Non solo i partigiani leggono ‘il ribelle’, ma anche i fascisti

Fonte: fiammeverdibrescia.it

Nei mesi successivi all’8 settembre 1943 comincia a Brescia, come in altre città, la diffusione dei fogli clandestini. Sono per lo più ciclostilati, talora dattiloscritti, preparati in fretta e con mezzi di fortuna da operatori improvvisati. Lo scopo di questi fogli è quello di far sapere alla gente che c’è ancora chi non si piega alle imposizioni tedesche e repubblichine, dimostrando che si può smentire la stampa ufficiale e che le si può controbattere efficacemente.
Questi documenti sono animati da una forte carica ideale e hanno anche la funzione più concreta di mettere in guardia il popolo contro i pericoli dell’accettazione passiva dell’occupazione e, conseguentemente, di spingerlo a riconquistarsi la libertà.
A Brescia, nel novembre 1943, nasce Brescia Libera, un foglio ciclostilato che si assume un impegno di continuità, come viene dichiarato nel primo numero e successivamente fatto risaltare con l’adozione del motto: «Esce come e quando può». Al suo interno sono contenuti articoli di incitamento alla Resistenza e la cronaca dei fatti non trattati dalla stampa di regime, come l’andamento della guerra fra tedeschi e Alleati, il sorgere dei primi gruppi partigiani, la persecuzione dei nazifascisti contro di loro, l’oppressività dell’occupazione tedesca e le difficoltà del popolo italiano.
Gli articoli sono scritti da don Giuseppe Tedeschi, Laura Bianchini, Enzo Petrini; la cronaca è curata da Claudio Sartori con la collaborazione di Antonio Bellocchio, Ugo Pozzi, Angio Zane. Il ciclostile inizialmente è tenuto dai fratelli Rinaldini e della stampa si occupa Franco Salvi, fino a che non è costretto ad abbandonare la città, e successivamente Claudio Sartori. Di ciascun numero vengono tirate circa duemila copie e della loro diffusione di occupa un gruppo di giovani che le semina per le vie della città.
Dopo gli arresti del gennaio 1944 i superstiti, tutti più o meno già individuati dalla polizia, devono sospendere il lavoro o allontanarsi dalla città. Sartori, Petrini, don Tedeschi, Bianchini e Reginella si trasferiscono a Milano. Il gruppo di Brescia Libera prepara e diffonde altri fogli volanti soprattutto tra l’autunno del ’43 e i primi mesi del ’44 ma la sua eredità è raccolta da Il ribelle. Il bisogno di un foglio più completo, leggibile e attraente, non solo ciclostilato ma stampato, fa nascere in Claudio Sartori e in Teresio Olivelli, che si ritrovano a Milano, l’idea de il ribelle, che inizialmente dev’essere solo un numero unico per commemorare la morte di Lunardi e Margheriti e che deriva idealmente da Brescia Libera, di cui riprende il motto.
Un amico di Lunardi, Carlo Bianchi, convince il tipografo milanese Carlo Rovida a stampare i testi preparati da Sartori e da Olivelli. Il foglio è datato comunque Brescia, 4 marzo 1944 e viene tirato in quindicimila copie che vengono diffuse ovviamente in tutta la provincia bresciana a opera delle Fiamme Verdi, ma anche nei centri più importanti della Lombardia, del Veneto, del Piemonte e dell’Emilia, grazie alla rete del CLN e del CLV.
Il ribelle riceve consensi tali da spingere Sartori e Olivelli, a cui si aggiunge Enzo Petrini, a continuare il progetto. Il secondo numero è quello programmatico: Olivelli vi enuncia idee e propositi delle Fiamme Verdi di cui il giornale è il principale portavoce, ma dichiara allo stesso tempo che la discussione è aperta a tutti senza distinzione di classe o di partito, affinché si uniscano tutte le forze per la ricostruzione materiale e morale dell’Italia.
La redazione è composta per la maggior parte dagli stessi che collaboravano alla stesura di Brescia Libera. I principali collaboratori sono Teresio Olivelli (Cursor), Claudio Sartori (Pierino; P.; Giovanni; G.), Laura Bianchini (don Chisciotte; Penelope; Battista), Enzo Petrini (Zenit; Z.; Ned: N.), don Giuseppe Tedeschi (Civis), Franco Feroldi (Vecchio Scarpone), Stefano Jacini (Pino), Ludovico Benvenuti (Renzo), Dario Morelli (Serafino), Romeo Crippa (Nino) e Carlo Basile (Silvio).
