Personale della Marina lasciò le città per raggiungere le prime bande…

9 settembre 1943, ore 16: la corazzata Roma colpita dalla seconda bomba tedesca

[…] Alla Spezia, partite le Forze Navali da Battaglia, l’ammiraglio Maraghini, la mattina del 9 [settembre 1943], non riuscendo a parlare con il comandante del XVI Corpo d’Armata (generale Carlo Rossi), di stanza alla Foce, poiché i centralini telefonici erano in mano a personale tedesco già presente in sede, diede le necessarie disposizioni per procedere all’allontanamento verso il centro Tirreno delle unità navali in grado di farlo e per il danneggiamento delle navi sugli scali o ai lavori e l’affondamento delle navi non in grado di muovere. Il piano fu rapidamente attuato senza interferenze tedesche, grazie anche alla resistenza opposta dagli sparuti reparti delle già menzionate divisioni alpina, Alpi Graie, e di fanteria, Rovigo che, pur senza ordini precisi, cercarono di contrastare l’azione tedesca […] Il Comando militare marittimo della Provenza (Mariprovenza, ammiraglio di divisione Pellegrino Matteucci) disponeva del IV battaglione del reggimento R. Marina San Marco (capitano di corvetta Federico Itzinger), di reparti della Milmart, di numerose navi francesi in riparazione e ripristino, e dei due vecchi MAS 424 e 437: in totale erano presenti circa 4000 uomini della Marina. Alla dichiarazione d’armistizio, Matteucci ricevette l’ordine di disinteressarsi delle navi francesi (catturate a fine 1942 dopo l’occupazione di Tolone) e di “chiedere ai tedeschi di poter raggiungere, con uomini, armi e mezzi, il territorio nazionale”. In breve tempo i due MAS furono autoaffondati e il personale presente fu consegnato in caserma, in attesa degli eventi, che furono tragici, poiché i tedeschi rapidamente procedettero alla cattura delle installazioni italiane e il personale fu successivamente inviato in internamento in campi di concentramento in Germania o in Francia.
Scontri avvennero a Villafranca e a Mentone, con perdite fra il personale della Marina. Il 9 settembre caddero a Mentone il sottocapo infermiere Mario Acquisti e il cannoniere Armando Alvino. […] Anche in Francia alcuni marinai riuscirono ad allontanarsi e si mantennero alla macchia o raggiunsero la Resistenza francese. Fra questi va ricordato il marinaio Giacomo Parodo. Già destinato alla compagnia del San Marco, si allontanava dalla base, quando questa passò sotto controllo tedesco e, per tre mesi, peregrinava nelle campagne prendendo contatto con le formazioni partigiane, non propense ad accettare italiani nelle loro file. Nel marzo 1944 Parodo venne arrestato; rifiutandosi ancora di collaborare, fu fucilato assieme ad altri due marinai del San Marco. Fu decorato di Medaglia d’Oro al Valore Militare alla memoria. Anche in seguito si ebbero casi di marinai che disertarono per cercare di unirsi alla Resistenza francese. Alcuni furono fucilati. […] La maggior parte del personale della Marina presente a Roma e Napoli si allontanò dal servizio, e anche quando chiamata dai bandi e dai proclami sempre più perentori delle Forze Armate della RSI, rimase lontana adducendo scuse e trincerandosi dietro i certificati di medici compiacenti che diagnosticavano malattie (spesso vere, ma non invalidanti) e ferite (che non mancavano). Una parte del personale, peraltro, ritenne proprio dovere non solo non collaborare con i tedeschi, ma prendere parte attiva alle azioni che avessero contribuito ad allontanarlo al più presto dal territorio italiano occupato. Così personale della Marina lasciò le città per raggiungere le prime bande che si organizzavano nella Resistenza clandestina armata; altri passarono le linee per combattere nei reparti delle Forze Armate regolari o per portare informazioni. Furono organizzate reti di sostegno al personale che resisteva passivamente