Partigiani autonomi in provincia di Savona

Nella zona di Montenotte, in località Ravagno, fin dal mese di settembre 1943, attorno ai savonesi Giuseppe Dotta (Bacchetta) e al medico Angelo Salomone (Katia) si raggruppa un nucleo di giovani resistenti.
Nel mese di giugno 1944 il «Gruppo Bacchetta» raggiunge una ragguardevole consistenza numerica per l’affluire di numerosi volontari.
Si collega al gruppo Bacchetta anche una formazione di partigiani – in maggioranza savonesi – che era di stanza a Pian del Lazzo, diretta da Furio Sguerso (Sergio) e Giuseppe Milano (Tom). Rodolfo BadarelloEnrico De Vincenzi, Savona insorge, Ars Graphica, Savona, Terza edizione, 1978

Mentre i fascisti si spartivano gli incarichi, i ribelli rimasti in montagna approfittavano della pausa forzata per analizzare la situazione e riorganizzarsi. Obiettivamente, la prima fase della ribellione armata si era conclusa con un grave insuccesso, motivato ora da un’errata applicazione della tattica della guerriglia, ora dall’inesperienza e insufficiente organizzazione delle bande, ora dalla perenne carenza di uomini e/o armi. Dei quattro nuclei comunisti insediatisi in montagna sul finire dell’estate, tre erano stati attaccati con i seguenti risultati: il gruppo di Gottasecca annientato; quello di Roviasca messo in fuga; quello di Bormida seriamente indebolito. Quanto alla banda azionista e a quella autonoma, i documenti a disposizione dello scrivente non ne fanno cenno fino a primavera inoltrata, dal che si deduce che per lunghi mesi esse si attennero ad un rigoroso attendismo (salvo poi riscattarsi pienamente, come vedremo). E’ anche possibile che “Bacchetta” e “Bormida” in questi primi mesi mirassero più che altro a tenere i contatti più stretti possibili con le maggiori organizzazioni resistenziali del proprio segno esistenti nei dintorni, vale a dire rispettivamente i badogliani in Val Casotto e le bande Giustizia e Libertà di Luciano Scassi nell’Acquese, ma in mancanza di notizie certe questa resta un’ipotesi. Si imponeva ora la costituzione di un’organizzazione più articolata e di reparti più mobili, numerosi e attivi, se si voleva incidere sul corso degli eventi. Considerando che il prossimo arrivo della primavera, congiunto con una probabile offensiva alleata, avrebbe “scongelato” il potenziale umano fino allora bloccato dal clima atmosferico e morale dei mesi invernali, c’era ragione di mostrarsi cautamente ottimisti circa la futura evoluzione della lotta armata. Ma era indispensabile preparare il terreno in maniera adeguata,
far trovare una struttura ben organizzata ai nuovi giovani che sarebbero affluiti nelle file partigiane.
Stefano d’Adamo, “Savona Bandengebiet – La rivolta di una provincia ligure (’43-’45)”, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000

Il «Gruppo Bacchetta» così rafforzato assume un inquadramento operativo nuovo costituendo la 1^ Brigata Savona «A. Voarino» (poi denominata Furio Sguerso) che avrà in Savona una intendenza politico-militare con la quale manterrà i contatti.
Nel mentre procede l’evoluzione organizzativa, i volontari del «Bacchetta» svolgono una intensa attività volta inizialmente in particolare alla ricerca e recupero di armi, munizioni, equipaggiamento e conducono anche sporadici attacchi a pattuglie e postazioni nazifasciste.
La prima azione di guerriglia di rilievo ha luogo il 6 giugno 1944 nei pressi di Campo Nuovo, quando il raggruppamento viene investito da consistenti forze nemiche ed ingaggia un duro combattimento riuscendo alla fine a costringere il nemico a ritirarsi.
Alla fine di luglio Lino, Dino, Rosso, Camera, Boldri, Marco del 1° Btg. prendono posizione nella stazione di Sella: fermano il convoglio ferroviario proveniente da Savona, catturano tre militari tedeschi e tre San Marco, mentre un soldato della Wermacht che apre il fuoco contro i partigiani viene freddato da una raffica.
A Rocchetta di Cairo è la volta del presidio della San Marco ad essere sorpreso da un’azione compiuta sempre dagli stessi patrioti.
I militi hanno preso possesso della villa Dotta proprietà del Comandante della Divisione ed i partigiani riescono ad introdursi nell’abitazione nel pieno della notte dopo aver eliminato le sentinelle.
