Per l’Italia fascista la Conferenza di Madrid del 1934 rappresenta un’importante vetrina da sfruttare

Come è noto, il fascismo ha posto le basi per il suo potere ideologico nella memoria pubblica, esaltando il glorioso passato storico, artistico e culturale dell’Italia. Per il regime il passato costituisce un importante strumento di educazione: si deve prendere esempio dalle gesta di coloro che ricoprirono di onore e gloria il nostro paese e tutto ciò che può contribuire a creare un orgoglio nazionale e radicare nel popolo la fierezza di essere italiani, figli di un glorioso paese e di un’altrettanta gloriosa stirpe. L’orgoglio italiano viene alimentato nella popolazione sia con la rievocazione di fatti storici e politici, sia con la valorizzazione di importanti conquiste nel campo dell’arte, della letteratura e delle scienze, dunque anche i musei, le gallerie e le mostre vengono impiegati per alimentare quel sentimento nazionalista che costituisce la base dell’ideologia. Infatti, l’“italianità” degli artisti è un pretesto grandemente sfruttato dalla propaganda fascista, per cui ogni occasione è buona per osannare importanti personaggi della storia passata e, scavando nella loro vita e in quella delle loro famiglie, esaltare comportamenti patriottici utili a sostenere la filosofia propagandistica.
Il Regime vuole “andare verso il popolo”, invogliandolo a frequentare musei e luoghi d’arte con facilitazioni di tipo materiale, economico prima di tutto (l’ingresso gratuito ai musei, le visite serali o l’uso delle macchine fotografiche <26); ma questo “movimento” da parte dello Stato verso le masse non ha come obiettivo di base l’educazione delle stesse, ma quello di spiegare loro, a suon di capolavori nazionali, la superiorità della nostra razza in virtù ed intelligenza.
Ugo Ojetti, membro della commissione consultiva di esperti dell’Office, nel commentare le molte differenze tra i musei americani e quelli italiani in un articolo sul primo numero di «Museion», sottolinea che lo scopo primario dei musei italiani è quello di conservare il patrimonio e che l’Italia, rispetto all’America e anche ad altri paesi europei è in possesso di una quantità talmente vasta di patrimonio storico-artistico che l’esigenza conservativa andava necessariamente anteposta ad ogni altra finalità.
Non a caso in questi anni, gli studiosi di storia dell’arte italiani sono divisi in due fazioni: chi come Ojetti sostiene una visione ancora ottocentesca del museo italiano, considerata molto più valente e meglio conciliabile con le istituzioni museali nazionali che presentano quello specifico assetto, essendo per lo più inserito in un palazzo storico difficile da modificare sul piano architettonico.
Gli ordinamenti tassonomici e le ricostruzioni di ambientazione sono totalmente messi in discussione dalla seconda schiera, quella degli innovatori – tra questi Lionello Venturi <27, Roberto Longhi <28 e Guglielmo Pacchioni <29 – le cui idee sulla museografia sono molto vicine alle proposte avanzate dall’OIM e forse proprio per questo non prese in particolare considerazione dallo Stato italiano, in quanto non completamente aderenti all’ideologia fascista.
Nonostante le molte divergenze interne al nostro paese, anche l’Italia riesce ad inserirsi a suo modo all’interno dei vari cambiamenti. Il regime promuove infatti una grandiosa politica espositiva, rafforzando in primis le manifestazioni come la Biennale di Venezia, la Triennale di Milano e patrocinando l’avvio della Quadriennale di Roma, oltre all’organizzazione di grandi e importanti esposizioni.
Queste ultime sono viste dal regime e dai suoi sostenitori, tra cui Ojetti, come un mezzo molto importante di avvicinamento e di educazione della popolazione, non a caso in questi anni vengono allestite su tutto il territorio nazionale anche le mostre regionali di arte popolare.
Proprio in riferimento alle esposizioni, sembra rilevante a chi scrive riportare la posizione del già citato Guglielmo Pacchioni e del ministro dell’Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai <30 durante il Consiglio nazionale dell’Educazione, delle Scienze e delle Arti indetto nel 1938, per meglio inquadrare la dicotomia vigente in Italia in quegli anni.
