Nell’altro dopoguerra, aveva allora 18 anni, Piero Gobetti descriveva la stessa gravissima situazione

Fonte: Wikipedia

Come si è già avuto modo di annotare nelle pagine precedenti, negli anni a cavallo del 1920, più volte gli interessi degli Olivetti coincisero con quelli di Piero Gobetti. I loro ideali politici si incontravano infatti in diversi punti: nel considerare libertà e giustizia come valori innanzitutto morali, nella critica allo Stato centralistico e nella proposta di conferire più potere alle istituzioni locali, nel diffondere le proprie idee tramite le riviste, strumenti aperti e pluralistici, nell’assumere una posizione da élite culturale il cui compito è formare le masse a rendersi autonome per contribuire alla costituzione di una classe dirigente meritocratica.
Occorre comunque non sopravvalutare l’importanza della relazione: l’influenza del giovane e attivissimo intellettuale torinese nella formazione dell’ingegnere eporediese rientrava in un complesso di stimoli culturali e politici che con gli anni sarebbe andato irrobustendosi, e Gobetti vedeva negli Olivetti innanzitutto dei ricchi industriali che potevano finanziare le sue iniziative culturali. Dopo il primo convegno dei salveminiani, che aveva portato Adriano Olivetti ad aderire alla Lega democratica e ad abbonarsi a «Energie Nove», nel settembre 1919 Gobetti era infatti andato alla ricerca di finanziatori per avviare una terza serie di «Energie Nove», e tra i primi da cui si era recato vi era Camillo Olivetti 287. Un tentativo infruttuoso, dato che nel febbraio 1920 Gobetti dovette concludere le pubblicazioni della rivista.
Quando Camillo Olivetti aveva abbandonato la redazione de «L’Azione Riformista» e Adriano aveva recuperato le redini della rivista, Giacinto Prandi era quasi riuscito a distogliere il giovane dal desiderio di battersi a fianco dei massimalisti, facendogli studiare l’economia politica.
“Quando, nel 1920, diedi a sua insaputa, con Piero Gobetti la mia adesione al movimento per il rinnovamento democratico di Salvemini egli se ne addolorò, non per la scelta, ma perché io mi ero legato ancor troppo giovane e incapace di un giudizio completo, ad una determinata azione politica. Più tardi nel 1923 mi trovai con lui e mio padre nella redazione di un giornaletto riformista “Tempi Nuovi”. Fu un breve periodo, ché più tardi dovetti assentarmi per il servizio militare. Fu in quel tempo che ci trovammo un giorno in piazza San Carlo con Carlo Rosselli e Piero Gobetti a parlare la prima volta di un accordo per la fusione dei nostri tre settimanali che vivevano separatamente di vita stentata e avevano ciascuno delle istanze che andavano portate avanti”. 288
I ricordi di Olivetti erano inesatti, in quanto il «Non mollare», prima rivista fondata da Carlo Rosselli, benché scritta in gran parte dal Salvemini 289, nacque solo dopo il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925. Probabilmente egli si ricordava di un incontro avvenuto quando il fiorentino venne da Gobetti a Torino nel dicembre del 1922 o nel febbraio dell’anno successivo, poco prima di iniziare la collaborazione saltuaria con la «Rivoluzione Liberale» 290, sintetizzata dall’articolo “Liberalismo socialista” pubblicato nel giugno 1923 291. Sembrerebbe invece più probabile che Olivetti volesse semplicemente confermare che anch’egli aveva gravitato nella galassia politico-culturale che il martire dell’antifascismo aveva reinterpretato in chiave liberalsocialista 292.
