Non importa il mio nome

La piazza principale di Bobbio Pellice (To) in una foto d’epoca

[…] La notizia del giovane ribelle che, ferito a Chabriols, un borgo tra Torre Pellice e Bobbio – ultimo paese prima della frontiera con la Francia – è morto dissanguato trapela sotterraneamente, perché le spie sono dovunque, e i lunghi spari, dopo la mezzanotte del primo dicembre, hanno svegliato i paesi della piccola valle. L’assalto partigiano al presidio della milizia repubblichina di Bobbio ha scatenato il rastrellamento tedesco: i fascisti, assediati nella casermetta, hanno chiesto aiuto ai camerati tedeschi che, da Pinerolo, forti di un carro armato, un cannoncino, due autocarri carichi di truppa, risalgono la valle in cerca dei primi che si sono fatti ribelli, e che, al momento, non hanno altra organizzazione se non la loro rabbia: Renè (Renato Poet) che con la mitraglia è salito sul fabbricato di fronte alla caserma; Teju (Cesare Morel) che è riuscito a penetrare nel cortile; gli uomini della banda dell’Ivert che hanno scavalcato il muro di cinta e Ricou (Enrico Barolin) armato delle bombe a mano del gruppo partigiano della Budeina. […]

Tra i castagni della Val Pellice. I primi gruppi organizzati di “ribelli” presero nome dai borghi in cui trovarono il sostegno e l’ospitalità della popolazione

I tedeschi hanno lasciato la valle verso mezzogiorno del due dicembre 1943; ma i fascisti sono rimasti e reclamano la presenza della popolazione al funerale di uno dei loro, affiggendo i manifesti che chiamano al lutto pubblico per capopattuglia, anche da morto difeso da un mitragliatore piazzato accanto alla bara. Invece li vediamo arrivare, donne e uomini, i “barbetti”, così vengono chiamati gli eretici delle valli; disertano i funerali del capopattuglia e, in composto silenzio, danno il loro addio al ribelle che non è di queste valli, e di cui nemmeno i dottori dell’ospedale di Luserna, conoscono il nome e, pure, lo hanno vegliato dopo tre operazioni di amputazione alla gamba, facendo barriera perché nessun fascista osasse interrogarlo durante l’agonia. Del ribelle che fino all’ultimo ha ripetuto “non importa il mio nome”, (cit. Antonio Prearo, Terra ribelle, ed. Claudiana) noi abbiamo appreso che era nato a Torino il 10 ottobre 1919, figlio di Anselmo e Lina, che si era laureato in agraria nel 1941, che aveva scelto la Resistenza armata nella formazione che sarebbe diventata la V divisione alpina “Sergio Toia”.

Abbiamo appreso che non era il solo a portare il suo cognome: anche i cugini, Giorgio e Paolo, nati a Torino, l’uno nel ’20, l’altro nel ’21, avevano raggiunto la Valle Pellice partigiana, l’uno diventando comandante di un distaccamento di Giustizia e Libertà, l’altro, quello che la popolazione e i partigiani affettuosamente chiamavano “il dottore dai capelli rossi”, trovando la morte fascista, non lontano da qui, in località Cotarauta di Inverso Pinasca, l’11 ottobre 44. […]

E abbiamo appreso così che il primo Caduto partigiano delle valli valdesi è un “ebreo” espunto per effetto delle leggi razziali dello stato fascista da ogni diritto, considerato non-persona, che ogni buon cittadino di italica razza avrebbe dovuto denunciare all’autorità costituita, o, preferendolo, avrebbe potuto privatamente far fuori con un legittimo colpo di grazia, così non subire la presenza nefasta né il contagio di sangue infetto dell’ebreo nemico e straniero.

