Partigiani siciliani

Salvatore Bono – Fonte: Patria Indipendente

Sembrerebbe che nessuno abbia rilevato che la Resistenza armata italiana ha avuto inizio – da un punto di vista strettamente cronologico – la sera dell’8 settembre alla stazione centrale di Nizza. Il proclama dell’armistizio viene, com’è noto, diffuso dall’EIAR alle 19,42. Tra i militari italiani, la gioia è generale: “La guerra è finita!”, “Tutti a casa!”, ecc. I soldati del “Comando Militare di Stazione” manifestano l’intenzione di partire per l’Italia. Racconta il sottotenente Salvatore Bono [nato a Campobello di Mazara (Trapani) nel 1920, medaglia d’oro al valor militare], loro comandante in seconda: “Verso le 20,30, dovetti intervenire per convincerli che occorreva continuare a controllare lo snodo vitale nel quale prestavamo servizio ed ordinai l’armamento completo e lo stato d’allarme”. Richiese anche il rinforzo di una compagnia di fanteria.
Già in agosto, dal suo osservatorio privilegiato, Bono aveva intuito che le cose non stavano andando per il verso giusto. Assieme ai reparti della 4a armata che abbandonavano il territorio francese occupato, si lasciavano transitare in direzione di Ventimiglia unità tedesche che penetravano in Italia sulla base di piani ben precisi […] È il momento per Bono di passare all’azione, realizzando quanto aveva in mente sin dal 25 luglio […]
Enzo Barnabà, L’8 settembre di Salvatore Bono, Patria Indipendente, 1 luglio 2020

La sera dell’8 settembre unità tedesche iniziarono ad occupare la Piazza Marittima di Tolone, presidiata dalle truppe italiane della 4^ Armata. Da metà agosto questa era in trasferimento dalla Francia (dove doveva conservare il solo Nizzardo e Tolone) al Piemonte e alla Liguria; alcuni suoi reparti erano già stati prelevati e inviati, oltre che in Liguria (per la Piazza Marittima di La Spezia), in Emilia e in Puglia. Le forze dell’Armata, isolate fra di loro perché frammiste alle forze germaniche, che le stavano sostituendo sulle posizioni, trovarono difficoltà a resistere agli attacchi di quelle, che presero subito il controllo dei ponti sulla rotabile costiera.
I tedeschi svilupparono offensive anche a Grenoble, a Nizza e a Gap. Nella prima città essi occuparono il Comando della Divisione Pusteria, che venne però immediatamente riconquistato da una compagnia del Battaglione Bassano e dai carabinieri della 419^ Sezione mobilitata. A Nizza invece, alle 23, tentarono di impossessarsi della stazione ferroviaria: il reparto italiano che la difendeva combatté eroicamente. In modo particolare si distinse il sottotenente Bono, che rimase ferito in modo grave. A Gap fu il 110° Reggimento alpini della Pusteria a resistere ai loro attacchi, che si protrassero dall’1.30 del 9 fino alla sera. Sul campo rimasero 7 morti e 40 feriti italiani, e 18 morti e un’ottantina di feriti tedeschi.
(a cura di) Giuliano Manzari, La partecipazione delle Forze Armate alla Guerra di Liberazione e di Resistenza (8 settembre 1943 – 8 maggio 1945), Commissione Italiana di Storia Militare, Ente Editoriale per l’Arma dei Carabinieri, settembre 2003

Quel tenente aveva già da un po’ un nome di battaglia, si faceva chiamare “Barbato”; al secolo era tenente Colajanni avv. Pompeo. Quel tenente, nella guerra partigiana, fu il comandante in capo di tutte le formazioni garibaldine, Giustizia e Libertà, Matteotti, Autonome, che operarono prima tra l’alta Val del Po e la Val di Susa, poi nel Monferrato e nelle Langhe. Quel comandante in capo non era di Torino né di Torre Pellice, né di Casal Monferrato, era di Castrogiovanni – di Enna, se preferite – cuor della Trinacria ratto di Proserpina, e tante belle cose che voi sapete meglio di me. E, fra quei primi ottanta suoi uomini, di piemontesi non ce n’era, di settentrionali – di lombardi – una mezza dozzina sì e no; gli altri erano “italiani”, quasi tutti “da Roma in giù”.
Augusto Monti