L’intero presidio viene fatto prigioniero e un ingente numero di armi e munizioni, oltreché vettovaglie ed equipaggiamento, cade nelle mani dei partigiani, i quali lo trasportano a Pezzolo Uzzone dove ha sede il Comando della Brigata.
Partendo sempre dalla base di Pezzolo, Dino, Lino, Terribile, Vipera, Baldo ed alcuni altri si spingono fino a Cadibona dove sferrano un violento attacco alle postazioni della San Marco. I militari sono sorpresi e ritenendosi attaccati da ingenti forze si danno a precipitosa fuga opponendo solo una breve resistenza. Anche questo colpo di mano frutta prigionieri, armi e materiale indispensabile alla lotta.
Il 5 agosto i patrioti attaccano e mettono fuori uso un’autovettura tedesca uccidendo un colonnello e l’autista; il giorno successivo viene catturato un colonnello, un maggiore e un capitano della Vermacht i quali verranno in seguito scambiati con gli ostaggi. Un ardito colpo di mano costringe alla resa l’intero distaccamento della FLAK di stanza a Mogliano di Dego e sempre nella stessa giornata, due ufficiali e 20 San Marco vengono catturati presso Santa Giustina.
Il 14 agosto: assalto al presidio di Prato di Ferrania. Il nemico subisce la più grave perdita di questo periodo: 17 morti.
E’ del 25 di agosto un’altra operazione di rilievo: l’attacco ad una forte colonna tedesca che viene dispersa.
Il nemico reagisce il giorno successivo impegnando in forze i partigiani a Piazza Grande, ma deve ritirarsi lasciando sul terreno il capitano tedesco che comanda le truppe, assieme ad alcuni morti e numerosi feriti.
La stessa sera una pattuglia tende un’imboscata ai tedeschi nei pressi di Bragno uccidendo un sottufficiale e ferendo alcuni soldati.
In questo periodo arriva nella zona un gruppo di volontari savonesi provenienti da S. Antonio di Marsaglia, nelle Langhe. Appartiene alle formazioni autonome del Maggiore Martini «Mauri».
Sono una trentina di giovani bene armati, già provati da molti combattimenti, al comando di Giacomo Astengo (Mimmo). Vice comandante è G. Carlo Buscaglione; capi squadra: «Lino» (Aonzo Nicolò) e «Dino» (Diani Dino).
Organizzato in tre squadre, questo reparto che si affianca alla formazione del «Bacchetta» è caratterizzato dalla mobilità e dalla combattività. Infatti i suoi volontari, il più delle volte in piccoli gruppi, partendo dall’accampamento posto a Ravagni, sotto Pian di Lazzo presso Dego, compiono azioni a largo raggio.
Fra le tante operazioni condotte felicemente a termine spicca il colpo di mano che si conclude con la cattura dell’intero contingente – 19 San Marco – del posto di blocco dell’Acquabuona, sulla strada fra Sella e Santuario.
Il nemico ricostituisce il posto di blocco ponendovi a presidio 30 «arditi» comandati da tedeschi, e lo rafforza circondandolo di mine e reticolati.
I partigiani preparano un secondo colpo di mano, questa volta fatto più con l’astuzia che con la forza.
Così racconta uno dei protagonisti: “era pressoché impossibile attaccare le posizioni senza andare incontro a gravi perdite. Le mine, i nidi di mitragliatrici, i posti di guardia attenti di giorno e di notte, li avevamo controllati e ci sembravano senza punti deboli. Comunque «volevamo far fuori quel posto di blocco ad ogni costo: era un’idea fissa». A forza di studiare venne fuori il piano di battaglia e… la beffa. Telefonammo ai pompieri di Savona da San Bartolomeo, dicendo che c’era un’incendio e chiedendo il loro intervento. Arriva una «Balilla» con quattro vigili del fuoco e li fermiamo; segue una motocicletta e, infine, dopo una seconda telefonata, giunge anche un camioncino. I pompieri li conosciamo e diciamo loro che l’incendio non c’è, che vadano a bere e mangiare un boccone ‘alla nostra salute’ nella vicina osteria. Quelli non si fanno pregare. Sull’imbrunire, con l’elmo dei pompieri e mantella, Mimmo, Lino, Dino, Bob, Rosso, Capelvenere e Marco, preso posto sul camioncino, scendono verso il posto di blocco. Si avvicina un sottufficiale, parla con Lino che è alla guida e fa segno ai suoi di lasciar passare. Siamo nell’interno del caposaldo: mitra spianati intimiamo la resa. Qualcuno tenta di reagire, qualcun altro di fuggire. Soltanto un tedesco rimane ucciso e quattro riescono ad allontanarsi; gli altri, mani in alto, sono nostri prigionieri. L’azione è durata solo pochi minuti ed ha fruttato un ragguardevole prezioso bottino di armi, munizioni, equipaggiamento e viveri“.