Annalisa Alessio, vice presidente Comitato provinciale Anpi Pavia, in Patria Indipendente, 31 ottobre 2019

 

Borgata Saben – Fonte: Sentieri partigiani cit. infra

Si costituì verso la metà di settembre al Saben, poco sopra Pra del Torno (gruppo di case a m 1040, sul fondovalle dell’Angrogna). Subito dopo le prime incursioni dei tedeschi (20 -22 Settembre 1943), il gruppo si trasferì per prudenza al Sap, località non lontana, ma più in alto (1410 m). Finalmente, verso la fine di ottobre, il gruppo (conservando il nome del Sap) si trasferì al Palai (luogo poco più alto del Sap, ma di più difficile accesso), che divenne la sua sede definitiva.
Fu il gruppo più eterogeneo, composto da una ventina di uomini, quasi tutti avviati in valle dal Partito d’Azione di Torino, dopo l’arruolamento al Caffè Italia (Torre Pellice), assai diversi per estrazione sociale: infatti vi si trovavano professionisti ed universitari, artigiani e impiegati, la cui convivenza non fu sempre facile. Il primo comandante del gruppo, che si impose con la sua forte personalità fu Sandro Delmastro, dottore in chimica. Alla fine di ottobre venne però richiamato a Torino dove fu uno dei più energici e audaci protagonisti della lotta clandestina. Delmastro cadde a Cuneo nell’aprile del 44.
Dalla metà di ottobre si avvicendarono al comando del Sap vari uomini: Alberto Salmoni, dottore in chimica; poi per pochi giorni Prearo e infine, dall’inizio di dicembre, Enzo Gambina, sottotenente di complemento caduto il 26/03/1944 al Gran Truc, per sfuggire al rastrellamento in Val Germanasca.
Tra gli altri componenti del gruppo ricordiamo: Giorgio Diena, ingegnere, detto “Giorgio D” oppure il “Biondo”; Sergio Diena dottore in agraria cugino del precedente; Ugo Sacerdote, studente in ingegneria; Paolo Diena studente in medicina fratello di Giorgio. In novembre salirono al Palai tre ex prigionieri alleati, due inglesi Tom Osborn e John, un minatore di Cardiff ed un contadino del Galles, e un australiano Philip Richard fattorino di magazzino. Di loro si occupò in particolare il professore Lo Bue.
Infine, in dicembre, si aggregarono al gruppo due russi prigionieri di guerra dei tedeschi, fuggiti da Villar Perosa con altri compagni quando un bombardamento angloamericano colpi la batteria antiaerea in cui prestavano servizio incatenati.
Verso metà novembre alla guida de il “Capun” (Antonio Prearo), il gruppo si trasferì dal Sap al Palai, alcune povere grange sovrastate da un massiccio roccioso, un luogo ironicamente definito “palazzo”.
Quale fosse la vita al Palai ci è suggerito dalle pagine di Terra Ribelle:
“… e come un nido d’aquila, penetrava nella grangia, accantonamento di ribelli, attraverso le troppe ed ampie fessure, il vento, che lassù sovente ulula con selvaggio furore. Quando si dormiva, se non si cacciava la testa sotto le coperte, svolazzavano sul capo i capelli e la polvere, ultimo residuo del materiale usato a cementare le pietre dei muri”.
Lì andavano “il Bove” (Lo Bue Francesco), il parroco di Pra del Torno, (Don Antonio Lantarè), il pastore del Serre (Aime Edoardo), amici dei partigiani.
Il comandante “Poluccio” Favout Paolo parlando del gruppo del Sap dice: “Era un gruppo eterogeneo che accomunava laureati, c’erano gli intellettuali ebrei, ragazzini della microcriminalità di Porta Palazzo, stranieri e poi un professore universitario moscovita e un mongolo calzolaio. Le loro postazioni erano quattro pietre e noi li consigliavamo di ripararsi, perché faceva freddo, pioveva. La gente di campagna sapeva aggiustarsi ma loro…. Erano bravi ragazzi, ma poco dotati di senso pratico”.
Secondo Prearo erano bravi solo a discutere: vivide sono le sue pagine che descrivono la dinamica dei due gruppi “avversi”, gli intellettuali ed i ragazzini, e sottolineano l’eterna diatriba tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra esperienza dei vecchi e supponenza dei giovani.
Di fatto tutti i ribelli del Sap lottavano fianco a fianco contro la fame, il freddo, la fatica… e mugugnavano, però erano pronti quando si trattava di lottare contro i nemico. Infatti ebbero un ruolo importante nel primo assalto alla caserma di Bobbio Pellice, perché costituirono un blocco contro i rinforzi provenienti da Pinerolo ponendo un ruvido e gigantesco tronco di castagno di traverso sulla strada ai Chabriols e difendendo a lungo la posizione. Contribuirono con la loro “emigrazione” in val Germanasca guidati da Gambina, a far nascere anche in quelle zone “la Resistenza” sotto la guida di Favout e Costantino.
Redazione, Gruppo del Sap (Angrogna), Sentieri Partigiani Val Pellice

La borgata Sap – Fonte: Sentieri partigiani già cit.

