Nella prima metà dell’ottobre del 1943 tutto il territorio della Venezia Giulia e la provincia di Lubiana assieme al Friuli, Gorizia, Fiume e le isole del Quarnaro passava progressivamente sotto il controllo tedesco

Le rivendicazioni territoriali nei confronti dell’Italia vennero formalizzate dal Movimento di liberazione jugoslavo nella seconda seduta dell’Avnoj, tenutasi a Jajce tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre del 1943. Esse erano state precedute da analoghe risoluzioni da parte della rappresentanza antifascista croata e del Fronte di liberazione sloveno. La risoluzione croata si richiamava, a sua volta, al proclama del Comitato popolare di liberazione per l’Istria, in cui si affermava: «l’Istria si unisce alla madrepatria e proclama l’unificazione con gli altri nostri fratelli croati» <236. In seguito a questo proclama lo Zavnoh e l’Of si considerarono i soli detentori legittimi del potere nell’area istriana, che si trovava ancora formalmente sotto sovranità italiana. In quest’ottica devono essere visti la sostituzione del Partito comunista italiano con il Partito comunista croato come struttura politica di riferimento per i militanti istriani ed il passaggio delle unità partigiane italiane sotto il comando dell’esercito di liberazione jugoslavo <237. L’«insurrezione di settembre» e le forme di contropotere partigiano a cui diede luogo vennero interrotte dalla sanguinosa occupazione tedesca, che si protrarrà sino alla fine dell’aprile del 1945 <238.
Anche la Dalmazia seguì un simile corso degli eventi: a Spalato la breve occupazione partigiana si era accompagnata all’esecuzione di 106 italiani e croati ustascia: tra le vittime diversi insegnanti e il direttore didattico della scuola italiana. Zara venne occupata dai partigiani il 31 ottobre 1944, in seguito ai devastanti bombardamenti alleati; buona parte degli italiani che venne allontanata dai territori occupati durante la guerra cercò rifugio in Italia sia a causa dei bombardamenti, sia a seguito dell’occupazione della città da parte dell’esercito di Tito: cominciava così a manifestarsi il fenomeno dell’esodo, destinato ad assumere dimensioni di massa in concomitanza con la stipula del trattato di pace e del più tardo Memorandum di Londra <239.
[…] Adriatisches Kűstenland
Nella prima metà dell’ottobre del 1943 tutto il territorio della Venezia Giulia e la provincia di Lubiana assieme al Friuli, Gorizia, Fiume e le isole del Quarnaro passava progressivamente sotto il controllo tedesco: un’ordinanza di Hitler del 10 settembre 1943 istituiva, qui e nella provincia del Trentino Alto Adige, due zone di operazioni, sottratte completamente il controllo della Repubblica di Salò <240.
Vi furono istituiti supremi commissari dotati di amplissimi poteri: per il Kűstenland assunse la carica di supremo commissario il carinziano Friedrich Rainer, a cui spettavano amplissime prerogative in campo amministrativo e giudiziario; egli dipendeva per l’ordinaria amministrazione dal comandante supremo in Italia e, in casi particolari, direttamente da Hitler. Operavano nel Kűstenland anche unità delle Ss capeggiate dal triestino Odilo Globocnik, che era stato il responsabile del coordinamento dell’operazione Reinhard, nome in codice per lo sterminio di quasi 3 milioni di ebrei polacchi. Per passare dalle zone di operazioni al territorio del Reich non era necessario il passaporto, mentre gli italiani residenti nella Repubblica Sociale Italiana avevano bisogno di un’autorizzazione speciale <241.
La perdita di credibilità e autorevolezza dell’alleato italiano in questo momento storico è resa quanto mai chiara dalla premessa alle disposizioni contenute nell’ordinanza del Commissario Superiore nella zona di operazioni del Litorale Adriatico Rainer, datata 15 Ottobre 1943, ma entrata in vigore con carattere retroattivo il 29 Settembre 1943:
“Col tradimento del Re italiano e del Governo Badoglio il Reich tedesco era costretto di assicurare il proseguimento della comune lotta contro il bolscevismo e le plutocrazie con l’occupazione dell’Impero italiano. Il territorio italiano occupato è zona d’operazioni dell’armata tedesca. Tutte le misure prese da prendersi nel futuro in questa zona d’operazioni da parte dei servizi militari tedeschi oppure civili sono basate sulla conquista della vittoria.
