Non si trattava dell’unico distaccamento partigiano internazionalista in provincia di Savona

Pietra Ligure (SV): uno scorcio dell’Ospedale Santa Corona

Ai primi di settembre del 1944 sembrò per qualche tempo che la liberazione potesse essere vicina. Gli Alleati erano sbarcati in Provenza il 15 agosto, provocando un rapido crollo delle posizioni tedesche in tutta la Francia meridionale. Sembrava ora ragionevole attendersi un’offensiva generale degli americani attraverso i passi alpini, approfittando della stagione ancora clemente e dell’appoggio delle forti formazioni partigiane piemontesi e liguri, che certo non sarebbe mancato. Ma gli strateghi angloamericani avevano altri progetti: ritenendo prioritario l’attacco allo schieramento nemico tra i Vosgi e i Paesi Bassi, fermarono le loro truppe su una linea che lasciava il confine franco – italiano e l’intera valle del Roia saldamente in mani tedesche. Siffatta scelta, forse opportuna dal punto di vista militare, condannò tutto il Nord Italia ad un nuovo inverno di occupazione, ma, probabilmente, gli evitò le immani distruzioni causate dai combattimenti nel resto del Paese. Nel clima di fibrillazione di quei giorni, alimentato ad arte dalla trionfalistica propaganda di Radio Londra, i partigiani imperiesi della Prima Zona ligure, credendo fosse giunta l’”ora x”, abbozzarono una calata insurrezionale sui centri della costa che venne stroncata sul nascere da un vasto rastrellamento tedesco talmente tempista da risultare sospetto <1.
I savonesi, meno numerosi ed organizzati oltre che più distanti dal fronte, continuarono la loro attività di guerriglia con il consueto vigore, ma senza esporsi in arrischiate azioni su grande scala. Dopotutto, lo stesso Comando Generale delle Brigate Garibaldi avrebbe rammentato pochi giorni dopo che “L’ora x è già suonata” <2 e che pertanto l’obiettivo principale dei partigiani non doveva consistere solo nel prepararsi ad una futura insurrezione, bensì nell’attaccare giorno per giorno il nemico senza mai concedergli tregua <3. A Savona come altrove, questa direttiva giunse a conforto di una linea d’azione ormai perseguita da mesi.
La tarda estate vide un contemporaneo fenomeno di rafforzamento quantitativo e qualitativo delle unità partigiane di montagna e di città e un serio indebolimento dei corpi armati della RSI: in particolare la divisione “San Marco” continuava ad essere falcidiata dalle diserzioni, come rilevavano le scarne note informative della GNR <4. Molti “marò” erano spinti a “tagliare la corda” dalle insistenti voci di un prossimo ritorno in Germania della divisione, tanto che il 14 settembre il generale Farina dovette intervenire di persona con un ordine del giorno rivolto ai suoi uomini che recitava testualmente: ”Le voci messe in giro sono false ed hanno l’unico scopo di far perdere la fiducia a quelli fra noi che sono più deboli. Io so che qualcuno ha perso la testa e, lasciandosi ingannare dalla propaganda avversaria, si è messo in condizioni di pagare con la propria vita il disonore e la stupidaggine di aver creduto ai traditori. La propaganda nemica e i traditori interni hanno ora di nuovo fatto subdolamente circolare la voce che i reparti italiani ritornerebbero oltr’Alpe, in Germania. Io sono uomo di parola e sono gran signore del mio onore e di quello della divisione “San Marco”. Malgrado tutte le debolezze già dimostrate, io do fiducia a tutti e assicuro che noi abbiamo il diritto e il dovere di rimanere tutti al nostro posto di combattimento. Nessuno dubiti. Nel territorio di guerra italiano noi continueremo fino all’ultimo a combattere” <5. Le rassicurazioni di Farina trovarono tuttavia orecchie sorde a qualsiasi richiamo, mentre le paure e le lamentele dei “sammarchini” erano oggetto della più sentita (ed interessata) comprensione da parte degli uomini e delle donne della Resistenza savonese. Un quadro realistico ed impressionante dello sbandamento attraversato dalla grande unità comandata da Farina è dato dal furibondo rapporto stilato dal generale tedesco Ott, ispettore dei gruppi di addestramento della Wehrmacht presso le divisioni dell’esercito della RSI, che il 16 settembre aveva fatto visita alla “San Marco”, riportandone un’impressione terribile. A detta di Ott, entro la metà del mese i disertori della “San Marco” erano già qualcosa come 1400 (il 10% dell’intera divisione!). Più in dettaglio, Ott notava come le diserzioni raggiungessero punte impressionanti (20%!) nelle truppe addette ai rifornimenti e nelle piccole pattuglie, mentre i reparti regolari parevano tenere in misura accettabile. Per ovviare a tale disastro, Ott avanzava una serie di proposte quali la sorveglianza di militari tedeschi su tutte le operazioni di rifornimento, fucilazioni, presa di ostaggi e invio di civili in lager per stroncare l’istigazione a disertare, un controllo meticoloso degli uomini che portasse all’eliminazione degli ”elementi cattivi” in particolare tra gli ufficiali e i nuovi arrivati, l’impiego del controspionaggio divisionale (sezione Ic) per la sorveglianza degli ufficiali e dei rapporti della truppa con i civili, un deciso attivismo nella lotta antiribelli per incoraggiare gli uomini, che dovevano comunque essere tenuti sempre impegnati, il ristabilimento di una disciplina ferrea e un attento esame del comportamento degli ex Carabinieri impiegati come polizia militare <6.