Autunno 1944, Balme di Rodoretto (val Germanasca). Enrico Poet con moglie, sorella e figlia [Archivio famiglia Serafino] – Fonte: e-review.it

Da sinistra: Alberto Salmoni e Bianca Guidetti Serra; ultimo a destra Primo Levi – Fonte: Palazzo Quirinale

In Val Pellice i primi gruppi organizzati di “ribelli”, tranne poche eccezioni, presero nome dalle borgate in cui trovarono rifugio e ospitalità all’inizio della loro esistenza. Nelle settimane successive all’8 settembre la principale attività di queste bande fu di recuperare, talvolta raggiungendo anche la vicina Val Po e la più lontana Val Varaita, quanto più materiale possibile dalle numerose caserme, casermette e polveriere abbandonate dall’esercito regolare.
Tra i gruppi più importanti che operarono in valle occorre ricordare quelli di Bobbio Pellice, di Villar Pellice e dei Chabriols. Il gruppo di Bobbio Pellice, comandato da Abele Bertinat e da Giovanni Gay “Gayot”, ebbe la principale base d’appoggio a Serre di Sarsenà, borgata a nord di Bobbio Pellice. A Villar Pellice sorsero invece numerosi piccoli gruppetti: alla borgata Bess, allo sbocco del Vallone di Subiasco, e alla borgata Bodeina si riunirono due squadre sotto il comando di Enrico Barolin e, per un breve periodo, di Antonio Prearo “Capun”. A Iraij era un altro gruppo al comando di Silvio e Alberto Baridon, mentre alla frazione Soura, all’inverso di Villar Pellice, un piccolo gruppo era comandato da Vittorino Giovenale e Ariolfo Charbonnier. Ancora: al Ciarmis, frazione allo sbocco del Vallone di Rospard, si costituì un gruppetto di contadini del luogo comandati da Enrico Bouissa “lou Maire”, detto anche “Ricou del Ciarmis”. Più a valle era il gruppo dei Chabriols, conosciuto come il “Ventuno”, dal numero di elementi che lo costituì, guidato da Renato Poet “René”, figura emblematica di comandante partigiano.
In Val d’Angrogna, alla Sea di Torre, sulla cresta divisoria con la Val Pellice, salì un gruppo di ex alpini comandati da Telesforo Ronfetto “Pot”, affiancato poi da Mario Rivoir. Il gruppo del Sap – il più eterogeneo – detto anche banda “Rosselli”, ebbe come suo primo rifugio la borgata Sabin, nel fondovalle della Val d’Angrogna, poco oltre Pra del Torno. Successivamente trasferì la propria base più in alto, appunto alla borgata Sap e poi al Palai, e il non facile comando fu affidato nei primi tempi a Sandro Delmastro, cui succedettero Alberto Salmoni, Antonio Prearo ed Enzo Gambina. Alle Case Bagnou, ai piedi del Monte Servin, si riunì il gruppo che – guidato da Paolo Favout – assunse un ruolo determinante nel corso della lotta partigiana: in esso militarono persone di solida formazione politica che avevano già svolto attività antifascista, ebbe funzioni di coordinamento tra le bande delle valli Pellice, Angrogna e Luserna, e contribuì in modo determinante alla nascita di gruppi partigiani nella vicina Val Chisone e, soprattutto, in Val Germanasca. Nella Val Luserna si erano intanto formati due gruppi: quello stabilitesi in località Ivert (Uvert), sopra Rorà, privo di una chiara collocazione politica e comandato da Lodovico Chiambretto “Gianni”; e quello di Valentino Martina “Tino”, in un primo tempo al Colletto dei Rabbi e poi a Rorà. Il gran numero di gruppi e la loro eterogeneità crearono notevoli problemi di organizzazione e, in alcuni casi, persino di convivenza. Si comprese per presto che solo coordinando gli sforzi si sarebbe potuto ottenere il miglior risultato dalla lotta comune e si sarebbe guadagnata la fiducia della popolazione civile. In quest’ottica venne istituito un comando unificato, e tra discussioni e molti contrasti si individuarono alcune figure di riferimento: Roberto Malan, coadiuvato da Paolo Favout, svolse un’importante opera di collegamento e coordinamento, mentre, almeno agli inizi, il comando militare fu affidato all’avvocato Vincenzo Giochino, ex ufficiale di complemento. Ad unire ancor più i vari gruppi contribuì la costituzione di un’unica Intendenza, alla quale tutte le formazioni dovevano fare riferimento e dalla quale tutte dipendevano per la loro stessa sopravvivenza. Infine, altra questione assai delicata fu la scelta del progetto politico di