Pacchioni, all’epoca Soprintendente delle regioni Piemonte e Liguria, riguardo alle mostre e alle proposte di nuovi allestimenti di musei esistenti, propone la selezione mirata delle opere più famose che, quindi, possono attirare una maggiore quantità di visitatori; trattandosi di un pubblico non composto esclusivamente di specialisti, Pacchioni afferma l’assurdità di voler pretendere dalle masse una qualche preparazione critica che però «chiede della medesima esaltazione dello spirito» <31.
In contrapposizione rispetto a Pacchioni e a molti altri suoi esimi colleghi, italiani e stranieri, Bottai comprende che l’aumento delle attività espositive dimostra un rinvigorito interesse per il patrimonio italiano, ma si chiede nel contempo se «è proprio necessario che la montagna vada da Maometto o non è più logico che accada l’inverso?» <32. Secondo la visione del ministro, di indubbia impronta nazionalistica e razziale, lo Stato deve sfruttare lo strumento “museo” per arrivare al popolo, ma non per una nobile azione di conoscenza diretta nei confronti dei non esperti, bensì per istruire e far comprendere alla massa la grandezza e la superiorità della razza italica. Se l’Italia fascista, dunque, non si chiude veramente al concetto moderno di museo che viene proposto dagli altri paesi, prevale senza dubbio l’ottica nazionale ha come scopo primario la propaganda e la conseguente esaltazione dell’italianità.
La visione italiana sulle novità museografiche proposte, viene riportata anche al convegno di Madrid del 1934 indetto dall’Ufficio Internazionale dei Musei, apice del dibattimento internazionale sul museo moderno. In questa sede vengono delineate, nei minimi particolari, le caratteristiche che il museo moderno deve avere per essere definito tale. I frutti di questo importante dibattito vengono pubblicati in due numeri della rivista «Museion», di cui si darà conto di seguito.
[…] È in questo contesto di fremente dibattito che nel giugno del 1933 viene annunciata a Madrid una «conferenza internazionale di esperti per studiare le questioni relative a l’architettura e la sistemazione dei musei» <33.
Il convegno madrileno ha rappresentato e rappresenta ancora oggi, un’importante svolta critica a livello internazionale, portando fondamentali novità anche nel campo degli allestimenti.
In totale sessantanove esperti provenienti da diciannove paesi sono stati inviati per condividere le loro opinioni riguardo alla concezione architettonica del museo, i suoi allestimenti interni e la valorizzazione delle collezioni. Gli atti di questo importante convegno culturale sono stati riportati nella rivista ufficiale dell’OIM «Museion» nel volume titolato Muséographie: architecture et aménagement des musées d’art, conférence internationale d’études, considerato il primo manuale di museografia e ancora oggi largamente apprezzato <34.
La Conferenza di Madrid risulta innovativa e diversa rispetto ai precedenti convegni su scala internazionale in quanto, fin dagli inizi della sua organizzazione, l’idea è di eliminare le presentazioni individuali di esperti per favorire le relazioni generali.
La scelta di tale metodo è prettamente politica: l’obiettivo è quello di attuare una selezione mirata degli esperti da invitare al convegno in quanto non basta che siano preparati in materia, bisogna che siano anche in grado di esplicare al meglio la situazione nella propria nazione di appartenenza, in modo da poter avere un quadro ben definito del contesto del singolo paese <35.
Per l’Italia fascista, la Conferenza di Madrid rappresenta un’importante vetrina da sfruttare per affermare in tutto il mondo la supremazia e il primato della romanità e dell’italianità. La presenza italiana alla conferenza è massiva con un totale di 14 partecipanti e tre relatori, i porta voce ufficiali del governo Mussolini in ambito culturale composta dagli archeologi Roberto Paribeni, Arturo Maiuri e Ugo Ojetti, i quali hanno riportato una critica nazionale compatta ma allo stesso tempo ancora legata ad un modello di museo ottocentesco, la cui principale funzione è conservare e tutelare il patrimonio, con un forte gusto legato alla rievocazione storica dei musei di ambientazione <36. Infatti, un tema che coinvolse indistintamente tutti i paesi riguarda l’adattamento di edifici storici e monumenti antichi, a musei per la quale sono state trovate delle condizioni semplici da adottare per tutti, come l’armonia tra gli oggetti e gli spazi architettonici cui sono collegati o l’accurata selezione delle opere da esporre. Le rievocazioni storiche o i riferimenti agli antichi allestimenti vengono altamente sconsigliati, in quanto si ritiene che i beni culturali esposti rappresentino una testimonianza sufficiente del passato.
