Ponticelli perse la caratterizzazione di «zona rossa» della città

Napoli, Ponticelli – Fonte: Mapio.net

Dal 1946 alla fine degli anni Ottanta Ponticelli è stato il quartiere di Napoli in cui il Pci e più in generale i partiti della sinistra hanno avuto, a eccezione delle elezioni politiche del 7 giugno 1953, la maggioranza dei voti27. Alle elezioni per il Referendum costituzionale e per l’Assemblea costituente del 2 e 3 giugno 1946 Ponticelli fu il quartiere dove la Monarchia ottenne la percentuale più bassa di voti, il 53%, mentre a livello cittadino ottenne l’80%. Sebbene all’Assemblea costituente il Pci e il Psiup avessero preso in città rispettivamente l’8,15% e il 6,20%, Ponticelli risultò l’unico quartiere in cui i due partiti insieme facevano maggioranza. Alle elezioni politiche del 18 e 19 aprile 1948 la Dc divenne il primo partito in tutti i quartieri di Napoli, fuorché in quelli dell’area orientale, Ponticelli, Barra e San Giovanni a Teduccio, dove dal 1958 al 1987 il Pci rimase sempre il primo partito <28, anche se, proprio dalle elezioni politiche del 26 e 27 giugno 1983, doveva cominciare il suo declino <29. In riferimento a questa tornata elettorale Guido D’Agostino e Vincenzo Mauriello hanno scritto: «Nei quartieri della zona industriale orientale (San Giovanni, Barra, Ponticelli) cali vistosi dei suffragi comunisti, un tempo assai radicati in tali realtà; anche qui, avanzano DC e PSI, e arretra, meno che altrove, il MSI» <30.
Nei decenni successivi, con lo scioglimento del Pci e la nascita prima del Pds, poi dei Ds e infine del Pd, l’area orientale, e soprattutto Ponticelli, perse la caratterizzazione di «zona rossa» della città, non fu più lo «zoccolo duro» della sinistra a Napoli. Le ragioni sono molteplici, ma vanno individuate principalmente nei cambiamenti geopolitici internazionali, come la scomparsa dell’Urss <31 e il crollo del muro di Berlino, e in questioni specifiche locali, come la realizzazione nel territorio di Ponticelli della «maggior parte dei 28.000 alloggi previsti dal piano di ricostruzione» seguito al terremoto del 23 novembre 1980. L’arrivo di persone da diverse zone della città e dalla provincia fece incrementare sensibilmente la popolazione residente, che passò dai 45.174 abitanti del 1981 ai 54.097 del 200132, e fece mutare in profondità la fisionomia sociale del quartiere. Nel quattordicesimo censimento della popolazione e delle abitazioni di Napoli (2001), la «struttura di classe degli individui» <33 di Ponticelli risultava così composta: lavoratori <34 (38,73%), impiegati (26,6%), autonomi (5,91%), dirigenti (5,66%) e, in percentuali minori, altre categorie; «marginali» <35 (22,58%).
Con la crisi del settore industriale, nei quartieri dell’area orientale crebbe il numero di persone in cerca di prima occupazione; un dato che accomunava tutte le periferie della città. Buona parte delle persone arrivate a Ponticelli con la ricostruzione era senza lavoro e andò quindi a incrementare il numero di disoccupati del quartiere. Con la crisi industriale e i mutamenti sociali appena indicati diminuirono gli operai e la loro forza politica e contrattuale. «L’immagine che viene fuori dai dati dei censimenti ufficiali è di un quartiere popoloso, prevalentemente di tipo residenziale, pieno di giovani, con un basso livello di scolarizzazione ed un’alta percentuale di disoccupazione» <36.
