New Orleans, 1891: il linciaggio degli italiani

Fonte: I viaggiatori ignoranti

[…] New Orleans fu la prima città americana ad accogliere un grande numero di emigranti italiani, ancora prima che l’Italia fosse realmente una nazione. In questo contesto di povertà estrema, gli italiani spesso prendevano il lavoro dagli afroamericani che venivano liberati dalle catene dell’orrenda schiavitù cui furono soggetti per molti secoli. Durante la seconda metà del XIX secolo, a New Orleans si recarono molti siciliani grazie ad una rotta che collegava Palermo e New Orleans. Le comunità di emigranti italiani erano chiuse, e particolarmente isolate, perché la maggior parte di loro presumeva di lavorare qualche anno negli Stati Uniti prima di fare ritorno nell’amata isola. A New Orleans si sistemarono in un quartiere specifico della città che prese il nome di Little Palermo.

Fonte: I viaggiatori ignoranti

In questo ambiente prese vita la vignetta del quotidiano The Mascot, probabilmente come espressione di un’intolleranza verso l’emigrante italiano.
Analizzando la vignetta possiamo notare che si divide in tre immagini con altrettante didascalie. Nella prima parte si notato delle persone sedute su un marciapiede, definite come una seccatura per i pedoni, delle persone che dormono in una stanza affollata, definita come la loro camera da letto, ed un gruppo di uomini che litigano con coltelli e bastoni, analizzato come un passatempo pomeridiano.

Fonte: I viaggiatori ignoranti

La prima parte inferiore della vignetta disegna degli uomini in gabbia che altre persone stanno cercando di calare in mare da un molo, descritta come il modo di liberarsi di loro.

Fonte: I viaggiatori ignoranti

La seconda parte inferiore riporta dei poliziotti armati di manganello che arrestano gli italiani, definita come il modo di arrestarli.
La vignetta è un lampante esempio del sentimento anti-italiano che scorreva nelle vie di New Orleans. Purtroppo negli anni che seguirono la pubblicazione della vignetta accaddero importanti fatti di sangue nella città della Lousiana.
Uno dei primi fatti è noto con il termine di linciaggio di New Orleans. L’evento si verificò il 14 marzo del 1891, tre anni dopo la pubblicazione della vignetta razzista.
Cosa avvenne quel maledetto giorno di marzo?
Nel 1890 a New Orleans si trovava un cospicuo numero di italiani: su una popolazione totale della città di quasi 275.000 persone ben 30.000 (circa) erano italiani, e la maggior parte di loro erano siciliani. Purtroppo con gli onesti si spostarono anche i criminali. Sulle sponde del Golfo giunsero la mafia e la criminalità quotidiana. Non bastasse la delinquenza, a rendere ancora più forte il disprezzo degli americani verso gli immigrati furono le affermazioni di alcuni antropologi, Giuseppe Sergi, criminologi, Cesare Lombroso, e sociologi, Alfredo Niceforo. Questi studiosi diedero un’immagine arretrata del popolo italiano, soprattutto dei meridionali della penisola.
Nell’ambito della criminalità organizzata vi erano due famiglie che si contendevano il controllo della città: i Provenzano e i Matranga.
In questo contesto una scintilla fu sufficiente a scatenare l’incendio.

Fonte: I viaggiatori ignoranti

A seguito di un agguato ai danni dei Matranga da parte della famiglia rivale, iniziarono una serie di violenti scontri in città. Il sovraintendente della Polizia, Hennesey, decise di arrestare 2 membri della famiglia Matranga annunciando la propria intenzione di testimoniare a favore dei Provenzano durante un processo. Hennesey era personalmente legato alla stessa famiglia. La notte del 15 ottobre 1890 Hennesey fu raggiunto da alcuni colpi di fucili da caccia mentre tornava alla propria abitazione. Il poliziotto cercò di reagire sparando in direzione degli assalitori. Alcuni conoscenti, attirati dal rumore degli spari, cercarono di prestare aiuto e soccorso a Hennesey. Non ci fu nulla da fare. La polizia nei giorni seguenti interrogò quasi esclusivamente appartenenti alle famiglie italiane. Molti di loro furono arrestate malgrado fossero completamente estranee ai fatti di sangue. Alla fine della retata gli arrestati erano 19, tutti italiani. Undici di loro furono accusati di aver ricoperto un ruolo diretto nell’omicidio del sovraintendente. La stampa locale, già indirizzata nella direzione del razzismo verso gli italiani, e gli amministratori locali decretarono la colpevolezza degli arrestati ancora prima che un regolare processo fosse iniziato. Nel marzo dell’anno successivo, 1891, otto degli undici imputati furono giudicati non colpevoli, malgrado i biechi tentativi di costruire prove inesistenti. Gli imputati furono tenuti agli arresti in attesa di un verdetto che avrebbe ribaltato la sentenza precedente.
Il popolo di New Orleans si sentì tradito dall’esito del procedimento che fu giudicato come un processo-farsa. Il malcontento sfociò rapidamente nella violenza. Il sindaco della città, dal cognome illustre ovvero Shakespeare, definì gli italiani come “individui abbietti, più pigri, più depravati, più violenti e più indegni che esistono al mondo, peggiori dei negri e più indesiderabili dei polacchi”.
Fu come versare benzina sul fuoco della rabbia popolare.