Riguardo alle scelte espositive in conferenza si giunge alla conclusione che lo spazio in cui le opere vengono inserite deve essere privo di orpelli e decorazioni parietali, le quali potrebbero distogliere l’attenzione dello spettatore dal focus principale che è il bene stesso <37.
Altra tematica fondamentale affrontata in sede di conferenza riguarda le mostre temporanee di cui si identificano diverse tipologie: le mostre monografiche, dedicate ad unico artista generalmente organizzate in occasione di un anniversario o di una data significativa dello stesso; quelle dedicate ad uno specifico periodo storico o ad una precisa corrente artistica; quelle realizzate per esigenza dei musei, di natura economica o relative alla collezione stessa, troppo copiosa per essere esposta tutta in modo permanente.
Quest’ultima tipologia di mostra, definita “ciclica”, dà la possibilità ai visitatori di poter ammirare l’intero patrimonio dell’istituzione, spesso stipato nei depositi. Se per quanto riguarda le collezioni permanenti i partecipanti al convegno sono molto rigidi sulle linee guida da seguire per l’allestimento, nel caso delle mostre temporanee l’ingegno del curatore viene lasciato libero di sperimentare nuovi espedienti espositivi e testarne l’efficacia sul pubblico per riproporli eventualmente nelle collezioni permanenti, pertanto il carattere delle mostre temporanee deve essere puramente educativo non solo per il pubblico ma anche per gli stessi direttori e curatori i quali possono meglio comprendere
come attrarre il pubblico attraverso suggestivi espedienti positivi <38.
Si giunge alla conclusione che se il visitatore ha modo di sperimentar l’importanza di comprendere profondamente il ruolo del museo, è possibile costruire un rapporto di fiducia tra museo e pubblico.
Inoltre, negli atti del convegno viene anche definita la tipologia di spazio da utilizzare ai fini della mostra temporanea: dovrebbe trattarsi di un ambiente meno rigido di quello da utilizzare per un’esposizione permanente, ampio composto da diversi ambienti, disposti l’uno dopo l’altro e facilmente modificabili per poter realizzare qualunque progetto del curatore senza dover comportare di volta in volta costi eccessivi. Anche in questo caso le suddette stanze devono essere prive di ornamenti parietali architettonici e di ogni altro tipo che possa distrarre il visitatore; gli spazi, inoltre, devono anche essere privi di ripartizioni interne di alcun tipo e viene consigliato l’uso del legno per la pavimentazione, in quanto può essere facilmente forato con chiodi senza che venga eccessivamente danneggiato.
Anche il discorso sull’illuminazione è stato affrontato in maniera approfondita, facendo giungere alla conclusione in conferenza che la scelta migliore è un impianto illuminotecnico artificiale e, dove fosse già prevalente un’illuminazione di tipo naturale, questa deve essere mitigata e completata da una tipologia artificiale, in modo tale da garantire una luce constante per tutta la durata della mostra <39.
Inoltre, una grande maggioranza di studiosi vedono il potenziale di questi “eventi” come strumenti di attrazione del grande pubblico, dal carattere prevalentemente educativo, dunque tutte le esposizioni temporanee devono seguire il gusto del tempo per poter meglio accompagnare lo sguardo dei visitatori – non artisti, non specialisti, quindi non studiosi o direttori di museo, ma gente di ogni tipo – per insegnare loro la storia e la bellezza in modalità accessibili a tutti. In prima fila si pone lo storico d’arte italiano Ugo Ojetti, il quale a Madrid cura la relazione dedicata al valore e alle numerose potenzialità delle esposizioni temporanee, concentrando l’attenzione su due aspetti: la tipologia di pubblico interessata e i rapporti di questa con i musei permanenti. La sostanziale differenza tra museo permanente e mostra temporanea, secondo Ojetti, risiede tanto nella funzione quanto nella forma delle due realtà, per cui la mostra deve essere legata al gusto del pubblico, nascendo quest’ultima come strumento di attrazione per il grande pubblico, mentre il museo doveva essere pensato come una sorta di luogo sospeso, slegato dal gusto del tempo <40: «L’exposition temporaire constitue l’instrument le plus approprié pour établir entre le musée et le public, le contact grâce auquel les richesses accumulées dans les collections pourront véritablement devenir des richesses spirituelles pour le visiteur» <41.
