Nerina non balla

A Lecco la ripercussione dell’8 settembre avviene come dovunque. L’annuncio dell’armistizio provoca nella città e nei paesi vicini confusione e incertezza sul futuro e sulla via da seguire: la popolazione si riversa nelle strade, le caserme sono disertate, si aspettano di ora in ora i Tedeschi che hanno già occupato Brescia e Bergamo e che stanno per presidiare Como e la frontiera svizzera.
In questa fluida situazione incomincia però ad emergere una ancor confusa presa di posizione da parte di quei cittadini, più sensibilizzati politicamente, che si erano già distinti nei 45 giorni del governo badogliano. A questo proposito afferma Giovanni Teli: <52 “Il 9 settembre, ad una riunione, partecipò Gaetano Invernizzi che, salito su un muricciolo, fece un discorso breve poiché c’era già in giro la voce dell’arrivo dei Tedeschi. Arrivarono alcuni compagni con una carretta carica di fucili e munizioni recuperati alla caserma Sirtori. Successivamente andammo in Devizzo e ricordo che c’erano anche Vera Ciceri e Andrea Castagna. Il giorno 10 cominciarono ad affluire dei prigionieri che erano fuggiti dal campo di concentramento di Grumello: c’erano alcuni Inglesi. Chi volle andare in Svizzera, li indirizzammo ai Piani Resinelli; altri rimasero, come il russo Nicola, un polacco, uno spagnolo. Poi il giorno 11 andammo in Erna…”
Gabriele Invernizzi, nell’articolo già citato, per quanto riguarda i fatti dopo l’8 settembre afferma solo <53: “Al 10 settembre, Brambilla e Pierino Vitali presero in consegna le armi depositate alla caserma Sirtori e con due autocarri uscirono a mezzogiorno asportando dette armi e indirizzandosi ai Piani Resinelli ove si formeranno le prime basi organizzate di partigiani”.
E ancora possiamo leggere nel Liber Cronicus di Acquate <54: “10 settembre ’43 – È corsa voce che i tedeschi erano a Calolzio in viaggio per Lecco. Molti fuggivano su pei monti. Anche i soldati che erano nelle scuole comunali di Acquate fuggivano tutti, ma per questa volta fu un fuoco di paglia”.
Da queste testimonianze si può pertanto dedurre che anche a Lecco accade ciò che accade in tutta Italia.
Innanzitutto vengono abbandonate le caserme: il V battaglione alpini, comandato dal Col. Varusio, che occupa la caserma Sirtori di Lecco, se ne va nella notte tra l’8 e il 9 e gran parte di esso ripara sulle montagne circostanti portando via le proprie armi; i soldati collocati nelle scuole elementari di Acquate, rimasti ad attendere ordini che non arrivano, verso mezzogiorno abbandonano la caserma portando ciascuno il proprio fucile e si rifugiano sul sovrastante Pizzo d’Erna.
[…] Fra queste azioni sono da notare quella del 10/1/1944, la quale ripropone la formazione ‘Cacciatori delle Grigne’, che nell’ottobre ’43 si era sfaldata; il rastrellamento del 22/1 contro elementi sfuggiti alla prima azione nemica dirigendosi verso le valli bergamasche: è da questi nuclei che nascerà più tardi la formazione garibaldina brg. Issel; infine, il rastrellamento del 12/2 contro il distaccamento della banda Spartaco, che infligge un grave colpo alla combattiva formazione e ne provoca lo sfaldamento.
Racconta Francesco Magni: <99 ”L’eterogeneità del gruppo di Trona (Pio X), benché fosse rifornito con continuità dalle basi di Introbio e Premana, si sfasciò alla fine di febbraio ’44 in seguito a una forte puntata dei tedeschi da Premana e Gerola. La capanna veniva distrutta da un apparecchio da bombardamento e poi incendiata. Rimasero solo in cattivo stato le mura perimetrali. La puntata avvenne precisamente il 12 febbraio, forte di 1 compagnia di SS e squadre della GNR (220 u.). Rimanevano in zona solo 7 uomini di nazionalità italiana al comando di Spartaco. Per impossibilità di rifornimenti, si spostavano in zona Deleguaggio, rimanendovi occultati per circa un mese”.