Verso la fine dell’aprile 1944 vengono arrestati Olivelli, Bianchi, Rovida, Rolando Petrini e due operai di Rovida: di questi, solo uno dei due operai, Luigi Rossi, sopravviverà. Però Il ribelle non muore insieme ai suoi creatori ed Enzo Petrini riesce a convincere un tipografo lecchese a stampare a Lecco i tre numeri successivi, poi troverà un altro tipografo, Eligio Lechi, a Milano.
In questo periodo si aggiunge una nuova iniziativa: la stampa dei Quaderni, che costituiscono delle piccole monografie dedicate a un argomento di carattere politico-sociale con l’intento di fornire ai partigiani e al popolo elementi utili per una valutazione della situazione del momento e della condizione in cui, dopo la sconfitta del nazifascismo, si sarebbero trovati a vivere gli italiani, data la loro impreparazione politica e ineducazione democratica causate da vent’anni di regime fascista.
I numeri de Il ribelle saranno in totale ventisei e undici i Quaderni.
Il giornale clandestino viene letto principalmente per le notizie, tra l’altro spesso generiche e imprecise, poiché i lettori hanno a disposizione solo la stampa di regime, che tiene nascosti molti fatti e avvenimenti. Leggendo il ribelle si possono apprendere notizie diverse da quelle ufficiali che appaiono illuminate dalla luce della verità e della libertà. Le informazioni sugli scontri con i nazifascisti e sulle azioni dei partigiani occupano quantitativamente e visivamente lo spazio maggiore del giornale ma a dominare, per l’importanza e la qualità degli interventi, sono gli articoli di carattere teorico-programmatico. Attraverso questi gli autori, quasi tutti professori o studenti universitari, manifestano la loro posizione ostile al fascismo e forniscono motivi per schierarsi con i ribelli. Infatti l’intenzione comunicativa dominante del giornale è pedagogica: il ribelle non vuole solo divulgare degli ideali, ma si propone, con questi, di risvegliare la coscienza del popolo italiano per l’inizio di un nuovo periodo storico, in cui sarebbero risorti i valori calpestati dal fascismo. Lo scopo è quello di portare il lettore alla riflessione, indurlo a prendere coscienza del vuoto morale lasciato dal fascismo e, conseguentemente, agire.
Non solo i partigiani leggono il ribelle, ma anche i fascisti, che dedicano un’attenzione maniacale allo studio della stampa clandestina. Riguardo a Il ribelle, esso è ritenuto un foglio «esponente di una strana corrente di ribellismo cattolico-chiesaiuolo. […] Ciò che non è dubbio, oltre alla intonazione clericaloide del foglio, è la sua decisa ispirazione antitedesca» <478.
Per quanto concerne gli scritti teorici contenuti in Brescia Libera e ne il ribelle, mi sembra che il filo rosso che li attraversi sia rappresentato da tre temi fondamentali: il tema della libertà, della persona e dell’amore. Il paradigma libertà-persona-amore è la chiave di lettura con cui verranno analizzati alcuni di questi articoli.
478 Ristampa anastatica di Brescia Libera e il ribelle (1943-1945), cit., p. XII.
Filippo Danieli, Fedeli e ribelli. Paradigmi di Resistenza cristiana al nazifascismo, Tesi di laurea, Università degli Studi di Trento, Anno Accademico 2018/2019

La redazione del “Ribelle” fu composta inizialmente da Carlo Bianchi, Giovanni Barbareschi, Teresio Olivelli, Rolando ed Enzo Petrini, Franco Rovida, Claudio Sartori.
Carlo Bianchi nel 1943 era il Presidente della FUCI di Milano, così cominciò il suo contributo alla struttura dell’OSCAR di cui fu, come abbiamo visto, una sorta di responsabile del personale. Teresio Olivelli durante l’inverno di quell’anno si era trasferito a Milano. L’incontro fra i due portò a raccogliere un discreto numero di persone con cui fondarono all’alba della primavera 1944 “Il Ribelle”, giornale di propaganda antinazifascista che uscì in 26 numeri e 11 quaderni, e un numero speciale per celebrare il primo anniversario della fine della guerra il 25 aprile 1946.