Negli anni Trenta in Italia sono state allestite molte mostre monografiche attraverso le quali sono stati resi accessibili, in momenti e luoghi diversi, i risultati ottenuti degli studiosi dalle loro ricerche, offrendo allo stesso tempo nuove occasioni di confronto in quanto spesso, tali risultati, vengono pubblicati nei cataloghi. Questi testi cominciano ad assumere un’importanza sempre più rilevante nell’ambito espositivo divenendo strumenti utili per la divulgazione della conoscenza storico artistica anche per il pubblico di non esperti.
In questo contesto viene analizzata sotto molti punti di vista – quello della promozione, dei prestiti e soprattutto sul fronte espositivo – la prima mostra monografica realizzata a Venezia nel 1935 su Tiziano Vecellio. Essa rappresenta dunque un importante cartina di tornasole per tentare di verificare in che modo l’Italia fascista risponde alle novità museografiche introdotte alla Conferenza di Madrid, tra consensi, dissensi e piccole contraddizioni.
[NOTE]
26 P. Dragoni, Accessible à tous: la rivista «Mouseion» per la promozione del ruolo sociale dei musei negli anni’30 del Novecento, in «Il Capitale culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage», n. 11, 2015, p. 194.
27 Figlio di Adolfo Venturi, nasce a Modena nell’aprile del 1885 e muore a Roma nell’agosto del 1961. Nel 1907 si laurea in Lettere e Filosofia presso l’Università la Sapienza di Roma. Da subito inizia la sua carriera di storico dell’arte, ricoprendolo il ruolo d’Ispettore prima nelle Gallerie di Venezia e poi nella Borghese a Roma, dal 1909 al 1912. Diviene docente in Storia dell’arte medievale e moderna e, nel 1915, viene nominato professore straordinario di Storia dell’arte all’università di Torino. Si arruola volontario nell’esercito italiano nella prima guerra mondiale e nel 1917 viene congedato con decorazione a seguito di una ferita riportata sul campo di battaglia. Dal 1919 riprende l’insegnamento, ma ben presto è costretto a scappare dall’Italia fascista, essendosi rifiutato di prestare giuramento al regime; ripiega in Francia, a Parigi, dove rimane fino al 1939. In questi anni tiene lezioni in varie e prestigiose università d’Europa e dell’America, trasferendosi a New York fino alla fine della guerra, costretto dall’avanzata nazista in Europa. Nel 1945 torna a Roma e riprende l’insegnamento presso l’Università La Sapienza. Nella sua lunga carriera di professore e storico dell’arte si contano più di 800 tra libri, articoli, saggi e recensioni: https://saras.uniroma1.it/strutture/archivio-lionello-venturi/lionello-venturi.
28 Nasce ad Alba nel dicembre del 1890 e muore nel 1970. Nel 1911 si laurea all’Università di Torino con Pietro Toesca discutendo una tesi sul Caravaggio. Nel 1912 viene ammesso alla scuola di perfezionamento di Adolfo Venturi a Roma e trasferitosi nella capitale comincia a scrivere nelle riviste «La Voce» e «L’Arte». Durante l’anno scolastico 1913-1914 insegna presso i licei romani Tasso e Visconti. Tra il 1920 e il 1922 compie una sorta di Grand Tour in Europa, esperienza che lo arricchisce le sue capacità di conoscitore. A Roma, dal 1922, esercita la libera docenza all’Università La Sapienza e nel 1926 inizia la collaborazione con “Vita Artistica” di cui assume la direzione dal 1927 insieme ad Emilio Cecchi, con il quale fonderà la rivista “Pinacotheca” l’anno successivo. Nel 1934 vince il concorso per la cattedra di Storia dell’Arte Medievale e Moderna dell’Università di Bologna ed è in questi anni che comincia a crescere in lui un forte interesse verso l’arte contemporanea che lo porterà ad essere presente nella commissione organizzatrice della Biennale di Venezia dal 1947 al 1958: https://fondazionelonghi.it/wordpress/it/it_home/it_roberto-longhi/.