Nel 1987 Andrea Geremicca, dirigente di spicco del Pci a Napoli e attento conoscitore del quartiere per averci abitato e averlo sempre frequentato, nello scrivere la prefazione a un libro di Umberto Scognamiglio sul movimento operaio di Ponticelli, si poneva una serie di domande sui problemi indicati: “L’autore ricorda le origini e la base di massa del movimento operaio di Ponticelli, composto agli inizi da braccianti agricoli e da lavoratori dell’arte bianca e in seguito, e progressivamente sempre di più, da operai (metallurgici in gran parte) occupati in fabbriche sorte oltre il quartiere, anche se pur sempre nell’ambito della zona orientale. È possibile individuare nelle origini stesse di questa classe operaia, e nel suo rapporto con tradizionali settori produttivi progressivamente emarginati e superati qualche ragione delle difficoltà del movimento operaio di Ponticelli? E quali riflessi ha avuto sugli orientamenti, sul modo di essere, di pensare e di esprimersi di questo movimento il duplice, e più recente, processo di congestione abitativa e di disgregazione sociale del quartiere, con tumultuose e massicce immigrazioni di ceti sottoproletari, e di progressivo smantellamento dell’apparato industriale della zona orientale, trasformata in sede di impianti tecnici a scala urbana (depositi di servizi pubblici, depuratori, svincoli autostradali)? Alla luce di queste caotiche e violente trasformazioni, possono essere intervenuti nella classe operaia del quartiere elementi di frustrazione sociale e di sindrome da isolamento? E in caso affermativo, con quali riflessi culturali, sociali e politici? Ed a partire da quale periodo? Ed in quale fase a questi (eventuali) fattori si è aggiunto il dato nuovo e inconfutabile di una diversa composizione e dislocazione delle forze motrici del cambiamento, col nascere di nuove figure sociali nei processi produttivi, insieme alla tradizionale classe operaia?” <37
Le domande di Geremicca contenevano già la risposta: la crisi industriale e l’arrivo massiccio di «sottoproletariato» a Ponticelli avevano mutato il suo tradizionale assetto sociale, che avrebbe inciso in futuro anche sulle sorti elettorali del partito. Non a caso, da circa un trentennio Ponticelli non è più una delle roccaforti della sinistra a Napoli. Alle ultime elezioni politiche del 4 marzo 2018, il Pd, «erede» del Pci, ha preso l’11%, un risultato molto inferiore a quello ottenuto in quartieri residenziali-borghesi come Chiaia (27,1%), Vomero (25,6%) e Posillipo (24,1%). Questo voto ha definitivamente chiuso un’epoca per Ponticelli, una storia durata circa un secolo, iniziata negli ultimi decenni dell’Ottocento e proseguita fino agli anni Ottanta del Novecento.
Dal dopoguerra agli anni Ottanta il Pci ebbe un ruolo fondamentale a Ponticelli, aggregando lavoratori, ceto medio e intellettuali e facendosi portatore delle loro esigenze civili, politiche e culturali. Una forza elettorale così consistente da creare nel quartiere una vera e propria «subcultura rossa» finì, su alcuni aspetti dell’azione politica, con il nuocere allo stesso partito, che «si è visto investito ed ha accettato coscientemente – ha scritto Andrea D’Angelo – una sorta di delega, quale unico rappresentate del quartiere ed unico referente anche nei confronti delle istituzioni» <38.
Questo portò il Pci ad avere rapporti difficili con gli altri partiti, in particolare con il Psi, e soprattutto ad addossarsi «colpe e meriti per tutto quello che si realizzava o non si realizzava nel quartiere» <39.
Le sezioni presenti nel territorio <40 avevano centinaia di iscritti <41, soprattutto fra i lavoratori, ed erano molto frequentate, non solo in occasioni strettamente politiche. Le sezioni si presentavano come un luogo d’incontro dove gli iscritti potevano trascorre tutto o parte del loro tempo libero, compresa la domenica mattina, quando cominciava il rito della diffusione de «l’Unità» per le principali strade del quartiere e nei viottoli di campagna. Era una comunità di persone legate dagli stessi ideali politici e, spesso, come vedremo, anche da forti vincoli di amicizia che, in molti casi, dureranno nel tempo.