Nella seconda quindicina di settembre 1943, tre giovani siciliani si arrampicavano a Favale: Severino, Rizzo e Giuseppe. Il Comitato di Chiavari li aveva indirizzati lassù perché vi si stava costituendo nientedimeno che “un esercito per liberare l’Italia”». Così inizia, tratto da un manoscritto che riporta diverse puntate di una trasmissione radiofonica del dopoguerra, il racconto della costituzione delle prime formazioni partigiane dell’Appennino Ligure <1.
[…] Rammenta Gandolfo: «Quando sono arrivato su, le testuali parole sono state queste: “Guarda, qui devi decidere, perché qui niente può renderti gradevole la vita: c’è da rischiare, da fare della fame, prendere del freddo, tutti insieme per combattere questo nemico. Se vuoi rimanere, se no sei libero di andare dove vuoi”. Così sono rimasto su con gli altri» <3.
Il gruppo al quale Gandolfo si unì era guidato da Aldo Gastaldi, il comandante Bisagno <4, il primo Partigiano d’Italia come lo definì con enfasi Giovanni Serbandini, nome di battaglia Bini <5, e dal commissario Giovanni Battista Canepa,
detto «Marzo» <6.
[NOTE]
1 Claudio Floris (Bill) e Carla Casagrande Maschio, Testimonianze partigiane: Divisione Cichero, Bruzzese Arti Grafiche, Genova 2005, pag. 169. Si ringrazia l’Istituto Ligure per la Storia della Resistenza, Biblioteca Giorgio Gimelli, per averci fornito in copia materiale documentale sul movimento partigiano ligure.
3 Testimonianza di Luigi Gandolfo «Garibaldi» in Daniele Borioli e Roberto Botta, I giorni della montagna: otto saggi sui partigiani della Pinan-Cichero, WR- Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria, Alessandria 1990, pag. 68.
4 Aldo Gastaldi, nome di battaglia «Bisagno», fu uno dei maggiori esponenti della Resistenza ligure che a 22 anni, già sottotenente del Genio, addetto a funzioni di marconista a Chiavari, forma sulle alture di Cichero la più famosa e più temuta divisione operante nella zona, conosciuta appunto come Divisione Cichero. Cfr. anche: Elena Bono, Per Aldo Gastaldi Bisagno. Documenti, testimonianze, lettere e altro materiale utile ad una sistemazione storica del personaggio, Le Mani-Microart’s, Recco 2003; Veneruso, Danilo, Il partigiano genovese Aldo Gastaldi (Bisagno). Una lezione di democrazia, Roma, Studium, 1997; e ancora Giorgio Gimelli, La Resistenza in Liguria: Cronache militari e documenti, a cura di Franco Gimelli, Roma, Carocci, 2005, 2 vol., pag. 164.
5 Angelo Daneri (a cura di), Bini, in collaborazione con l’Ilsrec, Tipografia della Provincia di Genova, Genova 2004. Il nome di battaglia Bini «fu aggiunto al cognome originario con Decreto del Presidente della Repubblica nel 1970». Giovanni Serbandini, dal mese di luglio del ’44 divenne responsabile del «Partigiano», organo della III Divisione Garibaldina Cichero del Comando della VI zona, il cui numero 1 uscì il primo di agosto. Il periodico ebbe all’inizio una diffusione di 4 mila copie, che aumentarono a 5-6 mila. Bini, poeta, in seguito diresse l’edizione genovese dell’Unità, il cui primo numero fu pubblicato proprio la mattina del 25 aprile 45 e, infine, fu anche deputato del PCI.
6 «Verso la metà dell’ottobre venne indetto un primo convegno di quadri sul monte Antola. E fu appunto lassù che ci ribattezzarono: ognuno di noi a seconda della zona cui era preposto, assume un nome di mese: gennaio, febbraio, marzo, aprile… otto eravamo e tutte vecchie conoscenze della guerra di Spagna, del lavoro clandestino in Francia», in C. Floris e C. Casagrande, Testimonianze partigiane cit., pag. 172.
Bruno Pino, Luigi Gandolfo, il partigiano «Garibaldi», dall’Appennino ligure alla Calabria in Rivista Calabrese di Storia del ‘900 – 1, 2011

Vincenzo Modica “Petralia” (Mazara del Vallo, 1919 – Torino, 2003) – Fonte: Museo Torino