29 Nato a Pavullo nel 1882, muore a Milano nel 1969. Nominato direttore della Galleria Sabauda di Torino, lui e Venturi, nel 1928, hanno realizzato insieme il primo allestimento per la Collezione Gaulino, esposta al pubblico per la prima vola nella Galleria Sabauda di Torino: «Ne era scaturito un allestimento in cui le opere, selezionate da Lionello Venturi, erano esposte secondo un criterio che prestava attenzione alla singolarità di ogni pezzo, collocandolo in un contesto in cui moderno e antico dialogavano», S. Cecchini, Musei e mostre d’arte negli anni Trenta, in Snodi di critica. Musei, mostre, restauro e diagnostica in Italia (1930-1940), a cura di M. I. Catalano, p. 71.
30 Nasce a Roma nel settembre del 1895, frequenta il liceo classico Tasso e s’iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’Università La Sapienza, studi che interrompe per lo scoppio del primo conflitto mondiale, anticipando il suo ingresso nell’esercito: parte volontario all’età di 19 anni. Alla fine della guerra torna a Roma e si laurea in legge. Dal 1919 è attivo con il movimento futurista e incontra Benito Mussolini, con lui collabora alla fondazione dei Fasci di combattimento di Roma e nel 1921 è eletto alla Camera dei Deputati con il Partito Nazionale Fascista, ma la sua carica decade l’anno successivo a causa della sua giovane età e il 28 ottobre dello stesso anno, 1922, partecipa alla marcia su Roma. Dal 1926 al 1929 viene nominato sottosegretario del Ministero delle Corporazioni, di cui diviene ministro dal 1929 al 1932. Nel 1935 parte volontario in Africa orientale e viene nominato governatore di Addis Abeba nel maggio del 1936; nell’ottobre dello stesso anno torna in Italia per occuparsi della nuova riforma scolastica. Al suo ritorno in patria viene nominato Ministro dell’Educazione Nazionale, fino al 1943. Negli anni in cui ha ricoperto questa carica sono state promulgate le leggi Bottai, la base della tutela nazionale del patrimonio storico artistico: la n. 1089 sul patrimonio storico-artistico e la 1497 sulle bellezze naturali: http://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-bottai_(Dizionario-Biografico)/.
31 G. Pacchioni, Coordinamento dei criteri museografici, in «Le Arti», I, dicembre 1938-gennaio 1939, pp. 149-155, p. 150.
32 G. Bottai, Direttive per la tutela dell’arte antica e moderna, in Istituzioni e politiche culturali in Italia negli anni Trenta, a cura di V. Cazzato, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2001, pp. 226-236, p. 232.
33 «Museion. Informations Mensuelles», giugno 1934, pp. 1-2: «une conférence internationale d’experts Our étudier les questions relatives à l’architecture et l’aménagement des musées».
34 P. Dragoni, «La concezione moderna del museo» (1930). All’origine di un sistema di regole comuni per i musei, in «Il Capitale Culturale», n.14, 2016, pp. 25-51, p. 46.
35 JB. Jamin, La Conférence de Madrid (1934). Histoire d’une manifestation international à l’origine de la muséographie moderne, in «Il Capitale Culturale», n. 15, 2017, pp. 73-101, pp.82-83.
36 Ivi, pp. 80-81.
37 Muséographie: architecture et aménagement des musées d’art, conférence internationale d’études (Madrid, 28 ottobre – 04 novembre 1934), Parigi, Société des Nations, Office international des musées, Institut international de coopération intellectuelle, 1934, vol. I, pp. 205-207.
38 Ivi, pp. 288-290.
39 Ivi, pp. 81-83.
40 Ivi, pp. 216-217.
41 U. Ojetti in Muséographie: architecture et aménagement des musées d’art, conférence internationale d’études, p. 293: «la mostra temporanea costituisce lo strumento più apprezzato per stabilire tra il museo e il pubblico il contatto grazie al quale le ricchezze accumulate nelle collezioni potranno veramente diventare ricchezze spirituali per il visitatore».
Giulia Lazzarelli, Tiziano Vecellio in mostra: un percorso attraverso alcune grandi mostre internazionali (1935-2013), Tesi di laurea magistrale, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno Accademico 2019/2020