rappresaglia a Torino il 12 ottobre del 1944. Entrambi furono decorati di Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria.
Nel periodo 1940-45 gli ufficiali del Ruolo Servizi furono insigniti di 33 Medaglie d’Argento, 37 Medaglie di Bronzo e 72 croci di guerra al Valore Militare, 54 promozioni per merito di guerra e 27 avanzamenti per merito di guerra.
Redazione, Aeronautica Militare: cenni storici, Ministero della Difesa

Fonte: Ministero della Difesa

Senza soffermarci a discutere gli avvenimenti dei giorni immediatamente precedenti la comunicazione dell’armistizio italiano, ricordiamo solo che il giorno 3 settembre il capo del governo Badoglio convocò una riunione con i tre ministri militari, de Courten della Marina, Sorice della Guerra e Sandalli dell’Aeronautica, alla presenza di Ambrosio e del ministro della Real Casa Acquarone e li informò non che l’accordo fosse stato concluso, ma che erano in corso trattative per la firma dell’armistizio.
Le testimonianze dei principali protagonisti, spesso rilasciate in seguito e ad anni di distanza, si rivelarono contraddittorie tanto che, ancora oggi, appare difficoltoso chiarire le esatte responsabilità. Ordini mancati, accuse e smentite tra chi dichiarò, ex post, di aver comunicato la firma dell’armistizio e chi negò di aver saputo fino alla sera del giorno 8. Tra tutte le ipotesi formulate, quella che ad oggi sembra più accreditata, punta l’indice sull’inerzia del Governo italiano, e soprattutto del suo capo: invece di predisporre tutto quanto necessario per realizzare un’offensiva che, come evidente dalle parole del generale Alexander, era già concordata con gli angloamericani in sede di armistizio e che avrebbe agevolato l’azione militare degli Alleati – e che probabilmente avrebbe evitato la dissoluzione delle forze armate italiane – attese con inerzia lo svolgersi degli eventi senza impartire alcuna disposizione, vivendo nella speranza che i tedeschi non reagissero all’uscita dell’Italia dal secondo conflitto mondiale. Unica azione del Governo e della Real Casa: lasciare Roma per la più sicura Brindisi. Una fuga dall’Urbe, passando per il quartiere di San Lorenzo già devastato dai bombardamenti Alleati, e attraverso la via Tiburtina, unica arteria non chiusa dai tedeschi.
[…] Il movimento dei velivoli verso le basi del sud, che in molti casi avvenne su iniziativa di singoli piloti, ebbe inizio il 9 settembre e proseguì nei giorni successivi. Il personale, diversamente, affluì progressivamente nei mesi seguenti l’armistizio, anche a piedi o via mare, con mezzi di fortuna. Il generale Sandalli, Ministro e Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica, partì per Brindisi al seguito del re senza lasciare alcuna disposizione, affidando Superaereo al Sottocapo di Stato Maggiore generale Giuseppe Santoro. Questi, a sua volta, decise di soprassedere all’emanazione di ordini in attesa del chiarirsi della situazione, nonché di ordini del Comando Supremo e del Capo di Stato Maggiore, lasciando, quindi, tutto il personale senza direttive nel momento più drammatico. Il Comando Supremo tedesco, diversamente, dopo l’annuncio dell’armistizio diramò con immediatezza la parola convenzionale per l’attuazione del piano Achse. Questo, già da tempo elaborato in caso di capitolazione dell’alleato italiano, prevedeva, tra l’altro, l’occupazione immediata dei punti vitali, intimando il disarmo o la collaborazione alle unità italiane sia in Italia che nei Balcani.
La paralisi del processo decisionale determinò la disgregazione delle forze armate, l’internamento di circa 750.000 militari e l’occupazione tedesca di quasi tutto il territorio nazionale. La Regia Aeronautica, che nell’ultimo periodo di guerra fu messa a dura prova da un impiego esteso su tutti i fronti di guerra e dall’enorme disparità quantitativa con il nemico angloamericano, ancora nei primi giorni di settembre 1943, con un armistizio firmato ma tenuto segreto, combatté contro lo sbarco degli Alleati in Calabria.