fondo e cioè, detto in termini molto semplicistici, se lottare per salvare la monarchia o per far nascere una repubblica. Il dibattito fu vivace e, per quanto dato sapere, in Val Pellice si concluse a favore di uno stato repubblicano e di un rinnovamento in senso democratico della società. Divenne inoltre evidente l’importanza politica e militare di mantenere costanti collegamenti e rapporti di collaborazione con le formazioni operanti in zone limitrofe. Grazie alla mediazione di alcuni contrabbandieri, già negli ultimi mesi del 1943 vennero effettuati tentativi per stringere rapporti con i maquisard. Fu Barba David, 65 anni, probabilmente uno dei contrabbandieri più anziani della valle, a propiziare il primo incontro tra i partigiani della Val Pellice e i “ribelli” francesi al Colle dell’Urina: per la Val Pollice partecipò Abele Bertinat, il comandante del gruppo di Bobbio Pellice, e per i gruppi del Queyras il maquis Woehri, comandante della Gendarmerie di Abries. Durante i successivi incontri si perfezionarono i dettagli di reciproca collaborazione, utile soprattutto nei momenti di maggiore pressione nazifascista. Al settembre del 1943 risalgono i tentativi di collaborazione militare e politica anche fra i garibaldini della zona di Barge e le formazioni G.L. della Val Pellice. Le due formazioni si scambiarono commissari politici per diffondere le idee e sviluppare il dibattito tra le diverse posizioni politiche; così, Emanuele Artom fu inviato fra le bande garibaldine a portare il pensiero del Partito d’Azione mentre Dante Conte si recò fra i gruppi in Val Pellice a esporre i programmi del partito comunista. Poiché né l’uno né l’altro ebbero un gran successo, gli scambi vennero presto interrotti. Il primo dicembre del 1943 veniva intanto compiuta la prima azione militare in Val Pellice: l’assalto alla caserma di Bobbio Pellice, occupata dalla Milizia confinaria fascista. La Milizia però, grazie ai rinforzi inviati dai comandi di Pinerolo, respinse l’attacco dei “ribelli”, catturò alcuni comandanti partigiani e ferì a morte Sergio Diena, della banda del Sap. Il destino volle che la lunga lista di morti in Val Pellice non si aprisse con un cattolico o con un valdese, ma con un ebreo: Sergio Diena morì il 2 dicembre 1943, a 24 anni, e venne insignito della medaglia d’argento al valor partigiano.
Sul finire del 1943 i partigiani garibaldini rifugiatisi sulle colline del Montoso furono investiti da un violento rastrellamento che provocò ingenti perdite. Per salvarsi, alcuni gruppi al comando di Vincenzo Modica “Petralia” ripararono in Val Luserna, dove poi si stabilirono definitivamente. A quel momento risale una sorta di suddivisione del territorio in due distinte aree: l’alta Val Pellice e la Val d’Angrogna alle bande di G.L, aderenti al Partito d’Azione, e la Val Luserna ai garibaldini. L’11 gennaio 1944 prese avvio il primo rastrellamento: una colonna di tedeschi, appoggiata da due aerei ricognitori, risalì la valle, furono bombardate le borgate di Sarsen e incendiate alcune case a Bessé, a monte di Bobbio Pellice. Forse informati da delatori, i tedeschi si accanirono in particolare sul Monte Castlus, perlustrandone minuziosamente il versante meridionale, a monte dei Coppieri e dei Chabriols. In effetti, lì si era rifugiato il gruppo del “Ventuno” che, per, evitò accuratamente qualsiasi contatto con il nemico. Sempre nel gennaio del 1944, mentre stava rientrando dalla Francia con un carico di contrabbando, un gruppo di quattro persone fu arrestato nei pressi del Prà. Tra essi anche due partigiani: Pietro Paolasso e Cesare Morel. I fascisti, pensando si trattasse solo di contrabbandieri, ne decisero il trasferimento a Pinerolo sotto semplice scorta di due militi e quattro carabinieri. Non appena si diffuse la notizia, un gruppetto composto da Sergio Toja, Dino Buffa, Gianni Mariani, Giovanni Nicola e Giulio Minetto si precipitò alla stazione di Luserna San Giovanni per salire sullo stesso treno dove già si trovavano i quattro prigionieri e la scorta. Alla stazione di Bibiana, Sergio Toja, armi in pugno, intimò la resa. Ne seguì una violenta sparatoria: Toja e due carabinieri rimasero uccisi, mentre