I nazifascisti reagiscono alla «beffa dei pompieri» arrestando oltre un centinaio di ostaggi.
Dopo alcuni giorni un sacerdote di Savona, Don Ravaschino, assieme al parroco di San Bartolomeo si presenta al comando partigiano proponendo – a nome del Generale Farina – l’eliminazione del posto di blocco di Acquabuona in cambio di una ridotta attività dei patrioti.
Ulteriori contatti porteranno invece ad uno scambio di prigionieri e infine anche il posto di blocco controverso non verrà più ricostituito.
Sempre il gruppo di Mimmo, alla fine della settimana, sulla statale n. 30, sorprende e disarma una pattuglia tedesca; attacca quindi un’autovettura militare uccidendo i tre ufficiali superiori della Vermacht che tentano di reagire.
Il 29 di settembre, alcuni volontari irrompono improvvisamente nella mensa ufficiali di Ferrania e ne segue una sparatoria: rimangono sul terreno un morto e parecchi feriti. Nessuna perdita fra i partigiani.
Il 3 ottobre 1944 forti contingenti di truppe tedesche e della Monte Rosa puntano sul Pian del Lazzo, Smoglia dei Rossi e Smoglia dell’Amore nell’intento di accerchiare i reparti partigiani.
Un distaccamento li affronta presso Smoglie dell’Amore e li pone in fuga. Il nemico si riorganizza e ritorna sulle posizioni, ma non trova alcuna reazione e prosegue: in località «Uomo morto», presso Ferrania, lo scontro si rinnova e continua aspro per 4 ore, quindi i partigiani ancora una volta si disperdono sottraendosi ad un tentativo di accerchiamento condotto da altre truppe che il nemico ha fatto giungere nella zona.
Trenta morti e altrettanti feriti sono le pesanti perdite che il nemico ha subito nel corso della giornata.
Il distaccamento raggiunge Pian del Lazzo, mentre le squadre continuano a condurre azioni diversive a largo raggio.
Il 5 ottobre bloccano un treno scortato da militari nella stazione di Sella: 4 tedeschi e 5 San Marco vengono catturati, due soldati tedeschi rimangono sul terreno ed alcuni sono feriti; alcuni giorni dopo un reparto comandato da «Vilmi» (Garbarino Onorio), cattura con un ardito colpo di mano l’intero posto di blocco sul ponte Menotti fra Ellera e Stella S. Giovanni.
Il 2 novembre Gianella Di Pasquale, Lino, Dino e Rosso, stanno dirigendosi verso Cengio per compiere una delle frequenti azioni, ma il nemico è all’erta.
Un pattuglione di 70 arditi della San Marco al comando del Tenente Danon, sbarra loro la strada e li attacca improvvisamente.
I Partigiani reagiscono coraggiosamente e si ritirano solo quando «Rosso» (Ermanno Maciocio) cade colpito a morte (n.da.: Ermanno Maciocio verrà insignito di Medaglia d’oro al V.M.), e Giannella è ferito, ma i suoi compagni riescono a portarlo in salvo.
La «Brigata Savona» opera prevalentemente nei settori di Cairo, Monte Bricco, Rocchetta, Piana Crixia, Montenotte, Giusvalla, Giovo Ligure, Santuario, Bragno fino al 2 ottobre 1944, giorno in cui subisce un rastrellamento da parte di forze preponderanti che investono tutta la zona ed è costretta a ripiegare nelle Langhe dove si insedierà in Valle Uzzone ponendo il comando a Pezzolo.
La Brigata svolgerà in seguito l’attività operativa nei dintorni della Valle Uzzone, ma invierà spesso squadre nel settore di Montenotte dove rimarrà pressoché costante un suo distaccamento.
Queste posizioni saranno mantenute fino al 22 novembre del 1944, data dell’inizio del grande rastrellamento nelle Langhe, quindi, per ordine del Comando delle Formazioni Autonome (Mauri) mentre la Brigata era schierata sulla linea di difesa Pezzolo-Belbo, a causa dell’insostenibilità delle posizioni, ricevette l’ordine di «sbandarsi».
Il 1° febbraio 1945 la Brigata si riorganizza nella Valle Uzzone assumendo la denominazione della valle.