Negli aeroporti la situazione assunse aspetti drammatici a causa della presenza di nutriti contingenti tedeschi praticamente in tutto il centro-nord della penisola italiana e per la contemporanea mancanza di ordini precisi sulle azioni da intraprendere contro gli ex-alleati. Solo con netto ritardo giunse l’ordine di rendere inutilizzabili i velivoli efficienti negli aeroporti minacciati da occupazione da parte delle forze del Reich. Ottemperando alle richieste che giunsero da Brindisi, il Sottocapo di Stato Maggiore dell’Aeronautica descrisse, in un suo dispaccio dell’11 settembre, la situazione dei velivoli e del personale della Forza Armata in Italia e all’estero concludendo:
“A Roma situazione confusa a causa mancanza qualsiasi ordine e direttiva. Grave soprattutto la questione alimentazione truppa, in relazione al numero uomini anche affluiti dai vari campi occupati. Mancanza di ordini e della conoscenza precisa situazione generale e accordi con tedeschi ed eventualmente con angloamericani rende estremamente difficile mio compito. Prego, se possibile inviare istruzioni e direttive. Generale Santoro”.
Tre giorni dopo la dichiarazione di armistizio, quindi, neanche il Sottocapo di Stato Maggiore, seconda carica militare nella linea di comando della Regia Aeronautica, poté disporre di chiare indicazioni o di precise disposizioni. Le istruzioni e le direttive, quelle poche che ci furono, viste anche le condizioni in cui versavano i vari mezzi di comunicazione, vennero impartite con difficoltà. L’incertezza dovuta a mancanza di disposizioni o più semplici informazioni portò ad una situazione di sbando. Molti uomini della Regia Aeronautica avevano combattuto intensamente per tre anni a fianco dell’alleato tedesco condividendo vittorie e sconfitte, le gioie e la morte, e nei drammatici e caotici giorni successivi l’8 settembre 1943, furono chiamati ad una scelta che coincideva anche con una precisa indicazione geografica: andare a sud, con gli angloamericani ovvero a nord con i vecchi alleati; seguire le poche e confuse disposizioni impartite da Brindisi, ovvero aderire al proclama di raccolta per l’arruolamento nell’Aeronautica Nazionale Repubblicana della Repubblica Sociale Aeronautica, che il tenente colonnello Ernesto Botto, noto sin dai tempi del conflitto civile spagnolo come “Gamba di Ferro”, aveva lanciato il 12 ottobre 1943 dai microfoni dell’EIAR. Ma occorre rendere conto del fatto che seguire le direttive di Sandalli o, in alternativa, quelle di Botto, non furono le uniche vie. Molti aviatori compirono scelte autonome come, ad esempio, quella di raggiungere le proprie famiglie, mentre altri vissero la condizione di “prigioniero di guerra” degli angloamericani37 o, dopo l’armistizio, dei tedeschi38. Ognuno visse una situazione estremamente complicata trovandosi spesso a migliaia di chilometri da casa, magari in un altro continente, dove qualsiasi notizia non poteva trovare alcun riscontro. In queste condizioni l’8 settembre fu difficile da decifrare. Persino l’ammiraglio Paolo Emilio Thaon di Revel, ultraottantenne con un glorioso passato, dalla propria casa, non lanciò proclami o giudizi di valore, sottolineando, invece, come la lettura degli avvenimenti dell’8 settembre 1943 avesse quale ulteriore discriminante il dato generazionale:
“In momenti così delicati, è doveroso lasciare massima libertà alle coscienze, purché esse siano sinceramente rivolte al bene del Paese. Non voglio dare consigli, tanto più che il pensiero di un uomo di 83 anni parte da presupposti diversi da quelli dei giovani delle nuove generazioni”.