Fonte: I viaggiatori ignoranti

Un gruppo di manifestanti si riunì in una piazza di New Orleans. Alla guida della folla vi era un avvocato, William Parkerson. La folla, armata e surriscaldata, si avviò verso la locale prigione dove erano trattenuti gli italiani. La polizia cercò d’impedire l’assalto alle celle utilizzando la diplomazia. Purtroppo il grande numero di persone e l’agitazione delle stesse comportò l’assedio degli emigranti italiani. Due furono impiccati sul posto, gli altri uccisi a colpi di fucile.
Le conseguenze politiche non si fecero attendere. L’ambasciatore italiano fu richiamato dal presidente del Consiglio, allora Antonio Starabba. A porre rimedio alla difficile situazione fu il presidente degli Stati Uniti, all’epoca dei fatti Benjamin Harrison, che decise per un risarcimento alle famiglie delle vittime italiane.
La cifra della vita di undici persone?
125.000 franchi.
Questo triste episodio non rimase isolato. Sempre in Lousiana, a Tallulah, nel 1899 furono linciati 5 italiani, tra cui tre fratelli, accusati di aver ferito il dottore del paese dopo che l’uomo aveva ucciso una capra appartenente ai fratelli.
Tra folla e follia l’unica differenza è una vocale.
Fabio Casalini, Il linciaggio degli italiani negli Stati Uniti, I viaggiatori ignoranti, 17 aprile 2018

Illustrazione apparsa sul giornale ‘The Mascot’ nel 1890: rappresenta l’omicidio del capo della polizia David Hennessy, ritratto in alto a sinistra Foto: Pubblico dominio Fonte: Storica National Geographic
Cinque vittime del linciaggio di New Orleans accusati in precedenza dell’omicidio di Hennessey. In basso si legge: «Presunti capi e bracci armati della mafia». Incisione di un giornale dell’epoca. 1891
Foto: The Granger Collection, New York / Cordon Press
Fonte: Storica National Geographic

[…] Tuttavia il motivo che innescò la rabbia della popolazione di New Orleans spingendola al massacro fu l’assoluzione della maggior parte degli undici uomini alla sbarra nel processo per l’uccisione del capo della polizia di New Orleans, David C. Hennessy, avvenuta il 15 ottobre dell’anno precedente. Come scrisse più di quarant’anni fa il pioniere degli studi italo-americani Richard Gambino: «Nei confronti degli italo-americani, il linciaggio di New Orleans fu allo stesso tempo un mezzo per limitare la loro affermazione, la partecipazione e le possibilità nell’ambito della comunità americana dell’epoca».
Dagoes!
Alcuni mesi prima del massacro, il 16 ottobre 1890, il capo della polizia metropolitana di New Orleans David Hennessy, irlandese di 33 anni, mentre si trovava per strada di ritorno da un saloon fu raggiunto da una raffica di colpi di fucile. Ferito all’addome fu portato in ospedale e sotto morfina disse ai medici: «Mi hanno tirato, ma io ho risposto. Ho fatto del mio meglio». Poche ore prima di morire, il poliziotto avrebbe trovato la forza di bisbigliare all’amico Bill O’Connor un importante dettaglio circa i presunti assalitori: «Dagoes». Quel bisbiglio fece scattare una retata che nella notte portò a centinaia di arresti nella comunità siciliana di New Orleans.
La xenofobia anti-italiana negli Stati Uniti di fine XIX secolo aveva confezionato per gli immigrati, in prevalenza provenienti dalle regioni meridionali, un’infinità di vignette e soprannomi infamanti. Erano «mezzi neri» che in un’ipotetica scala razziale stavano appena un gradino più in alto degli individui dalla pelle scura. Ma l’epiteto più diffuso ai loro danni era dagoes. Il termine dago indicava infatti l’accoltellatore e derivava probabilmente da dagger (pugnale), oppure secondo altri rimandava all’espressione «they go», ovvero «[finalmente] se ne vanno».
Ma c’è anche chi fa derivare l’espressione dal tipico nome latino Diego. A New Orleans il poliziotto Hennessy ebbe certo a che fare con i dagoes: aveva fatto arrestare un brigante siciliano e si era guadagnato la nomina a capo della polizia in una città corrotta. All’epoca due bande italo-americane – i Provenzano e i Matranga – si contendevano il controllo del porto di New Orleans e si diceva che il capo della polizia parteggiava per l’una o l’altra a seconda di chi lo pagava di più. Inoltre, la mattina in cui trovò la morte, Hennessy avrebbe dovuto testimoniare al processo per il ferimento del figlio di Charles Matranga. In molti sostenevano che il poliziotto fosse “a libro paga” dei Provenzano.
Caccia all’italiano