Nelle file della Brigata affluiscono altri volontari tanto che vengono costituiti tre battaglioni e in seguito si formeranno (n.d.a.: questi reparti hanno una storia singola, avendo operato in territori diversi) dalla 1^ compagnia la Brigata Savona «Furio Sguerso», dalla 2^ compagnia la Brigata Uzzone «Bruno Lichene», dalla 3^ compagnia la Brigata Montenotte «G. Chiarlone».
Su questi tre Battaglioni viene costituita la Divisione EUGENIO FUMAGALLI, alla quale si unirà, per contingenze operative, la Brigata «Valle BORMIDA», proveniente dalla l^ Divisione Autonoma LANGHE.
Rodolfo BadarelloEnrico De Vincenzi, Op. cit.

La seconda unità partigiana savonese a subire l’attacco nemico fu la Brigata autonoma “Savona” che, come accennato, aveva posto le proprie basi a Pezzolo Valle Uzzone, in territorio cuneese, a diretto contatto con le forze di “Mauri”. Prima di essere investita dal rastrellamento, tuttavia, la “Savona” aveva avuto modo di compiere alcune azioni militari di rilievo. Il primo del mese (ma la data, secondo Calvo, era l’11 ottobre 1944) venne nuovamente attaccata la guarnigione “San Marco” acquartierata nella villa Dotta a Rocchetta di Cairo (il comandante degli autonomi “Bacchetta” aveva certamente un fatto personale con chi gli occupava la villa di famiglia…): liquidate le sentinelle e colti di sorpresa 37 “marò”, si raccolse un consistente bottino in armi, munizioni e derrate alimentari. Il giorno successivo sette uomini, direttisi verso Cengio con l’intenzione di recuperare sale e benzolo, furono attaccati da un nutrito pattuglione di “Arditi” “San Marco” al comando del tenente Danon. Nello scontro, conclusosi con la ritirata dei partigiani, restò ucciso Ermanno Maciocio “Rosso”, cui fu in seguito conferita la medaglia d’oro alla memoria. Il 5 novembre, per l’ennesima volta, furono disarmati 15 “marò” tra Ellera e Stella. Infine, il 18, a Carcare, gli autonomi attaccarono la mensa ufficiali creando panico e confusione. Ma dal giorno seguente tedeschi e fascisti diedero il via all’attacco alle Langhe. Gli autonomi si batterono energicamente per tre giorni, perdendo cinque uomini ed infliggendo gravi perdite agli attaccanti nella zona di Castino, tra la Bormida ed il Belbo, ma, per ordine di “Mauri”, dovettero sbandarsi, essendo venuta a mancare ogni possibilità di un’efficace difesa. Occultate le armi, i volontari presero in gran parte la strada di casa con l’accordo di tornare in tempi meno foschi, mentre piccoli gruppi restavano in zona per mantenere un minimo di pressione sul nemico. Lo schieramento autonomo aveva pagato a carissimo prezzo il proprio radicamento territoriale e la propria combattività: ci vollero non meno di due mesi perché i reparti si ricostituissero.
Stefano d’Adamo, Op. cit. 

DIVISIONE AUTONOMA “EUGENIO FUMAGALLI”
Costituita il 25 aprile 1945 con le Brigate:
I^ BRIGATA VALBORMIDA “Antonio Giuliani”
II^ BRIGATA VALLE UZZONE “Bruno Lichene”
III^ BRIGATA SAVONA “Furio Sguerso”
IV^ BRIGATA MONTENOTTE “Giovanni Chiarlone”
Le Brigate erano inquadrate nella II^ DIVISIONE AUTONOMA LANGHE del GDA (Gruppo Divisioni Alpine) di Enrico Martini “Mauri”. EILN (Esercito Italiano di Liberazione Nazionale).
Comandante: Dotta Giuseppe “Bacchetta”
Vice Comandante: La Perna Ettore “Neni”
Capo di Stato Maggiore: Drommi Carlo “Dinamico”
I primi partigiani autonomi avevano costituito, poco dopo l’8 settembre 1943, il “Gruppo Bacchetta” (nome cospirativo del comandante Giuseppe Dotta) il cui comando era stato posto tra Rocchetta di Cairo e il Monte Bricco. Il gruppo Bacchetta agisce in provincia di Savona tra Piana Crixia, Santuario di Savona, Giusvalla e Varazze.
A Giugno 1944 si aggiungono i gruppi comandati da “Tom” (Giuseppe Milano) da “Lince” (Giovanni Barberis) e da “Lupo” (Livio Ferraro) anch’essi operanti nella zona di Montenotte.