Tra i tanti possibili esempi in provincia di Torino, capaci di mostrare il ruolo della popolazione civile, e in particolare delle donne, nel portare soccorso ai militari sbandati dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, vi è l’esperienza di Vincenzo Modica “Petralia”, allora ufficiale della scuola di Cavalleria di Pinerolo e futuro comandante della 1ª Divisione Garibaldi.
Colto dall’annuncio radiofonico dell’armistizio agli arresti presso il forte di Exilles, Modica, fallito un iniziale tentativo, il 9 settembre, di insediarsi sul Colle Assietta insieme ad altri soldati con armi e munizioni in attesa dell’evoluzione degli eventi, decise di raggiungere Cavour per cercare di riallacciare i contatti con il tenente Pompeo Colajanni “Barbato”, convinto che questi con altri ufficiali antifascisti avesse già imboccato la via delle montagne. Rivestitosi con abiti civili e con la propria pistola d’ordinanza nello zaino, raggiunse prima Torino e poi Pinerolo e qui prese il treno diretto a Barge e Torre Pellice. Si sistemò in uno scompartimento di 3ª classe, all’interno del quale salirono tre contadine di mezz’età dirette verso le proprie case dopo avere fatto acquisti a Pinerolo, cui si aggiunse infine una giovane donna.
“Io guardavo timido le tre donne di fronte a me dall’aspetto florido che con le loro lunghe vesti nere coprivano tutto il vuoto sotto il loro sedile. Continuavano a parlare del loro mercato, dei loro familiari che erano lontani alla guerra, fratelli, mariti e figli dei quali non avevano notizie; parlavano anche dei giovani che erano stati catturati e fatti prigionieri dai tedeschi. Ogni tanto mi guardavano di sottecchi e dal loro confabulare avevano certamente capito che io ero uno dei tanti giovani che avevano lasciato la divisa da poco tempo. Il treno si era messo in movimento e tutto faceva credere che tutto dovesse procedere normalmente; ad un tratto una giovane donna si affaccia alla porta del nostro scompartimento e grida: «Attenzione, attenzione! Sul treno ci sono i tedeschi che stanno facendo un rastrellamento, hanno già fermato diversi giovani». In quell’attimo certamente sbiancai in viso poiché le tre donne mi guardarono; senza un attimo di esitazione fecero largo tra di loro, una mi afferrò per un braccio e mi incitò: «Fieul curagi, ven si suta». Un’altra intanto aveva preso lo zaino, tutte e tre mi spinsero sotto la panca, si ricomposero e assieme ripresero il loro conversare. Dopo qualche minuto i tedeschi erano davanti al mio scompartimento, guardarono, fecero un complimento alla giovane donna, salutarono le mie tre protettrici e chiesero se avevano visto soldati italiani; la risposta fu, naturalmente, negativa. Poco dopo il treno si fermava in aperta campagna, la pattuglia tedesca scese; qualcuno avvisò che non c’era più pericolo, il treno si era già messo in movimento e dopo qualche minuto ero a Bricherasio”.
[testimonianza di V. Modica in Istituto storico della Resistenza in Piemonte, 8 settembre 1943. Storia e memoria, a cura di C. Dellavalle, Milano, FrancoAngeli, 1989, pp. 238-239]
(a cura di) Claudio Dellavalle, Il Piemonte nella guerra e nella Resistenza: la società civile (1942-1945), Consiglio Regionale del Piemonte, 2015

[…] A Misterbianco, Costorella è ricordato con una piazza a lui intitolata e con un monumento che ne immortala l’eroico gesto. Ma di lui si erano perse le tracce. Anche il fonogramma che ne annunciava la morte alla famiglia non arrivò mai a destinazione.
Le vicende di quel periodo sono state ben descritte da Sergio Bellezza, nel volume “Dal fascismo alla Repubblica”. Dal quale conosciamo lo scenario in cui si svilupparono gli avvenimenti che videro protagonista Orazio Costorella, nato a Misterbianco nel 1924 e morto a Poggio di Otricoli (Terni), 17 febbraio 1944. […]
Rosario Nastasi, Orazio Costorella, catania.blogsicilia.it, 25 aprile 2014

Partigiani Agrigento e provincia

Partigiani Caltanissetta e provincia

Partigiani Messina e provincia

Partigiani Palermo e provincia

Partigiani Trapani e provincia

da ANPI Sicilia

Fonte: Giornale di Sicilia, Edizione Trapani, 5 settembre 2017 – immagine qui ripresa da ANPI Sicilia cit.