Il territorio abbisogna perciò a questo scopo di una forte unione ed unità di movimenti onde assicurare l’ordine e la quiete pubblica impedendo tentativi di perturbazione da parte di elementi scomposti, e mobilizzare tutte le forze per il proseguimento della guerra.” <242
Nell’ordinanza, articolata in cinque punti, e valida nelle province del Friuli, Trieste, Gorizia, Istria, Lubiana, Carnevo, compresi i territori di Gustak, Buccari, Ciabar, Castua e Veglia è chiara la completa esautorazione dell’autorità italiana e l’accentramento di ogni decisione che riguardi la vita politica e civile nelle mani del plenipotenziario Rainer.
Con un ordinanza successiva, datata 26 Ottobre 1943 <243 e riguardante l’esercizio di giurisdizione per la zona di operazioni del Litorale Adriatico <244 e la destinazione dei Consiglieri tedeschi per le singole provincie, viene ribadito il carattere di subordinazione dell’elemento italiano. L’articolo 4° recita:
“In sede al Commissariato Supremo per la zona di operazione “Litorale Adriatico” istituito un Tribunale Speciale per la sicurezza e l’ordine pubblico. Esso porterà il titolo di “ Tribunale speciale per la sicurezza pubblica”.
Il commissario supremo per la zona di operazione “Litorale Adriatico” nominerà il Presidente e i membri del Tribunale Speciale. Contro le deliberazioni del Tribunale Speciale non è concesso alcun ricorso in via ordinaria.
L’avviamento procedurale presso il Tribunale Speciale viene eseguito su proposta delle Supreme autorità delle formazioni SS e di polizia.
Il Tribunale Speciale non è obbligato di seguire alcuna norma procedurale. Le norme di procedura da seguire dipenderanno unicamente dalle finalità e dalla semplificazione della verità” <245.
Occorre infine ricordare che i tedeschi avevano emanato in precedenza, il 7 dicembre 1941, un’ordinanza con la quale estendevano a tutti i paesi da loro occupati la pratica della rappresaglia sui civili. Le misure più severe consistevano nei rastrellamenti a tappeto che implicavano l’arresto in massa degli abitanti dei luoghi dove si sospettava ci fossero collaborazioni con la resistenza, la fucilazione di ostaggi, lo sgombero e l’incendio dei paesi e la deportazione dei prigionieri in località segrete. Per quanto riguarda la fucilazione degli ostaggi, il Comando tedesco in Jugoslavia aveva ordinato che “per ogni militare ucciso sarebbero stati fucilati da cinquanta a cento comunisti” <246. I nazisti, come già era accaduto nei paesi dell’Europa orientale entrati nell’orbita del Terzo Reich, procedettero “alla ricerca ed al richiamo del sangue tedesco” <247: vennero individuate circa 14.000 persone che rispondevano ai loro requisiti nella regione di Koćevje <248, territorio sloveno al confine con la Croazia. Successivamente queste furono trasferite in Germania <249, Austria e Polonia <250: a guerra finita, quelli che tra loro tentavano di rientrare nei territori d’origine, furono espulsi dalle autorità jugoslave e in molti casi uccisi.
A partire dal 10 novembre la “pubblicazione di notizie, comunicati, di carattere ufficiale ed ufficioso delle autorità e degli enti statali, provinciali e comunali italiani, nonché per tutte le comunicazioni, comunicati e notizie delle forze armate italiane della marina e della milizia, come pure del P.F.R.” venne sottoposta allo stretto controllo e all’approvazione del Supremo Commissario per la zona d’operazione “Litorale Adriatico”. <251 La subalternità delle direttive delle autorità italiane rispetto alle direttive delle autorità tedesche vengono anche in questo caso sottolineate nella corrispondenza riservata inviata al Capo di Gabinetto del Ministero della Cultura Popolare da Hermann Carbone, addetto stampa della Prefettura di Trieste:
“Le direttive di codesto ministero come avevo l’onore di far presente all’Ecc. il Ministro durante il recente rapporto di Milano lasciano, purtroppo, un po’ il tempo che trovano, nel senso che sono in un certo senso subordinate alle altre direttive impartite sul posto dalle autorità tedesche” <252.