Tanta attenzione era pienamente giustificata dalle abnormi dimensioni del fenomeno e dalla crescente aggressività delle formazioni partigiane, che si erano ormai scrollate di dosso qualsiasi atteggiamento di tipo attendista. E se tra le aspre montagne liguri il pericolo era sempre in agguato, nel capoluogo e negli altri centri della costa la sicurezza era un fattore di giorno in giorno più aleatorio a causa dell’inarrestabile crescita organizzativa delle SAP, che aveva consentito il sorgere di nuovi distaccamenti e il rafforzamento di quelli esistenti, nonché l’estensione dell’area di attività dei gruppi sapisti. Le zone che videro svilupparsi nuovi nuclei SAP furono quelle ad occidente di Savona. A Quiliano, sede sorvegliatissima di ben due comandi reggimentali della “San Marco”, e nella frazione di Valleggia, sorsero a fine agosto i distaccamenti “Rocca” e “Baldo”, forti di un pugno di uomini ciascuno, ma validamente appoggiati dai civili. La zona di Quiliano era nevralgica per i garibaldini, perché da essa e dalla Valle di Vado passava la gran parte dei rifornimenti di armi e volontari destinati alla Seconda Brigata <7. Pullulante di spie, doppiogiochisti, disertori, staffette e delatori, il Quilianese divenne rapidamente un fulcro della guerra civile, e il clima di violenza che vi si instaurò a partire dall’estate permase ancora a lungo dopo la Liberazione.
Nella confinante area di Vado i sapisti, non ancora organizzati in brigata, ottennero in agosto e settembre notevoli successi nell’opera di reclutamento di “sammarchini” da inviare in montagna con armi e munizioni. A Porto Vado, a Sant’Ermete e nella Valle di Vado interi presidi, forti di decine di uomini, si squagliarono per le diserzioni e i continui attacchi dei sapisti finalizzati al recupero degli uomini <8. Come avveniva regolarmente in questi casi, una buona metà dei “marò” che disertavano si unì ai partigiani della Seconda Brigata; i restanti, dopo breve tempo, venivano lasciati andare sulla parola, e prendevano la strada di casa. In seguito al controllo sempre più stretto esercitato sulla zona a dispetto dei rabbiosi rastrellamenti, i sapisti furono poi in grado di creare addirittura un ospedaletto da campo per i garibaldini feriti, alloggiato in una stalla del paese di Segno <9. Se a Spotorno, sede del Comando generale tedesco per la Riviera di Ponente, l’attività dei piccoli nuclei ancora non formalizzati si espletava nell’accompagnamento dei disertori della “San Marco” al distaccamento “Calcagno”, a Finale e a Pietra Ligure operavano i distaccamenti SAP “Simini” e “Volpe” (poi “Fofi”), che il 28 agosto formarono la brigata “Perotti”. Questa unità nacque per coordinare i gruppi fondati da “Basilio” (Orso Pino), precedentemente organizzati come GAP, e poté subito fare affidamento sul personale dell’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure, attivo centro nevralgico della resistenza al fascismo repubblicano <10.