Con la primavera l’organizzazione acquista una certa consistenza e stabilità. Le difficoltà che si frappongono alla espansione del movimento resistenziale sono molte, non ultime il ricostituirsi a poco a poco, sotto l’ala protettrice dell’occupazione tedesca, delle strutture, o almeno parvenze di strutture, del governo fascista. Le questure, le prefetture ricominciano la loro attività in tutta l’Italia occupata, i podestà ritornano nei paesi, ma soprattutto s’insediano nella zona del Lecchese i militi della Guardia Nazionale Repubblicana, occupando con presidi le cittadine principali e rendendo di nuovo pressante la sorveglianza del potere fascista.
[…] Ma l’avvenimento che provoca la rottura nella situazione non ancora ben delineata è la proclamazione dello sciopero generale a livello nazionale del marzo ’44 e la prima rispondenza ad esso delle maestranze operaie: non c’è piccola industria, anche nelle zone di provincia più decentrate dove non si verifichi qualche ora di astensione dal lavoro. I motivi economici dello sciopero sono comprensibili: di tutto ciò che era stato promesso a novembre e dicembre, non era stato dato nulla, i supplementi alimentari non erano più concessi; in alcuni stabilimenti non era stato completato il pagamento del premio di Natale; il costo della vita continuava ad aumentare e con esso, la borsa nera. Altrettanto importanti i motivi politici: impedire il trasferimento di macchinari e l’invio di uomini in Germania, far cessare la produzione bellica e imporre la ripresa di quella civile, mettere fine alle repressioni.
Il 10 febbraio il Comitato segreto d’agitazione del Piemonte, della Liguria e della Lombardia, dirama un manifesto in cui, dopo aver specificato le rivendicazioni economiche, si chiede la cessazione di tutte le violenze contro gli operai. Si annuncia inoltre che il Comitato avrebbe ben presto chiamato i lavoratori allo sciopero generale. E lo sciopero viene proclamato il 1° marzo nelle maggiori città della Lombardia, del Piemonte e della Liguria.
Anche a Lecco si fa sentire il contraccolpo delle agitazioni in corso nelle maggiori città industriali: con qualche giorno di ritardo rispetto alle iniziative di Milano e Torino, in alcune fabbriche si attua lo sciopero bianco. Per organizzare lo sciopero, giunge a Lecco anche il vecchio sindacalista comasco Battista Tettamanti, che opera con Attilio Magni, Gabriele Invernizzi, Sandro Turba e altri. <102
Lo sciopero si attua il 7 marzo, a distanza di una settimana dall’inizio delle agitazioni a Torino.
Afferma Giovanni Teli: “Arriviamo quindi agli scioperi di marzo: non ci giunse stampa, ma si passava la voce. Gabriele Invernizzi ci disse che c’era qualche sciopero. Alle 10 si doveva sospendere il lavoro, ma soltanto per 10 minuti,
perché così era la direttiva. Ma qualcuno disse che si poteva farlo anche di più, e così si fece: arrivammo a mezzogiorno e gli operai erano ancora in sciopero. In conseguenza venne su parecchia gente fra le quali il Commissario e altri della Questura a incitare a riprendere il lavoro, perché ci potevano essere delle conseguenze gravi. A mezzogiorno alcuni andarono a casa, ma quelli dei turni continuarono lo sciopero, spontaneamente. Alle due rientrai al lavoro e li trovai ancora in sciopero. Io e Fumagalli andammo al reparto trafila, che era il più agitato, ad esortarli a riprendere il lavoro ma loro invitarono a scioperare anche chi entrava alle due, perché era convocata una riunione giù al Commissariato alle tre per far fuori la questione. Così lo sciopero continuò. Nel mio reparto abbiamo cominciato il lavoro subito alle due. Alle due e mezza arrivarono i tedeschi e i fascisti, e lì fecero carosello, e chi era fuori lo portarono via”. <103
[…] I gruppi di partigiani si danno la rudimentale organizzazione per bande: la banda Carlo Marx (banda Spartaco), già protagonista di azioni nei mesi invernali, è indiscutibilmente la principale e la più esemplare.