Non v’è alcun dubbio che Rosselli e Gobetti avevano ridotto notevolmente la distanza tra socialismo e liberalismo, considerate fino allora come posizioni politiche antitetiche, e che stimolato dalle loro riflessioni Olivetti elaborò tra gli anni ’30 e il secondo dopoguerra una “terza via”, una soluzione intermedia che integrava i valori fondamentali delle due ideologie. Così come non vi è dubbio che nel ’23 gli Olivetti e Gobetti discussero per verificare se vi fosse la possibilità di rinnovare i progetti di collaborazione politica, editoriale, economica. Infatti, «Giannotto Perelli fu mediatore di un tentativo di fusione fra “Rivoluzione Liberale” e “Tempi Nuovi”, settimanale di politica, economia
e amministrazione, finanziato dal socialista Donato Bachi e Camillo Olivetti, che avrebbe consentito a Gobetti di aumentare le pagine della sua rivista, ma che questi rifiutò per non alterarne la fisionomia» 293.
I tentativi di avvicinamento tra le rispettive riviste avevano sempre trovato uno scoglio in Camillo Olivetti e nella sua testarda, ma giustificabile, volontà di intervenire nella direzione. Ulteriori elementi permettono di confermare che tra il giovane Olivetti e Gobetti vi era invece una comunità di intenti e che il primo riconosceva nel secondo una persona carismatica in grado di portare beneficio alla nazione, e che quindi andava seguito e sostenuto, non guidato.
“Per la seconda volta Piero Gobetti ha visto perquisita la casa, menomata la sua libertà personale e di pubblicista, sotto lo specioso pretesto di appurare se la Rivoluzione Liberale da lui edita e diretta, riceveva sussidi dall’estero […] Miserevole politica che vede in ogni avversario il sicario prezzolato, o finge di crederlo tale, per perseguitare, intimidire, fare tacere se possibile le voci inopportune. Al collega ed amico, la nostra solidarietà”. 294
Il prolifico direttore della «Rivoluzione Liberale», che stava proseguendo a gran velocità nella sua opera di sintesi tra posizioni politiche ed intellettuali apparentemente lontanissime come quelle di Gramsci e Einaudi, di Alfieri e Marx, aveva annunciato nel luglio del 1924, nel pieno della polemica nata dall’assassino Matteotti, la nascita dei “Gruppi della Rivoluzione liberale” 295. A Ivrea se ne formò subito uno su iniziativa di Pietro Zanetti, un amico di Adriano Olivetti, al quale avrebbe lasciato la direzione del gruppo eporediese nei mesi successivi 296.
Partendo per Parigi nel febbraio del 1926, Gobetti aveva affidato la direzione del «Baretti» allo stesso Zanetti, che intrattenne ottimi rapporti con Olivetti anche negli anni successivi alla morte del giovane editore torinese 297.
Quando il giovane eporediese sarebbe partito per gli Stati Uniti, nella seconda metà del 1925, occupato dalle visite delle grandi fabbriche americane, immerso nelle riviste e nei volumi di management, di economia e sociologia, avrebbe scritto ai genitori «potete mandarmi regolarmente la Rivoluzione di Gobetti?» 298.
Undici giorni prima di morire, il 6 febbraio del 1926, il giorno in cui lasciava Torino per Parigi, l’instancabile Gobetti scriveva sereno alla moglie Ada, nel suo francese incerto: «Si Adriano vient à Turin tu peut lui demander s’il nous envoyera pour les insertions faites et à faire une m. a Paris sans autres frais pour nous»299.
Ormai bloccato a letto dalla malattia, Piero Gobetti aveva bisogno di uno strumento agile per scrivere, una Olivetti M20 per rielaborare il pensiero del suo tempo e comunicarlo con l’energia che lo caratterizzava, e quello strumento poteva facilmente fornirglielo l’amico che da poco aveva iniziato a lavorare nell’industria di macchine per scrivere del padre Camillo, che da anni contribuiva alle sue riviste con le inserzioni – un metodo di finanziamento della cultura, di tipo do ut des, ricalcato su quello statunitense, che anche Adriano avrebbe adottato nel secondo dopoguerra.
E quando Gobetti era ormai morto nella sua provvisoria residenza parigina, il padre Giovanni Battista fu assunto alla Olivetti di Ivrea «per interessamento di Adriano» 300.