Vignetta satirica pubblicata sul periodico statunitense Puck il 25 marzo 1891. L’iscrizione recita: «Sopra ogni cosa. Le giurie codarde sono la prima causa del comando della mafia»
– Foto: Pubblico dominio – Fonte: Storica National Geographic

A seguito dell’uccisione di Hennessy la colonia italiana di New Orleans (30mila membri su una popolazione cittadina di oltre 242mila abitanti) fu messa in subbuglio con centinaia di arresti indiscriminati sulla base di informazioni estorte sotto maltrattamenti. Correva voce che per sgominare la cosiddetta “mano nera”, organizzazione mafiosa dedita alle estorsioni cui si diceva fossero affiliati i presunti assassini di Hennessy, il sindaco della città Joseph Ansoetegui Shakspeare avesse costituito un comitato segreto di vigilanza dai propositi bellicosi. Il processo si svolse in un clima infuocato e portò, il 13 marzo 1891, all’assoluzione o all’impossibilità di giudizio per insufficienza di prove a carico dei diciannove imputati dell’omicidio del capo della polizia. I fuochi pirotecnici illuminarono la notte della little Palermo, mentre sventolavano decine di tricolori.
La risposta di sessantuno cittadini tra i più influenti di New Orleans non si fece attendere: con un pubblico appello sulla stampa, «tutti i buoni cittadini» furono invitati a ritrovarsi la mattina del 14 marzo, alle dieci, «davanti alla statua di Clay, per prendere provvedimenti per rimediare al fallimento della giustizia nel caso Hennessy». Questi credevano infatti che la “setta mafiosa” cui appartenevano gli imputati avesse corrotto la giuria. A testa bassa e con in braccio fucili Winchester, il corteo partì in direzione della prigione locale, il cui portone venne scardinato e da quel momento iniziò una “caccia all’italiano”, cella per cella. Pare che il direttore, ormai incapace di difendere la propria prigione, consentì ai diciannove italiani prosciolti e in attesa di scarcerazione di disperdersi nell’edificio per cercarsi un nascondiglio, e sembra che suggerì d’introdursi nel reparto femminile.
Furono trovati in undici, giustiziati nei modi più barbari. Sei di loro, nel tentativo di scappare, raggiunsero di soppiatto il cortile ma furono sorpresi dalla squadra omicida che sparò da sei metri di distanza dilaniandone i corpi. Uno di loro respirava ancora quando un colpo a bruciapelo gli asportò parte del cranio. Un altro ancora in stato di semi-coscienza venne trascinato fuori dalla prigione e percorse sulle teste della folla diversi isolati, dopodiché venne impiccato a un lampione e crivellato di piombo.


Secondo l’iscrizione: «L’uccisione di sei italiani all’angolo della prigione Parish». Incisione apparsa su un giornale dell’epoca. 1891 – Foto: The Granger Collection, New York / Cordon Press – Fonte: Storica National Geographic