Aldo Cennamo, segretario della sezione negli anni 1972-1976, consigliere comunale, assessore nella giunta Valenzi e poi consigliere regionale e deputato, nel ricordare la sua frequentazione della sezione da bambino insieme al padre, ha descritto il momento magico dell’arrivo della televisione: “Negli anni Cinquanta la sezione si dotò di uno dei primi televisori del quartiere. L’apparecchio, posizionato nel corridoio centrale, lo si accendeva di sera all’ora delle trasmissioni e la sala non riusciva a contenere la folla dei cittadini che voleva assistere agli spettacoli. Durante le trasmissioni un compagno passava con un cestino, come si fa in chiesa, per raccogliere il piccolo contributo che ognuno offriva per pagare le rate del televisore e il consumo di corrente elettrica. Una delle trasmissioni più seguite dell’epoca fu Lascia o raddoppia” <42.
Legate al Pci erano la Lega Braccianti e la Cooperativa di consumo, nate entrambe nel dopoguerra. La prima fu diretta per circa un quarantennio da Luigi Langella. A Porchiano vi era invece una sede dell’Alleanza Contadini, di cui si occupò sempre Michele Borrelli, un comunista iscritto al partito dal 1921 <43. La Lega raggiunse anche il numero di 1.500 soci. La Cooperativa, che ha operato fino al 1968, aveva la sede in alcuni locali del vecchio Municipio e fu diretta prima da Vincenzo Scarpati e poi da Ettore Del Monaco, un piccolo imprenditore iscritto al partito.
Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, l’amministrazione e un deposito della Cooperativa furono ospitati in una stanza della Casa del popolo <44.
In quanto quartiere operaio, Ponticelli divenne, con San Giovanni a Teduccio e Bagnoli, un luogo di riferimento e un simbolo per i comunisti napoletani e per la Federazione del Pci, perché dal dopoguerra agli anni Settanta la linea politica del partito, guidato a Napoli negli anni Cinquanta, con energia e rigore, da Giorgio Amendola e Salvatore Cacciapuoti <45, era stata essenzialmente quella di modernizzare la città mediante l’industrializzazione e la guida politica della «classe operaia», espressione di razionalità e disciplina, nemica di ogni forma di individualismo. Anche se per molto tempo la «classe operaia» aveva rappresentato «una minoranza dell’elettorato cittadino, nella retorica del partito era proprio questa a dover assumere un ruolo politico e simbolico centrale: non solo come motore di cambiamento, ma come forza civilizzatrice e di democratizzazione dell’intera città» <46.
Questa strategia era diventata un fatto di costume, una mentalità, radicata negli operai comunisti, che la vivevano, soprattutto in un quartiere come Ponticelli, con un forte sentimento di appartenenza e d’identità. Una strategia che, come vedremo, entrò in crisi con gli sconvolgimenti politici e culturali determinati dal Sessantotto.
Il Pci fu anche il soggetto politico che, in maniera più convinta e più fattiva degli altri, promosse l’integrazione di Ponticelli nel tessuto urbano e nella vita cittadina, facendola considerare, dentro e fuori i confini del quartiere, una parte significativa di Napoli. Un’azione politica e culturale che non è riuscita comunque ad annullare, tuttora, nell’osservatore che percorre le strade e le campagne superstiti di Ponticelli la sensazione di trovarsi in una realtà che non si è mai integrata fino in fondo nella città cui appartiene <47. Più di qualsiasi altro «casale» incorporato nella città di Napoli, Ponticelli ha conservato la struttura e la mentalità di un comune a sé stante, come lo era appunto fino al 1926.
Questa mentalità si è ulteriormente accentuata con l’arrivo nel quartiere, dopo il terremoto del 1980, di un considerevole numero di persone che si sono sentite sempre estranee al territorio e alle tradizioni di Ponticelli. «Da un lato, i vecchi abitanti considerano i nuovi come intrusi, come marginalità da isolare; dall’altro, i nuovi abitanti si sentono estranei ad un contesto in cui sono stati gettati e poi abbandonati. L’esplosione della vicina metropoli ha prodotto schegge che lacerano in profondità. L’implosione non poteva che essere la naturale conseguenza» <48.