Assieme alle due figure appena citate c‟erano anche Rolando Petrini e Franco Rovida, che furono i tipografi del foglio clandestino, Claudio Sartori, già partigiano con Olivelli a Brescia prima che a questi venisse conferito a Milano un ruolo di coordinamento all’interno della Resistenza lombarda, Giovanni Barbareschi allora giovane diacono in attesa di diventare prete il cui apporto risultò decisivo nel momento più difficile della vita del giornale.
Questi furono i primi creatori e promotori del giornale. Fu grazie a loro che il giornale divenne un opuscolo letto da tutte le formazioni partigiane, anche se in particolare era un riferimento per quelle cattoliche <288. Lo si poteva trovare a Brescia, a Lecco, a Milano, nella hall dell’Hotel Regina, e a Varese. Come vedremo anche in seguito, questo giornale interpretava i pensieri reali della società italiana, lo stato d’animo del popolo. Tutto questo lo ritroviamo nei testi e nei ragionamenti degli articoli de “Il Ribelle”. Quando uscì il primo numero, nel marzo 1944, gli italiani erano nel pieno della guerra civile che sconvolse il nord del Paese. Solo i veri fascisti continuarono a combattere, mentre i soldati che non avevano potuto imboscarsi erano stati costretti a prestare servizio nelle forze armate della R.S.I. per paura di ritorsioni verso i familiari se non contro loro stessi <289. La volontà di pace, di libertà, di non essere più assoggettati a un dittatore erano nel cuore degli italiani e sulle pagine de “Il Ribelle”. Per questo motivo si fecero chiamare “ribelli per amore”, per contrastare l’accezione negativa della parola “Ribelle”.
Gli articoli discutevano anche della ricostruzione del paese dopo la guerra. Fu data così voce ad una popolazione che per vent‟anni aveva ascoltato quasi esclusivamente l’agenzia Stefani, quindi ciò che le imponeva il regime. Solo in rari casi si leggeva la stampa clandestina <290, che però nell’ultimo biennio di guerra, proprio grazie a fogli come “Il Ribelle”, si diffuse a macchia d’olio nei territori occupati dai nazifascisti.
Una caratteristica dell’esperienza de “Il Ribelle”, che lo avvicina molto a quella dell’OSCAR, fu il dato di fatto che entrambi fossero apartitici. Inoltre occorre soffermarsi sulla definizione “ribelli per amore”: ribelli per amore di chi? Per amore di che cosa? Il chi era il prossimo loro in difficoltà; il che cosa è la libertà, la libertà di dire no ai fascismi e la libertà di conservare lo stile di vita, i propri principi, proprio come l’OSCAR. Infine sono da sottolineare le radici cristiane da cui entrambi nacquero. In questo modo si capisce che erano parte dello stesso fronte partigiano, due rami dello stesso albero.