i due militi fascisti e Mariani riportarono gravi ferite. Mariani continuò il viaggio fino a Pinerolo, quindi fu trasportato all’ospedale civile della città dove cessò di vivere il giorno successivo. Sergio Toja, cattolico, 20 anni, morì il 24 gennaio 1944: figura di spicco già prima dell’8 settembre e coraggioso comandante dell’Intendenza, il suo nome fu assunto dalla V divisione alpina G.L fino alla Liberazione; Gianni Mariani, valdese, 18 anni, morì il 25 gennaio 1944. Dopo la Liberazione, Toja verrà insignito della medaglia d’oro, Mariani della medaglia di bronzo. Nella seconda metà di gennaio le formazioni G.L. della Val Pellice decisero di trasferire parte degli uomini nella vicina Val Germanasca dove, almeno apparentemente, gli eventi seguiti all’8 settembre furono vissuti in modo distaccato. Le bande della Val d’Angrogna considerarono l’opportunità – politica e militare – di inviarvi propri uomini: a quelli del Bagnou si aggiunsero elementi provenienti dagli Ivert, dalla Sea e dal Sap.
Il trasferimento ebbe inizio il 25 gennaio: una quarantina di partigiani superarono la cresta che dal Gran Truc scende sul Colle Vacera e quindi la Costa del Lazzarà raggiungendo Turinetto, dove si accamparono per qualche giorno. Di lì proseguirono fino a Prali, neutralizzarono la scarsa guarnigione e vi si stabilirono definitivamente. A metà febbraio giunsero altri partigiani. L’operazione assunse dimensioni superiori al previsto e la bassa Val Pellice rischiò di rimanere priva di uomini: dopo il trasferimento in Val Germanasca, ben poco rimase dei gruppi del Bagnou, degli Ivert, del gruppo comandato da Tino Manina, di quello del Sap e di quello della Sea; la Val Luserna e la Val d’Angrogna si ritrovarono pressoché sguarnite: nella prima rimasero solo i garibaldini di “Petralia”, la seconda venne presidiata da pochi uomini. Intanto, il primo nucleo in Val Germanasca venne posto al comando di Roberto Malan. Successivamente in Val Germanasca giunsero ancora altri gruppi, guidati da Paolo Favout “Poluccio”, che diventerà comandante militare, prima di quella valle e della bassa Val Chisone, poi della brigata “Giustizia e Libertà” e, successivamente, della V divisione alpina G.L. “Sergio Toja”. Nel frattempo, per la notte del 31 gennaio si decise un secondo attacco contro la caserma di Bobbio Pellice. Il migliore coordinamento e esperienza maturata permisero il successo dell’azione militare: gli aiuti giunti da Pinerolo furono bloccati a rio Cros, dove si combatté violentemente, e la caserma fu espugnata consentendo la cattura di una quarantina di prigionieri. Nei giorni successivi i nazifascisti si accanirono contro la popolazione con azioni di rappresaglia che terminarono solo con lo scambio, al Piano del Teynaud, dei militi fascisti catturati dai partigiani con i civili presi in ostaggio dai tedeschi.
Dopo l’attacco, i fascisti lasciarono di fatto sguarnita la valle nei comuni di Villar e Bobbio Pellice, ed ebbe inizio quel breve periodo in cui la Val Pellice visse l’esaltante esperienza di “Italia libera”: la parte alta della valle, a monte di Santa Margherita, era stata liberata dall’occupazione nazifascista. Il periodo di tregua durò all’incirca un mese e mezzo, fino all’inizio dei rastrellamenti del marzo 1944 quando, alle prime luci dell’alba del 21, reparti di SS iniziarono a risalire le valli Pellice, Germanasca e Angrogna. Le formazioni G.L. in Val Pellice e quelle garibaldine in Val Luserna tentarono una disperata resistenza a Pontevecchio, alla Galiverga e a Villar Pellice, ma alla fine i partigiani ripiegarono in quota cercando scampo nei valloni laterali: i garibaldini in Valle Infernotto e in Val Po, le bande della Val Pellice nel Vallone di Subiasco e alla conca del Prà. Per queste ultime, l’unica possibilità di sopravvivenza fu quella di disperdersi in piccoli gruppi e cercare di nascondersi, sfruttando i luoghi naturali meno accessibili: i pertus (caverne, in genere di modeste dimensioni, con piccole aperture per comunicare con l’esterno), i bars (cenge, in genere difficilmente raggiungibili, poste nel mezzo di alte pareti rocciose; il più caratteristico sicuramente il Bars ‘dia Tajola, posto