Nella prospettiva italiana era importante mantenere un solido rapporto con la Jugoslavia

Il Memorandum di Londra del 1954, con la sua interpretazione volutamente ambigua, fu fondamentale per far calare d’intensità la disputa italo-jugoslava e per avviare una prima fase di distensione e normalizzazione dei rapporti. Con la progressiva internazionalizzazione dei processi economici, emerse con chiarezza la contraddizione e l’artificialità della separazione tra le due coste adriatiche, utile a soddisfare temporaneamente le esigenze politiche ma che ostacolava notevolmente gli interessi economici. Così ci furono serie di accordi bilaterali come l’accordo di Udine del 1955, che regolava il traffico di persone e merci fra la regione triestina e le zone limitrofe, l’accordo sulla pesca in Adriatico del 1958 e numerosi protocolli di cooperazione nel campo culturale e scientifico. La Jugoslavia era molto attenta ai rapporti con i partener occidentali, con cui, a partire dalla rottura tra Tito e Stalin, aveva mantenuto ottimi rapporti politici e ottenuto risultati altrettanto soddisfacenti in ambito economico. In particolare dimostrava il suo interesse verso i paesi membri della CECA, che rappresentavano un importante sbocco per l’export jugoslavo.
L’Italia rappresentava in questo contesto un attore privilegiato, non solo per la vicinanza geografica, ma anche in seguito alla crisi diplomatica avvenuta con la Repubblica Federale di Germania nel 1957. Belgrado, infatti, aveva riconosciuto la Repubblica democratica Tedesca, scatenando così l’irritazione di Bonn, e provocando in questo modo un’interruzione delle relazioni commerciali <23. Tutto ciò andava a vantaggio dell’Italia, che tra gli anni cinquanta e sessanta diveniva il mercato più importante per i produttori jugoslavi e il secondo fra gli esportatori. La Jugoslavia esportava in Italia soprattutto legno comune, legname da fuoco, carbone vegetale, prodotti metalliferi, bovini, equini, carni fresche e congelate. L’Italia, invece, vendeva sul mercato jugoslavo materie plastiche, concimi chimici, macchinari e componenti, autoveicoli, ferri e acciai laminati come visibile nella tabella 1 <24.I governi di Roma avevano sostenuto, insieme ad altri Paesi del Blocco occidentale, la riforma monetaria ed economica jugoslava con un prestito internazionale, ed il traffico nelle zone di confine arrivò a far registrare sette milioni di transiti individuali.

Nonostante il miglioramento delle relazioni economiche e commerciali, i rapporti politici tardavano ad avere un eguale progresso, poiché permanevo numerosi ostacoli, che non erano stati risolti dal MIL, ma solo temporaneamente congelati. Inoltre a partire dal 1953, in seguito alla morte di Stalin, l’Unione Sovietica e la Jugoslavia si avviavano verso un parziale riavvicinamento. Tale impostazione era fortemente voluta dal nuovo leader sovietico, Nikita Chrušcëv, promotore del processo di destalinizzazione, come testimoniato durante i lavori del XX Congresso del partito comunista sovietico nel febbraio 1956. Chrušcëv condannò duramente l’operato del dittatore georgiano e favorì la riconciliazione tra i due regimi comunisti. Grazie alla nuova leadership, l’Unione Sovietica riconobbe al socialismo jugoslavo il diritto di intraprendere una direzione autonoma, il che significava una presa d’atto di una buona dose di realismo politico, in contrasto con la ferma posizione ideologica caratteristica del regime di Stalin.
Nel maggio 1955 Chrušcëv si recava a Belgrado per testimoniare la volontà di riprendere buone relazioni bilaterali e in segno di pacificazione. Tale visita fu occasione per discutere di un’intesa per la cooperazione tra i due paesi e tra i due partiti, la quale fu conclusa a Mosca nel giugno del 1956 al termine della visita di Tito in Russia <25.
La ripresa delle relazioni bilaterali con Mosca permetteva a Belgrado di allontanarsi dalle potenze occidentali (da cui, però, rimaneva dipendente per gli aiuti economici e finanziari) e di acquistare credibilità verso i paesi del Terzo Mondo come modello di un socialismo diverso da quello sovietico. La Jugoslavia fu di fatto tra i pionieri del movimento dei non allineati, un gruppo di paesi che rifiutavano la logica della guerra fredda e promotori di una terza via in ambito internazionale, caratterizzata dalla condanna del colonialismo, dalla accettazione della coesistenza pacifica e della cooperazione internazionale, e dal rafforzamento del ruolo delle Nazioni Unite e del concetto di sicurezza collettiva <26.
Il riavvicinamento al blocco sovietico, la politica jugoslava in Africa e Asia, e la permanenza dei problemi irrisolti della questione adriatica, non aiutavano di certo i rapporti diplomatici tra Italia e Jugoslavia. Questo non vuol dire che in quegli anni fossero mancati i contatti politici, al contrario vi furono diversi incontri e scambi di visite tra alcune alte autorità politiche e istituzionali dei due Paesi. Nel novembre del 1959, il sottosegretario agli Esteri, Alberto Folchi, si era recato in Jugoslavia in visita ufficiale. Nel dicembre del 1960 il segretario di Stato jugoslavo per gli Affari Esteri, Koca Popovic, andò a Roma per incontrare il suo omologo italiano, Antonio Segni. Durante i colloqui, i due esponenti politici si ritennero soddisfatti dell’andamento e dei risultati della collaborazione economica. Tuttavia Popovic, tentò di sollevare il tema della provvisorietà della linea di demarcazione, a suo dire poco più di una “finzione giuridica”, che rischiava di influire negativamente sui rapporti bilaterali e creare reciproca diffidenza tra i due paesi.