A capo di essa è ancora Spartaco, tornato in montagna agli ultimi del mese di marzo con altri uomini.
“Della Carlo Marx lui avrebbe dovuto essere il Comandante, ma quando è arrivato ai Barconcelli il Comandante designato da Milano, i ragazzi si erano affezionati a Spartaco e hanno preferito che fosse lui a comandare. E in aprile la sua formazione è la più efficiente di tutta la Valsassina: una trentina di uomini, Gianni vice-comandante, Costante commissario politico”. <107
Nessuna complessa gerarchia regola la vita della banda partigiana: l’unica forza di subordinazione e disciplina è quella che lega i componenti alla figura del capo. Egli, per coraggio e audacia, per abilità nei colpi di mano, vede indiscutibilmente riconosciuta la propria autorità. Nonostante l’assenza organizzatrice del Partito Comunista, il carattere politico di questa banda è orientato verso la più stretta osservanza dei principi comunisti e verso le manifestazioni più aperte di adesione a tale ideologia (stelle rosse sui berretti e sugli indumenti, fazzoletti rossi, saluto a pugno chiuso), dando prova di un’impronta che certo non favorisce una propaganda di massa della lotta.
Un altro gruppo di partigiani, di cui si aveva già avuto notizia nel mese precedente, si organizza sulle pendici delle Grigne; promotori di esso sono ex-ufficiali dell’esercito e da ciò deriva al gruppo un’impronta ben diversa da quella della banda Carlo Marx. Non è ben chiaro se tale raggruppamento si formi per diretto intervento degli ufficiali del Comando Militare di Lecco; in ogni caso tale formazione, che prende il nome di “Cacciatori delle Grigne”, si pone sotto la sua diretta influenza. La decisa affermazione di apoliticità nasce dal desiderio di differenziarsi dalla banda che sta acquistando sempre maggiore importanza. Contemporaneamente, nella zona della Val Taleggio, inizia a costituirsi un gruppo, denominatosi “Compagnia della Teppa”, che formerà poi il nucleo della 86a Brg. Issel; sul Legnone si organizza, sotto lo stimolo di Al, una formazione guidata da Leopoldo Scalcini (Mina), di Colico; in Val Gerola si fortifica la formazione di Vinci (Bill).
L’accresciuto numero degli uomini rende più grave il problema dell’armamento. Afferma Morandi: “Le unità che vanno mano a mano potenziandosi dal lato gregari, difettano sempre più dell’armamento e in particolare del munizionamento”. <108 Spesso per tale penuria non possono essere arruolati molti giovani che restano così ai margini delle formazioni, impiegati in lavori di diverso tipo. Tramite Alonzi, che tiene i contatti per la zona lecchese con il Comitato Regionale Lombardo, vengono rivolte a Milano insistenti richieste di aiuti, che solo in minima parte possono essere soddisfatte dai Comandi militari, pressati dalle numerose e contemporanee richieste rivolte loro dalle altre Brigate, che versano nelle stesse difficili condizioni.
Su questo problema di continuo bisogno di aiuti sia in denaro e vestiario, sia in armi, si innesta la questione dei rapporti con gli Alleati. Dopo una iniziale diffidenza, le promesse di aiuti finanziari e di lanci di armi e generi vari per condurre la lotta secondo gli obiettivi graditi ai Governi inglese e americano, non si fanno attendere. Si verificherà pertanto l’appoggio a quelle formazioni che più si dimostreranno vicine a questa linea e quindi un anomalo svolgimento degli aiuti.