Nel luglio 1944 da Savona si porta nei pressi di Ferrania, Furio Sguerso “Sergio” al fine di armare un gruppo di renitenti alla leva e di accorpare alcuni sbandati fuggiti dall’organizzazione Todt (Organizzazione tedesca del lavoro, soprattutto fortificazioni. Il nome deriva da Fritz Todt che ne fu l’ideatore).
L’intesa con i GL dell’Astengo (Tom-Lince-Lupo) non regge, il 7 ottobre 1944 il gruppo di Dotta e di Sguerso si uniscono per costituire la I^ Brigata Savona “Adriano Voarino”.
Zona operativa: Lavagnola e Santuario a Savona, Ferrania, Cairo Montenotte, Rocchetta e ad est Giusvalla, Ellera e Stella San Giovanni.
All’inizio del mese di ottobre un grande rastrellamento obbliga la brigata Savona a trasferirsi nella zona delle Langhe, precisamente nella Valle Uzzone, con sede di Comando a Pezzolo.
Dopo il grande rastrellamento che ha investito le Langhe il 22 novembre 1944 la brigata si sbanda, si ricostituirà a gennaio 1945.
Da ‘Eventi di libertà’ di Maurizio Calvo:
… La Brigata, attestatasi come retroguardia sulla linea Pezzolo-Belbo, ricevette l’ordine di sbandarsi dai comandi superiori. Solamente esigui, ma incisivi, gruppetti restarono in zona ad eseguire puntate offensive contro tedeschi e fascisti. Si arrivò così al primo febbraio 1945 quando vennero chiamati a raccolta i componenti dell’antica brigata. In onore della valle in cui avvenne la confluenza, la formazione assunse il nome di Brigata “Uzzone”, venendo articolata in tre compagnie: prima, seconda e terza. In pochissimo tempo le file si ingrossano talmente da permettere la formazione di tre brigate. Dalla 3^ Compagnia nacque la Brigata “Montenotte” (chiamata “Giovanni Chiarlone” in onore del partigiano caduto il 10 ottobre 1944). La 2^ Compagnia assurse al ruolo di Brigata, mantenendo il nome di Brigata “Uzzone” (in seguito divenne “Bruno Lichene” dal nome del partigiano altarese di 19 anni caduto a Vesime il 12 febbraio 1945). Dalla 1° Compagnia discese la nuova Brigata “Savona”, che ebbe il nome di “Furio Sguerso”, a simbolo dei suoi numerosi caduti. Dalla stessa 1^ Compagnia sorse la brigata “Valbormida”. Che nei giorni della Liberazione assunse il nome di “Antonio Giuliani”, un partigiano di Matera caduto a Monesiglio l’otto aprile del 1945.”
Redazione, Arrivano i Partigiani, inserto “2. Le formazioni di montagna della I^ e della VI^ Zona Operativa Ligure che operavano nella provincia di Savona”, I RESISTENTI, ANPI Savona, 2011

La terza componente della Resistenza savonese, quella “autonoma”, nacque anch’essa verso la metà di settembre 1943, quando attorno a Giuseppe Dotta “Bacchetta” e al dottor Angelo Salomone “Katia” si formò a Ravagni, presso Rocchetta di Cairo, un nucleo partigiano.
La Resistenza savonese esordì dunque subito divisa in tre anime politiche: quella comunista, poi garibaldina, destinata ad attrarre anche molti socialisti e cattolici, quella azionista, capeggiata da noti professionisti, e quella autonoma, sempre più un’enclave “maurina” in terra ligure. Va detto che autonomi ed azionisti operarono spesso in tale completa sinergia da risultare quasi indistinguibili, posto che l’azionismo ligure aveva connotazioni meno progressiste rispetto ad altre regioni. Inizialmente i gruppi di resistenti badarono essenzialmente a non attirare l’attenzione. Mancando di armi, munizioni, viveri, denaro ma soprattutto di esperienza militare specificamente orientata alla guerriglia, i “ribelli” si limitarono per parecchie settimane a rinsaldare le basi e i collegamenti con il capoluogo, dove si andavano lentamente formando gli organismi direttivi della guerra partigiana. Un flusso sottile ma continuo di piccole quantità di armi e denaro affluiva ai nuclei imboscati sempre in attesa di raggiungere una consistenza numerica e una capacità di fuoco tali da poter entrare in azione. In tali condizioni, le uniche attività possibili erano l’addestramento alla conoscenza del territorio e piccoli sabotaggi di poco conto (taglio di fili telefonici ecc.). Il recupero di armi era un’attività rischiosa e poco praticata. Per il momento, nell’autunno del ’43 ci si limitava a riprendersi quelle opportunamente imboscate nella confusione dei primi giorni dell’occupazione tedesca. Si tessevano lentamente le reti dell’organizzazione partigiana, ogni gruppo per i suoi tramiti.