Per la Seconda Brigata il mese di settembre significò una lieve diminuzione dell’attività11 accompagnata da una rapida espansione degli organici. Infatti, stando ai documenti, non meno di 553 uomini risultano essere entrati a far parte dei vari distaccamenti garibaldini durante il mese in questione (e si trattò del dato mensile più elevato in assoluto) <12, anche se bisogna tener conto dei passaggi di volontari da un’unità all’altra. Almeno la metà erano disertori della “San Marco” <13, che andarono a formare il grosso dell’organico di tre distaccamenti, il “Minetto”, poi trasferito nelle Langhe alle dipendenze della 16a Brigata Garibaldi a metà ottobre <14, il “Bruzzone” ed il “Maccari”. Significativa è la quasi totale assenza di disertori della “San Marco” nei ranghi del distaccamento “Calcagno” in questo periodo: da un lato il “distaccamento modello” era già sufficientemente fornito di uomini atti al combattimento, dall’altro il suo accampamento fungeva sovente da centro di smistamento delle nuove reclute verso le altre unità garibaldine. In tal modo la “purezza” ideologica ed etnica (i volontari erano pressoché tutti di Savona, Vado e Quiliano) della “punta di diamante” del partigianato garibaldino savonese si manteneva intatta. Nel complicato e a tratti oscuro quadro della formazione dei nuovi distaccamenti riveste un certo interesse il caso del “Moroni”, che viene citato a partire dall’8 settembre 1944. Questo distaccamento si trasformò ben presto in un’autentica succursale ligure dell’Armata Rossa perché tra il 15 ed il 20 del mese vi furono incorporati ben 22 cittadini sovietici <15, soldati non più giovanissimi che con tutta probabilità servivano controvoglia nella Wehrmacht come Hiwis (Hilfswillige, ossia “volontari” reclutati nei lager in cui a milioni morivano di fame i prigionieri di guerra sovietici). Non si trattava dell’unico distaccamento “internazionalista”: anche il “Revetria” era ben fornito di russi, polacchi e perfino tedeschi ed austriaci antinazisti o più semplicemente stanchi di battersi per qualcosa in cui non credevano <16.
L’attività armata dei garibaldini, pur meno intensa che nel mese precedente a causa dei problemi organizzativi accennati sopra, si mantenne su livelli tali da perpetuare lo stato d’emergenza in tutta la provincia. In più, come vedremo in dettaglio, il raggio d’azione della Seconda Brigata si allargò a raggiera fin verso l’Albenganese, l’Alta Val Tanaro e le Langhe. I primi ad attaccare furono i volontari del neonato distaccamento “Minetto”, che il giorno 2 prelevarono il presidio “San Marco” di Pietra Ligure (19 uomini) con tutte le armi in dotazione <17, e i veterani del “Calcagno”, che ai primi del mese <18 piombarono di sorpresa con quattro squadre sul Semaforo di Capo Noli, ottenendo la resa di sedici “marò” e recuperando un ingente quantitativo di materiale. Tre giorni dopo il Comando Brigata corse un rischio gravissimo in seguito ad un’improvvisa puntata nemica. In piena notte un forte contingente misto (forse 200 uomini, probabilmente di meno) composto da SS e Feldgrau (polizia militare tedesca) con cani poliziotto scese furtivamente dalla cima del Settepani nel tentativo di sorprendere il Comando acquartierato presso la base del distaccamento “Maccari”, nelle vicinanze del paese di Osiglia, ma non riuscì ad eliminare le due sentinelle senza far uso delle armi da fuoco, e ciò consentì ai garibaldini di battere rapidamente in ritirata senza ulteriori perdite, ripiegando sul campo del “Nino Bori” dopo una lunga marcia di trasferimento <19.
Anche il “Revetria” sfuggì ad un rastrellamento compiuto dagli “Arditi” della “San Marco”, che ne incendiarono l’accampamento; poco dopo, rinforzato dalla squadra GAP del Comando Brigata, il distaccamento passò al contrattacco infliggendo serie perdite al nemico in ritirata <20. Entrambe le puntate nazifasciste erano ispirate ad una nuova dottrina della controguerriglia che prevedeva attacchi limitati ma improvvisi e frequenti in luogo di grandi rastrellamenti condotti con forze preponderanti ma poco mobili <21. In realtà la lotta antipartigiana fu poi condotta applicando di volta in volta il sistema più adatto in relazione all’importanza dell’obiettivo e alle forze a disposizione dei rastrellatori. Il 10 agosto un importante successo fu riportato dal “Giacosa”, che si impadronì di una polveriera tra Millesimo e Cengio catturando ben 43 “marò” e rastrellando armi e munizioni in quantità22. Il giorno successivo vide all’attacco il distaccamento “Bruzzone”, che guidato da “Ernesto” (Gino De Marco) e “Gelo” (Angelo Miniati) assaltò una postazione tedesca a Nucetto, in Val Tanaro, uccidendo due soldati <23. Il 14 fallì un attacco portato dal distaccamento “Rebagliati” contro il presidio di Calice Ligure <24: rimase sul terreno il partigiano “Falco” (Franco Leonardi, romano, classe 1925 <25).
