Intanto [nel 1974], oltre che nella Dc anche nel Psdi le accuse e le responsabilità legate alla “strategia della tensione” si intrecciano con la lotta interna di partito: il periodico “Aut Aut” afferma che Saragat avrebbe minacciato Tanassi (ormai su una linea diversa nel partito rispetto al suo fondatore ed ex presidente della Repubblica) perché questi, a suo tempo, non lo aveva informato circa i movimenti eversivi di gennaio 1974. Saragat smentisce (anche perché in quel periodo non avrebbe avuto alcun titolo per pretendere relazioni sull’argomento) ma afferma che nel dicembre del 1970 «non [fu] informato da chi aveva l’assoluto dovere di farlo, di quanto stava accedendo» <143 con riferimento al golpe di Borghese e chiamando chiaramente in causa Tanassi, all’epoca ministro della Difesa, che infatti verrà chiamato a deporre in due circostanze dai magistrati insieme al Dc Franco Restivo (a novembre e poi, ancora, nel marzo 1975), in quei giorni ministro dell’Interno. D’altra parte la rottura tra Tanassi e Saragat è palese almeno dal congresso del Psdi dell’aprile precedente, quando il primo era rimasto ostentatamente seduto in occasione dell’ovazione tributata dai militanti socialdemocratici all’ex presidente della Repubblica.
Nel mese di novembre si registra il momento in cui forse il dibattito pubblico circa le “trame nere” si avvicina di più ad affrontare la questione delle “responsabilità politiche”. Miceli è stato da poco arrestato quando Ugo Pecchioli, su Rinascita, può affermare che «…si sta scoperchiando una pentola» e invita coloro che avevano la responsabilità di ministro della Difesa e dell’Interno all’epoca del tentato golpe Borghese a parlare <144. “Il Popolo” deve in qualche modo difendere il partito dal famoso articolo di Pasolini per la rubrica «Scritti corsari» del Corriere della Sera <145, quello in cui afferma, tra l’altro, «Io so…io so i nomi dei responsabili delle stragi… non ho le prove, nemmeno indizi…», e lo fa pubblicando l’articolo, dal titolo eloquente, «I deliri di Pasolini» <146.
Nello stesso periodo anche Magistratura Democratica si occupa della questione con un comunicato del Consiglio Nazionale: da una parte viene portato un attacco ai processi più significativi sulle trame eversive, sulle deviazioni degli apparati dello Stato, sulle connivenze tra potere economico e politico, investendo di ingiustificati sospetti i magistrati inquirenti attraverso orchestrate campagne di stampa e utilizzando in modo pretestuoso strumenti giuridici già ampiamente abusati, tendenti, a fini di convenienza politica, alla unificazione dei processi sulle trame eversive nelle mani di uffici giudiziari romani che da anni sono coinvolti nelle lotte del potere politico […] d’altra parte si tende a ricreare nella magistratura un clima favorevole ad una gestione della giustizia verticistica e condizionata da centri di potere esterni… <147 a cui risponde il “Popolo” del 13 novembre 1974 <148 che riporta lo sconcerto della Dc per il comunicato, la cui prosa, si afferma, «è degna di Lotta Continua».
A dicembre però, dopo la formazione del nuovo governo, il clima cambia bruscamente e sembra avere fondamento il giudizio di Craveri: il governo Moro sembra portare un «colpo di spugna» su vari procedimenti giudiziari. Per le maggiori inchieste sull’eversione di destra il mese di dicembre 1974 è decisivo: l’intervento della Corte di cassazione, nel giro di pochi giorni toglie dalle mani di D’Ambrosio e Alessandrini il ramo delle indagini sulla strage di piazza Fontana che riguarda il ruolo di Rauti e Giannettini, che viene riunito al processo di Catanzaro, e incarica la magistratura di Roma di procedere per le inchieste sulle trame nere, ponendo così fine alle metodiche e martellanti indagini di Tamburino a Padova e a quelle di Violante a Torino. Per quanto riguarda piazza Fontana, la decisione della corte appare la logica conclusione della condotta, assai discussa peraltro, fino ad allora tenuta. Ma anche per le altre inchieste si erano avuti sentori di un possibile epilogo di quel genere: la consegna del dossier dei servizi da parte di Andreotti aveva dato certo un impulso all’inchiesta romana; la magistratura della capitale si era anche fatta promotrice di una insolita ed irrituale (in un epoca in cui la collaborazione tra i diversi uffici giudiziari per le inchieste sul terrorismo non era ancora cominciata) riunione nazionale di tutti i magistrati che conducevano inchieste di rilievo sull’eversione nera, tenutasi nell’ottobre 1974, vista con non poca diffidenza dalle altre procure: i magistrati di Milano e di Bologna si rifiutano di parteciparvi, e quelli di Padova sembrano farlo malvolentieri <149. Secondo Craveri la decisione della Cassazione deriva in maniera evidente dal potere politico, afferma infatti lo storico che «la nuova stagione di Moro inizia […] sotto l’insegna di un pesante colpo di spugna su uno degli aspetti più torbidi del recente passato […] Emergeva un’evidente collusione tra la classe politica di governo e larga parte della magistratura, e per la prima volta all’interno di questa si apriva uno scontro, che era insieme generazionale, culturale e politico» <150.