Non esiste ad ora una “fonte” unica, completa, che riporti i nominativi e gli aspetti di tutti i partigiani siciliani che svolsero attività di Resistenza su tutti i “fronti” prima evidenziati.
Nel corso del tempo molti pregiati approfondimenti di ricerca sui partigiani siciliani son stati condotti da numerose strutture dedicate alla memoria della Lotta di Liberazione, da ricercatori storici, da libri di memorialistica e quant’altro operativo nel mondo sociale e culturale del territorio, che con dedizione civile e democratica continua la sensibilizzazione sui valori della Resistenza e sul contributo di uomini e donne della nostra Regione.
[…] Quanti sono stati i partigiani siciliani nella lotta contro il nazifascismo direttamente impegnati nei luoghi di combattimenti, a partire dall’armistizio del’8 settembre 1943? Tanti. Numerose migliaia, certamente, impegnati in tantissime aree territoriali nazionali ( non solo nel centro-nord) e in molte altre zone fuori dai confini.
La Resistenza, pur con caratteristiche diverse da quelle che furono successivamente codificate, iniziò già in maniera spontanea dall’agosto del 1943, in Sicilia, in diversi paesi dell’area etnea e del messinese. Tra i tanti civili che si ribellarono alle infame angherie e alle depredazioni delle truppe tedesche in ritirata, molte decine furono ammazzati.
Al di la dell’aspetto strettamente “storiografico” partigiani sono stati gli uomini e le donne che in tutte le maniere fecero Resistenza, in armi o con dinamiche di supporto e assistenziali, al dominio ideologico e militare che i nazifascisti volevano continuare ad imporre all’Italia dopo gli anni catastrofici della guerra scatenata in nome della “razza eletta”. Dalla caduta della dittatura (25 luglio 1943) e dalla firma dell’armistizio con gli Alleati (8 settembre 1943), contribuendo alla riconquista della libertà e dei diritti umani e sociali fondamentali, al riscatto dei valori principali del Bene Comune, storicamente chiamata Patria, infangata dalle ignominie fasciste e dalle enormi distruzioni umane e materiali procacciate dall’Asse – la stretta alleanza ideologica e militare tra l’Italia fascista e la Germania nazista, poi con il Giappone -.
Nell’ambito nazionale, solo per il Piemonte, l’area territoriale con una rilevante presenza di partigiani siciliani – date le condizioni storiche di concentrazione di strutture militari e la vicina presenza nel meridione della Francia della IV Armata dell’esercito italiano – da parte della Commissione piemontese ne sono stati riconosciuti 2160, “con l’esclusione per ora dei dati relativi all’area novarese e all’area ligure piemontese”. E’ importante aggiungere che non sono presi in analisi i partigiani nati in Piemonte o al Nord figli di siciliani.
All’atto dell’armistizio, stipulato l’8 settembre 1943 a Cassibile (Siracusa), considerevoli concentrazioni di strutture militari si trovavano dislocate nel territorio nazionale, ulteriori notevoli raggruppamenti militari si trovavano posizionati in aree fuori dai confini: Francia, area Balcanica (Albania, Jugoslavia, Grecia) e in altre zone, come determinato dall’espansione della guerra di aggressione fascista iniziata il 10 giugno del 1940. Il “mitico impero” creato in Africa: Libia, Etiopia, Somalia, Eritrea, era stato già abbandonato.
La disfatta in Russia, con tutte le tragiche conseguenze per i soldati italiani mandati allo sbaraglio, era già avvenuta.
Un enorme numero di militari permaneva quindi in Italia e nei vari fronti di guerra ancora in essere. Rimasero abbandonati, ignominiosamente, senza procedure sulla condotta da seguire. Seguirono giornate frenetiche. Le truppe tedesche passarono all’attacco su tutti i fronti dove erano dislocati militari italiani. Oltre 650.000 furono presi prigionieri, trasportati e rinchiusi in molti campi di concentramento prevalentemente in Germania, veri e propri Lager.
Sono gli IMI, “Internati Militari Italiani”. La stragrande maggioranza rifiutò di aderire alla RSI.
In tanti, in Italia e fuori dai confini, non si arresero alle truppe tedesche, non deposero le armi. Si organizzarono per resistere ai nazisti, già a partire nei giorni successivi all’armistizio. Nel Paese molti furono gli eventi di strenuo contrasto, in parecchie realtà del Nord e a Roma nella battaglia di Porta San Paolo del 10 settembre.
Fuori dall’Italia tanti i casi di strenua e sanguinosa resistenza. A Cefalonia l’evento più significativo e drammatico, migliaia di soldati e ufficiali furono uccisi nei combattimenti e poi fucilati. La stessa opposizione avvenne a Rodi e in molte zone della Jugoslavia, Albania, Grecia, in forma più ridotta nella Francia meridionale. Tanti restarono uccisi, molte decine di migliaia di militari si aggregarono alle strutture partigiane locali o parteciparono direttamente alla lotta contro le truppe tedesche mantenendo in maniera significativa la struttura originaria, operando in Jugoslavia ed Albania: Divisione Garibaldi “Natisone” (Slovenia-Croazia); Divisione “Italia” suddivisa in quattro brigate; Divisione Partigiana “Garibaldi” (operativa in Montenegro, Erzegovina, Bosnia, Sangiaccato), composta dalle ex Divisioni dell’esercito “Taurinense” e “Venezia”. Alla bandiera della Divisione Garibaldi, al reparto carabinieri della Divisione e al gruppo “Aosta” del 1° Reggimento Artiglieria Alpina, all’83° e 84° Reggimento Fanteria della Divisione “Venezia”, al 19° Reggimento Artiglieria da Campagna della Divisione “Venezia” (tutti costituenti la Divisione Partigiana Garibaldi), venne riconosciuta la medaglia d’oro. Molti altri partigiani si aggregarono a queste formazioni.