sotto la cima del Monte Castlus, il quale proprio perché troppo conosciuto, non venne utilizzato e le barme (luoghi riparati sotto rocce strapiombanti), che già furono utilizzati dai valdesi ai tempi delle persecuzioni religiose, divennero i principali luoghi di rifugio anche per i “ribelli”. Terminato il rastrellamento, il 16 aprile i reparti di SS stanziati a Bobbio Pellice lasciarono la valle. Il clima più disteso permise ai “ribelli” di costituire alcuni campi al Chiotas, alle Meisonette, alle Case Cassul, a Pian Pra, dove riorganizzare i gruppi. D’altra parte l’esperienza appena vissuta spinse ad abbandonare il progetto di liberare dall’occupazione nazifascista una porzione del territorio per la verificata impossibilità di riuscire poi a difenderlo. Si considerò invece l’opportunità di costituire una linea di difesa lungo le alture soprastanti Torre Pellice, con lo scopo di controllare da vicino i movimenti sul fondovalle e di garantire una certa libertà di movimento nelle zone più a monte. Tale linea si sviluppò lungo una direttrice che dalla Val d’Angrogna, attraversando la Val Pellice, si estese fino alla Val Luserna. Il fianco sinistro di questo schieramento fu disposto fra le località di Barf, Sea di Torre, Monte Castlus, Roccia Corp, Ciaplet, Vigna, Chabriois, per risalire quindi sul versante opposto della valle verso le cave Bruard, la Brus, Pian Pra e Rocca Roussa. Nell’estate del 1944 la situazione generale militare si era modificata su tutti i fronti, e all’orizzonte cominciò a delinearsi la disfatta dell’esercito tedesco. Nell’Italia centrale gli eserciti alleati stavano progressivamente guadagnando terreno e in giugno erano sbarcati sulle coste della Normandia, scendendo verso sud. Per i nazisti divenne di vitale importanza controllare tutti i valichi alpini per garantirsi la ritirata. Pertanto su tutto l’arco alpino occidentale i nazifascisti avviarono operazioni militari di vaste proporzioni per ritornare in possesso delle valli e controllare così le principali vie di comunicazione con la frontiera. Dal 20 luglio venne condotto un poderoso attacco in Val Chisone contro le formazioni autonome di Marcellin e le bande G.L. di Favout, a fronte del quale l’1 agosto, a Pian Pra, in Val Pellice, per alleggerire la pressione i comandanti “Barbato” [Pompeo Colajanni], “Romanino”, Milan, Prearo e “Renato” decisero una comune azione di disturbo che prevedeva l’attacco alle caserme di Bibiana, Bricherasio e, eventualmente, di Cavour. L’operazione, iniziata nella serata del 3 agosto, non ebbe esito positivo: al contrario, diede inizio a un imponente rastrellamento che tra il 4 e il 10 agosto investì l’intera valle e la zona di Montoso. Il risultato, nonostante fosse stato in precedenza studiato un piano di difesa, fu il completo sbandamento del fronte partigiano: in quattro giorni i nazifascismi raggiunsero il Prà, e in quelli successivi un reparto di SS ucraine – i cosiddetti “mongoli” – si insediò a Villar e a Bobbio Pellice dimostrando nei rapporti con la popolazione ancor più ferocia e crudeltà degli stessi nazisti. Il nuovo quadro, con i tedeschi (dal settembre coadiuvati da alcuni reparti di alpenjaeger) a presidiare la testata della valle e i maggiori centri abitati per controllare saldamente e a qualunque costo le vie di comunicazione verso la Francia, determinò una svolta radicale nel modo di concepire la lotta partigiana. Per evitare ulteriori sofferenze alla popolazione civile, e per cercare di diminuire la presenza nazifascista, in Val Pellice non furono più intraprese operazioni militari e, per quanto possibile, si evitò ogni scontro con il nemico. La lotta si spostò dalle montagne alla pianura, si passò cioè da una guerra basata sull’occupazione territoriale a una guerra di guerriglia. Furono costituite squadre caratterizzate da rapidità di attacco e agilità di sganciamento per ritornare a nascondersi nella macchia: piccoli gruppi, rapidi e decisi, per audaci azioni di disturbo e di sabotaggio contro magazzini e depositi, strade e ferrovie, ponti, centrali elettriche e fabbriche di interesse militare. Dal gennaio 1945 questi gruppi di sabotatori si organizzarono nel GMO (Gruppo Mobile Operativo), unità composta da squadre trasferitesi in pianura della V divisione alpina G.L. “S. Toja” e della IX divisione G.L. Della prima entrarono a far parte la brigata Superga “B. Balbis”, al comando di Bruno Cesan, la brigata Tanaro “G. Giayme”, comandata da Gianni Bandioli, e la brigata Dinamite “G. Augello”, proveniente dalla Val Germanasca e comandata da Adriano Lanzerotti, alle quali si unì il gruppo Celere “Aldo Brosio” della IX divisione. Il comando del GMO, che arrivò a contare oltre 1500 partigiani, fu affidato a elementi provenienti dalla Val Pellice: Riccardo Vanzetti, comandante, Giorgio Rolli, vicecomandante, Carlo Mussa, commissario di guerra, Marcello Paltrinieri, capo di stato maggiore. Nello stesso periodo la V Divisione Alpina G.L. “Sergio Toja” definì la sua struttura organizzativa. Il comando fu assunto da Paolo Favout “Poluccio”, con Roberto Malan commissario di guerra e Gino Ceccarini capo di Stato Maggiore. Essa fu composta da quattro brigate ciascuna a sua volta suddivisa in tre battaglioni. La Brigata Val Pellice “Peo Regis” comandante “René” Pöet e commissario di guerra Federico Balmas “Fredino”, la brigata Val Germanasca “Willy Jervis” (comandante Giovanni Costantino e commissario di guerra Archimede Modenese “Medino”), la brigata Vigone “Dino Buffa” (comandante “Meo” Demaria e commissario di guerra Giulio Giordano) e la brigata Intendenza “Lino Dagotto” (comandante Bruno Vaglio). Alla fine del mese di marzo si ebbe poi l’unificazione del comando delle forze partigiane nel Corpo Volontari della Libertà. Il territorio fu suddiviso in zone e la V divisione alpina cambiò la denominazione in XLV divisione alpina G.L. rientrando sotto il comando della IV Zona. Quest’ultima si estendeva dalla Val di Susa alla Val Pellice e al suo comando fu posto Antonio Guermani “Tonino”, con commissari di guerra Osvaldo Negarville per le formazioni garibaldine, e Roberto Malan per le formazioni G.L. Quest’ultimo, nel suo incarico di commissario di guerra della V divisione alpina, fu sostituito da Aldo Guerraz “Verdi”. Frattanto, fin dal settembre del 1944 i partigiani rimasti in Val Pellice avevano iniziato a proteggere la popolazione civile contro i soprusi quotidiani dei nazifascisti appoggiando le giunte comunali clandestine e facendo rispettare le leggi e i regolamenti da queste emanati. Fino alla Liberazione in valle non si ebbero più scontri armati di una certa importanza, se non sporadiche scaramucce, atti di vile rappresaglia e incursioni di repubblichini. Nel marzo 1945 le truppe tedesche furono sostituite da tre compagnie di bersaglieri della divisione “Littorio” e da due compagnie di soldati austriaci, che proseguirono nell’opera di fortificazione della valle. Ma il temuto scontro con le truppe alleate, attestate al di là del confine, non avvenne e il 23 aprile le truppe dislocate in Val Pellice ricevettero l’ordine di abbandonare le posizioni. Durante la ritirata verso la pianura, ostacolata e rallentata dai partigiani, perse la vita la staffetta partigiana Jenny Cardon, sorpresa e catturata dai tedeschi durante uno degli ultimi combattimenti, poi decorata con la medaglia di bronzo. Il 26 aprile tutti i reparti tedeschi erano ormai concentrati tra gli Airali di Luserna San Giovanni e Torre Pellice, pronti ad abbandonare la valle; da parte dei “ribelli” si tentò ancora di negoziare la resa incondizionata, che venne comunque rifiutata. Il 27 aprile iniziò l’ultima battaglia. L’obiettivo dei partigiani era quello di tenere impegnati gli avversari e impedire loro di ripiegare su Torino per unirsi agli altri reparti. Durante tutta la giornata, le autocolonne nemiche furono colpite e disturbate dai colpi di mortaio da 81 mm dei “ribelli”. La ritirata dei nazifascisti, incalzati sempre più da vicino dai garibaldini della Val Luserna e dai G.L. della brigata “Val Pellice”, col trascorrere delle ore si trasformò in una fuga disordinata. Alle ore 21 del 27 aprile i partigiani ebbero ragione delle ultime resistenze ed entrarono in Torre Pellice: la Val Pellice era liberata.
Redazione, G.L. e Garibaldini in Val Pellice, La Resistenza nel Pinerolese, Comune di Pinerolo (TO)