La nascita de “il Ribelle”
L’otto settembre 1943 il tenente degli Alpini Teresio Olivelli fu fatto prigioniero dai tedeschi con tutti gli uomini ai suoi ordini che si occupavano del funzionamento di una batteria. Trasferito nei campi di prigionia in Austria tentò la fuga 9 volte, la prima il 20 settembre e il 20 ottobre quella definitiva che lo portò a Udine il 28 del medesimo mese. Qui fu ospite della famiglia Ariis in via Prachiuso, divenendo nel suo breve soggiorno Teresio Ariis. Grazie ai contatti con uno zio Monsignore ottenne dei documenti falsi che gli consentirono di tornare in Lombardia. La prima tappa fu Brescia, dove giunse l’11 novembre, qui tornò in contatto con Claudio Sartori, che già scriveva sul giornale clandestino “Brescia Libera”. Questo foglio portava la scritta “Esce come e quando può”. La tappa successiva della peregrinazione dell’Olivelli fu Pavia al collegio Ghisleri di cui era stato rettore, poi andò a Mortara a trovare i genitori, e prima di recarsi a Milano fece visita allo zio, mons. Invernizzi, a Tremezzo. Il 22 novembre fu ospite per la prima volta in via Villoresi 24 di Carlo Bianchi e della sua famiglia. In questo periodo Astolfo Lunardi, altra figura di riferimento della Resistenza in Lombardia, riuscì a far assumere al Comitato di Liberazione milanese il ruolo di coordinamento e di riferimento per tutta la Lombardia. Per questo fu assegnato a Teresio Olivelli il compito di collegamento, informazione e organizzazione per le formazioni delle Fiamme Verdi nelle zone di Cremona e Brescia. In Milano, a causa di questi lunghi viaggi per la gestione delle formazioni partigiane, Carlo Bianchi si occupò di farne le veci, così ogni qualvolta Teresio Olivelli, tornava a Milano, era quasi sempre ospite dei Bianchi ed era aggiornato sulla situazione. Fu in uno di questi soggiorni, precisamente il 29 dicembre 1943, che incontrò e conobbe padre David Maria Turoldo. Questo avvenne sempre grazie a Carlo Bianchi che, ricordiamolo, era il Presidente della F.U.C.I. milanese <291. La figura di padre Turoldo è importante da citare perché fece parte anche lui della Resistenza Cattolica, ma con un carattere particolare, quella vicina alla realtà di sinistra del suo tempo con contatti con gli operai della zona industriale di Sesto San Giovanni alle porte di Milano. Egli rientrerà in contatto con alcuni membri dell’OSCAR solo alla fine della guerra. Inoltre Carlo Bianchi scrisse in un biglietto <292 di avere “[…] conosciuto Olivelli nell’ambiente Cattolico; l’ho presentato a don Aurelio Giussani e al tipografo Rovida”. Questa ulteriore testimonianza ci spiega una volta di più la ramificazione della Resistenza Cattolica e di come avvenisse il reclutamento al suo interno.
Nel mese di gennaio del 1944 giunse poi a Milano anche Claudio “Pierino” Sartori <293. I due vecchi compagni del Collegio Ghisleri di Pavia erano finalmente riuniti e assieme a Carlo Bianchi furono pronti a dare vita ad un nuovo giornale clandestino. Fu così che il 19 febbraio 1944 a casa Grimaldi a Voghera si decise di fondare “Il Ribelle”. Due settimane più tardi, il 5 marzo 1944, uscì il primo numero de “Il Ribelle”. Nella prima pagina portava la stessa frase del giornale “Brescia Libera”: “Esce come e quando può”. Oltre a questa frase il giornale presentava altre segnature caratteristiche: in prima pagina, la frase di Mazzini “Più della servitù temo la libertà portata in dono” <294 e il luogo di stampa indicato come Brescia. Quest‟ultimo era specificato per due motivi: il primo era per sviare eventuali indagini, il secondo si collegava alla frase “Esce come e quando può” come una sorta di dedica al giornale “Brescia libera” a cui il foglio, come abbiamo visto, si ispirava.
Per comprendere meglio chi fossero le persone che partecipavano e scrivevano su “il Ribelle” citiamo un articolo comparso sul 13° numero del foglio clandestino uscito il 30 settembre 1944 e titolato “Le Fiamme Verdi non sono un Partito”: “Noi del Ribelle non siamo liberali. Noi del Ribelle non siamo Democristiani. Noi del Ribelle non siamo del Partito d’Azione, non siamo Comunisti, e non siamo neppure progressisti, né, Dio ne scampi, Monarchici. Se avviene dunque che i Democristiani ci credano dei loro, e dei più puri, se avviene dunque che i Liberali affermino che noi facciamo del più bel liberalismo, se avviene che qualcuno ci creda emanazione del Partito d’Azione, la colpa sapete di chi è? Del nostro far sincero, del nostro parlar onesto. Ché in casa nostra spira buon vento di sincerità, di libertà, e ognuno può e sa dire e difendere il proprio ideale. Ognuno cerca di capire, di discutere e talvolta di accettare. Ma, redini sul collo e niente paraocchi.”