Il controllo sulla stampa andrà inasprendosi nel trimestre successivo, così come riportato nella relazione che il Capo della Provincia di Trieste, Bruno Coceani, invia al Capo della Polizia, che successivamente ne informerà il Duce. Anche da questa relazione possiamo desumere come la censura sulla stampa fosse un ulteriore mezzo tedesco per controllare e tenere in una posizione di subalternità l’elemento italiano, che a sua volta mostrerà un’estrema debolezza nel prendere iniziative proprie in risposta alle prepotenze dell’alleato tedesco:
“Tre sono le fasi che caratterizzano la situazione in cui è venuta a trovarsi la stampa triestina e della Venezia Giulia:
1^) = All’atto dell’occupazione germanica nessuna pressione da parte tedesca e disinteressamento completo da parte dei Comandi militari.
Più tardi fu affidato al Prof. Maucci, critico lirico del “Piccolo”, un servizio occasionale di collegamento con i Comandi militari e Consolato Tedeschi. Mai nessuna censura od osservazione atta ad incrinare il programma politico del giornale fu mossa da detti Comandi.
2^) = In ottobre la situazione cambiò con la sistemazione dell’Ufficio di censura nell’ambito dell’istituendo Commissariato Supremo per la zona d’operazioni del Litorale Adriatico. Il Dr. Lapper, capo dei servizi del nuovo organismo, prese contatti con i quadri redazionali ed anche amministrativi del giornale, ai quali non dettò norme precise, per cui l’indirizzo generale del “PICCOLO” si inspirò alle dichiarazioni ufficiali fatte dal Vice Commissario Dottor Wolsegger al mio insediamento, che cioè Trieste è stata sempre una città italiana e che i tedeschi non erano venuti come conquistatori.
Intanto, i collaboratori e successori del Dr. Lapper, non sempre all’altezza del loro compito, davano disposizione restrittive e responsi negativi a qualsiasi notizia di carattere politico, sia locale che nazionale, anche se Stefani perché non interessava più la città né la regione. Tutt’al più le disposizioni emanate dal Governo italiano potevano essere riassunte in poche righe, ma meglio era non pubblicarle affatto.
3^)= Inserito nella terza decade di ottobre il Supremo Commissariato per la zona di operazioni del Litorale Adriatico, il Dr. Lapper affidava il controllo del “PICCOLO” al sig. Ceriack, giornalista di larga esperienza, il quale non tardò ad esprimersi come segue: “La dottrine di Monroe del “Litorale Adriatico” si può racchiudere in questa formula: Trieste ai triestini. Il Gauleiter ha dichiarato che vuole applicare questa formula per arrecare alla città il massimo bene. Anzitutto vuole che Trieste sia governata da triestini, i quali saranno immessi nei posti direttivi delle varie attività. Per realizzare questo programma occorre un’attenta, delicata, finissima propaganda di stampa nella quale il giornale dovrebbe esprimere implicitamente il parere che la città venga consegnata ad elementi triestini. Rispetto profondamente il vostro passato di irredentismo ma suppongo che la tradizione oberdaniana della città sia un’ideologia superata. Ho l’impressione che Trieste sia sazia di tutto, della guerra e del Fascio. Comprende del resto che la vostra situazione non è delle più facili, mi metto nei vostri panni e che se le cose dovessero cambiare, sareste voi a rimetterci la testa. Noi non vogliamo che il “PICCOLO” sia un organo ultrafascista ma nemmeno antifascista. Fatene un giornale interessante che tratti soprattutto di problemi economici in funzione della città”.