fornendo denaro e altri appoggi sia ai militari, sia alle famiglie, quando rimaste in territorio occupato per la partenza, sulle navi, del militare capo-famiglia. Altri ancora parteciparono attivamente all’organizzazione delle bande e delle reti di Resistenza. […] Una delle prime azioni delle bande fu quella condotta a Boves (Cuneo) dal tenente della Guardia alla frontiera Ignazio Vian. Questi riunì militari della 4a Armata, allontanatisi con le armi, fra cui anche un cannone. Il 19 settembre SS tedesche giunsero in paese e due di esse furono catturate. Intervennero reparti motocorazzati che richiesero il loro rilascio, ne nacque un
combattimento e una delle prime vittime fu un marinaio cannoniere appena giunto da Mentone. Dopo trattative e altri scontri i tedeschi prigionieri furono rilasciati, ma ciò non evitò che le SS uccidessero 32 persone, compresi i mediatori, e radessero al suolo 45 abitazioni. Successivamente Vian si allontanò operando con le Fiamme Verdi. Arrestato per delazione, passò una lunga
prigionia a Torino, dove successivamente fu ucciso venendo impiccato a un albero di Corso Vinzaglio. Fin dall’inizio si manifestò un insanabile contrasto fra gli interessi angloamericani e quelli italiani sullo sviluppo delle operazioni belliche in Italia. Fermo restando che le operazioni belliche contro i tedeschi potevano essere condotte solo dai primi, gli italiani intendevano prendervi parte con quanto rimaneva dell’esercito regolare (re e Badoglio) e con le formazioni irregolari di partigiani (partiti politici). Per gli Alleati, Forze Armate italiane e partigiani costituivano un peso e un pericolo politico, per cui cercarono in tutti i modi di ostacolarne l’opera, limitandosi a sfruttarne solo la parte che poteva risultare vantaggiosa ai loro fini: manodopera a basso prezzo (soldati e prigionieri di guerra), informazioni belliche (soldati e partigiani), interruzioni delle linee di comunicazione tedesche (reparti speciali e partigiani). Almeno fino alla presa di Roma, ma anche in seguito, il movimento partigiano fu visto dagli Alleati più come un problema da eliminare che come un aiuto alle operazioni belliche alleate. Nei successivi colloqui con la Commissione di Controllo Alleata, fu chiaro che gli italiani dovevano desistere dalla loro idea di contribuire alle operazioni belliche con un notevole numero di truppe […] Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale, Anno XXIX, 2015, Editore Ministero della Difesa

Il Comitato avoca a sé la facoltà di autorizzare i comandi singoli di formazione a portare i loro colpi contro impianti, nodi stradali e ferroviari che siano giudicati dai tecnici del centro utili ai tedeschi.
A questo fine, sotto la diretta dipendenza appunto del Co.Mi., erano stati destinati i «reparti speciali» di cui si parla al termine del documento. Erano essi nuclei di sabotatori organizzati dal ten. Edgardo Sogno (Franchi) e addestrati ad una vera e propria attività di «commandos». Il Sogno, dotato di uno spericolato ardire, aveva raccolto un gruppo di giovani che formavano l’ossatura dei «reparti speciali» e che, sotto la sua guida, svolgevano il lavoro di guastatori e insieme sceglievano le zone ove potevano stabilirsi i campi di lancio per i convogli aerei alleati. Collegato con le basi anglo-americane del sud, «Franchi» era contemporaneamente il capo di una missione accreditata presso i servizi speciali del comando del maresciallo Alexander, il delegato del Co.Mi. alla testa dei nuclei di sabotaggio, il suo incaricato per il rilevamento dei punti adatti ad accogliere il materiale avio-lanciato ed anche per l’accertamento dei fabbisogni di materiale da richiedere alle basi dell’Italia liberata (14).
La questione dei lanci e delle missioni alleate aveva occupato ed occupava ancora un posto rilevante nelle preoccupazioni del Co.Mi.