Per il Lecchese già da gennaio-febbraio Alonzi informa che gli Alleati hanno chiesto precise informazioni geografico-militari sulle bande operanti nella zona. Da quel momento si incomincia a sperare nell’invio di aiuti e si preparano campi per ricevere i lanci. Ma è solo all’inizio di maggio che arriva il primo lancio alleato, sui piani d’Artavaggio <109: la frase annunciata da radio Londra è “Nerina non balla”, da tempo attesa, ma l’esito del lancio è deludente: 18 sten, un po’ di plastico e delle munizioni è tutto ciò che si riesce a recuperare.

[NOTE]
52 Testimonianza di Giovanni Teli, nell’inserto di “Comune di Lecco”, 1973, in occasione del trentennio del rastrellamento dell’ottobre 1943
53 GABRIELE INVERNIZZI, art.cit., pag. 1
54 Archivio parrocchiale di Acquate, Liber Cronicus 1943/44
99 FRANCESCO MAGNI, op. cit., pag. 6
102 GIANFRANCO BIANCHI, op. cit. ( Antifascismo …), pag. 115
103 Testimonianza di Giovanni Teli all’autrice
107 SILVIO PUCCIO, op. cit. , pag. 75
108 UMBERTO MORANDI, op.cit., pag. 28
109 UMBERTO MORANDI, op. cit., allegato N. 6
Marisa Castagna, La Resistenza politico-militare sulla sponda orientale del Lario e nella Brianza Lecchese, Tesi di Laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Anno Accademico 1974-1975, qui ripresa da Associazione Culturale Banlieu

Ai Piani d’Erna, alle spalle di Lecco, si svolge dunque il primo scontro a fuoco fra tedeschi ed una formazione partigiana in Lombardia, fra truppe alpine adeguatamente formate e fortemente armate. Lesito era comprensibilmente segnato, ma sarà alla vigilia dell’estate 1944 che avranno luogo i conflitti più cruenti della prima fase della resistenza lecchese
A Lecco il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) si costituisce solo nel novembre 1943, composto dai rappresentanti di tutte le forze politiche, dai comunisti ai cattolici; insieme a loro, un piccolo gruppo di persone aiuta come può la Resistenza: tra loro l’industriale Aldo Cariboni che già dall’8 settembre con Riccardo Cassin, ha dato una mano agli sbandati di Sommafiume.
Oltre a fornire armi, cibo e materiali ai ribelli nascosti in montagna, il CLN lecchese opera per formare delle squadre armate in città, chiamate “formazioni territoriali”, con lo scopo di sabotare vie di comunicazione e produzione industriale, di agevolare la fuga dei ricercati e, nel caso dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica), colpire direttamente il nemico.
Anche se non tutti i ribelli di Erna sono stati uccisi o catturati dai tedeschi (alcuni hanno raggiunto altri gruppi provenienti dalla Valsassina e dalla Val Gerola alla Capanna Grassi), un nuovo pericolo si affianca a quello nazista: la GNR (Guardia Nazionale Repubblicana), formata dopo l’8 settembre dal regime fascista “rinato” a Salò.
Anche al rifugio Pio X stazionano dei ribelli che presto si uniranno a quelli della Grassi: una quarantina di uomini in tutto, riuniti dopo che il 12 febbraio del ’44. Gli aerei tedeschi hanno bombardato il rifugio Pio X e pochi giorni dopo un gruppo di nazi-fascisti, circa 400 militari, raggiunge i ruderi del rifugio e lo radono completamente al suolo.
Con l’arrivo dei gappisti dalle città, ormai invivibili per loro perché ovunque ricercati, l’organizzazione partigiana si rafforza e matura: l’esperienza militare di molti comunisti che hanno combattuto la guerra civile spagnola sarà, come in altre zone d’Italia, fondamentale. Ordine, addestramento, vigilanza sono le mansioni di questa fine d’inverno.