Intanto si provvedeva a far pubblicare il servizio del D.N.B., riducendo al minimo quello Stefani. La censura veniva estesa ai comunicati di tutte le Autorità locali italiane ed a tutti i servizi ed articoli di ogni genere. Nei rapporti bisettimanali che il sig. Ceriack tiene al direttore ed ai suoi collaboratori, rapporti intonati ad una collaborazione franca, privi di tono di comando, non manca di fare assaggi di catechizzazione ed inviti discreti ad orientamenti verso una concezione realistica, cioè verso un graduale distacco politico da Roma a beneficio del litorale Adriatico. Ciò ha determinato alcuni incidenti, dei quali l’ultimo è quello più significativo e più grave, causato dalla pubblicizzazione di un “Panorama” e commento della situazione militare sul fronte russo, in cui l’accenno a località ex polacche occupate dai sovietici provocava le proteste delle Autorità di occupazione con conseguente licenziamento del Prof. Launder, autore del commento e con lo allontanamento del Direttore Tranquilli, che, incriminato anche per altro articolo, correva il rischio di un fermo.
Ha ora assunto la direzione del giornale il Prof. Rodolfo Maucci, il quale, figlio di un ex funzionario austriaco, non è, a mio parere, persona che possa dare affidamento per svolgere un’azione di affermazione e di difesa della nostra italianità.” <253
Il controllo sulla stampa conferma come le zone di operazioni avessero una notevole importanza strategica per l’esercito tedesco, in quanto rappresentavano le aree di collegamento della Germania con l’Italia e con i Balcani. La riconquista del Sudtirolo rispondeva poi a un’aspirazione del nazionalismo tedesco, mentre al litorale sarebbe aspettata la tradizionale funzione di penetrazione commerciale nel Levante. In Alto Adige i tedeschi vennero accolti come liberatori della popolazione entusiasta; nell’Adriatisches Kűstenland il supremo commissario cercò di fare leva sulle nostalgie asburgiche di ampi settori di popolazione, nella quale il ricordo del forte dinamismo dell’economia portuale proprio negli anni precedenti alla crisi dell’estate 1914 era ancora ben vivo. Soprattutto il ceto imprenditoriale era interessato a condividere la prospettiva di un inserimento di Trieste nell’ambito dello spazio economico del Reich.
Nelle zone slovene venne ripristinata l’amministrazione in lingua slovena e il generale Leon Rupnik fu nominato sindaco di Lubiana; a Fiume fu nominato prefetto il croato Spehar e a Pola venne nominato viceprefetto Bodgan Mogorović. La stampa slovena fu diffusa oltre che a Lubiana, anche a Gorizia, vennero istituite trasmissioni radiofoniche in sloveno e riaperte classi scolastiche con lo sloveno come lingua di istruzione <254. La politica attuata dalle autorità tedesche nell’Adriatisches Kűstenland sortì alcuni effetti che si tradussero in scelte collaborazioniste di una certa entità sia da parte italiana che da parte slovena. A Trieste, i tedeschi insediarono un prefetto di propria nomina, Guido Coceani, ed un podestà, Silvio Pagnini. A Fiume venne designato dai tedeschi alla carica di podestà Riccardo Gigante, senatore fascista del Regno e già sindaco della città durante l’impresa dannunziana.