In questo articolo, anche se postumo rispetto alla scomparsa di Carlo Bianchi e Teresio Olivelli, è spiegato alla perfezione quale spirito animasse i collaboratori e i fondatori de “il Ribelle”. Così non sorprende che la tiratura del foglio clandestino raggiunse le quindici mila copie. Dopo questo successo i fondatori scrissero la “Preghiera del Ribelle” che da allora accompagnò tutti i partigiani cattolici e non solo, diffondendosi a macchia d’olio in tutto il nord Italia. La Preghiera fu scritta prima della Pasqua 1944 precisamente nella settimana tra il 12 e il 19 marzo, in tempo per l’uscita del secondo numero del giornale il 26 marzo 1944. In questo periodo si aggiunsero in redazione i fratelli Petrini, Rolando ed Enzo. Purtroppo le delazioni e le problematiche della vita clandestina erano dietro l’angolo: fu così che alla fine di aprile fu portato a San Vittore il dottor Janello collaboratore del giornale che, sotto la minaccia di incarcerare l’anziana e già malata madre, fu costretto a dare un appuntamento a Carlo Bianchi e a Teresio Olivelli per il giorno 27 aprile 1944 alle ore 12 circa in piazza San Babila. All’appuntamento si presentarono gli agenti dell’U.P.I. Mezz’ora dopo l’ing. Carlo Bianchi e Teresio Olivelli varcavano la soglia del Carcere di San Vittore <295. Il giorno dopo, il 28 aprile, “il Ribelle” subì un altro duro colpo: Rolando Petrini stava “pulendo” l’abitazione magazzino di Olivelli in via Mazzini a Milano quando all’improvviso arrivarono il dott. Ugo Modesti e i suoi uomini per trarlo in arresto. Vedendo l’episodio nel dettagli abbiamo una ulteriore spiegazione della poca chiarezza di intenti dello stesso Modesti/Ostéria: arrivò, infatti, in via Mazzini con i suoi uomini, ma senza avvisare i propri superiori <296 e piuttosto trafelato per essere lui a eseguire l’arresto. La portinaia vedendolo arrivare con degli uomini armati non perse tempo e chiamò la polizia. Così mentre stavano arrestando Rolando Petrini arrivarono dei poliziotti e, a causa delle incomprensioni dovute alla mancanza di comunicazione, ne nacque uno scontro a fuoco in cui i poliziotti rimasero feriti <297. In seguito Ostéria/Modesti si giustificò asserendo che non voleva fossero altri a prendere in custodia Petrini perché era in contatto con la Resistenza e avrebbe potuto salvarlo almeno dagli interrogatori più duri.
I tre, Bianchi, Olivelli, Petrini, per il reato di cospirazione rischiarono l’immediata fucilazione, ma grazie all’intervento del card. Schuster e alla mediazione di mons. Bicchierai la evitarono <298. Questo però non impedì loro di subire i terribili interrogatori gestiti dal tenente Otto Koch delle SS e dal tenente Melli dell’U.P.I.; nonostante gli sforzi dei nazifascisti i tre non raccontarono niente di rilevante, preservando così il destino del “Ribelle” <299. Il 9 maggio, mentre cercavano di resistere alle torture, vennero a sapere che era stato arrestato anche il tipografo del “Ribelle”, Franco Rovida con due impiegati, tali Luigi Monti e Osvaldo Rossi. Anche Rovida fu rinchiuso a San Vittore. Fu in quei drammatici momenti che entrò in scena un giovane diacono che già stava collaborando con l’OSCAR e stava per dedicarsi alle Fiamme Verdi e al ”Ribelle”: don Giovanni Barbareschi, che, con il nome in codice di “Signora Carità”, portava i biglietti scritti dai carcerati fuori da San Vittore e li faceva avere alla redazione del foglio clandestino. Questo fu il momento più difficile del giornale clandestino con la redazione decapitata, ma Claudio Sartori con la aiuto di don Giovanni Barbareschi e di Enzo Petrini, a cui si aggiunsero man mano altri, riuscì a tener vivo il “Ribelle”. Intanto nel carcere di San Vittore la preghiera del “Ribelle” apparve sui muri della cella N. 15 del V raggio <300 dove erano rinchiusi i detenuti politici e in quella medesima cella vi erano Carlo Bianchi, Teresio Olivelli, Enzo Petrini e Franco Rovida. Il 9 giugno furono trasferiti al campo di concentramento e smistamento di Fossoli con molti altri detenuti fra cui don Paolo Liggeri, che nel suo libro “Triangolo Rosso” <301 testimonia della permanenza a San Vittore, delle visite che fece alla cella sopracitata e del periodo di detenzione a Fossoli. Qui rimasero tutti fino al 12 luglio del 1944 quando per rappresaglia vennero scelti 68 prigionieri e vennero fucilati al poligono di tiro di Cibeno vicino a Carpi: i morti furono in realtà 67 perché Teresio Olivelli si nascose nella baracca che serviva da magazzino per le stuoie per dormire salvandosi momentaneamente la vita <302. Il suo destino si compì in seguito il 17 gennaio 1945 a Hersbruck in un campo di concentramento a causa delle percosse subite per proteggere un compagno detenuto <303. La stessa sorte toccò inoltre a Rolando Petrini a Gusen nel gennaio 1945 e a Franco Rovida nel campo di Mauthausen nel febbraio dello stesso anno <304.