Per i militari prigionieri dei tedeschi, in particolare, trovò applicazione la direttiva impartita da Wilhelm Keitel: «I soldati italiani che non siano disposti a continuare la lotta al fianco dei tedeschi devono essere disarmati e considerati quali prigionieri di guerra». Dal 20 settembre 1943 lo status cambiò da “prigionieri di guerra” a “internati militari” per divenire “lavoratori civili” nell’autunno 1944. Su questi prigionieri, che in Italia, senza possibilità di replica, furono indicati come “disciolto esercito regio” ovvero “gli ex alleati del nemico”, gli ufficiali e gerarchi della RSI, con veste di “commissioni assistenziali”, esercitarono una forte pressione finalizzata a nuove adesioni alla ANR. La contropartita offerta: fine delle sofferenze fisiche e psicologiche proprie dei campi di prigionia tedeschi. Anche chi visse la prigionia dall’altra parte dell’oceano Atlantico fu sottoposto a continue pressioni fisiche e psicologiche finalizzate alla scelta di lavorare per gli Alleati. Di fronte all’insistenza americana furono comunque in tanti a non aderire non per convinzione politica o ideologica, ma più semplicemente, come testimoniano alcuni scritti personali, perché ancora in attesa di un ordine dai vertici militari italiani: «io non sono né un fascista, né un antifascista, ma solo un generale italiano al servizio esclusivo del mio paese» scisse il generale Nazareno Scattiglia in relazione al suo rifiuto di aderire alla proposta americana.
Oltre al “nord” e al “sud” e ai prigionieri di entrambi gli schieramenti, occorre considerare anche gli aviatori che aderirono, da subito, alla Resistenza. Circa quattromila uomini della Regia Aeronautica che, trovandosi fisicamente nel centro-nord Italia nei giorni seguenti l’armistizio, non risposero al bando del tenente colonnello Botto e non si incamminarono verso Brindisi per darsi invece alla macchia insieme ai primi componenti delle formazioni partigiane: di questi, 117 vennero poi uccisi dal nemico.
Edoardo Grassia, L’8 settembre 1943 e la Regia “fascistissima” Aeronautica in I. Definire l’idea, teorizzare l’azione: guerra, occupazione, propaganda, Diacronie, n° 25-1 / 2016

Le attività belliche della nuova Aeronautica Militare Italiana iniziano fin dal mattino del 9 settembre 1943, con la scorta di unità della Marina Militare in fuga da La Spezia verso i porti controllati dagli Anglo-Americani e già l’11 settembre avrà luogo il primo combattimento aereo di difesa di bombardieri in trasferimento da Perugia alla Sardegna contro intercettatori dell’ex alleato germanico, mentre il 12 settembre nostri caccia passeranno all’attacco mitragliando colonne nazi-tedesche in ritirata nel Salento.
Coccarde tricolori sfideranno inoltre la contraerea nemica e solcheranno presto anche i cieli della Capitale e di altre Città italiane ancora occupate per dare un forte messaggio di presenza ad abitanti e partigiani locali, lanciando dimostrativamente manifestini.
Ma è soprattutto nei Balcani, lungo le coste di Albania, Grecia (isole ioniche) e futura Jugoslavia che queste forze aeree, anche per evitare scontri diretti con reparti aerei italiani dell’altro fronte, vengono impiegate nel settembre e ottobre 1943, spesso coordinate insieme alla Balcan Air Force in attività anti-tedesche, sia offensive che difensive, o di rifornimento, aviotrasporto e aviosbarco di truppe italiane e neo-alleate.
In pratica la Dichiarazione di Guerra dell’Italia alla Germania del 13 ottobre non fa altro che formalizzare lo stato di fatto bellico post-Armistizio.
[…] Solo con dedizione, creatività, entusiasmo ed eroismo dei propri comandi e ranghi l’Aeronautica Militare Italiana del Regno del Sud riesce a supplire alla catastrofica scarsezza di uomini, materiali, mezzi e macchine conducendo con successo le operazioni belliche assegnategli per 20 lunghi mesi, fino cioè alla resa incondizionata della Germania l’8 maggio 1945.