La situazione venutasi a creare sulle province ex austriache preoccupava molto i vertici del Partito Fascista Repubblicano che non mancavano di sottolineare al Duce la “crisi di fiducia” a cui stava andando incontro il partito nell’area giuliana e la subalternità e debolezza dell’apparato governativo italiano rispetto a quello germanico. In seguito a un colloquio avuto con l’Ambasciatore Rahn il 30 Novembre 1943, Alessandro Pavolini scrisse a Mussolini per informarlo dei suggerimenti e delle richieste ricevute da parte tedesca. Nelle lettere emergono i limiti della funzionalità del governo in queste zone e la critica dell’Ambasciatore tedesco alla scarsa organizzazione da parte italiana:
“Nella mezzadria italo tedesca dei poteri in Italia, mi sembra che la posizione dell’Ambasciatore Rahn sia quella di un uomo il quale va realizzando, non senza notevoli sforzi, la unità dei poteri per quello che riguarda la parte germanica e la concessione di agire con piena iniziativa da parte dei superiori organi in Germania (Fuhrer, Von Ribbentrop, Comando Supremo). Come succede in questi casi, al fine di persuadere tante autorità diverse, e non sempre avvezze alla collaborazione, della necessità di conferire a lui poteri direttivi unitari, egli è spinto a sottolineare le difficoltà, e le urgenze della situazione, del resto reali. Nell’esercizio di tali poteri di carattere straordinario egli porta poi, insieme con una indubbia energia e prontezza, un vivace temperamento incline al comando personale. E’ quindi logico che egli auspichi con impazienza un analogo coordinamento od una analoga unificazioni delle varie attribuzioni di parte italiana, in modo che a ogni “potere unificato” germanico corrisponda settore per settore un “potere unificato” italiano. I due poteri dovrebbero quindi agire di conserva, tenendosi sempre reciprocamente informati, con grande rapidità e con grande spirito di responsabilità e di iniziativa.
E’ forse inutile indagare, data la situazione, fino a che punto la imperfetta rispondenza funzionale che egli riscontra da parte italiana rispetto a questa sua concezione, derivi dalla deficienza di mezzi tecnici a nostra disposizione, o , talvolta, da un nostro più pacato e ambientato valutare i fatti di casa. Certo è che il periodo di trasferimento dei Ministeri, protrattosi oltre il previsto l’ostruzionismo di una parte della burocrazia e la dislocazione erratica degli stessi ministri causano questo sfasamento della funzionalità italiana rispetto a quella germanica. Il che obbliga e offre il destro a sostituirsi alla parte italiana nell’iniziativa; ovvero, porta ad iniziative italiane parzialmente contrastanti con piani germanici in corso.” <255
L’esigenza immediata che il Rahn rileva in proposito è che i ministri dovessero tutti risiedere presso il Quartier Generale o nelle immediate vicinanze, e di regola non muoversi; che avessero sul posto un sostituto che li rappresentasse a tutti gli effetti in caso di assenza, con piena capacità di prendere decisioni, e che avessero infine un rappresentante, con eguali attribuzioni, a Roma.
Solo una settimana prima, il Prefetto della provincia di Trieste, Bruno Coceani, aveva sollevato le stesse perplessità in una lettera indirizzata a Giovanni Dolfin, Segretario del Duce. Nel descrivere la situazione triestina all’indomani dell’armistizio egli ci offre diversi riscontri a quanto rilevato dall’ambasciatore Rahn. Coceani si lamenta della mancanza di comunicazione e di direttive precise da parte del Governo fin dalla sua nomina e dei dissidi interni al Partito Repubblicano Fascista di Trieste, che indebolivano la sua autorità e la sua credibilità di fronte all’alleato tedesco:
“Io mi sono deciso ad accettare l’ufficio di Prefetto, sollecitato dal Supremo Commissariato del Litorale Adriatico, nei giorni in cui a Trieste era stato designato dal nostro governo il Dr. Salerno, che avendo appreso durante il viaggio alla volta di Trieste alla radio la mia nomina sospese la sua venuta e poi per ordine preciso del Ministero degl’Interni venne ugualmente a Trieste per ripartire immediatamente senza prendere contatto malgrado gli avessi fatto esprimere il mio desiderio di vederlo. Sino a questo momento io non ho il riconoscimento del nostro governo e posso comprenderne le ragioni. E’ ovvio comunque che la Prefettura corrispondere con tutti i ministeri per quanto le è possibile.[…]
La mia situazione è resa ancor più difficile dall’atteggiamento preso dal Partito, di cui, nei primi giorni dopo l’armistizio si impossessò Idreno Utimperghe, il solo a Trieste che dopo il 26 luglio aveva mandato telegrammi di devozione a Badoglio a nome delle maestranze industriali e dei lavoratori del porto ed aveva fatto distribuire manifestini di adesione al nuovo governo. […] Certo è che il colpo di mano dell’Utimperghe a Trieste a tutti noto per il suo servile atteggiamento verso Badoglio, coadiuvato da un gruppo di discreditati è una vera iattura per il Partito e per la città.