Dal punto di vista dei concetti politici, se Adriano Olivetti elaborò la propria proposta federalista e regionalista tra il 1918 e il 1920, influenzato dal padre e dalla Lega salveminiana, lo sviluppo nel secondo dopoguerra di quei principi politico-amministrativi nell’idea di Comunità non sarebbe stato estraneo alla “rivoluzione italiana” che Gobetti, in collegamento con l’«Ordine Nuovo» e il movimento operaio che infiammarono Torino nel “Biennio Rosso”, vedeva nello sviluppo dei poteri e dell’autonomia degli enti locali, in particolare del Comune, dove si riuniva una più razionale e determinata comunione di interessi e tradizioni 301.
«Nell’altro dopoguerra, aveva allora 18 anni, Piero Gobetti descriveva la stessa gravissima situazione: […] oggi i partiti si sono limitati a formule vaste e imprecise […] gli uomini rovinano i partiti e i partiti non aiutano il progresso degli uomini. 302
Il testo citato da Adriano Olivetti nel 1949 è “La nostra fede”, pubblicato quando Piero Gobetti era appena tornato dal convegno della Lega democratica dei salveminiani, il 5 maggio 1919, nel numero della sua «Energie Nove» in cui compariva il nome di Adriano Olivetti come abbonato sostenitore e che inaugurava la seconda serie della rivista 303.
È importante notare come Olivetti, che lottava nel secondo dopoguerra contro il monopolio della politica detenuto dai partiti, avesse deciso di citare – evento rarissimo nei suoi testi – proprio il Gobetti con il quale nel primo dopoguerra aveva affrontato lo stesso problema. Un legame ideale, un filo sottile, ma che Olivetti volle metter in risalto per sottolineare almeno due questioni. Innanzitutto che l’irrazionalità del monopolio partitico del potere, la partitocrazia, non era una sua scoperta del 1949, ma era un problema riconosciuto sin dall’avvento dei partiti di massa dopo la prima guerra mondiale. Egli voleva inoltre segnalare che la propria biografia politica iniziava proprio in quel 1919, nel segno del liberalismo morale e rivoluzionario di Gobetti 304.
287 «Noi siamo fatti per lottare e per vincere: giù le tristezze, le crisi, le malinconie; possono durare un attimo, non più poi la vita deve dominare. […] dunque avanti nella lotta, ?????? La rivista va bene. | Forse la stamperà il «Paese» [controllato dagli industriali Giovanni Agnelli e Riccardo Gualino] (quindi a prezzi buoni), in questi giorni sarò presentato all’amministratore del «Paese» per le inserzioni, poi andrò da Geisser, da Olivetti da tutti se occorre. E la rivista si farà. | Ho la collaborazione assicurata oltre a quelli che sai di Cesarini Sforza (uno dei più intelligenti liberali) Borgatta, Malavasi», GOBETTI, Piero, Nella tua breve esistenza: lettere 1918-1926, Ersilia
ALESSANDRONE PERONA (ed.), Torino, Einaudi, 1991, lettera 49, Piero a Ada, [Torino], 3 settembre [1919], p. 132; v. anche la lettera di Gobetti a Santino Caramella, 28 luglio 1919, in GOBETTI, Piero, Carteggio 1918-1922, Ersilia ALESSANDRONE PERONA (ed.), Torino, Einaudi, 2003, p. 66-68. Si veda anche NASSISI, Cosima, “Piero Gobetti e Tommaso Fiore”, in Piero Gobetti e gli intellettuali del Sud, Napoli, Bibliopolis, 1995, p. 289-328, dove è questione, tra il 1922 e il 1923, della ricerca da parte di Gobetti di un capitalista disposto a investire un milione di lire per le Edizioni Piero Gobetti.
288 OLIVETTI, Adriano, Abbozzo di autobiografia, cit.
289 cf. TRANFAGLIA, Nicola, Carlo Rosselli, Milano, Baldini Castoldi, 2010, p. 170. Infatti, ad essere arrestato per la pubblicazione del «Non mollare» sarebbe stato proprio lo storico pugliese.