Nella “Lettera di Memoria e Libertà” del 25 aprile 2018, tra gli altri, sono stati riportati i nominativi (con brevi biografie) di tutti i militari siciliani che fecero parte della Divisione Garibaldi. Altri sono stati già inseriti nella prima parte comprendente complessivamente 520 nominativi.
Molti componenti dei reparti militari italiani che dopo l’armistizio si ritirarono dal sud della Francia si aggregarono alle formazioni partigiane che si costituirono in Piemonte.
Inoltre, dopo la dichiarazione di guerra del Regno d’Italia alla Germania del 13 ottobre 1943 venne riorganizzato il nuovo esercito italiano. Consistenti gruppi di combattimento furono schierati in supporto agli Alleati contro le armate tedesche.
In Italia, molti militari siciliani si inserirono nelle formazioni della Resistenza, già nel corso del mese di settembre del 1943. A questo riguardo è bene evidenziare il significativo contributo dato a Roma e nel Lazio in genere fino alla Liberazione avvenuta il 4 giugno 1944.
Altri, non pochi, da civili, emigrati nelle aree del centro-nord nel corso degli anni precedenti, scelsero di essere partigiani.
Donne siciliane parteciparono attivamente alla Lotta di liberazione nelle aree territoriali del centro-nord. Giovani, impavide, con grande voglia di riscatto civile e democratico. Alcune furono uccise dai nazifascisti, dopo avere subito orrende torture e sevizie. In questa “Lettera” vengono riportati 5 nominativi, che si aggiungono alle 25 partigiane donne già richiamate nelle due parti precedenti sui “Nominativi di Partigiani Siciliani”. L’elenco è ancora parziale.
Non esiste ad ora una “fonte” unica, completa, che riporti i nominativi e gli aspetti di tutti i partigiani siciliani che svolsero attività di Resistenza su tutti i “fronti” prima evidenziati.
Nel corso del tempo molti pregiati approfondimenti di ricerca sui partigiani siciliani son stati condotti da numerose strutture dedicate alla memoria della Lotta di Liberazione, da ricercatori storici, da libri di memorialistica e quant’altro operativo nel mondo sociale e culturale del territorio, che con dedizione civile e democratica continua la sensibilizzazione sui valori della Resistenza e sul contributo di uomini e donne della nostra Regione.
In particolare, tra le tane fonti, è doveroso ricordare:
– Le varie strutture provinciali dell’ANPI in Sicilia (compreso l’organismo Nazionale), che con grande passione hanno ricomposto l’impegno e la partecipazione dirette di tanti combattenti per la libertà, consegnando a tutti la possibilità della conoscenza appropriata.
– La ricerca condotta da INSMLI curata da Carmela Zangara che con competente dedizione ha ricostruito il percorso e il sacrificio di molti caduti siciliani nella lotta contro il nazifascismo. Nel 2011 ha pubblicato il libro “Per liberar l’Italia: i siciliani nella resistenza: 1943-1945”
– La Regione Piemonte, che con le pubblicazione: “inserto speciale Sicilia” (luglio-agosto 2007), e “Meridionali e Resistenza il contributo del Sud alla Liberazione 1943-1945” (edito nel 2012), a cura di Claudio Della Valle (Presidente dell’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea “Giorgio Agosti”), realizzato con il contributo di tutti gli Istituti della Resistenza del Piemonte, ha pubblicamente divulgato l’impegno dei siciliani, quindi la Banca Dati Istoreto Piemonte.
– La ricerca di Giovanna D’Amico: “I siciliani deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti 1943-1945”.
– La ricerca di Mauro Sonzini: “Elenco dei partigiani siciliani attivi in Val Sangone” (2011)
– La ricerca di Mauro Begozzi: “Sui partigiani siciliani presenti nelle formazioni della Val Sesia, Cusio, Ossola e Verbano”
– Nunzio Di Francesco, con il libro “Il costo della libertà – Memorie di un partigiano combattente da Mauthausen a Gusen II” (edito 2001)
– Angelo Sicilia, con il libro “Testimonianze partigiane, i siciliani nella lotta di Liberazione” (edito 2015).
– Nicola Musumarra, con il libro “La Resistenza italiana negata, il 25 luglio e la vendetta tedesca in Sicilia” (edito 2015).
– Lucia Vincenti, con il libro “Il silenzio e le urla, Vittime siciliane del fascismo (edito 2007)
– Mario Avagliano, con il libro “Generazione ribelle – diari e lettere dal 1943 al 1945” (edito 2006).
Domenico Stimolo, Lettere di Memoria e Libertà. Edizione 2020, ANPI Sicilia, 23 aprile 2020