[…] L’attendismo, croce di tutte le Resistenze d’Italia e d’Europa, era nella Savona del settembre – ottobre 1943 uno stato d’animo particolarmente vivo. Si era infatti diffusa con le modalità tipiche della “leggenda metropolitana” la notizia che gli Alleati fossero pronti a sbarcare sulla costa ligure da un momento all’altro. Tale credenza, condivisa dagli stessi comandi tedeschi che si affannavano a minare opere pubbliche e impianti e a costruire appostamenti difensivi, non invogliava certo i giovani della zona a rischiare la vita quando si poteva più o meno comodamente aspettare di essere liberati dagli anglosassoni. La “concorrenza partigiana” era invece determinata dalle voci, veridiche ma gonfiatesi a dismisura passando di bocca in bocca, dell’esistenza di un solido nucleo di resistenza militare attestato in Val Casotto, non lontano da Mondovì. Non furono pochi i savonesi che, fino al marzo del ’44, accorsero lassù lasciando i pochi ribelli della provincia ligure, tanto più che si vociferava di migliaia di militari italiani del Regio Esercito con armi pesanti e regolari rifornimenti aerei, comandati da ufficiali alleati. La realtà era meno rosea, e più d’uno ne fece le spese, come i vadesi fratelli Valvassura, Domenico, fucilato a Mellea di Fossano il 29 dicembre 1943, ed Enrico, ucciso a Ceva il 27 marzo 1944.
[…] Il 6 giugno 1944 entrò in azione anche il “gruppo Bacchetta” (che in precedenza si era limitato a qualche piccolo “colpo”) attaccando con successo un reparto tedesco a Camponuovo, tra Cairo e Montenotte. Un’altra azione significativa degli autonomi di “Bacchetta” portò, il 3 luglio, al totale disarmo del comando della Milizia di San Giuseppe di Cairo, fruttando un discreto bottino in armi (14 moschetti, 2 mitraglie S. Etienne, 1 mitra) e munizioni. Poche settimane dopo il gruppo si rafforzò incorporando gli uomini inquadrati da Furio Sguerso “Sergio” (che era stato inviato nella zona di Montenotte da Guido Caruzzo del Comando di zona al fine di organizzare gruppi di sbandati e di lavoratori fuggiti dalla Todt) e da Giuseppe Milano “Tom”. La lunga stagione degli “autonomi” era iniziata.
[…] Anche gli autonomi passarono decisamente all’offensiva nel mese di agosto, inferendo duri colpi alla “San Marco” e ai tedeschi che presidiavano la Val Bormida. Il 5 agosto una pattuglia distrusse un’automobile tedesca presso Mombaldone (provincia di Asti ma zona operativa degli autonomi di “Bacchetta”) uccidendo un colonnello della Wehrmacht ed il suo autista. Il giorno dopo la cattura di un colonnello, un maggiore e un capitano tedeschi pose le premesse per uno scambio di prigionieri. L’8 furono portati a termine due “colpi” eccellenti. A Mogliano di Dego fu disarmato un distaccamento della FLAK, l’antiaerea tedesca. A Santa Giustina di Stella, in una zona pullulante di tedeschi e “San Marco”, vennero catturati 20 “marò” e due sottufficiali italiani, tutti arruolati nelle file partigiane dietro richiesta. Molti si dimostrarono nel tempo fidati e capaci: l’ottimo addestramento ricevuto in Germania dava i suoi frutti, anche se in una direzione inattesa. Sei giorni dopo fu attaccato ed eliminato in piena notte il presidio nazifascista di Pra Sottano di Ferrania: secondo il diario storico delle formazioni autonome savonesi, l’azione causò la morte di 13 militi della GNR e 4 soldati tedeschi. Nuovi combattimenti si ebbero tra il 25 e il 26 agosto, quando, in risposta ad un’imboscata presso i Girini di Dego, sulla strada di Giusvalla, nella quale erano rimasti uccisi due tedeschi, un reparto germanico rastrellò la zona di Piazza Grande, tra Cairo e Montenotte, venendo respinto con la perdita del capitano comandante la colonna e lasciando in mano partigiana armi e munizioni. Anche a Bragno, durante una sparatoria notturna, un sottufficiale della Wehrmacht restò ucciso. Tutte queste azioni belliche furono condotte in perfetto stile guerrigliero, tanto che gli uomini impiegati non