A Milano nel frattempo la redazione del “Ribelle” si pose il problema di dove stampare il giornale visto che il capoluogo lombardo non era sicuro; così la stampa venne affidata alla tipografia del sig. Luigi Annoni a Lecco. Egli stampò a mano i primi due quaderni del “Ribelle” e i numeri quattro, cinque e sei del giornale stesso. Quando si decise di stamparli nuovamente in maniera, tradizionale Piero Reginella fu incaricato di portare al sig. Annoni i piombi prodotti nella tipografia Lechi di via Manfredo Fanti a Milano, rischiando in molti casi di essere scoperto, perché di frequente le valigie, in cui erano trasportati i piombi, si sfondavano sotto il peso degli stessi <305. Riguardo alla stampa nel lecchese del giornale esiste anche un riferimento nei falsi prodotti dal Capitano Lazzarini, precisamente in quello intestato “Comunicazioni” a firma falsa del cap. Giovanni Brutti con data 23 agosto 1944, conservato nell’archivio INSMLI di Milano, che recita: “[…] si deve condurre a fondo le indagini atte a distruggere l’organizzazione del foglio ribelle edito nel Lecchese con intestazione “Il Ribelle” seguendo tutte le piste possibili. […]” <306
In questo modo vennero stampati venti numeri fino al natale del 1944, poi l’accentuarsi dei bombardamenti fece rallentare la produzione del giornale. L’ultima uscita, la numero ventisei, fu del febbraio 1945 e fu principalmente opera di Enzo Petrini, poiché in quel periodo lo stesso Claudio Sartori fu arrestato con la vedova Rovida <307. Tra l’altro Sartori era colui che si occupava di consegnare una copia del “Ribelle” a Luca Ostéria/Ugo Modesti il quale essendo nella già nel pieno della sua azione doppiogiochista mostrava il foglio clandestino alle SS come se fosse stata una preda di guerra.
Ideologie simili, OSCAR distribuisce “il Ribelle”
“L’amore per la libertà”: queste sono le parole di mons. Barbareschi alla domanda di cosa unisse le due esperienze dell’OSCAR e de “Il Ribelle” <308. Il fatto che fossero entrambe parte della Resistenza Cattolica ci fa aggiungere che l’una teorizzava alcune attività pratiche dell’altra. Il giornale era, tra quelli clandestini, tra i più diffusi lo ritroviamo a Brescia, a Varese ma anche fuori dai confini della Lombardia; così anche l’OSCAR oltre che collaborare, come vedremo, con alcuni noti gruppi della Resistenza, assisteva persone che venivano mandate da Genova dal cardinal Boetto <309. Infine due personalità importanti contribuirono alla nascita e alla vita di entrambe le esperienze: Carlo Bianchi e don Giovanni Barbareschi.
Il giornale veniva lasciato nei posti più impensati, come i luoghi di comando o le stazioni di polizia come l’Hotel Regina, con azioni goliardiche con lo stesso stile della sfilata con la delegazione ungherese negli anni trenta <310. Questo spirito al limite dell’incoscienza era caratteristico delle Aquile Randagie, era la firma che lasciavano con il loro passaggio.