Tuttavia, nella primavera del 2008, i vecchi e i nuovi abitanti del quartiere, con il tacito assenso dei partiti, compresa una parte del Pd, e con la benevolenza della camorra, si trovarono d’accordo nel cacciare con la forza e con il fuoco le numerose famiglie di rom che da alcuni anni erano accampate, in condizione di sumane, in diversi luoghi della zona <49. Quest’episodio, di cui parlarono i giornali e le televisioni di mezzo mondo, ha rappresentato il punto più basso nella storia di Ponticelli moderna e ha reso manifesto una certa crisi dei valori di solidarietà e di accoglienza che avevano caratterizzato sempre quest’area di Napoli.
A differenze di quanto avvenuto nei rioni costruiti in precedenza (De Gasperi, Fiat, Incis, Ina-Casa, Santa Rosa), nei rioni più recenti, come il Conocal, e in molti di quelli sorti con la ricostruzione, il Pci e soprattutto i suoi «eredi» non sono mai riusciti a fare breccia, ad avere un contatto con le persone che vi abitano, a trovare fra esse un minimo di consenso. Questi rioni rappresentano un «altro mondo», ostile, impenetrabile, sconosciuto. Eppure sorgono in luoghi e sono inseriti in un paesaggio che appartiene alla memoria di tante persone nate e cresciute a Ponticelli. Guardare i loro edifici scoloriti, invecchiati precocemente, procura un senso di tristezza e spaesamento <50. Con la loro bruttezza, il loro abbandono e la loro desolazione, sembrano dire a coloro che vi si soffermano per qualche motivo: «Che state a fare qui? Andate via» <51. Sono i rioni delle periferie di Napoli, simili a quelle di una qualsiasi altra grande città italiana, europea e del resto del mondo, periferie che talvolta sconfinano perfino nelle zone del centro. Ormai questi territori sono diventati una sorta di «anti-città», una realtà architettonica e urbanistica caratterizzata «dal degrado delle infrastrutture, dei servizi e degli edifici», dalla «perdita degli scambi sociali e culturali che segnano storia e spirito della civitas […]», sono diventati, in larga parte, «il predominio delle mafie» <52.
Non a caso, come il centro storico e il lungomare di Napoli hanno fatto spesso da location per girare spot pubblicitari di celebri marchi, allo stesso modo le strade e i nuovi rioni della ricostruzione di Ponticelli hanno fatto da location per girare scene di film sulla malavita organizzata. Ponticelli, e soprattutto Scampia, rappresentano infatti da tempo i luoghi-simbolo e le icone dell’«altra» Napoli, quella delle periferie difficili e disagiate, a nord e a sud della città. Così nel 2016 mentre Matteo Garrone girava nei decumani, con grande clamore mediatico, uno spot pubblicitario dei nuovi profumi di Dolce & Gabbana, Vincenzo Marra girava a Ponticelli il film “L’equilibrio”, in cui si racconta la storia di un parroco che deve combattere la sua battaglia di uomo e di cristiano in un ambiente controllato dalla camorra.

[NOTE]
27 I dati elettorali sono tratti da G. D’Agostino – V. Mauriello, «Nel segreto dell’urna…». Il voto politico a Napoli (1946-2018), Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2018. Degli stessi autori cfr. anche «Nel segreto dell’urna…». Il voto europeo a Napoli (1979-2019), Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2019.
28 Il Pci raggiunse il massimo storico a Ponticelli alle elezioni politiche del 1976, quando ottenne per la Camera dei deputati il 59,70% dei voti.
29 Sul declino del Pci nei quartieri operai dell’area orientale cfr. O. Cappelli (con la collaborazione di G. Flaminio), La «cosa» napoletana. Le trasformazioni di un partito di massa, in Potere e società a Napoli a cavallo del secolo. Omaggio a Percy Allum, a cura di O. Cappelli, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2003, pp. 181-218.
30 G. D’Agostino – V. Mauriello, «Nel segreto dell’urna…». Il voto politico, cit., p. 8.
31 Sul «mito» dell’Urss nel Pci cfr. G. Gozzini – R. Martinelli, Storia del Partito comunista italiano, cit., pp. 456-468.