registrarono perdite. E’ anche vero che con tutta probabilità il Comando tedesco inizialmente sottovalutò la consistenza, la decisione e l’efficienza del gruppo “Bacchetta”, ormai forte di centinaia tra volontari e fiancheggiatori, ritenendo più urgente “sistemare” i garibaldini, particolarmente pericolosi da un punto di vista politico per l’esplicito appoggio che ricevevano dal ceto operaio savonese, il cui sfruttamento lavorativo era essenziale ai fini dello sforzo bellico nazista. Da questo punto di vista, la profonda diffidenza che separava garibaldini ed autonomi, poco inclini a collaborare anche quando operavano nella stessa zona (come avveniva sulla direttrice Savona – Montenotte – Pontinvrea – Mioglia, dove agivano il “Sambolino” e il “Wuillermin”, o nella zona tra Dego e Spigno dove si sovrapponevano le azioni del “Biondino” e degli autonomi di “Bacchetta”), non era certo di aiuto. Ma ben presto i fatti avrebbero messo tutti sullo stesso piano. Un ulteriore elemento che contribuì a rafforzare i reparti alle dipendenze di “Bacchetta” fu l’arrivo, tra agosto e settembre, di una cinquantina di savonesi capitanati da Giacomo Astengo “Mimmo”, che fino allora avevano combattuto agli ordini del
maggiore “Mauri” (alias Enrico Martini, ufficiale del Regio Esercito e capo indiscusso della Resistenza autonoma nel basso Piemonte) nella zona di Marsaglia, tra Alba e Mondovì, e che erano stati messi in libertà “essendo loro unico scopo e desiderio combattere direttamente per la liberazione della città natale”. Non è illogico né offensivo per alcuno pensare che questi giovani siano stati inviati nel Savonese anche per rinsaldare i legami con le Langhe, fulcro delle forze di “Mauri”, e quindi per sancire definitivamente l’appartenenza “maurina” dei partigiani di “Bacchetta”.
Con tali premesse si apriva il periodo più intenso e fruttuoso della lotta di liberazione in Seconda Zona.
Stefano d’Adamo, Op. cit.

A una settimana dal tragico caso del “Biondino”, la VI divisione Garibaldi e il gruppo di “Mauri” si trovano nuovamente di fronte a un caso di trasferimento, e sempre dai «rossi» verso gli «azzurri». Si tratta della brigata costituitasi intorno a Giuseppe Dotta “Bacchetta”, che opera al confine tra Liguria e Piemonte. Operativamente – deduciamo da una serie di scambi di comunicazioni tra Dotta e “Mauri” – la brigata “Savona” è inquadrata nella VI divisione, trovandosi in una zona che rientra nella giurisdizione garibaldina. A inizio settembre, un foglio manoscritto firmato «gli ufficiali di Bacchetta» giunge a “Mauri” con la richiesta di ragguagli rispetto all’esito del «colloquio del Magg.[iore] con Nani [sic, “Nanni”] circa il “passaggio”» <733 della brigata. “Mauri”, il giorno seguente, risponde che a causa dei rastrellamenti in corso «non è stato possibile un incontro con il Com. della VI° Divisione “Garibaldi”», ma afferma di aver comunque comunicato al CLN di Torino la decisione del gruppo di «passare a far parte delle formazioni a carattere “militare”». <734 La conferma ufficiale del passaggio giunge il 18 ottobre, con una comunicazione di “Mauri” a “Bacchetta”, <735 mentre un mese più tardi la brigata viene inquadrata nella II divisione Langhe e dislocata in valle Uzzone. <736 Un passaggio indolore, e senza alcuna apparente protesta da parte del comando della VI divisione. È probabile che i garibaldini non ritenessero parte effettiva dei loro ranghi il gruppo savonese, <737 composto in realtà da pochi uomini che avevano operato nella zona più per esigenze operative che per affinità politiche alla divisione che la controllava. <738 Il trasferimento è quindi da far rientrare in quella circostanza prevista dalla circolare n. 1000 al punto 3, anche se negli scambi di comunicazioni tra comandi non vengono richieste precisazioni in merito, diversamente da quanto invece avviene per il trasferimento dei gruppi “Patrioti di Calizzano” e di Arturo Pelazza “Beltè” nella IV divisione del 1° GDA.