In valle, nelle industrie belliche lecchesi, la vita si fa difficile. La produzione dura 17 ore al giorno, i tedeschi controllano tutto, la paura è forte, soprattutto di fronte alle minacce delle SS di deportare tutti in Germania; ma il 7 marzo, come nel resto del Nord dell’Italia occupata, i lavoratori incrociano le braccia: nessuna astensione vera dal lavoro (la deportazione era la risposta tedesca), ma scioperi bianchi, cioè essere presenti al posto di lavoro ma non lavorare.
E’ così in tutte le industrie lecchesi, dalla Bonaiti alla Fiocchi, dalla Badoni alla File, dall’Arsenico alle Acciaierie e Ferriere del Caleotto; ma il coraggio sarà messo alla prova: dei 24 deportati per attività antitedesche, solo 8 torneranno dai campi di concentramento nazisti.
Ma gli uomini, soprattutto i giovani, scappano dalle città per tornare in montagna: le ripetute chiamate alle armi del regime fascista sono disertate in massa e nel solo distretto di Como ben 1272 ragazzi su 1582 richiamati alle armi disertano tra marzo e aprile 1944.
Vengono ricostruiti i gruppi “Cacciatori delle Grigne” (apolitici) e la banda “Carlo Marx” (comunisti) anche se molti salgono sui monti non per combattere ma solo per non farsi arrestare o deportare o per espatriare nella vicina Svizzera neutrale.
La repressione è feroce e non risparmia neppure chi è sospettato di aver aiutato i ribelli: ne è l’esempio la triste vicenda di don Achille Bolis, arrestato a Calolziocorte, trasferito a Bergamo, poi alla sede delle SS all’Hotel Regina di Milano ed infine nel carcere di San Vittore dove una sera, ritornando in cella grondante sangue dopo l’ennesima tortura, morirà tra le braccia dei compagni di reclusione.
In montagna, il problema non è tanto quello dell’abbigliamento o del mangiare: le popolazioni sono vicine ai loro ragazzi e spesso anche i carabinieri chiudono uno o tutte e due gli occhi. Il problema sono le armi: qualche colpo di mano frutta pochi moschetti e qualche pistola, ma ci vuole di più.
Cominceranno a tarda primavera gli aviolanci alleati (il primo a maggio sui Piani di Artavaggio) ma spesso il vento disperde i paracadute ed è impossibile ritrovare tutto il materiale lanciato.
La prima banda ad agire è quella chiamata “Carlo Marx”, formata da comunisti e guidata da Spartaco: un gruppo di una trentina di uomini che comincia a tessere contatti con altri gruppi e a compiere azioni militari partendo dal proprio comando a Premana.
Sono piccole azioni, ma nella gente dei paesi rimane impresso il “rastrellamento” del 24 maggio quando i partigiani setacciano Casargo, Taceno, Primaluna e Introbio: già si parla di “zona libera della Valsassina” ma in realtà essi non fanno altro che controllare la zona compresa tra la Val Varrone e Introbio, senza per altro istituirvi (come in altre zone liberate, vedi Ossola o Montefiorino) né un governo né un’amministrazione.
Al contrario, a Lecco la situazione peggiora: i tedeschi hanno praticamente distrutto l’organizzazione clandestina, arrestandone sia i capi che i gregari.
La casa delle sorelle Villa rimane l’epicentro dell’organizzazione, attraverso la quale transitano decine e decine di ex-prigionieri che cercano di scappare verso la Svizzera: sono russi, slavi, sudafricani, inglesi. Non tutti però scappano: molti decidono di rimanere e combattere al fianco dei partigiani, come Zaric Boislav, un sottufficiale serbo, che con il siriano George Tigiorian diventerà una delle bestie nere dei nazisti a Lecco.
Tutto questo via vai di uomini di diverse nazionalità permette ai nazisti di infiltrare due ucraini che, carpita la fiducia dei comandanti partigiani, tendono loro una trappola: saranno arrestati e deportati tutti i leader della Resistenza lecchese così come le stesse sorelle Villa.