Proprio a Calice era acquartierata la Controbanda della “San Marco”, un reparto specializzato nella repressione antipartigiana alle dipendenze del III° Battaglione del VI° Reggimento. Si trattava inizialmente di un centinaio di “marò”, scelti tra i più decisi e fanatici e comandati dal tenente Costanzo Lunardini coadiuvato dal sottotenente Fracassi <26. Armati ed addestrati in modo eccellente, gli uomini della Controbanda di Calice iniziarono subito un serrato duello con i garibaldini locali e in particolar modo con il distaccamento “Rebagliati”, che a più riprese pagò a caro prezzo la ferocia e l’astuzia di questi commandos, usi ad ogni atrocità e più volte travestiti da partigiani per ingannare i civili.
Il triangolo Finale – Melogno – Monte Alto divenne così uno dei punti focali della guerra civile nel Savonese.
[NOTE]
1. Per questa vicenda, tuttora piena di lati oscuri, vedi G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Genova, Cassa di Risparmio di Genova e Imperia – La Stampa, 1985 (3 voll.), vol. II, pp. 10 – 22.
2. AA. VV., Le brigate Garibaldi nella Resistenza, Milano, INSMLI – Istituto Gramsci – Feltrinelli, 1979 (3 voll.), vol. II, p. 334.
3. Ibidem, vol. II, p. 334.
4. G. Pansa, Il gladio e l’alloro…cit., pp. 213 – 214.
5. Ibidem, p. 214.
6. Ibidem, pp. 214-215.
7. M. Calvo, Eventi di libertà. Azioni e combattenti della Resistenza savonese, Savona, ISREC Savona, 1995, p. 245.
8. Ibidem, p.249.
9. Ibidem, p. 249.
10. Ibidem, p. 269.
11. R. Badarello – E. De Vincenzi, Savona insorge, Savona, Ars Graphica, 1973, p. 128.
12. Miei calcoli estrapolati da M. Calvo, op. cit.
13. Come sopra.
14. M. Calvo, op. cit., p. 95.
15. Vedi M. Calvo, op. cit., pp. 125-129.
16. Vedi Ibidem, pp. 113-117.
17. Ibidem, p. 65.
18. La data è incerta, ma sicuramente anteriore al 7: vedi M. Savoini “Benzolo”, op. cit., p. 98. La data dell’11 settembre riportata in F. Pellero, Diario garibaldino…cit., p. 31 è errata, tanto più che altri testi riportano la data del 1° settembre.
19. Cfr. G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 189, e R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., pp. 134 – 135.
20. G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 189.
21. Ibidem, ed. 1985, vol. II, p. 189.
22. Ibidem, ed. 1985, vol. II, p. 194.
23. Ibidem, ed. 1985, vol. II, p. 194.
24. F. Pellero, Diario garibaldino. Documenti della Resistenza armata savonese, Savona, Sabatelli, 1978, pp. 33-34. Altri testi riportano la data, probabilmente errata, del 1° settembre.
25. G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p.194.
26. M. Calvo, op. cit., p.395.
Stefano d’Adamo, “Savona Bandengebiet. La rivolta di una provincia ligure (’43-’45)”, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000

La collaborazione nelle fabbriche e in paese, tra i sapisti e i partigiani di montagna fu molto importante. Si rese addirittura indispensabile quando nel mese di agosto del ’44 arrivarono nella provincia di Savona i primi contingenti della Divisione di Fanteria di Marina San Marco al comando del generale Farina e la divisione Monte Rosa <176.
Molti antifascisti sapevano che tra le fila della San Marco e della Monte Rosa si trovavano molti giovani volontari che avevano accettato di vestire la divisa solo per sottrarsi ad un destino peggiore. Qualcuno di questi proveniva dai lager, altri erano stati rastrellati dalla città e dai paesi conquistati e posti di fronte all’alternativa di arruolarsi o di finire nei lager di sterminio in Germania. Ogni paese, Vado compreso, possedeva una lunga lista di operai e di cittadini espatriati: di essi molti non fecero più ritorno, alcuni finirono nei contingenti militari tedeschi <177.
Il C.L.N. aveva distribuito alle SAP dei volantini mediante i quali si salutavano i marinai della San Marco e si invitavano a non prestarsi ad una guerra fratricida. Anche il Fronte della Gioventù e la federazione del PCI si unirono nella campagna propagandistica voluta dal C.L.N. e con le proprie organizzazioni promossero iniziative tra la gente.