Nel novembre del ’43 era stato paracadutato nel Monferrato, con una missione del S.I.M., il ten. Giancarlo Ratti la cui stazione radio aveva trasmesso agli alleati le prime indicazioni sul movimento partigiano piemontese e le prime richieste rivolte dal C.L.N.R.P. per ottenere invii di armi, munizioni, vestiario, materiale esplosivo e congegni per il sabotaggio; e, in effetti, a questi appelli erano seguiti in varie zone alcuni lanci di modesti carichi d’armi e di munizioni. I colli paracadutati tuttavia contenevano in maggioranza materiale recuperato dagli alleati nei bottini di guerra italiani e tedeschi ed erano stati indirizzati preferibilmente alle bande d’ispirazione non politica o comunque inquadrate da ufficiali del disciolto esercito.
Il criterio discriminatorio adottato dagli anglo-americani aveva provocato dei malumori nel C.L.N.R.P. e nei comandi delle formazioni non agevolate; ma, soprattutto, il grande bisogno di armi e di quelle automatiche in specie – inviate con parsimonia assoluta – aveva cagionato dispute fra banda e banda con reciproche minacce. Interponendo i loro uffici, gli inviati del Comitato erano talvolta riusciti ad indurre i comandi che avevano goduto del privilegio del lancio a cedere una parte delle agognate armi ai compagni dei settori vicini; senonchè, il partigiano poteva privarsi di molte cose, ma al possesso di armi efficienti, particolarmente se automatiche, non era semplice convincerlo a rinunziare.
(14) Confront. Edgardo Sogno, Guerra senza bandiera – Rizzoli Editore, 1950 – Archivio Istituto Storico della Resistenza in Piemonte – Dossier AD/H – Cartella: «Relazione sulla attività svolta dalla Franchi».
Mario Giovana, Il Comitato Militare del C.L.N. regionale piemontese nei primi mesi del ’44 in Italia contemporanea (già Il Movimento di liberazione in Italia dal 1949 al 1973) n. 41 1956, Rete Parri

La puntuale analisi qui compiuta, dei documenti, delle mappe, degli appunti e dei disegni lasciati da Giancarlo Ratti attorno al periodo 1943-1945 offre molte conferme e inediti inattesi.
Fra le conferme: l’antifascismo e la Resistenza si alimentarono anche e molto degli apporti di ex militari, di ufficiali dell’Esercito, dei Carabinieri, dell’Aeronautica e della Marina; dopo l’8 settembre, alcuni militari fecero la scelta inequivocabile della lotta al tedesco invasore e per la Liberazione, cooperarono con le formazioni partigiane, s’impegnarono in attività di informazioni riservate, strinsero relazioni con agenti del SOE inglese e dell’OSS americano; anche il SIM italiano recitò un ruolo attivo e coraggioso.
Fra gli inediti: il materiale documentale analizzato qui rivela come le missioni alleate dell’OSS si collegarono direttamente con agenti del SIM o degli Uffici I dell’Esercito o dell’Aeronautica per raccogliere informazioni, controllare i movimenti nel porto di Genova e lungo tutta la costa ligure, nei tratti, fra Genova e La Spezia, fra Genova e Ventimiglia.
Un richiamo storico di contestualizzazione. Gli inglesi organizzarono il sostegno militare alla Resistenza attraverso il SOE (Special Operations Executive) più noto in Italia come SF (Special Forces), con un primo comando a Blida, vicino ad Algeri e poi a Bari. Gli americani operarono con l’OSS (Office of Strategic Service) con comando ad Algeri, Caserta, Bari e Siena, Firenze. L’OSS era articolato in una sezione S1 (Secret Intelligence), una seconda sezione SO (Special Operation) e una terza sezione OGS (Operational Groups), costituita da unità paramilitari che avevano ricevuto un addestramento speciale, combatterono a fianco delle formazioni partigiane con utilizzo prevalente in missioni aeree e obiettivi militari.