290 cf. TRANFAGLIA, Nicola, Carlo Rosselli, cit., p. 100 e ROSSELLI, Carlo, “Per la storia della logica: (economia liberale e movimento operaio)”, in «Rivoluzione Liberale», a. 2, n. 6 (15 marzo 1923), p. 27-28.
291 ROSSELLI, Carlo, “Liberalismo socialista”, in «Rivoluzione Liberale», a. 3, n. 29 (15 luglio 1924), p. 114-116, che riprende id., “Liberalismo socialista”, in «Critica Sociale», a. XXXIII, n. 13, 1-15 luglio 1923, p. 203.
292 V. infra, p. 112. Nella bibliografia consultata su Rosselli e Gobetti non si trovano tracce di questo incontro con Olivetti.
293 Nota biografica su Giannotto Perelli, in GOBETTI, Piero, Carteggio 1918-1922, cit., p. 506. All’epoca Perelli era regolare collaboratore di «Rivoluzione Liberale» con la firma “un unitario” e “un lettore”. Donato Bachi era socialista nonché Presidente della Nebiolo, fabbrica che produceva caratteri tipografici; «focolaio di antifascismo è anche la casa di Donato Bachi, ragioniere in una casa di assicurazioni a Torino. Fu consigliere comunale (o assessore)», rapporto anonimo [in realtà di Pitigrilli, detto “Piti”, alias Dino Segre] del 9 aprile 1934, in ACS, Fondo Ministero degli Interni, Direzione generale di pubblica sicurezza, Divisione polizia politica, Fascicoli personali, b. 916, fasc. Olivetti Adriano.
294 “Il caso Gobetti”, «Tempi Nuovi», a. II, n. 22 (2 giugno 1923).
295 v. «La Rivoluzione liberale», a. 3, n. 28 (8 luglio 1924), p. 2.
296 cf. “Gruppi della Rivoluzione Liberale”, in «La Rivoluzione liberale», a. 3, n. 29 (15 luglio 1924), p. 116. Il “prof. P. Zanetti” di Ivrea fu il primo segretario del gruppo eporediese (cf. “Gruppi della Rivoluzione liberale”, in «La Rivoluzione liberale», a. 3, n. 45 (2 dicembre 1924), p. 184), poi assunse, con Manlio Brosio e Giuseppe Manfredini, la direzione dell’esecutivo dei gruppi, da quel momento guidati da Adriano Olivetti a Ivrea, Arnaldo Pittavino a Pinerolo, Giuseppe Gallico a Alessandria, Santino Caramella e Antonilli a Genova, da Basso e Bauer a Milano. Uomini i cui destini furono diversi, benché al Nord la maggior parte passò poi per l’esperienza di GL e al Sud si trovò a combattere tra le fila del Partito d’Azione; cf. intervento di Pietro Zanetti sul tema “La fine del Baretti” alla quarta lezione (Dal delitto Matteotti alle leggi eccezionali del 1926) del ciclo “Trent’anni di storia italiana (1915-1945)” avvenuta nel 1960 al teatro Alfieri di Torino, che si può ascoltare sul sito dell’Istituto Storico della Resistenza di Torino, in linea <http://metarchivi.istoreto.it/dett_documento.asp?id=10133&tipo=fascicoli_documenti> consultato il 18 gennaio
2013), e che è stato stampato come ZANETTI, Piero, “La fine del Baretti”, in Trent’anni di storia italiana. Dall’antifascismo alla Resistenza (1915-1945), Franco ANTONICELLI (ed.), Torino, Einaudi, 1961, p. 135.