Nell’ultima impiccagione, questa volta a un ramo di un albero, il nodo si sciolse e il corpo cadde afflosciandosi per terra: «Fu una cosa orrenda e un gemito e un grido esplosero dalle migliaia di persone che vi assistettero – scrisse un giornalista – ma tre neri e una dozzina di bianchi issarono l’assassino in alto quanto consentiva la biforcazione del ramo. Il corpo non ebbe un fremito, né si mosse, né scalciò». Nell’assalto alle carceri trovarono la morte Pietro Monasterio, Joseph P. Macheca, Antonio Marchesi, Antonio Scaffidi, Emmanuele Polizzi, Antonio Bagnetto, James Caruso, Rocco Geraci, Frank Romero, Loretto Comitz, Charles Traina. Una pessima reputazione precedeva alcuni di loro, che avevano già diverse condanne penali alle spalle e non erano certo esempi di rettitudine in una città dove il malaffare era una costante. La cattiva fama delle vittime non poteva certo giustificare il massacro. Rischiando sulla propria pelle il console Corte si recò subito sul posto: «Vidi molti cadaveri appiccati agli alberi […] venni al consolato e tre neri si slanciarono contro di me e, per tenerli a bada, dovetti spianare il revolver». Su ordine del ministro degli Esteri italiano e capo del governo, il marchese di Rudinì, l’ambasciatore Fava inoltrò al segretario di stato Blaine una protesta formale invocando «misure energiche di protezione a pro dei regi sudditi; ed ho chiesto finalmente la punizione immediata dei colpevoli, autori, complici e istigatori del massacro».
Anche se uno specifico trattato stipulato nel 1871 tra governo italiano e il governo federale statunitense assicurava dal punto di vista della sicurezza e della protezione una equiparazione tra cittadini americani e italiani, i singoli stati americani godevano di autonomia legislativa. Se le autorità italiane chiedevano la punizione dei responsabili e un’indennità per le famiglie delle vittime, il governo federale era impossibilitato nell’immediato a dare risposte concrete. In breve, le leggi americane non consentivano al governo d’intervenire su un proprio stato e, al contempo, l’Italia non poteva chiedere al proprio interlocutore un’azione contraria alle proprie leggi. I rapporti si deteriorarono e, tra la fine di marzo e il mese di aprile, i due Paesi ritirarono i rispettivi ambasciatori.
I giornali statunitensi intrapresero campagne sensazionalistiche coronate da vignette antitaliane e fecero correre la voce che l’Italia stesse preparandosi a delle rappresaglie navali sulle coste americane. Di Rudinì e re Umberto venivano addirittura rappresentati mentre affilavano degli stiletti, tipica arma della mafia italiana secondo uno stereotipo abbastanza in voga negli Stati Uniti, preludio a una guerra contro lo “zio Sam”.
Il 5 maggio 1891 il Gran Giurì di New Orleans scagionò i responsabili del linciaggio adducendo la motivazione che non era possibile processare una città intera che aveva agito senza premeditazione. Considerata poi l’appartenenza delle vittime alla “setta mafiosa”, i giudici alzarono il tiro scagliandosi contro il governo italiano che «preferirebbe non aver a che fare con essi anziché curarsi della loro custodia e del loro castigo». La crisi diplomatica si sarebbe protratta fino al 9 dicembre del 1891 quando il presidente Benjamin Harrison nel discorso annuale al Congresso bollò il linciaggio di New Orleans come «un’offesa alla legge ed un crimine contro l’umanità». L’atto diede avvio alle pratiche risarcitorie per un totale di 125mila franchi a famiglia. Tuttavia il presidente si sentì di precisare che nonostante «l’offesa non sia stata inflitta dagli Stati Uniti, il Presidente ritiene che sia un solenne dovere».

Incursione dei cittadini di New Orleans nella prigione locale. 1891 – Foto: World History Archive / Cordon Press – Fonte: Storica National Geographic

Il problema della revisione della Costituzione degli Stati Uniti venne posto l’anno successivo dal senatore Dolph con una proposta di legge che prevedeva un ampliamento dei poteri del governo federale sulla giurisdizione dei singoli stati per quanto riguardava la protezione degli stranieri. La proposta non passò perché giudicata incostituzionale ma, come scrisse Fava «rimarrà sempre all’Italia il vanto di avere, per prima, attirata l’attenzione di questo governo su di una imperfezione della legge qui vigente, per quanto concerne i rapporti con le nazioni estere». Le scuse della città di New Orleans sarebbero arrivate 128 anni dopo, nel 2019, firmate dalla sindaca democratica LaToya Cantrell a seguito di una campagna per riparare a «una ferita di vecchia data» condotta da alcune associazioni italo-americane di New Orleans.
Per saperne di più
Richard Gambino, Vendetta. La vera storia del più spietato linciaggio in America, Sperling&Kupfer 1978.
Patrizia Salvetti, Corda e sapone. Storie di linciaggi degli italiani negli Stati Uniti, Donzelli 2003.
Enrico Deaglio, Storia vera e terribile tra Sicilia e America, Sellerio 2015.
Matteo Dalena, New Orleans, 1891: il linciaggio degli italiani, STORICA National Geographic, 14 marzo 2021