In base alla direttiva dei comandi alleati, emessa in nome del generale di Divisione Walter Bedell Smith, Capo di Stato Maggiore del generale Eisenhower vennero create basi SOE in tutto il Sud Italia e una base avanzata dell’OSS in Corsica, a Bastia.
Già sul finire del 1943, i comandi alleati e i vertici italiani del SOE e dell’OSS decisero l’invio delle missioni militari, e poi miste, con ufficiali militari italiani del SIM e dell’ORI. Personale italiano; addestramento, mezzi tecnici e armamento alleati.
Sergio Favretto, Con la Resistenza. Intelligence e missioni alleate sulla costa ligure, Seb27, Torino, 2019, pp. 12-13

Azioni in qualche modo assimilabili a quelle tipiche delle S.A.P. si svolgono subito dopo l’8 settembre 1943, ad esempio cercando di raccogliere le armi abbandonante dai soldati o di sottrarle dai depositi nell’Arsenale M.M. di La Spezia, per portarle via ai tedeschi e fascisti, in vista di un utilizzo successivo di esse.
In tale attività si distinguono all’inizio elementi che si autodefiniscono “Organizzazione clandestina militare patriottica” e che si trasformeranno poi in S.A.P., aderendo a “Giustizia e Libertà”. Questi elementi appartengono alle Forze Armate (Marina, Esercito ed Aeronautica); nel caso dell’Arsenale M.M., vanno citati tuttavia anche i Vigili del Fuoco.
Fra i primi aderenti all’organizzazione clandestina di Resistenza c’è dunque tutto un gruppo di militari, fra cui fondamentale è la figura di Renato Mazzolani, capitano C.R.E.M., che diventerà poi responsabile delle S.A.P. di “Giustizia e Libertà”. Dopo l’arresto e la tragica morte di Mazzolani, il quale si suicida nel carcere dell’ex XXI° Fanteria alla Spezia, per non denunciare i compagni di lotta, gli subentrerà Mario Fabbri.
Troviamo anche il capo furiere Umberto Vendramin e il capo-furiere Guglielmo De Feo; dopo pochissimi giorni i tenenti C.R.E.M. Gualtiero Pacchiani e Paolo Terreni; Mazzolani Aldo (figlio di Renato), il capo torpediniere di 1° classe Enrico Rumaneddu, Bruno Strata. Proveniente dai Vigili del Fuoco dell’Arsenale e impegnato nella raccolta armi c’è, riportabile al Partito Comunista, Giuseppe Mirabello, che salirà poi ai monti nel Battaglione “Vanni” e che in questo momento è collegato al comunista Pietro Bruzzone “Pierino”, in futuro Commissario politico del battaglione garibaldino “Maccione”.
Nei primi mesi del ’44 c’è un ulteriore allargamento del gruppo dei militari ruotanti su “Giustizia e Libertà”: si aggiungono il maresciallo Giuseppe Rinaldi, il tenente Giuseppe Da Pozzo, il tenente Francesco Mazzolini, il tenente di vascello Alberto Bussolino, Francesco Micalizzi, Aldo Cerretti, Annibale Venturini.
IsrSp

A fine settembre 1943, in una notte senza luna, un sommergibile britannico (probabilmente il Seraph) sbarcò sulle coste liguri, a San Michele di Pagana, la missione LAW, la prima missione alleata nel Nord Italia. La missione attuò il primo collegamento radio fra Genova e Algeri. Fino a novembre restò l’unica missione della N° 1SF in Italia. I Servizi Segreti alleati furono particolarmente impegnati nell’organizzare le proprie reti nel Nord Italia; i britannici si orientarono verso il settore operativo e privilegiarono il Veneto, il Piemonte e la Liguria; gli statunitensi dettero la precedenza all’informazione e operarono in Piemonte, Lombardia ed Emilia. Queste azioni furono ostacolate dalla insufficiente disponibilità di uomini addestrati all’impiego delle radio e dalla mancanza materiale di apparati radio. Giuliano Manzari, Op. cit.