[…] La banca dati del partigianato piemontese risulta composta da 108.421 nominativi complessivi tratti dai fogli riassuntivi dei fascicoli personali, conservati presso l’archivio dell’Ufficio Riconpart, di pratiche esaminate nel dopoguerra, per l’accertamento delle qualifiche partigiane, dalle Commissioni, istituite in base al decreto luogotenenziale del 21 agosto 1945 n. 518. La Commissione piemontese ha esaminato più di novantunmila domande della quasi totalità del territorio piemontese, quella ligure per le formazioni piemontesi che operarono a cavallo dell’Appennino ligure piemontese e che nei giorni della liberazione scesero su Genova, dove vennero smobilitate, e quella lombarda che raccoglie i dati dei partigiani attivi nelle formazioni che operarono in Val Sesia, nel Novarese, nell’Ossola, Cusio e Verbano e che vennero impiegate nella liberazione di Milano, dove vennero smobilitate.
Da questa banca dati generale risultano essere 7.922 i partigiani combattenti, patrioti, e benemeriti provenienti dal sud Italia e attivi nelle formazioni che operarono nel territorio piemontese. In base alla provenienza regionale si evidenzia una maggioranza relativa di pugliesi (31,7 per cento), con forte incidenza dei baresi, da siciliani (30,2 per cento), calabresi, (14,1 per cento), campani (13,1 per cento) e lucani (2 per cento). 179 furono i partigiani siracusani provenienti da Siracusa e da tutti i Comuni della provincia.Per la maggior parte sono militari che si trovano all’8 settembre 1943 a prestare servizio nel regio esercito in Piemonte nei vari presidi distribuiti nella regione o appartengono alle divisioni della IV Armata che sta rientrando in Piemonte proprio nelle giornate dell’armistizio ed è quindi in movimento tra la Francia meridionale e il Cuneese. La crisi delle forze armate sia di presidio, sia della IV armata è drammaticamente rapida. I soldati sbandati che provengono dalle province a sud della linea del fronte (la linea Gustav) non possono rientrare nelle loro case come tenteranno di fare i loro compagni che provengono dai territori a nord della linea del fronte. Queste circostanze fanno sì che una parte significativa di questi soldati venga catturata dai tedeschi e deportata nei campi di concentramento in Germania. Un’altra parte troverà asilo specialmente nelle campagne piemontesi, dove un certo numero di giovani meridionali finirà per sostituire le molte braccia che la guerra ha portato via ai lavori dei campi, mentre una parte più piccola troverà altre soluzioni lavorative nell’industria e in altre attività. Infine un numero significativo di giovani sarà coinvolto nello scontro politico militare e civile che si apre all’8 settembre. Tra questi alcuni risponderanno ai bandi della RSI, altri entreranno invece nelle formazioni della resistenza piemontese.
Ulisse Signorelli, Furono 179 i partigiani siracusani in Piemonte, La civetta di Minerva, 17 ottobre 2017

