
Sappiamo, da quanto già detto, che i tedeschi conoscevano la guerra partigiana e ne capivano le implicazioni. Ciò non significa che essi la riconoscevano come sistema di lotta. Le bande sono “ein von uns jedoch nicht anerkanntes militärisches Kampfmittel des Gegners”. Kesselring sostiene nella relazione “Der Krieg hinter der Front. Der Bandenkrieg”, scritta nel dopoguerra, che considerava la lotta alle bande una “Entartung der milit. [sic] Kriegführung [sic]”, inoltre che “Die deutsche Wehrmacht hatte im Frieden wder [sic] eine Ausbildung noch eine Vorschrift über den Bandenkrieg; der deutsche Soldat lehnte ihn ab. Daher war auch bei der deutschen Führung in Italien keine innere Bereitschaft, die allmählich zur Gefahr gewordenen fdl. [sic] Banden zu bekämpfen, vorhanden.”
Al di là di una analisi se ciò sia effettivamente vero, Kesselring esprime con queste parole una avversità intrinseca dei tedeschi verso la guerriglia. Si può affermare che, in fondo, i nazisti oltre a non accettarlo, non comprendevano fino in fondo questo modo di combattere.
Le relazioni sulla situazione delle bande, ad esempio, rispecchiano questa difficoltà nel capire la guerriglia. Spesso si attuano azioni contro i partigiani, senza raggiungere nessuna chiarezza sulla situazione reale. I relatori traggono una serie di conclusioni che confermano l’estraneità alla forma di lotta usata dai partigiani. Dice una relazione stilata fra giugno e luglio del 1944, nel pieno della “grande stagione” partigiana: “Der Kampfwert der Banden ist immer noch gering. Energisch geführten Angriffen weichen sie auch dann aus, wenn sie in der Überzahl sind. […] Die bevorzugte Kampfform bleibt nach wie vor der Überfall aus dem Hinterhalt.” “I ferrovieri salvano alleati e prigionieri politici nascondendoli nei tender delle locomotive”.
Allo stesso modo un altro relatore riferisce che anche per i gruppi grandi permane la tendenza alle imboscate. Il relatore non concepisce che non si attacchi, se si è in maggioranza di forze. Ma non si tratta di una debolezza o di un errore militare, come egli crede, ma della tattica di guerriglia, che risulta vincente, secondo la stessa relazione. “Trotz hoher Verlute nicht zerschlagen, da Masse im Kampf ausweichen konnte.” Confrontato con il successo, il relatore non riesce a capire che esso ha origine proprio in ciò che lui reputa essere un errore militare.
Un’altra relazione dell’aprile ’44 rileva dopo una azione tedesca la scissione delle bande in piccoli gruppi con susseguente sganciamento in territorio non rastrellato. Ma poi si registra una migrazione verso Sud, “angeblich um sich mit anderen Banden zu vereinen, in Wirklichkeit um dem deutschen Zugriff zu entgehen”. Anche qui non si riesce a comprendere la saggezza di questo dividersi, per raccogliersi altrove. Per il relatore si tratta di un comportamento vile, non di una precisa strategia.
E ancora, nel marzo del ’44, parlando della struttura interna delle bande, si dice: “Die Bandenorganisation stellt z.Zt. noch kein geschlossenes Ganzes dar. Sie zerfällt noch in mehrere Gruppen […].” Anche qui il relatore è incapace di concepire un’organizzazione articolata sull’esistenza di gruppi non comunicanti. Se non è unita, ciò può solo significare, che la struttura non è funzionante. Egli dà un giudizio della situazione, secondo come egli è abituato a giudicare. Naturalmente le sue sono considerazioni, dettate da una concezione classica della guerra. Infatti è proprio nella struttura non unitaria in senso militare che risiede la forza della guerra per bande.
Per la lotta alle bande, dicono i tedeschi stessi, è essenziale l’informazione su numero, luogo di permanenza, armamenti. Essa deve essere raccolta e trasmessa subito, pena la punizione. Invece la relazione ci avverte che mancano le informazioni concrete sulle bande. Non si riconosce la struttura delle unità. Sono ignote le località di permanenza di truppe e comandanti ed il numero dei componenti. La relazione afferma cioè il successo di una struttura la cui mancante comunicazione fra i gruppi rende difficile la raccolta di informazioni.
Quest’ultima infatti non avviene.
Recita un rapporto su un azione antipartigiana nell’agosto del ’44, vicino a La Spezia: “Da die Banden restlos zerschlagen und sämtliche Stützpunkte total ausgerottet sind, besteht für sie keine Möglichkeit, sich in diesem Raum wieder zu sammeln.” I tedeschi, pur sapendo come combattono i partigiani, sono convinti che il loro sganciamento tattico significhi distruzione totale. Eppure registrano la tendenza ad evitare i combattimenti, gli scontri con le retroguardie.1 magazzini dicono, devono essere stati distrutti dai partigiani stessi, dunque non sono stati trovati. Mentre da quelli scoperti sono stati raccolti 9 lanciagranate e 27 mitragliatrici, per 3000 uomini. Questi indizi ci portano a sospettare, piuttosto della distruzione, di uno sganciamento con occultamento di materiale.
Se non abbiamo a che fare, ed analizzeremo questa ipotesi più avanti, con un rapporto che serve a correggere un’azione malriuscita per un superiore, bisognerebbe ammettere che la manovra partigiana non è stata recepita dal relatore.
C’è dunque una incapacità tedesca di capire la guerra partigiana. Ciò è dovuto anche alla quantità di informazione di cui dispone. Infatti in diverse relazioni è registrato che non ci sono novità. Ma nessuna novità potrebbe significare semplicemente che non si ha nessuna notizia sui partigiani. È interessante notare come cambia il giudizio sulla resistenza in presenza di notizie concrete. L’esistenza di tutta una organizzazione, negata precedentemente perché ignota, viene allora riconosciuta. Le si attribuiscono dei fini. Si trova lodevole il fatto che i partigiani non attacchino forze maggiori e la diminuzione degli attentati è considerata una tattica.
Si può paragonare ciò, al caso menzionato, in cui mancando le informazioni sulla struttura interna delle bande, si proietta semplicemente una riproduzione del sistema tedesco sull’organizzazione partigiana che sarebbe dotata di “Urlaubscheine und Passierscheine, einheitliche Uniformierung, grün-weiss-rote Armbinden mit numerierten Abzeichen, Beutekarten”. Questo dimostra come oltre a ciò che il tedesco sa sul movimento partigiano, ci sono una serie di dati, che egli crede di conoscere, ma che in realtà egli non riesce a ricostruire. Il nuovo metodo di lotta, la guerra partigiana, non è riconosciuta, ci sono degli ostacoli per accettarla.
Cecilia Winterhalter, La resistenza armata nell’Italia del 1943-45 fra storia e memoria pubblica alle radici della trasmissione storica, Tesi di laurea, Istituto Universitario Europeo, 1999