Nutrivo la speranza che il Dott. Paolo Quarantotto inviato da Pavolini per risolvere la situazione potesse raggiungere una soluzione. E’ chiaro che questa scissione indebolisce la nostra posizione di fronte alle Autorità tedesche” <256.
Idreno Utimperghe dovrà lasciare l’incarico di Commissario della Federazione Repubblicana Fascista di Trieste il 2 dicembre 1943. Al suo posto verrà nominato Luigi Ruzzier, legionario fiumano classe 1893, affiancato da Italo Sauro, figlio dell’eroe capodistriano Nazario, e da Renzo Migliorino <257.
[NOTE]
236 M.Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale, cit., p. 245.
237 T. Ferenc, La questione nazionale nei rapporti tra il Movimento di liberazione sloveno e quello italiano, in AA.VV, Trieste 1941 1947, Ed. Dedolibri, Trieste 1991, pp. 57 74.
238 G. Fogar, Sotto l’occupazione nazista nelle province orientali, Del Bianco, Udine 1968, p. 28-48.
239 R. Pupo, Il lungo esodo, Rizzoli, Milano 2005, p.77.
240 Ivi, p.78
241 K. Stuhlpfarrer, Le zone d’operazione Prealpi e litorale adriatico 1943 1945. Ed. Libreria Adamo, Gorizia 1968, p.63.
242 Archivio Centrale dello Stato (d’ora in poi ACS), Repubblica Sociale Italiana (d’ora in poi RSI), Segreteria Particolare del Duce, Carteggio riservato (1943 1945), busta 13, fascicolo 60. Ordinanza e giornale ufficiale Commissario Superiore nella zona di operazioni del Litorale Adriatico Rainer, Trieste 15 Ottobre 1945, p.1.
243 In originale si osserva un errore di battitura che riporta la data del 26 Ottobre 1945.
244 E’ curioso notare come nel documento la dicitura in originale fosse “Littoriale adriatico” che viene poi corretto con un tratto di matita eliminando la “t” e la “i” in eccesso.
245 ACS, RSI, Segreteria Particolare del Duce, Carteggio riservato (1943 1945), b. 13, f. 60. Ordinanza e giornale ufficiale Commissario Superiore nella zona di operazioni del Litorale Adriatico Rainer, Trieste 26 Ottobre 1943, p.1.ss
246 Puppini in G. Rumici, Infoibati…cit., p. 24.
247 Il compito degli esperti della VOMI (Volksdeutsche Mittelstelle), l’organizzazione creata da Alfred Rosenberg, il teorico del razzismo, consisteva nell’individuare i puri ariani di origine germanica mescolati alla popolazione locale, selezionarli, attraverso l’esame dell’albero genealogico, lo studio delle correnti d’emigrazione, l’aspetto fisico e le misurazioni antropometriche e provvedere alla loro germanizzazione.
248 Queste popolazioni, chiamate dai tedeschi Gottscheer, arrivarono nel 1300 e contavano circa 26.000 persone alla fine dell’800. I Gottscheer avevano la possibilità di commerciare liberamente nell’Impero asburgico, pertanto erano conosciuti in tutto l’Impero e non solo. Tuttavia ancor prima della II Guerra Mondiale questa regione incominciò a spopolarsi a causa dell’emigrazione negli Stati Uniti e per il calo delle nascite. Iniziò il conflitto di nazionalità causa l’emigrazione di popolazioni slovene e croate e sotto il Regno S.H.S. ci fu una “slavizzazione” nelle scuole e negli uffici pubblici. In seguito l’Italia considerò quei territori come propri e cercò di trasferire persone dal sud Italia e dalle colonie; si pensò a degli scambi di popolazioni. Hitler il 26 aprile 1941 a Maribor pensò ad una “bonifica etnica” nella Stiria “germanizzandola” con i Gottscheer, con i tedeschi del Sud Tirolo e con l’espulsione degli sloveni; in alternativa i Gottscheer potevano essere trasferiti in Germania. Molti di loro, in effetti, finirono nei campi di lavoro e concentramento nazisti. Nel 1945 erano rimasti 3880 persone in quei territori, ma le autorità jugoslave distrussero definitivamente, negli anni cinquanta, le strutture dei Gottscheer. Vedi: relazione di R. Wörsdörfer, La fine dei Gottscheer, al Convegno Internazionale “Gli Esodi del Dopoguerra in Europa: aspettative e prospettive nel confronto fra giovani di seconda generazione”, Trieste 22 febbraio 2003.