Combattere a fianco degli Anglo-Americani esclusivamente con i propri mezzi diventa un punto d’orgoglio, una capacità organizzativa, una virtuosità tecnica ed un valore militare cui gli Alleati danno atto nel settembre 1944, potenziando i reparti da caccia con P-39 “Aircobra” e “Spitfire” e da bombardamento con Martin “Baltimore”, da cui un nuovo stormo.
Le più tipiche missioni per la nostra caccia a supporto degli Alleati sono azioni di ricognizione offensiva, contro impianti strategici e traffico sia terrestre che marittimo e aereo – mitragliamenti, spezzonamenti e bombardamenti in picchiata – di ricognizione metereologica e di scorta a formazioni da bombardamento e da trasporto, facilitando così tra l’altro la conquista di isole dalmate.
Di particolare successo anche le azioni dei bombardieri di appoggio all’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo, contro linee di comunicazione, porti, aeroporti, centri logistici e truppe in movimento durante l’evacuazione nazi-tedesca di Albania, Montenegro, Dalmazia e altre Regioni Jugoslave.
L’aviazione da trasporto assicura nei Balcani i rifornimenti alla Divisione “Garibaldi” e ai partigiani del Maresciallo Tito, normalmente in missioni notturne, sia paracadutando vettovaglie e materiali che atterrando su campi di fortuna per imbarcare militari e partigiani feriti o ammalati, ma in casi di estrema urgenza anche in pieno giorno e addirittura senza scorta, noncurante di contraerea e caccia nemiche.
Su molte città jugoslave, albanesi ed italiane ancora in mano ai Nazi-Tedeschi, vengono lanciati manifestini paracadutati sabotatori e spie, mentre collegamenti di trasporto giornalieri di persone, posta e materiali, vengono garantiti con Sicilia, Sardegna e l’Africa Settentrionale.
Le missioni degli idrovolanti sono invece focalizzate su scorta di convogli marittimi, caccia antisommergibile, ricerca, soccorso e recupero naufraghi e soccorso preventivo su attuali rotte di azioni belliche alleate.
Durante 5 anni di guerra la Regia Aeronautica e la ricostituita Unità Aerea lasceranno sul campo oltre 9.000 morti e più di 3.500 dispersi in combattimento.
A guerra finita della gloriosamente famosa Regia dei primati mondiali negli Anni Trenta rimane quasi nulla e la nuova Aeronautica Militare Italiana dovrà affrontare la propria ricostruzione con le sparute unità sopravvissute alla Guerra di Liberazione, in tutto circa 200 velivoli efficienti, di cui la metà al Sud e in Sardegna, più i circa 200-250 sottratti al nemico, e al Nord un Centro di Recupero di materiale aereo riutilizzabile presso l’Aeroporto di Bresso a Milano-Sesto San Giovanni, sotto il comando di Franco Russo nell’immediato dopoguerra:
– il 4°, 5° e 51 ° Stormo Caccia;
– i Bombardieri degli Stormi “Baltimore”, Notturno e Trasporti;
– l’82°, 83°, 84° e 85° Gruppo Idrovolanti;
– 3 raggruppamenti di servizi tecnici ad assicurare l’efficienza dei reparti di volo.
La resistenza aeronautica a terra viene attuata principalmente in Roma Capitale e nelle aree limitrofe, come i Castelli Romani, sede del Comando Nazi-Tedesco, l’ex Città dell’Aeronautica di Guidonia e le zone dei Monti della Tolfa, da personale con status militare di continuato e mai interrotto servizio regolare, organizzato in cosiddette “bande” partigiane equiparabili ed equiparate a “reparti” in territorio occupato dal nemico, uomini riraggruppatisi via via, dopo l’inevitabile caos post-Armistizio, o intorno ai rispettivi comandanti o a nuovi capi-banda di sicuro affidamento eletti per capacità e prestigio, per andare a costituire un vero e proprio “Fronte Clandestino Aeronautico” pienamente operativo, senza uniforme, con scarsità di mezzi di ogni tipo mai disposti a cedere di propria volontà.
