Ogni serio trattato di orticoltura pone in risalto l’ornamentalità del Corbezzolo quale pianta da giardino

Corbezzolo. Foto di Patrizia Ferrari. Fonte: http://www.actaplantarum.org

Il Corbezzolo, uno dei più caratteristici alberi o arbusti del panorama vegetale della costa ligure, ha un nome derivato dall’etimo celtico “arboise” (alberetto aspro), riferito all’acre sapore delle sue foglie.
Ai suoi frutti si deve, invece, la denominazione specifica proveniente dal latino “unum edo” (ne mangio uno solo) perché le rosse bacche sono particolarmente indigeste se mangiate in gran numero, soprattutto quando non siano maturate al punto giusto.
Ciò nonostante, alla medicina popolare non sono sfuggite le proprietà antisettiche, astringenti e diuretiche delle foglie dell’Arbutus unedo, con le quali si ottiene una tisana particolarmente indicata negli ingorghi di fegato e nelle infiammazioni delle vie urinarie.
Esse contengono arbusterina, gaultherina, tannino, acido gallico, resina e gomme, sostanze che ne hanno favorito anche l’utilizzazione nella concia delle pelli.
I frutti grazie al cospicuo contenuto zuccherino servono per preparare succose bevande diuretiche, canditi, prelibate marmellate che si consiglia di filtrare accuratamente per eliminare le parti dure; le stesse bacche, poste a fermentare con zucchero ed alcool, forniscono un liquore molto apprezzabile preparato dai distillatori casalinghi dei paesi affacciati sulle rive settentrionali del Mediterraneo.
Quando l’acquavite viene preparata in Oriente, soprattutto nei paesi arabi, prende il nome di “Quedallah”.
Virgilio ha accennato sovente al Corbezzolo decantandolo sia nelle Georgiche che nelle Bucoliche.
L’agronomo latino Columella lo consigliava ai contadini suoi contemporanei, come mangime per capre e maiali, dicendo inoltre che i suoi frutti pestati piacevano molto ai pesci d’allevamento.
Per contro, i fiori erano invece accusati di far produrre alle api un miele assai scadente e pertanto si consigliava di tagliare i Corbezzoli presso le arnie. Secondo la mitologia latina il Corbezzolo era una specie di assicurazione polivalente per la tranquillità delle case. Era infatti collegato al mito della Dea Carna, una Ninfa promossa da Giano alla funzione di Custode degli usci casalinghi, quale risarcimento di un ennesimo e subdolo inganno amoroso.
In una leggenda dell’epoca, narrata da Ovidio, Carna era intervenuta per impedire l’assalto alla casa del piccolo erede al trono di Alba Longa da parte di sanguinarie creature volanti chiamate Stigi, un mitico ibrido di uccello-donna. La Dea, chiamata in causa, toccò tre volte la porta con un ramo di Corbezzolo e con altri segreti artifizi salvò il bimbo, promovendo la pianta ad amuleto scaccia streghe.
Un capitolo intero delle già citata Riviera nature notes è dedicato all’illustrazione di queste piante e Casey scrive fra l’altro: “I frutti sono disprezzati dai nativi e dalle popolazioni dei sud dell’Italia che li lasciano cadere al suolo con indifferenza. Se mangiati in forti quantità provocano torpore alla testa e paralisi”. Questa affermazione appare forse esageratamente catastrofica, tuttavia è risaputo che l’alto contenuto di tannino rende le bacche particolarmente astringenti, ed in grado quindi, di creare seri imbarazzi alle persone con intestino delicato: forse Plinio intendeva proprio evitare inconvenienti di questa natura quando raccomandava ai suoi contemporanei di “mangiarne uno solo”.
Ghiotti comunque se ne mostrano gli uccelli, soprattutto merli e tordi; pare che lo fossero anche gli orsi, quando esistevano ancora da queste parti, come è ben testimoniato da una delle sue denominazioni volgari tuttora in uso, quella di “Uva dell’orso”, condivisa con un’altra Ericacea, uno dei tanti prelibati frutti di bosco chiamato, guarda caso, anch’esso “Corbezzolo” nel linguaggio volgare italiano: l’Arctostaphylos uva ursi.
La caratteristica, simultanea apparizione dei rossi frutti, delle foglie verdi e dei bianchi grappoli fiorali, ha fatto nascere all’epoca del nostro Risorgimento, l’idea di dichiarare il Corbezzolo pianta nazionale per la contemporanea presenza dei tre colori della bandiera italiana; ma al di là di questi intenti nazionalistici, per il linguaggio dei fiori le bianche campanelle del Corbezzolo sono il simbolo dell’Ospitalità.
Inoltre, l’intera pianta ha sempre simboleggiato la previdenza, il risparmio, l’augurio d’immortalità per le sue foglie sempreverdi; per questo motivo, venivano stese nei sepolcri come si ricava dalla cronaca dei funerali di Pallante il commilitone di Enea ucciso da Turno il re dei Rutuli.
Fra le essenze vegetali utilizzate per la preparazione del letto funebre primeggiavano rami di Corbezzolo artisticamente intrecciati con fronde di Quercia.
Ogni serio trattato di orticoltura pone in risalto l’ornamentalità del Corbezzolo quale pianta da giardino e da rimboschimento, sottolineando che, specialmente nei luoghi in cui la natura dei terreno sia silicea ed acida, soprattutto nelle zone abbandonate dall’uomo o devastate da incendi recenti, l’Arbutus unedo è il primo arbusto a spuntare già poche settimane dopo essere stato distrutto dalle fiamme; assieme al Mirto, al Pungitopo, alle diverse Ginestre, alle Eriche, all’Alloro, al Pino di Aleppo, costituisce quella estesa formazione vegetale chiamata macchia mediterranea o più specificatamente “macchia alta del Corbezzolo”.
Arbutus unedo L. (IX- X. Nasce nelle macchie boschive sino ai 1000m.). E’ un arbusto o albero che può raggiungere l’altezza massima di 12 m; ha una corteccia rossastra che si sfalda in piccole placche, rami rossastri e pelosi, portanti foglie coriacee, lucide, persistenti e sparse. I fiori sono campanulati, penduli, riuniti a formare grappoli terminali comunemente bianchi, raramente rosei, che sbocciano ad ottobre contemporaneamente ai frutti consistenti in una bacca globosa, densamente granulosa e tubercolata, di colore rosso-vivo.
Alfredo Moreschi, Nuovo “Fiori di Liguria” (in ricordo del Professor Giacomo Nicolini), ed. in pr., 2021