Redazione, I primi partigiani sui monti lecchesi, Vento d’Aprile, 11 febbraio 2014

La 55a Rosselli è comandata da un vecchio gappista, Spartaco Cavallini (“Spa”). È di Sesto ed è andato in montagna dopo gli scioperi della primavera del 1943 con un gruppo di operai della cintura milanese, Sesto S. Giovanni, Lodi, Monza. È rimasto nella zona dei Barconcelli (Premana) raccogliendo e radunando gli sbandati dell’8 settembre e i renitenti alla leva delle chiamate primaverili. Qui incontra Vando Aldrovandi (“Al”), intellettuale comunista mandato sui monti col compito di radunare gli uomini e formare le brigate. Sui monti della Valsassina circola anche “Mina”, un uomo di Colico, alla ricerca di un contatto con i partigiani. Inizialmente questi non si fidano di lui, ma “Al” fuga ogni dubbio. “Mina” diventa vice-comandante della Rosselli. Alla brigata si unisce anche Angelo Ganzinelli. Viene da Genova, ma i suoi genitori sono originari di Introzzo in Val Varrone e sa come muoversi su quei monti. In montagna arrivano anche alcuni vecchi antifascisti, come Angelo Villa (“Fiorita”) di Sesto S. Giovanni, Giuseppe Trezza (“Pep”) di Lodi, i fratelli Renato e Ugo Cameroni di Dervio. Sono questi alcuni degli uomini che compongono il comando della brigata, dei suoi distaccamenti e dei suoi battaglioni. La 55a brigata Fratelli Rosselli fa parte della 2a divisione garibaldina con altre due brigate, la 86a Issel dislocata in Val Taleggio (una valle laterale della Val Brembana che confina con la Valsassina) e la 89a Poletti attestata sulle pendici del Grignone (Grigna settentrionale).
Gabriele Fontana, Partigiani verso la Svizzera: l’espatrio della 40a Matteotti e della 55a Rosselli attraverso il passo della Teggiola, Quaderni grigionitaliani, 78 (2009)

55^ Brig. Ass. Garibaldi “Rosselli”
Copia conforme del diario giornaliero del Distaccamento Carlo Marx (sino al 17/9/44)
Diario del I Btg. (dal 18/9/44 in avanti)
Venerdì 23-6-44
Ore 14.30 partenza da Taleggio <2 perquisizione della Casa della G.I.L.
Sabato 24-6-44
Recupero di n. 27 fucili e circa 1000 colpi. N 3 uomini lasciati sul posto; allarme per 24 ore.
Domenica 25-6-44
Spostamento del III Dist. sul tratto Premana-Piazzo <3.
Ore 7.15 si sentono i primi colpi dell’inizio del rastrellamento.
Inizio lo spostamento verso la Val Marcia <4 dove trovo i disarmati.
Molti compagni abbandonano le armi e se ne vanno per la loro strada.
Lunedì 26-6-44
Siamo sempre in vista di Premana.
Martedì 27-6-44
Tre camions carichi di tedeschi partiti da Codesino <5.
Mercoledì 28-6-44
Spostamento sulle Grigne.
Giovedì 29-6-44
Spostamento verso i Resinelli <6
Venerdì 30-6-44
Scendo a Lecco per vedere la situazione
Scorta viveri per il Distacc. […]
[NOTE]
3 Premana è in fondo alla val Varrone (Valsassina) e la si raggiunge da Piazzo.
4 Località nella zona di Premana, la si raggiunge da Piazzo
5 Località nei pressi di Margno, lungo la strada per Premana o Vendrogno
6 I Piani prendono il nome del proprietario, una facoltosa famiglia lecchese. Si trovano sotto la Grigna meridionale e sono un balcone sopra Lecco
Redazione, Franco Manzotti, Diario di guerra, Comune di Cinisello Balsamo