32 Comune di Napoli. Servizio studi demografici ed economici della città. Servizi statistici, La popolazione di Napoli ai censimenti dal 1951 al 2001. Realizzazione a cura di A. Ascione, I quaderni del censimento 1, Napoli, Sistema statistico nazionale, 2007, Tavola 6.3, p. 103, www.comune.napoli.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/6322 (ultimo accesso: 28 febbraio 2019).
33 Ivi, Tavola 4.6, p. 236.
34 Lavoratori indipendenti qualificati, lavoratori dipendenti qualificati, operai non qualificati, lavoratori autonomi non qualificati, operai a tempo determinato.
35 Disoccupati in famiglie in cui entrambi i coniugi sono in cerca di occupazione, disoccupati in famiglie in cui uno dei coniugi è in cerca di occupazione e l’altro non attivo, disoccupati in famiglie in cui l’unico componente o monogenitore è in cerca di occupazione.
36 Piccole imprese e tessuto socio-economico di Napoli Est, a cura di R. Celentano, L. Guadagno, M. Palescandolo, S. Scognamiglio, S. Sposito, e con la supervisione di L. Meldolesi, s.l, s.e., 2010, p. 24. www.naplest.it/wp-content/uploads/2010/06/ricerca-area-orientale-di-Napoli.pdf (ultimo accesso: 28 febbraio 2019).
37 A. Geremicca, Prefazione, in U. Scognamiglio, Movimento operaio, cit., pp. 7-10: 9. Per il Pci la presenza a Napoli, a partire dall’Ottocento, di ampi strati di «sottoproletariato» (Lumpenproletariat), aveva determinato le caratteristiche, in termini di mentalità e comportamenti, della «classe operaia» della città, al punto che, secondo le analisi di Percy Allum (Potere e società a Napoli nel dopoguerra, trad. it., Torino, Einaudi, 1975) «lo spartiacque fra proletariato e lumpen» appariva «spesso assai esile» (A. Geremicca, Dentro la città. Napoli angoscia e speranza. Prefazione di G. Galasso, Napoli, Guida, 1977, p. 19). A questo proposito Geremicca, nel libro citato, riportava le parole di Emilio Sereni: «[…] anche prescindendo dai flussi e riflussi dal proletariato all’artigianato e viceversa, l’origine stessa del proletariato della grande industria fa sì che esso spesso si mescoli, nella vita quotidiana, al classico “popolino” napoletano, e risenta notevolmente l’influenza delle sue abitudini, della sua mentalità, delle sue forme stesse di lotta» (ivi, p. 21).
38 A. D’Angelo, Il PCI a Ponticelli. Note per una ricerca storico-politica, in «il Quartiere ponticelli», XIII, 50, 1991, pp. 35-39: 37. Queste pagine, le uniche finora disponibili sul ruolo del Pci a Ponticelli, sono il testo della comunicazione letta al convegno “Ponticelli: periferia tra metropoli ed emergenza”, svoltosi nella Casa del popolo dal 18 al 20 marzo 1983, su cui tornerò più avanti.
39 Ibid.
40 Il numero delle sezioni, a Ponticelli come altrove, variava a seconda della politica di accentramento o decentramento delle sedi del partito. Tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta vi furono a Ponticelli anche sette sezioni: in viale Margherita, via Crisconio (San Rocco), via Botteghelle (Porchiano), via De Meis, via Principe di Napoli (Santa Croce), corso Ponticelli e via Argine (Scuderia).
41 Per esempio nel 1956 la sezione di Ponticelli contava 2000 iscritti e quella di Porchiano 300 (cfr. M. Renna, Episodi di lotta politica a Ponticelli 1947/1977. Memorie di un militante comunista, datt. s.d., p. 7).