La volontà di recuperare, negli anni della seconda o terza Repubblica che dir si voglia, il senso della lotta di Liberazione alla storia del nostro Paese, come stagione autenticamente “costituente”, pur attraverso il vissuto di un singolo personaggio fa da guida a questo volume: un’esperienza, quella del capitano Morello [Giuseppe Burtone], letta e proiettata sullo sfondo di una vicenda collettiva di grande impatto, come la repubblica dell’Ossola, e di una militanza in formazioni partigiane assurte quasi a leggenda nella nostra “guerra di popolo”. La figura di Giuseppe Burtone viene così via via delineandosi, sottratta al silenzio quasi pudico che l’ha accompagnata per interi decenni, restituita alla pregnanza dei suoi impulsi istintivi, alla maturità di motivazioni che vengono progressivamente dispiegandosi, alla consistenza di consapevolezze morali, civili e politiche forgiatesi nel corso della lotta resistenziale: il sentimento patriottico, la ribellione a una dittatura oppressiva, la cristiana solidarietà con le popolazioni indifese, l’ansia di libertà e la sete di giustizia, l’aspirazione alla democrazia come regola della convivenza e condizione di progresso, la volontà di riscatto della nazione, e poi l’impegno alla partecipazione ai giorni e alle opere della vita pubblica, il servizio alla propria comunità di origine e di appartenenza.
Presentazione, Giovanni Burtone, Il capitano Morello. Una vita per l’Italia, Bonanno, 2010