[NOTE]
733 “Maggiore Mauri”, Gli ufficiali di Bacchetta, [a matita] 7.9.44 in AISRP, B AUT/mb 1 d
734 Comunicazione di “Mauri” al Comando Gruppo “Bacchetta”, Comando 1° GDA, prot. n. 4/10, 8.9.44 in AISRP, B AUT/mb 1 d
735 Comunicazione di “Mauri” al Comandante “Bacchetta”, 18.10.44 in AISRP, B/AUT mb 4 f. «Sono lieto che la I. Brigata “Savona” passi a far parte delle formazioni militari autonome e averla alle mie dirette dipendenze, sotto il Suo comando. Data l’attuale situazione la Brigata si trasferisca nella zona Mombarcaro – Saliceto, ove completerà il sistema difensivo della zona. Resta però inteso che all’atto della liberazione delle nostre città la Brigata avrà come obiettivo la città di Savona»
736 “Brigata ‘Savona’”, “Mauri” al CFA del Piemonte, 14.11.44 in AISRP, B AUT/mb 4 g
737 Inoltre «gli ufficiali di Bacchetta» mettono tra virgolette la parola «passaggio», forse per far intendere a “Mauri” che il loro inquadramento nella VI divisione non è derivante da un atto formale.
738 Tra l’altro la brigata “Savona” vive una situazione particolare dal punto di vista giuridico. Essa infatti, secondo quanto riporta lo stesso “Mauri”, appartiene alle formazioni della Liguria, «é [sic] stata posta alle mie [di “Mauri”, NdA] dirette dipendenze operative e disciplinari», ma dal punto di vista amministrativo fa parte del CMRP, a cui dovrà fare riferimento nel momento dell’insurrezione generale, in “Brigata ‘Savona’”, “Mauri” al CFA del Piemonte, 14.11.44 in AISRP, B AUT/mb 4 g; anche se in una precedente comunicazione “Mauri” stesso avesse “promesso” a Bacchetta che all’atto della liberazione la brigata avrebbe avuto come obiettivo la città di Savona, in Comunicazione di “Mauri” al Comandante Bacchetta, 18.10.44 in AISRP, B/AUT mb 4 f
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013

I nuclei autonomi rimasti alla macchia avevano compiuto varie azioni durante il mese di gennaio: disarmi e catture di “marò” a Dego e Cairo (24 prigionieri a Rocchetta), distruzione di ponti tra Cengio e Saliceto. Queste ultime azioni erano opera degli uomini della brigata “Val Bormida”, prima unità autonoma a ricostituirsi nel territorio della Seconda Zona ligure. Il reparto, formato da volontari appartenuti alla brigata Savona “Voarino” e alla Prima Divisione Langhe, operò inizialmente in territorio cuneese, tra il Belbo e le Bormide, per poi spostarsi verso Montenotte. Ne facevano parte uomini come “Mimmo” Astengo (vicecomandante), “Mimmino” Montalbetti (comandante) e il dottor Angelo Salomone “Katia”. La sua costituzione diede il la alla rinascita della Resistenza autonoma tra le Langhe ed il Mar Ligure, che si concretizzò nella riunificazione di vari gruppi nei pressi di Pezzolo, sancita il 1° febbraio 1945. La ricostituita brigata fu dapprima chiamata “Uzzone”, dal nome della valle in cui era nata, ma il rapidissimo afflusso di sbandati e reclute indusse dopo pochi giorni i comandi a trasformare le sue quattro compagnie in altrettante brigate: la “Montenotte – Giovanni Chiarlone”, la “Uzzone” (poi intitolata a Bruno Lichene), La “Savona – Furio Sguerso” e la già citata “Val Bormida”. Queste unità, considerate operativamente come battaglioni, formarono la Divisione “Eugenio Fumagalli” (dedicata ad un partigiano caduto il 25 gennaio) comandata da “Bacchetta” (Giuseppe Dotta), che aveva Ettore La Perna “Neni” per vice e Carlo Drommi “Dinamico” come capo di stato maggiore. La figura del commissario, inutile per gli autonomi, fu abolita in tutti i reparti. I volontari della “Fumagalli” erano in gran parte gli stessi che avevano militato con “Bacchetta” prima dello sbandamento autunnale; vi erano tuttavia situazioni particolari come quella della “Montenotte – Chiarlone” i cui partigiani, fino allora comandati dal “Biondino” (Matteo Abbindi), avevano in molti casi militato con i garibaldini fino a settembre, seguendo poi il capo nel suo passaggio con “Mauri”.
Stefano d’Adamo, Op. cit.