Parallelamente altri militari o, qualora altrettanto orgogliosi della propria appartenenza all’Arma Azzurra ma fisicamente impossibilitati a riunirsi ai Comandi, vanno a formare spontaneamente nel Centro e Nord-Italia bande militari “indipendenti”, al di fuori cioè del Fronte Clandestino di Resistenza, ovvero, se in decisa polemica contro la Monarchia e le sue Istituzioni, anche militari, per la loro commistione con il Fascismo entrano a far parte di già esistenti gruppi politici di resistenza attiva come “ex-militari”, in una lotta in contrapposizione al precedente servizio regolare.
Pur diverse e spesso addirittura contrapposte le motivazioni di tali scelte personali, comuni a tutti sono la presa di coscienza ed il conseguente rifiuto di una passata realtà politica e sociale e la volontà di costruirne una nuova Italia democratica.
A sigillo di ciò molti di loro pagheranno con la vita la loro scelta e il valore spirituale e militare del loro sacrificio estremo verrà riconosciuto con Medaglia d’Oro al Valor Militare “per attività partigiana” alla memoria,
Un esempio per tutti, il Generale di Brigata Aerea Sabato Martelli Castaldi, nome di battaglia “Tevere”, militare antifascista e partigiano (la cui onorificenza verrà peraltro rifiutata da suo figlio), già probabile successore di Italo Balbo a Ministro dell’Aeronautica e invece messo a riposo per le sue idee politiche, arrestato dai Nazi-Tedeschi, rinchiuso per più di un mese nella famigerata cella numero 1 di Via Tasso, lì atrocemente torturato e alla fine fucilato alle Fosse Ardeatine.
Il suo testamento morale lo lascerà scritto col sangue sul muro della cella:
“Quando il tuo corpo non sarà più, il tuo spirito sarà ancora più vivo nel ricordo di chi resta. Fà che possa essere sempre di esempio”
Generale di Brigata Aerea Sabato Martelli Castaldi, nome di battaglia “Tevere”
[…]
Il 6 ottobre 1943 due Macchi del 4° Stormo pilotati dal Maggiore Carlo Ruspoli e dal Capitano Luigi Mariotti partono da Foggia per lanciare manifestini di propaganda anti-nazista sul cuore di Roma sorvolandola spavaldamente a volo radente lungo una traiettoria Nord-Sud da Ponte Milvio fino a Porta San Paolo…
[…] Nasce così il “Fronte Militare Clandestino dell’Aeronautica”, comandante il Generale di Divisione Aerea Umberto Cappa, una prima organizzazione poi incorporata in quello che sarà il “Fronte Militare Clandestino della Resistenza” del Colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, nome di battaglia “Cataratto” (anche lui come Sabato Martelli Castaldi futuro martire alle Fosse Ardeatine, ma con un colpo di pistola alla nuca, e Medaglia d’Oro al Valor Militare “per attività partigiana” alla memoria), la cui struttura ricalca in piccolo e non sempre in modo vantaggioso quella militare tradizionale.
[…] Proprio in concomitanza con la proclamazione dell’Armistizio, a cavallo cioè dell’8 settembre 1943, il Tenente Franco Russo, in forza al Centro Sperimentale di Vigna di Valle, si trova in missione a Napoli, presso l’I.M.A.M. – Industrie Meccaniche Aeronautiche Meridionali SA, lì, come tante altre volte, comandato per controllare e documentare lo stato di avanzamento di un nuovo velivolo allo stadio sperimentale, il nuovo caccia “Ro. 58”.
Tale collaborazione, se non prima, inizia almeno nel 1937, quando Russo partecipa al collaudo del “Ro. 43”, come attestato dal modellino originale del prototipo, omaggio della ditta produttrice, con la dedica personalizzata a ricordo, ancora oggi visibile sulla ben conservata custodia, “a Franco Russo per il collaudo in volo”.