Fonte: Isacem cit. infra

Luigi Briganti nacque a Lentini, in provincia di Siracusa, il 24 aprile del 1924 da Vito Briganti e Sebastiana Gaeta, minore di due figli. La sua fu una famiglia di modeste condizioni economiche. Il padre, contadino, era impegnato nella cura dei campi di sua proprietà, mentre la madre lavorava come fornaia.
B. trascorse la sua giovinezza nel paese natale, dove ebbe modo di attendere ai primi anni di formazione scolastica. Al termine di questo periodo decise di iscriversi al collegio “San Michele” di Acireale per frequentare il liceo classico.
Nel maggio del 1943 fu costretto a sospendere gli studi per svolgere il servizio di leva nel Regio Esercito. B. venne dunque destinato al deposito del 64° Reggimento fanteria di stanza a Ivrea, in provincia di Torino. Si trovava dunque in servizio presso la caserma “Carlo Freguglia”, quando fu raggiunto dalla notizia della firma dell’armistizio dell’8 settembre e, insieme ad altri commilitoni, decise di lasciare le fila del proprio reparto per evitare la cattura da parte delle truppe tedesche. Decise quindi di recarsi nella cittadina di Boves, in provincia di Cuneo, per aggregarsi a un manipolo di militari italiani che si andava organizzando sotto il comando di Ignazio Vian. Appena giunto nella cittadina, però, fu costretto ad assistere all’eccidio della popolazione civile perpetrato dai nazisti come rappresaglia per la morte di un soldato tedesco nel corso di uno scontro con un gruppo di partigiani. Fu proprio questo episodio che indusse B. a prender parte alla Resistenza che si andava approntando nel territorio e, dopo aver allacciato brevi contatti con i gruppi presenti nella zona, raggiunse la Valle di Lanzo per unirsi alla formazione guidata dal comandante Giuseppe Rigola detto «Rino».
Assunto il nome di battaglia di «Fortunello», si distinse in diverse operazioni volte alla trasmissione di informazioni tra i reparti partigiani e il Cln di Torino. Questa sua fervida attività di collegamento lo mise al centro di un controllo sempre maggiore da parte del comando tedesco che, giunto a conoscenza dei suoi movimenti, arrivò a porre una taglia sulla sua cattura.
Nei primi mesi di marzo del 1944 la sua formazione, vista l’endemica penuria di armi e munizioni, decise di tentare un’azione contro caserme della zona per rifornire gli uomini di materiale utile ai combattimenti. Nel corso dell’operazione, però, B. venne catturato da truppe tedesche che si erano recate sul posto per respingere i partigiani e, posto in stato di arresto, fu condotto al carcere di Casale Monferrato. Nel periodo di detenzione dovette subire duri interrogatori per estorcergli notizie sull’ubicazione e le attività delle bande che animavano la Resistenza nella zona. Pur vessato da continue sevizie e sottoposto a diverse torture, decise di non rivelare nessuna informazione che potesse essere utile al nemico. Visto l’ostinato silenzio nel quale si trincerò, B. venne condotto davanti a un tribunale militare tedesco e, dopo un sommario processo, condannato alla fucilazione alla schiena. Pronta fu la reazione dell’imputato che, sentendosi offeso dalle modalità previste per l’esecuzione, affermò di non essere un bandito ma un partigiano e, di conseguenza, di voler essere fucilato al petto e non alla schiena, come invece era solito per gli accusati di aver tradito la patria.
La sera del 20 marzo, poche ore prima della sua esecuzione, B. chiese di poter avere i conforti religiosi e consegnò al sacerdote che lo raggiunse in carcere una lettera da recapitare ai suoi genitori per informarli della sua condanna a morte. La missiva è testimonianza di quello che sarebbe dovuto essere il suo destino: «so che fra poche ore per me sarà finita per sempre. Sono contento di aver fatto il mio dovere per la patria immortale e per la guerra partigiana». Dalla stessa emerge anche la serenità con la quale egli si avvicinò all’esecuzione, ribadendo come: «Contro i nazifascisti io non ho rimorso; ma l’avranno loro quando punteranno le armi contro di me per assassinarmi. Do i miei diciannove anni alla patria e cadrò contento per questa nostra Italia di martiri e di eroi, sicuro che in un domani ritornerà la libertà a questo Nord Italia ove i tedeschi con l’aiuto dei fascisti di Salò spogliano le nostre industrie e portano via in Germania anche le rotaie ferroviarie e spargono il terrore tra il popolo». Il suo ultimo pensiero era però rivolto a quelle che furono le motivazioni della scelta di prender parte alla lotta partigiana: «Sono cattolico e certamente, come il mio confessore mi ha detto, io che ho il corpo martirizzato, troverò conforto e la mia anima si unirà a quella degli altri miei compagni caduti per la libertà. Non ho tradito nessuno; avrei potuto salvarmi, ma al tradimento ho preferito la morte». Terminò infine la lettera con un deciso «W l’Italia, W i partigiani. 20 Marzo 1944».
Il 21 marzo 1944 venne dunque condotto dal plotone di esecuzione vicino a un torrente del Monferrato per essere fucilato, così come deciso dal tribunale militare. Prossimo alla morte, B. fu invece protagonista di una efficace operazione di salvataggio da parte dei suoi compagni partigiani, della formazione di Rigola, che riuscirono a disarmare i tedeschi e a trarlo in salvo. Scampato il pericolo, B. volle riprendere il proprio posto nella Resistenza del Monferrato e, dopo essere stato adeguatamente curato dalle ferite causate dalle continue vessazioni alle quali era stato sottoposto durante i lunghi interrogatori subiti, fu designato alla guida di un distaccamento della 42ᵃ brigata «Vittorio Lusani» attiva tra le fila della Divisione autonoma «Patria Monferrato».
Nel corso del marzo 1945, mentre si trovava a colloquio con un ex ufficiale disertore della X Mas, venne nuovamente arrestato da un gruppo di militi della Rsi che lo percossero duramente e, dopo averlo tramortito, lo condussero a Torino nelle carceri della caserma La Marmora, in via Asti. Venne sottoposto, ancora una volta, a un pesante interrogatorio e dovette subire nuovamente atroci torture, alle quali rispose con immutato silenzio, deciso a non rivelare alcuna informazione che potesse essere utile ai suoi aguzzini. Destinato alla fucilazione, venne invece prelevato da un drappello di soldati tedeschi che lo condussero prima al comando germanico e, dopo alcuni giorni, all’ospedale di Mazzè, in provincia di Torino. Venne infatti fatto rientrare nella trattativa che prevedeva lo scambio di B. con alcuni ufficiali tedeschi che i partigiani avevano catturato come ostaggi durante un’operazione di guerriglia in Valle d’Aosta.
Evitata per la seconda volta la fucilazione, B. insistette per partecipare alla liberazione della città di Torino nel giorno della definitiva presa della città e, seppur ancora gravemente ferito e costretto all’uso delle stampelle, si munì di mitra e prese posto insieme ai suoi compagni in uno dei camion diretto al capoluogo piemontese.
[…] Nel 1959 venne assegnata a B. la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di partigiano combattente con la seguente motivazione: «Comandante di distaccamento di una formazione partigiana, dà ripetute vivissime prove di temerarietà ed ardimento, incitando e trascinando i compagni nelle azioni più rischiose. Nel corso di un’azione isolata contro impianti militari delle truppe nazifasciste, compiuta a Casale Monferrato, cade prigioniero in mano nemica. Sottoposto alle più atroci torture nell’intento di ottenere da lui notizie sulla organizzazione delle locali forze partigiane, rifiuta sdegnosamente di fornire la benché minima informazione. Liberato dai suoi compagni, quando già innanzi a lui era stato schierato il plotone di esecuzione, nonostante che le profonde ferite causategli dalle torture non fossero ancora rimarginate, riprende il posto di combattimento con immutato slancio. Ancora convalescente, evita con atto di suprema generosità la certa cattura di un ufficiale delle formazioni garibaldine, cedendo a questi il proprio nascondiglio e volontariamente costituendosi alle truppe nazifasciste. Nuovamente sottoposto ad altre più feroci e beffarde torture, dà, ancora una volta, esempio di altissima fedeltà alla causa, opponendo ai barbari aguzzini il suo eroico, doloroso silenzio. Liberato con uno scambio di prigionieri, eppur costretto a camminare su occasionali stampelle, trova tuttavia la forza di partecipare alle operazioni militari svoltesi nelle giornate conclusive della liberazione. Esempio veramente luminoso di assoluta dedizione, tenacia e completo sprezzo della vita. Valle di Lanzo, febbraio 1944 – Alto Monferrato, aprile 1945».
Andrea Pepe, Briganti Luigi, Isacem