Per aiutarci a comprendere le similitudini che intercorsero fra l’OSCAR e “Il Ribelle” utilizziamo le parole di Teresio Olivelli stesso in cui spiega perché passò alla Resistenza e quale turbamento d’animo lo spinse a tale scelta: “[…]Una rivolta dello Spirito fatta di dolore e di chiarezza, non contro altri uomini, non contro questo o quel programma politico, ma contro i sistemi di un‟epoca, contro un costume di vita: contro un‟aberrante e allucinante concezione del mondo, della storia e dell’uomo che sovvertiva i valori supremi dell’esistenza, le basi stesse della civiltà umana e cristiana.” <311
Il punto di comunanza maggiore probabilmente era, quindi, la concezione dell’uomo e della società, una società che nel loro ideale avrebbe dovuto essere fondata sull’amore cristiano per il prossimo senza porsi problema di schieramento politico. Forse questo era il punto di contatto più profondo.
In apertura del prossimo capitolo è proposto un riferimento allo schieramento partitico delle bande partigiane: “il Ribelle” e l’OSCAR si fondavano su uno schieramento politico, non partitico, molto ben definito. Come abbiamo visto nella citazione tratta dal “Ribelle” e da quanto ci riporta don Giussani dell’OSCAR <312 le discussioni in seno ai due gruppi furono anche partitiche ma prevalse sempre l’idea di fondo, l’amore per il prossimo.
Infine le frasi apparse sul “Ribelle” che meglio spiegano secondo me il parallelismo fra le due esperienze sono “Non vi sono liberatori, ma solo uomini che si liberano!” e “L’uomo nuovo non lo fanno le istituzioni, non lo fanno le leggi, ma solo un lavoro interiore, uno sforzo costane su stessi che non può essere sostituito da surrogati di nessun genere. Noi influiremo sul mondo più per quello che siamo, che per quello che diciamo o facciamo.” <313
OSCAR fu un’organizzazione segreta e per rimanere tale spesso cooperò con altri gruppi partigiani che includevano, come vedremo, alcuni personaggi di rilievo delle attività clandestine. Queste collaborazioni erano spesso attuate per iniziative di singoli. In altri casi erano gruppi che chiedevano l’appoggio di OSCAR per l’attività di espatrio clandestino. Il contatto con altri gruppi clandestini ci pone di fronte alla difficile questione di come si sia sviluppato il fenomeno stesso della Resistenza: spesso alcuni episodi non sono stati raccontati perché i nostri nonni che li hanno vissuti hanno preferito reprimerli o dimenticarli, così che è più difficile per le generazioni successive comprendere cosa sia stato questo fenomeno. Una volta superato questo primo ostacolo della memoria si capisce che l’opposizione alle dittature in prima istanza si generò nella singola persona, questa persona a sua volta entrò in contatto con altre che la pensavano similmente e così nacquero le bande partigiane. Il piano successivo fu quello politico. Le bande di solito ebbero alle spalle una formazione politica o religiosa: cattolici, partito d’azione, partito comunista etc. etc. L’eterogeneità del movimento e i contrasti al suo interno si possono così comprendere.
[NOTE]
288 Particolare il legame era con le Fiamme Verdi, entrambi erano a base cristiana e apartitica.
289 In questi casi veniva perso il posto di lavoro anche dai parenti, la tessera annonaria era ritirata, così la vita diventava estremamente difficile visti i prezzi del mercato nero cfr. Giannantoni F., Fascismo, Franco Angeli, Milano 1984, pp. 71-72.
290 Interessante in questo senso il libro che tratta dell’attentato al Re a Milano nel 1927, perché durante il processo si indagò su quasi tutti i partiti di opposizione allora già banditi dall’Italia con il coinvolgimento della stampa clandestina.
291 Rizzi P., L’Amore che tutto vince, libreria editrice Vaticana, città del Vaticano 2004, pp. 493-499.
292 Biglietto di C. Bianchi 10/20 maggio 1944; Vigevano AC documenti VOL.III.
293 “Pierino” era il nome di battaglia di Claudio Sartori, quello di Teresio Olivelli era “Cursor”, quello di Enzo Petrini è “Gianni” e quelli di don Giovanni Barbareschi erano “signora Carità” e “don Paolo”. Le informazioni riguardo a Claudio Sartori le si trovano anche in Aa Vv, La resistenza in Lombardia, Labor, Milano 1965, pp. 166-170.
