
Destra politica e destra culturale, come si è visto, [nel 1955] non se la passavano molto bene. Vale la pena, ora, indagare lo stato di salute del mondo imprenditoriale. Quelli che dovevano essere, almeno teoricamente, in prima linea nella lotta al comunismo avevano reagito in maniera inaspettata. Ora guardando a destra, con simpatie apertamente fasciste. Ora su posizioni di centro filo-governative o, in altri casi, non disdegnando la sinistra. Ma dovevano rendersi conto del pericolo. Questa era la principale preoccupazione dell’ambasciata e del Dipartimento di Stato.
Per facilitare tale consapevolezza venne organizzato un viaggio per industriali e altre figure chiave dell’Italia di allora negli Usa, possibilmente nei primi mesi del 1955. Nome prescelto: “Operation Enterprise”. Gli organizzatori erano Walter Guzzardi Jr. della sezione romana di «Time», Henry Luce e C.D. Jackson. Il viaggio avrebbe dovuto strutturarsi con visite alle “vetrine” degli Stati Uniti: da Los Angeles a Boston, da San Francisco a Pittsburgh, passando per Chicago, Detroit, New Orleans e Kansas City. La visita “istruttiva” aveva il duplice scopo di impressionare gli industriali italiani e di indicare una strada per far decollare l’economia. Implicitamente, Henry Luce e i suoi volevano mostrare il potenziale futuro dell’Italia qualora si fosse realmente liberata dalla zavorra comunista. Assai nutrito ed eterogeneo era l’elenco degli invitati: Pella, Angiolillo (direttore del «Tempo»), Valerio (Edison), Faina (Montecatini), Turini (Cartiere Fabriano), Vaccari (Ceramica Ligure), Cuccia (Mediobanca), Scandone (Officine Galileo), De Micheli (Confindustria), Mattei (Eni), Pesenti (Italcementi), Cini, Falck, Signorini (Cirio), Ricasoli (Chianti), Lenti (economista e statistico), Ferrara e Gorresio («La Stampa»), Cenzato (Società Meridionale Elettricità), Vanzi e Fusco (Banco di Napoli).
Ben presto iniziarono i problemi. Il principale era l’elezione del presidente della Repubblica italiana, peraltro nota da tempo, che sconsigliava di intraprendere un viaggio. Dopo le votazioni – sostenevano diversi invitati – ci sarebbe stata una crisi politica. In un frangente così delicato sarebbe stato meglio essere in patria. In generale, poi, molti industriali preferivano un soggiorno breve. Poche tappe, più per cortesia che per altro, e poi si tornava al lavoro. Altri, invece, viaggiavano abitualmente negli Usa, quindi vedevano del tutto artificiosa l’organizzazione di una missione ad hoc.
Emblematico delle difficoltà è stato il caso di Giorgio Valerio. In una lettera di febbraio accettava con piacere l’invito, «salvo intoppi dell’ultimo minuto». Qualche giorno dopo proponeva, a causa delle imminenti votazioni, di posticipare il tutto di pochi mesi, magari fissando il viaggio a settembre. Caustico il commento di Guzzardi Jr. <60: “Faccio fatica a capire come l’elezione del Presidente della Repubblica, programmata da mesi, possa rientrare negli “intoppi dell’ultimo minuto”, ma evidentemente la psicologia italiana trova questa interpretazione perfettamente naturale. La domanda prevalente a questo punto è: verrà o non verrà? Al momento le possibilità sono nove su dieci che non verrà; ma la sua lettera lascia intendere che nove su dieci verrà. Visto che ambiguità come questa ci perseguiteranno fino a quando non avremo sistemato tutto, penso che dovremmo confermare le date già decise, oppure, nella confusione più totale, rinunciare all’evento”. Alla fine, i dirigenti di «Time», che avrebbe dovuto sponsorizzare la visita, decisero per il rinvio a settembre. Tuttavia, dopo ben diciotto report relativi a lettere di invito, rifiuti e risposte vaghe, l’idea venne abbandonata. Stando alla documentazione disponibile, infatti, nei mesi successivi non si tentò di riorganizzare l’evento.
Proprio in quei giorni, all’ambasciata americana di Roma, Clare Boothe Luce incontrò il nuovo presidente di Confindustria, Alighiero De Micheli. L’ambasciatrice espose le preoccupazioni che attanagliavano i vertici dell’amministrazione Eisenhower in merito all’anticomunismo degli industriali italiani. Mrs. Luce li riteneva «responsabili, per certi versi, del successo dei comunisti». Si erano «riappacificati con la Cgil» e per due anni avevano rifiutato di prendere sul serio gli avvertimenti sulle commesse off-shore. A questo punto De Micheli reagì in maniera concitata. In nessun altra Nazione, ricordava all’ambasciatrice, il leader degli industriali aveva un compito difficile come il suo. Doveva far fronte, contemporaneamente, «all’ostilità di un terzo della popolazione, al governo e ai magistrati». Spesso accadeva che i giudici scoraggiassero o cancellassero delle decisioni prese dai manager degli impianti. Perdipiù la Cgil – sosteneva – era stata isolata dai sindacati democratici. Dunque, «accusare Confindustria e tutti gli industriali di non aver combattuto il comunismo e di non aver fatto sacrifici era, semplicemente, ingiusto». Secondo l’ambasciatrice, come spesso era emerso durante il suo mandato, il blando anticomunismo non aveva radici solo politiche. Pur non negando «gli sforzi considerevoli», rimaneva un problema. L’opinione pubblica americana – e implicitamente anche Mrs. Luce – era «negativamente colpita dalle storie di industriali italiani che nascondevano i soldi in Svizzera, Sud America, ecc. e dal fatto, ampiamente noto, che i ricchi non pagavano le tasse» <61. Trovava riscontri l’idea degli italiani furbi e corrotti quale unica vera spiegazione per la mancata presa di posizione forte contro il comunismo. Un’interpretazione di lunga data che conduceva spesso a facili generalizzazioni e che assolveva, in maniera quasi automatica, chiunque tentasse di risolvere il caso-Italia. Ma forse, proprio per questo, conservava un indubbio appeal.
Una figura utile per capire il clima di allora, non incluso nell’Operation Enterprise perché viaggiatore abituale sulla rotta Italia-Usa, è Vittorio Valletta. In generale, va detto che era uno degli imprenditori più ricettivi – non senza esitazioni – nell’implementare la strategia discriminatoria proposta da Washington e dall’ambasciata romana. Negli ultimi mesi del ’54, l’amministratore delegato della Fiat si era più volte recato in America allo scopo di ottenere nuovi contratti nel settore aeronautico.
[NOTE]
60 G. Valerio to H. Luce, March 3, 1955 e Operation Enterprise – Report 18, W. Guzzardi Jr., to H. Solow («Fortune»), March 4, 1955, DDEL, CDJ, Box 62, f. Italian Businessmen. Tutti gli altri report e la corrispondenza sull’iniziativa
sono nel medesimo folder.
61 Memorandum of conversation, A. De Micheli (Prsesident of Confindustria), M. Morelli (Secretary General of Confindustria), C.B. Luce, F. Deak (First Secretary of Embassy), G.L. Picard (Attache), March 10, 1955, NARA, RG 84, CBL, Box 4, f. Memoranda of conversations ’55.
Federico Robbe, Gli Stati Uniti e la Destra italiana negli anni Cinquanta, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 2009-2010