Certo è che Tamburino aveva il sentore che una simile decisione sarebbe arrivata, ed anche il quotidiano della Dc lo aveva ripetutamente auspicato in non pochi articoli di fine 1974 <151. Il settimanale democristiano è sulla stessa linea e si schiera apertamente per una riunificazione delle inchieste sulle trame nere, prima con un articolo sul numero dell’11 novembre <152 in cui, oltre ad affermare che il polverone sollevato dalle inchieste della magistratura sull’eversione può avere effetti negativi («alimentare il qualunquismo e nascondere i fatti che pure vanno accertati»), sostiene che un’unica inchiesta può essere molto più efficace, e poi, sul numero successivo, il 18 novembre, con il significativo titolo «Nel labirinto delle piste», che suggerisce l’esigenza di semplificare e razionalizzare le inchieste. Proprio in quei giorni, viceversa, Rinascita si muove in senso esattamente opposto: In «Giudici di provincia» <153 spiega che le motivazione giuridiche addotte dalla stampa di destra per portare a Roma tutti i maggiori processi sull’eversione di destra non convincono e quindi, conclude, i motivi non possono che ricollegarsi al fatto che a Roma il potere ha maggiori possibilità di influenzare il corso della giustizia.
Alla fine del 1974 le vicende giudiziarie relative all’eversione di destra sono dunque il terreno su cui sembra giocarsi una significativa tappa della lunga partita che ha come oggetto l’equilibrio di potere tra la magistratura e l’esecutivo, gestito in primis dalla Dc. Nella prima metà dell’anno diversi uffici giudiziari, a Milano, a Padova e a Torino avevano fatto emergere il coinvolgimento di esponenti delle forze armate e dei servizi in disegni eversivi e, in questa maniera avevano dato un importante contributo ad un cambio di atteggiamento degli esponenti della Dc rispetto alla “strategia della tensione” ed alla tesi degli “opposti estremismi”. Alla fine dell’anno, viceversa, le forze che gestiscono il potere l’esecutivo, o alcune di esse, sembrano avere ancora la capacità di stimolare opportunamente i gradi più elevati dell’ordinamento giudiziario e gli uffici che hanno sede nella capitale per ottenere una direzione dei procedimenti che non generi eccessivi imbarazzi.
Ma la partita non si gioca solo sull’eversione: sempre a dicembre vi è l’epilogo di un’altra vicenda di notevole importanza per i rapporti tra politici e magistrati: il procuratore generale della Cassazione sottopone a procedimento disciplinare (per lesione del prestigio della magistratura) Adriano Sansa, uno dei tre pretori che avevano condotto l’inizio dell’inchiesta sui petroli, a causa delle dichiarazioni fatte da questi in una lettera del giugno precedente al Secolo XIX in cui aveva affermato: «I processi per i fatti più gravi e più oscuri di questi anni sono apparentemente fermi. Nessuna affermazione di giudizio definitivo è venuta alla luce. Non fosse per la costante e dura requisitoria della stampa autonoma parrebbe di averli, invece, condotti a termine […] Se questa requisitoria venisse meno l’offuscamento della responsabilità rischierebbe di farsi definitivo.» <154.
[NOTE]
143 Vedere, ad esempio, “Saragat: quando ero presidente fui tenuto all’oscuro delle trame”, La Stampa del 07 novembre 1974.
144 “Il nodo politico delle trame eversive”, Rinascita N. 42 del 25 ottobre 1974.
145 Corriere della Sera, 14 novembre 1974.
146 Il Popolo, 20/11/1974. All’interno dell’articolo si parla di «scetticismo plebeo» e «anarchismo velleitario» per descrivere l’atteggiamento di Pasolini.
147 Il comunicato viene descritto nell’articolo “Giudici democratici: impegno comune nella lotta antifascista” dell’Unità del 12 novembre 1974.
148 “Magistrati e golpe”, Il Popolo del 13 novembre 1974.
149 “Emergono perplessità tra i magistrati sul vertice di oggi per le trame nere”, Unità del 3 ottobre 1974
150 P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992. Cit. pag. 610.
151 Ad esempio “Golpisti”, il Popolo del 10 novembre 1974.
152 Dal titolo “Geografia e storia di un’indagine”
153 Rinascita, N. 45 del 15 novembre 1974.
154 “Il pretore Sansa messo sotto accusa”, La Stampa 23 dicembre 1974.
Edoardo M. Fracanzani, Le origini del conflitto. I partiti politici, la magistratura e il principio di legalità nella prima Repubblica (1974-1983), Tesi di dottorato, Sapienza – Università di Roma, 2013