Il difficile compito di avvicinare i militari per incitarli a disertare, per informarli sugli esiti tragici della guerra, sul significato della lotta partigiana, era lasciato ovviamente ai giovani delle SAP, ma anche al Fronte della Gioventù e soprattutto ai gruppi di Difesa della Donna. Si trattava di un lavoro molto delicato, dai lati oscuri e pericolosi, a volte compromettente per l’insorgere di reazioni psicologiche.
Dalle testimonianze di alcuni interessati, dalle relazioni militari <178, questo lavoro si rivelò comunque importante ed ottenne una serie di successi. Ma con essi, e direi prima di essi, si dovettero purtroppo registrare dolorose perdite, in particolare quelle ricevute nell’agosto del ’44.
Ines Negri, giovane partigiana, tradita e arrestata mentre accompagnava i San Marco in montagna, nei pressi della Villa Faraggiana ad Albissola Mare, dai San Marco veniva legata ad un ulivo e fucilata il 16.08.’44.
I sapisti di Zinola Luigi Caroli, Santino Marcenaro, Francesco Rocca mentre accompagnano i disertori, traditi, venivano arrestati dalla G.N.R., condotti e fucilati a Quiliano il 28.08.’44.
Clelia Corradini, animatrice del Gruppo di Difesa della Donna di Vado, tradita, cadeva nelle mani dei San Marco, oltraggiata veniva poi uccisa a Vado presso il bastione S. Giovanni del forte San Lorenzo il 24.08.’44.
Con queste collaborazioni i vari distaccamenti SAP di Vado entrarono nel vivo della lotta e presto si proposero come veri e propri reparti militari costruendosi nelle colline dell’entroterra basi e rifugi mimetizzati e fornendo un servizio di grande supporto, mediante staffette proprie, al Comando SAP Divisione A. Gramsci, al Comando IVa Brigata D.Manin, e al C.L.N. IIa zona.
[…] La vita nel distaccamento Nino Bori intanto trascorreva fra esercitazioni, corvées, improvvisi trasferimenti che si dovevano fare per ragioni tattiche e difensive e scontri frequenti contro pattuglie tedesche. L’organizzazione era però migliorata con l’arrivo di nuovi volontari, con l’inserimento di un gruppetto di ufficiali russi in fuga dai tedeschi, e con la bravura del comando. Cionostante la vita di campo e gli impegni cui si doveva assolvere non si presentavano esenti dal rischio.
[…] Nonostante gli ultimi sconvolgimenti, il Revetria si manteneva ancora compatto e il 17 dicembre 1944, dopo uno spostamento a Prunetto, a Santa Giulia di Cairo, per effetto di un altro massiccio rastrellamento nemico, poteva rientrare nella zona di Calizzano per riprendersi meglio. Il reparto aveva subito perdite, diversi volontari erano caduti, fatti prigionieri, dispersi. In dotazione al reparto vi erano solo 18 uomini, tra i quali 5 polacchi e 2 tedeschi; ma il distaccamento sotto la guida di Michelangelo, pur nella sua esigua composizione, rimaneva saldo, in grado di superare ogni prova fino al 15 marzo 1945, data dopo la quale fu integrato da nuove forze di volontari e poté perciò meglio riprendere le sue attività.
[NOTE]
176 Gli antifascisti messi di fronte a questa ondata di arrivi di truppe nemiche subito diedero un giudizio globalmente negativo. Temevano infatti che la sproporzione di soldati, che già esisteva, facesse perdere ogni speranza a coloro che avevano da poco iniziato a lottare contro di loro. Più tardi il giudizio sui nuovi arrivati fu più misurato, anche alla luce delle nuove informazioni avute su quei soldati. Molti di essi erano giovani italiani che avevano accettato di vestire quella divisa per potersi sottrarre alla cattiva sorte; qualcuno addirittura proveniva dai lager per cui su di loro si poteva agire con una propaganda ben congeniata. Questo spiega perché alcuni partiti, come il partito comunista, ma anche il partito d’Azione, la Democrazia Cristiana, notoriamente avversi ai tedeschi, quasi subito si rivolsero ai militari della San Marco incitandoli a seguire l’esempio dei partigiani. Cfr. Appunti di G. Amasio.
177 A.C.V. Corrispondenze, plico n. 571.
178 Su questo argomento si consiglia la consultazione delle riflessioni in Appunti di G. Amasio.
Almerino Lunardon, La Resistenza vadese, Comune di Vado Ligure, Istituto Storico della Resistenza e dell’età Contemporanea della provincia di Savona, 2005