Nonostante il governo jugoslavo avesse evitato di sollevare ufficialmente la questione proprio per non compromettere i risultati raggiunti negli altri ambiti della collaborazione adriatica, era evidente il desiderio di chiudere la questione della sovranità jugoslava sulla Zona B. Da parte italiana invece si era fermi nel ribadire la natura pratica e provvisoria dell’intesa del 1954. Segni ricambiò la visita nel giugno del 1961, e durante il suo viaggio a Belgrado ebbe l’occasione di incontrare il presidente Tito, con cui prese atto dei rapporti cordiali ormai stabiliti e del contributo che Roma e Belgrado stavano concretamente assicurando alla pace e alla stabilità europee. Infine nel giugno del 1962, aveva avuto luogo il viaggio ufficiale in Italia del vicepresidente della Federazione socialista jugoslava, Aleksandar Rankovic <27, il quale esprimeva compiacimento per la collaborazione economica, e rinsaldava la nascente amicizia tra i due paesi.
I rapporti bilaterali stavano progredendo nonostante i vari alti e bassi, chiaramente il tema economico e delle relazioni commerciali era sempre sullo sfondo, ma non l’unico motivo di avvicinamento, vi erano infatti anche considerazioni di tipo politico. Nella prospettiva italiana era importante mantenere un solido rapporto con la Jugoslavia affinché rafforzasse la sua posizione di non allineamento. Era fondamentale infatti evitare una serrata collaborazione con l’Unione Sovietica, in modo tale da poter salvaguardare la sicurezza del quadrante mediterraneo e meridionale dell’Europa occidentale <28. L’azione italiana non era finalizzata solo agli interessi nazionali, ma era da intendere nel contesto più amplio dell’intero campo occidentale. In questo modo l’Italia si dimostrava un partner affidabile agli occhi dei suoi alleati in una delicata fase di costruzione europea. Nell’ottica jugoslava, vi era l’opportunità di rilanciare la collaborazione con un’economia complementare come quella italiana. Inoltre era fondamentale instaurare un buon clima politica allo scopo di rafforzare le forze di sinistra italiane, certamente più attente e disposte verso le esigenze jugoslave. Nonostante avesse intrapreso un percorso autonomo nell’applicazione del socialismo, l’obiettivo di Tito era costruire una nuova internazionale dei partiti socialisti. Tito sapeva bene che negli stati europei esistevano forti componenti di sinistra, inoltre era cosciente dell’attrattiva ideologica del Movimento dei non allineati, che si presentava come unica via in grado di ridurre l’antagonismo che avrebbe potuto portare i due blocchi alla guerra e alla catastrofe nucleare. Belgrado era pronta a lottare per la pace e chiedeva il sostegno delle forze di sinistra di tutto il mondo, anche di popoli e Stati appartenenti a sistemi politici ed economici differenti. <29
In ogni caso gli sforzi compiuti da ambo le parti sul versante economico e politico non erano sufficienti a creare il clima politico necessario alla risoluzione delle questioni confinarie. Roma e Belgrado si erano limitati a concentrarsi sugli ambiti in cui vi era unanimità di vedute e di intenti, oltre alla possibilità di ottenere nel breve periodo condizioni vantaggiose per entrambi i paesi. La risoluzione dei problemi più gravi era stata volutamente rinviata, in attesa che maturassero tempi e condizioni più favorevoli. Ormai per le classi dirigenti di entrambi i paesi era difficile sostenere l’eredità storica di tale problema, con il peso dell’opinione pubblica e del nazionalismo endemico di parte delle società dei due paesi. Proprio per questo era importante essere cauti e procedere a piccoli passi, per non rischiare di mettere in pericolo i risultati ottenuti finora. In pratica si era determinata una sorta di variante adriatica della coesistenza pacifica, da un lato dettata dalla necessità di stimolare la crescita economica dei due Paesi e la stabilizzazione dell’area adriatica, dall’altro vi era la parallela impossibilità di porre fine al contenzioso territoriale.
[NOTE]
23 Zaccaria B., La strada per Osimo, cit., p. 24
24 Capriati M., Gli scambi commerciali tra Italia e Jugoslavia dal dopoguerra al 1991, in Botta F. e Garzia I., (a cura di), Europa adriatica. Storia, relazioni, economia, Roma-Bari, Laterza, 2004, pp. 165-173.
25 Pirjevec J., Il giorno di San Vito, cit., pp. 286 ss
26 Bucarelli M., La “questione jugoslava”, cit., p.33.
27 Bucarelli M., Aldo moro e l’Italia nella Westpolitik jugoslava degli anni sessanta, in Garzia I., Monzali L. e Bucarelli M. (a cura di), Aldo moro, l’Italia repubblicana e i Balcani, Nardò, Salento Books, 2012, p. 123 e ss.
28 Heuser B., Western «Containment» Policies, cit., pp. 200 ss.
29 Bogetić D., Nova strategija spoljne politike Jugoslavije 1956-1961, Belgrado, Institut za savremenu istoriju, 2006, p.45 e ss.
Stefano Fedele, La Questione Adriatica e le relazioni tra Italia e Jugoslavia dal Secondo Dopoguerra al Trattato di Osimo, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2022-2023