249 Il 31 agosto 1941 venne firmato a Roma un’apposita convenzione stipulata fra i governi del Regno d’Italia e del Reich germanico per il loro trasferimento (circa il 97%). Tra i Gottscheer si formarono due gruppi contrapposti: uno contro ed uno a favore del trasferimento, a causa di una diversa concezione di “madrepatria”. Dal 15 novembre 1941 al 22 gennaio 1942 furono trasferiti in Austria e Germania, ma i loro beni furono comprati dall’istituto EMONA di Roma. Vedi: T. Ferenc, “Si ammazza troppo poco” Condannati a morte, ostaggi, passati per le armi nella provincia di Lubiana, Istituto per la storia moderna, Ljubljana 1999, p.5.
250 Nell’aprile 1942 furono classificati 7.753 elementi sloveni provenienti da ceppo tedesco da inviare nel distretto di Lublino in Polonia, perché questo territorio doveva diventare l’inizio di un grande corridoio germanico che si sarebbe esteso dal Baltico ai Carpazi. Con il documento firmato da Globocnik (capo delle SS del Litorale), dal titolo “Siedlung in Lublin” (Colonizzazione di Lublino) si attuarono queste colonizzazioni dal 21 luglio 1942 al 1 settembre 1943. Vedi: P. A. Carnier, Lo sterminio mancato La dominazione nazista nel Veneto orientale 1943 1945, Mursia, Milano 1982.
251 ACS, RSI, Segreteria Particolare del Duce, Carteggio riservato (1943 1945), b. 13, f. 60. Prefettura di Trieste, Norme del 10 novembre 1943, del Dirigente Ufficio Stampa Sezione II Propaganda, stampa e cultura (Lapper).
252 ACS, RSI, Segreteria Particolare del Duce, Carteggio riservato (1943 1945), b. 13, f. 60. Prefettura di Trieste. Riservatissima del 22 Novembre 1943, nr. 38
253 ACS, RSI, Segreteria Particolare del Duce, Carteggio riservato (1943 1945), b. 13, Atti Ministero dell’Interno. “Estratto di relazione dell’Ecc. Coceani Capo della provincia di Trieste
sulla situazione in cui si è venuta a trovare la stampa dal 9 settembre ’43 al 15 gennaio 1944 XXII, nella Venezia Giulia e particolarmente a Trieste.”
254 E. Collotti, Il Litorale Adriatico nel Nuovo Ordine Europeo 1943 1945, Vangelista, Milano 1974, pp. 48 ss.
255 ACS, RSI ,Segreteria Particolare del Duce, Carteggio riservato (1943 1945), b. 13, f. 17, Situazione province ex austriache, Lettera del 30 Novembre 1943 di Alessandro Pavolini a Benito Mussolini.
256 ACS, RSI, Segreteria Particolare del Duce, Carteggio riservato (1943 1945), b. 13, f. 17, Situazione province ex austriache, Lettera del Prefetto di Trieste Bruno Coceani a Giovanni Dolfin, Segretario del Duce, Trieste 23 Novembre 1943.
257 ACS, RSI, Segreteria Particolare del Duce, Carteggio riservato (1943 1945), b. 13, f. 17, Situazione province ex austriache. Agenzia Stefani nr.10 del 2 Dicembre 1943
Margherita Sulas, Il confine orientale italiano tra contesto internazionale e lotta politica: 1943-1953, Tesi di Dottorato, Università di Cagliari, 2013