42 A. Cennamo, Intervista. Agli inizi degli anni Sessanta anche la sezione di via Botteghelle si dotò di un televisore. In prima serata, quando iniziava la Tv dei ragazzi, la stanza in cui era posto il televisore si riempiva di ragazzi per vedere Le avventure di Rin Tin Tin, Robin Hood e Tarzan. La sera tardi si riempiva, invece, di adulti per vedere il telegiornale e, durante le elezioni, le tribune politiche. In occasione del Festival di Sanremo e del Festival di Napoli, per il grande afflusso di persone, il televisore veniva posto in uno spazio all’aperto sul retro della sezione. Come nelle altre sezioni, coloro che assistevano alle trasmissioni, adulti e ragazzi, pagavano un piccolo
contributo (5 o 10 lire). Sull’arrivo della televisione in Italia come mezzo di modernizzazione dei costumi e come impulso allo sviluppo della società dei consumi cfr. S. Gundle, I comunisti italiani, cit., pp. 163-168.
43 Cfr. M. Renna, Episodi di lotta politica a Ponticelli, cit., p. 17.
44 «Altra iniziativa significativa fu, nell’immediato dopoguerra, l’apertura di una cooperativa alimentare a Ponticelli, vicino al Municipio, in una sede attigua a quella del Pci, in esercizio fino agli anni Sessanta. Ci lavorava, come addetto al banco dei salumi, un personaggio storico, Valentino Ventura, antifascista, perseguitato, uno di quei comunisti che venivano prelevati e portati via dai fascisti ogni volta che vi era una manifestazione. Una lunga storia quella della cooperativa. Di certo si può ricordare che svolse una funzione importante nel rapporto con la popolazione sia per la qualità dei prodotti che offriva sia per il sostegno a tante famiglie in difficoltà. Forse, fra le altre, fu anche questa una delle cause che portarono alla fine di quella esperienza» (A. Cennamo, Intervista).
45 Sugli anni di Amendola e Cacciapuoti nella Federazione comunista di Napoli cfr. il romanzo di E. Rea, Mistero napoletano. Vita e passione di una comunista negli anni della guerra fredda, Torino, Einaudi, 1995, poi ripubblicato insieme ad altri due romanzi «napoletani» dell’autore, La dismissione e Napoli ferrovia, nel volume Rosso Napoli. Trilogia dei ritorni e degli addii, Milano, Rizzoli, 2009.
46 N. Dines, L’eterno abietto: le classi popolari napoletane nelle rappresentazioni del Partito Comunista Italiano, in «Itinerari di ricerca storica», n.s., XXVIII, 2, 2014, pp. 77-96: 84, www.siba-ese.unisalento.it/index.php/itinerari/article/view/14632 (ultimo accesso: 22 febbraio 2019).
47 Cfr. Piccole imprese e tessuto socio-economico di Napoli Est, cit., p. 20.
48 Ivi, p. 23.
49 Cfr. A. Borrelli, I roghi di Ponticelli. La «questione rom» in un quartiere di Napoli, Napoli, Liguori, 2013.
50 Ha scritto Marco Revelli: «Sono ormai vari anni che lo provo, quel senso di smarrimento, d’irriconoscibilità del domestico, nel mio vagabondare fra centri e periferie, città e campagne, Ovest ed Est e Sud, ogni volta che l’operazione rassicurante del riconoscimento fallisce, e lascia dietro di sé un senso di vuoto straniante. L’esperienza, fisicamente percepibile, del “perdersi”» (M. Revelli, Non ti riconosco. Un viaggio eretico nell’Italia che cambia, Torino, Einaudi, 2016, p. 10).
51 Frase pronunciata dalla regista Cecilia Mangini nel rivedere, quasi cinquant’anni dopo, la periferia di Roma dove aveva girato nel 1961 il cortometraggio “La canta delle marane”, con testi di Pier Paolo Pasolini. L’intervista alla Mangini, realizzata da Domenico Iannaccone, è stata trasmessa nella puntata del 9 dicembre 2018 della trasmissione “I dieci comandamenti” dal titolo “La fine del mondo (seconda parte)”.
52 [L. Caracciolo], Il resto del mondo, in «Limes», 4, 2016, pp. 7-24: 24, numero dedicato a Indagini sulle periferie.

Antonio Borrelli, Tra comunità e società. La Casa del popolo e l’associazionismo nella Ponticelli del Novecento, Università degli Studi di Napoli Federico II, Clio. Saggi di scienze storiche, archeologiche e storico-artistiche, 26, Napoli, FedOAPress, 2019