Il modello, completo di piedistallo e custodia originali, perfettamente restaurato, fa oggi parte delle Collezioni del Museo Storico dell’Aeronautica Militare Italiana di Vigna di Valle, Bracciano, Roma, donato dalla famiglia dell’aviatore.
L’ordine di partenza dell’Ufficiale viene emesso da “Ministero dell’Aeronautica, Direzione Generale…” sotto forma di un “Certificato per viaggi e servizi isolati”, che specifica:
“… deve partire il giorno 6/9/43 alle ore 5.30 da Roma per recarsi a Napoli…”
Sul retro del documento si attesta la sua permanenza a Napoli alla data della proclamazione dell’Armistizio, data via radio alle 19.45 dell’8 settembre, e il conseguente caos, infatti nello “Spazio riservato per i visti arrivare e partire” con militare precisione viene annotato dal Responsabile della “Direzione delle Costruzioni Aeronautiche”:
“Visto arrivare in Direzione il 6-9-43 ore 10
Visto lasciare la Direzione il 9-9-43 ore 22
Non ha fruito né di mensa né di alloggio
perché inesistenti”
Questo significa che il giovane Ufficiale lascerà l’Idroscalo di Vigna di Valle, da quasi 15 anni sua base, ancora libero e italiano, per ritrovarlo appena pochi giorni dopo, sabotati e affondati gli aerei ed abbandonate le strutture dai propri, ormai occupato dal “nemico”, vale a dire saldamente in mano dalle truppe nazi-tedesche, ex-alleate ma ora “di occupazione”, nella fattispecie i Pionieri della Divisione Corazzata “Göring”, calati precipitosamente da Viterbo.
Il Tenente Franco Russo sceglierà così di darsi “alla macchia” per evitare la “deportazione” al Nord, cioè il trasferimento forzato o alla Repubblica di Salò o ai campi di concentramento e di lavoro duro in Germania, ma rimanendo affatto lontano dal suo aeroporto, anzi in effetti a soli 5 chilometri dall’Idroscalo, nella zona cosiddetta “ai Lauri” con i sovrastanti “Grotti”, un greppo “sotto rocca” tra il maestoso torrione della Sentinella nel terzo ed estremo giro delle rinascimentali mura di difesa del Borgo e il lago, ricca di spaziosissime, impermeabili e ben nascoste cavità artificiali, lì scavate dall’uomo durante secoli e millenni, a partire almeno dall’Epoca Etrusca se non prima.
Non è il solo e la loro attività partigiana antifascista e antinazista parte quasi da subito, tessendo caute trame di una prima rete di contatti clandestini con altri militari antiregime e contrari all’occupazione sparsi sul territorio, ragruppamenti informali che già recupereranno e riusciranno a salvare, nascondendoli – è il caso di dirlo – “sotto il naso” ai Nazi-Tedeschi, diversi aviatori alleati abbattuti ed accoglieranno addirittura non pochi giovanissimi disertori tedeschi, poco più che adolescenti, i cui documenti, divise ed armi verrano a buon uso per cellule partigiane di sabotaggio poco più a Settentrione, divenendo di fatto “ponte” fra le formazioni periferiche di Roma Nord e quelle dell’Alto Lazio, verso il mare, tra i Monti della Tolfa, e il Viterbese interno.
Questo fino a che lui e la cerchia di militari di Vigna di Valle – Ufficiali, Sottufficiali e Avieri leali al Regno e all’Arma rifiutando coerentemente lo spergiuro – non rientrerà a far parte della a tutti gli effetti regolare, ricostituita ed attiva unità militare del Fronte Militare Clandestino dell’Aeronautica, in un primo momento lui inquadrato nella Banda “Montanari” e di lì a poco riassegnato agli ordini del Maggiore Giovannozzi, come annotato sulla sua tessera partigiana emessa e di proprio pugno firmata e completata di piccole annotazioni dal “Comandande la Banda/The Commander Magg[iore] Domenico Montanari” […]
Luciano Russo, art. cit.