294 Cfr. l’intervista che mons. Giovanni Barbareschi ha rilasciato all’autore il 2 febbraio 2010.
295 Rizzi P., L’Amore che tutto vince, libreria editrice Vaticana, città del Vaticano 2004, pp. 575-579.
296 Ricordiamo che Luca Ostéria alias Ugo Modesti era al soldo delle SS e agiva con i suoi uomini come una sorta di polizia parallela.
297 Rizzi P., L’Amore che tutto vince, libreria editrice Vaticana, città del Vaticano 2004, pp. 582-586.
298 Ibidem a pp. 580-581.
299 Ibidem a pp. 586-594.
300 Cfr P. Liggeri, “Triangolo Rosso”, La Casa, Milano 1986, pp. 48-50.
301 Il “Triangolo Rosso” era applicato alle camice dei detenuti politici per distinguerli dagli altri.
302 Cfr P. Liggeri, “Triangolo Rosso”, La Casa, Milano 1986, pp. 99-104.
303 Rizzi P., L’Amore che tutto vince, libreria editrice Vaticana, città del Vaticano 2004, p. 721.
304 Rizzi P., L’Amore che tutto vince, libreria editrice Vaticana, città del Vaticano 2004
305 Cfr. Aa. Vv. , La resistenza in Lombardia, Labor, Milano 1965, p. 169.
306 Per l’utilizzo dei falsi rimandiamo al capitolo sulla banda Lazzarini e i documenti falsificati.
307 Cfr. Aa. Vv. , La resistenza in Lombardia, Labor, Milano 1965, p. 166.
308 Cfr. intervista rilasciata all’autore il 2 febbraio 2010.
309 Cfr. F. Scomazzon , Maledetti figli di Giuda vi prenderemo, Arterigere, Varese 2005, p. 13.
310 Cfr. il capitolo sulle Aquile Randagie.
311 Cit. da Aa. Vv. , La resistenza in Lombardia, Labor, Milano 1965, p. 161.
312 Vedi il capitolo precedente.
313 Cfr. intervento di don Giovanni Barbareschi all’incontro con le Aquile Randagie il 21 febbraio 2009.
Stefano Bodini, Gli Scout Milanesi e la Resistenza, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2009-2010, documento qui ripreso da Associazione Banlieu

Lo scoutismo clandestino delle “Aquile Randagie” di Milano e di Monza è sicuramente una delle pagine più ammirevoli della Resistenza nel Nord Italia, in particolare proveniente da quel mondo cattolico così presente nella grande metropoli e nei suoi dintorni. Una delle leggi fascistissime infatti aveva decretato lo scioglimento del movimento Scout, le cui finalità educative erano peraltro in competizione con quelle dei giovani Balilla, ma anche incompatibili con quel progetto formativo. Alcuni giovani però si sottrassero a quell’obbligo di dissoluzione, e nella clandestinità iniziarono una incessante opera di resistenza passiva senz’armi, proseguendo nelle consuete attività dello scoutismo come i campi estivi, e creando dopo l’armistizio quella struttura segreta denominata OSCAR, la cui attività fu quella di riuscire a far espatriare le tante persone perseguitate dal regime, come gli ebrei, i renitenti alla leva, i ricercati politici. OSCAR nella sua incessante azione riuscì a salvare migliaia di uomini e di donne, e financo i persecutori di ieri, come certi esponenti delle SS, che, al termine del conflitto furono aiutati, come Eugen Dollmann. Nelle “A.R.” militò anche quel don Giovanni Barbareschi, all’epoca soltanto diacono, che fu inviato dal cardinale Schuster a piazzale Loreto per benedire i corpi dei partigiani lì crudelmente uccisi ed esibiti ai passanti. Don Giovanni successivamente subirà pesanti torture da parte delle SS, riuscendo a mantenere il silenzio. Quel don Barbareschi che diventò partigiano aggregandosi alle Brigate Fiamme Verdi della Valcamonica, e ne divenne cappellano, e che insieme ad altri illustri antifascisti dell’epoca di sensibilità cattolica contribuì alla redazione del “Ribelle”, organo di stampa di quelle Brigate Partigiane, il cui motto era “Non vi sono liberatori, ci sono solo uomini che si liberano”.
Giovanni Bianchi e Andrea Rinaldo, La Resistenza dalla foce. Quale nazione per gli italiani postmoderni, eremo e metropoli edizioni, Sesto San Giovanni, aprile 2017