297 «Le lettere di Adriano Olivetti, del 1932-1933, riguardano – curiosamente – un prestito che Zanetti avrebbe fatto al giovane industriale, in un “momento difficile, in cui sto per realizzare finalmente un programma al quale ho teso in un lavoro di quattro anni” e in cui “qualunque interferenza personale nei rapporti con mio padre poteva avere importanza decisiva”. I soldi furono poi puntualmente restituiti, come dimostra una ricevuta dell’anno successivo, ma un ulteriore prestito fu chiesto, a riprova della confidenza instauratasi fra i due», BELTRAMETTI, Giulia, “Tra alpinismo e antifascismo: Piero Zanetti (1899-1972), un esploratore del Novecento”, in «Percorsi di ricerca», n. 4, 2012 in linea <http://www2.arc.usi.ch/ris_ist_labi_working_papers_ra_2012_01-2.pdf> (consultato il 18 gennaio 2013), p. 7. La lettera citata è di Adriano Olivetti a Pietro Zanetti, Ivrea, 4 febbraio 1932, in Archivio di Stato di Torino (ASTO), sezioni riunite, Fondo Zanetti, Corrispondenza varia, scatola 5, fasc. 13.
298 Lettera di Adriano Olivetti alla famiglia, Boston, 17 agosto 1925, in OLIVETTI, Adriano, “Lettere dall’America (agosto 1925-gennaio 1926), in «Annali di storia dell’impresa», n. 12 (2001), p. 188. A questo riguardo, nell’archivio del Centro Gobetti di Torino sono conservate due lettere della Società Olivetti, su carta intestata, firma illeggibile, indirizzate alla Ditta Gobetti, Torino, 30 settembre 1925 e 14 ottobre 1925.
299 Lettera 292 in GOBETTI, Piero, Nella tua breve esistenza, cit., p. 642.
300 GOBETTI, Piero, Carteggio 1918-1922, cit., p. 491.
301 «Un altro fatto ci attesta il rinnovamento democratico: l’autonomia locale che si sta conquistando […] I socialisti dando battaglia e occupando qualche migliaio di comuni attueranno l’auspicata ribellione al centro. Creeranno il decentramento – una forma di governo locale – dato che dovranno governare […] Nel comune s’insedieranno operai, contadini e piccoli borghesi socialisti: così si eviterà la prima fase rivoluzionaria russa […] nel comune avverrà l’unità e la soluzione democratica (in ampio senso) dei problemi. Il comune reclamerà per sé la maggior parte delle funzioni e renderà inutile il colpo di mano per l’occupazione del governo centrale, che avverrà naturalmente e senza gravi scosse», GOBETTI, Piero, “La rivoluzione italiana. Discorso ai collaboratori di Energie Nove”, in «L’educazione nazionale», 30 novembre 1920, ora in id., Scritti politici, Paolo SPRIANO (ed.), Torino, Einaudi, 1960, p. 187-194.
302 OLIVETTI, Adriano, Per una civiltà cristiana. Fini e fine della politica, COMITATO CENTRALE DELLE COMUNITÀ (ed.), Movimento Comunità, Ivrea, 1949 (ristampato in Società Stato Comunità. Per una economia e politica comunitaria, Milano, Edizioni di Comunità, 1952, p. 131-174; in Fini e fine della politica. Democracy without political parties, Davide CADEDDU (ed.), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2009, da cui si cita a p. 7; in Democrazia senza partiti, Edizioni di Comunità, 2013).
303 GOBETTI, Piero, “La nostra fede”, in «Energie Nove», s. 2, n. 1 (5 maggio 1919), p. 1-8. Il passaggio citato da Olivetti è a p. 1-2.
304 Con un approccio però non idealistico: Olivetti lasciò nel silenzio dei tre punti tra parentesi quadre il passaggio in cui Gobetti si lamentava che i partiti non erano riusciti a tradurre in politica «l’idea centrale del socialismo […] delle dottrine democratiche […] del nazionalismo».
Marco Maffioletti, Piero Gobetti in L’impresa ideale tra fabbrica e comunità. Una biografia intellettuale di Adriano Olivetti, Collana Intangibili, Serie Tesi, Fondazione Adriano Olivetti, n. 31, 2016, pp. 107-112