Dopo la costituzione in Val Pellice dei primi gruppi partigiani, in particolare a Bagnau, nel dicembre 1943 un primo rastrellamento tedesco spinse molti di loro a cercare rifugio nelle valli circostanti e ciò diede origine ad una prima suddivisione del territorio tra le diverse formazioni. I gruppi vicini al Partito d’Azione si stabilirono nell’alta Val Pellice e in Valle Angrogna (di cui una parte a metà gennaio si trasferì in Val Germanasca), mentre le formazioni garibaldine si portarono in Val Luserna. Nel giugno 1944 le forze partigiane aumentarono considerevolmente il proprio numero e la propria organizzazione, giungendo anche a stampare ‒ prima sui monti e poi a Torre Pellice presso la tipografia “Alpina”‒ un foglio clandestino, “Il Pioniere”. Il controllo partigiano del territorio durò fino ai primi giorni di agosto, quando un imponente rastrellamento tedesco che costrinse le brigate a spostare i propri obiettivi verso la pianura, anche per evitare rappresaglie contro la popolazione civile. Nell’autunno, dunque, la maggior parte dei distaccamenti si trasferì in pianura, mentre in Valle rimasero poche squadre di Giustizia e Libertà, dislocate tra Torre Pellice, Bobbio e in Val d’Angrogna e i garibaldini della 105a in Val Luserna. Nei primi mesi del nuovo anno si costituì la V Divisione alpina “Sergio Toja”, composta da quattro Brigate, e il Gruppo Operativo Mobile, costituito principalmente da abitanti della Val Pellice, che in marzo confluirono nel Corpo Volontari della Libertà, entrando a far parte della IV Zona operativa del Piemonte, che si estendeva dalla Val Susa alla Val Pellice, e che fu liberata il 26 aprile 1945.
Redazione, Val Pellice Ecomuseo della Resistenza della Val Pellice, Memoranea