Quando venne l’ordine della repubblica di Salò di consegnare le armi, disobbedimmo

Fonte: Fondazione Parri

Sono del 1926 e sono soddisfatta di aver vissuto un’epoca così decisiva per la storia del nostro Paese. E oggi sono ancora molto emozionata nel raccontarla a voi. Ricordo quando da ragazze abbiamo festeggiato l’8 settembre ’43, l’esultanza per la fine della guerra, la contentezza perché non avremmo più avuto sulle nostre teste le “fortezze volanti” che incutevano paura, portando distruzione e morte. Poi, però, le vicende della repubblica di Salò e l’occupazione tedesca ci fecero vivere di nuovo terribili momenti. Mi tornano alla mente le parole di Montale: “E come potevamo noi cantare \ con il piede straniero sopra il cuore, \ tra i morti abbandonati nelle piazze \ sull’erba dura di ghiaccio, al lamento \ d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero \ della madre che andava incontro al figlio \ crocifisso sul palo del telegrafo”.
È vero: le donne in quel triste periodo non accettarono il fascismo. Molte non l’avevano sopportato neanche prima e alcune per le loro idee avevano pagato con la detenzione e col confino, o addirittura con la morte, purtroppo. Le donne militarono in vari modi, ma la loro partecipazione prevalente fu nei Gruppi di Difesa della Donna. Aderivano ai GDD persone di tutti i ceti sociali, di tutte le ideologie, di tutte le fedi, comprese le atee. Personalmente, vi entrai in quanto facevo parte della “Gioventù Femminile” dell’Azione Cattolica. Ricordo di essere stata avvicinata dalla signorina Filippello nella mia parrocchia di San Gioacchino, della quale erano rimasti in piedi solo i muri perimetrali, a seguito di tre bombardamenti, tra cui quello del 13 luglio 1943 che mise in ginocchio Torino. Anche la mia casa, vicino alle grandi fabbriche, era stata sinistrata dalle bombe e sotto le macerie persero la vita due persone. La mia famiglia si salvò per miracolo e ci trasferimmo a Settimo Torinese, ospiti del parroco (cugino di mia mamma) che quasi subito divenne Vescovo ad Acqui. Il suo successore, Don Paviolo, fece moltissimo per accogliere gli ebrei, rifugiati lì come noi. Quando si correva il rischio di qualche ispezione, li faceva uscire da una porticina sul retro della chiesa perché non li trovassero. Eravamo sfollati, ma continuavo a venire a Torino poiché dopo aver conseguito il diploma magistrale studiavo il greco per sostenere la maturità classica e iscrivermi all’Università. Durante questi spostamenti da pendolare sono entrata in contatto con i GDD.
I Gruppi di Difesa contavano in città diversi settori: Anna Rosa Gallesio Girola, che ho conosciuto molto bene, affermava fossero nove, Ada Gobetti parlava di cinque. Comunque esisteva questa suddivisione. Cosa facevano i settori? Anzitutto, avevano delle responsabili in rappresentanza dei cinque partiti fondatori (liberale, d’Azione, socialista, comunista, democristiano) e avevano come compito di tenere i collegamenti con i gruppi nelle fabbriche, nelle officine, negli uffici, nelle aziende, ovunque.
Mia mamma, sigaraia alla Manifattura Tabacchi, ha più volte partecipato ai boicottaggi della produzione di sigari per i tedeschi e aderito ai frequenti scioperi. Per il suo impegno politico ricevette pure delle minacce.
Si scioperava per vedere aumentate le scarsissime razioni di cibo, per la parità salariale e soprattutto per la libertà. Oltre ai contatti con le lavoratrici, i GDD si occupavano della propaganda fra le donne e gli abitanti della zona di appartenenza e, grazie a mezzi forniti dal Comitato di Liberazione Nazionale, distribuivano sussidi alle famiglie dei prigionieri, dei condannati a morte, dei deportati.
Durante i giorni dello sfacelo dell’esercito italiano, con tanti soldati fuggiaschi, il figlioccio della mia madrina ci lasciò due rivoltelle e un pugnale perché se questi ragazzi venivano trovati con le armi correvano il rischio della fucilazione. Quando venne l’ordine della repubblica di Salò di consegnare le armi, disobbedimmo. Al mattino presto, in bicicletta, con le armi sotto i cappotti, mio papà ed io scendemmo sul greto del fiume in frazione Mezzi Po e le gettammo nell’acqua perché non servissero più a far del male.
Anche l’Azione Cattolica, nonostante i divieti, cercava di organizzare manifestazioni, spesso vietate o disperse bruscamente dalla polizia fascista, senza mai smettere di predicare la dottrina sociale della Chiesa, sottolineando la dignità della persona, al di sopra della razza, del partito e dello Stato. In quei giorni, parlando ai laureati cattolici, il Santo Padre Pio XII aveva detto: “Non lamento, ma azione è il precetto dell’ora”. E questo è divenuto il motto del nostro giornale ‘Noi Donne’, che distribuivo clandestinamente ovunque fosse possibile, nelle buche per le lettere o sui tram, insieme ai volantini.
I militanti cattolici fecero parte dei raggruppamenti partigiani e dei Comitati di Liberazione. Mio marito, Franco Garena, dipendente del quotidiano di Torino ‘La Gazzetta del Popolo’, era componente di uno di essi che si era formato all’interno della redazione. Per la delazione di un’impiegata fu arrestato insieme agli altri. Vennero rinchiusi nella caserma Balbis e in seguito mi ha raccontato delle torture che vi avvenivano, delle selezioni: “Tutti in fila, tu sì, tu no…”. Fu liberato dai partigiani nel corso delle giornate insurrezionali. Per prima cosa andò a salutare la mamma per farle sapere che era salvo. Poi con i compagni di lotta tornò subito in redazione per far uscire il primo giornale nella Torino liberata.
Molte donne cattoliche hanno partecipato alla Resistenza, di alcune si conoscono i nomi, altre hanno operato nell’anonimato e la loro opera per la Patria è stata altrettanto preziosa. Ad esempio, io diffondevo la stampa però se c’era necessità si doveva correre ad avvisare le famiglie dei ricercati. E occorreva un tatto particolare per non suscitare allarmi nei parenti e non attirare l’attenzione dei nazifascisti. Le donne si impegnarono per i valori universali di sempre: la libertà di espressione, la dignità umana, la democrazia, la giustizia. Facendo il possibile affinché fossero recepiti da tutti. Nella parrocchia di San Gioacchino, a Torino, c’erano anche le suore di San Vincenzo che avevano organizzato un corso di pronto soccorso, in vista delle giornate di insurrezione. A proposito di suore che hanno partecipato alla Resistenza, ricordo in particolare suor Luciana: a Borgone di Susa – col candore di una bimba e la forza di un guerriero – per ben due volte si è posta davanti alle bocche di fuoco pronte a distruggere il paese con i suoi abitanti. Il paese fu salvo grazie a lei, questa donna è mancata qualche mese fa all’età di 101 anni. Ancora: suor Giuseppina (Rosina) De Muro, teneva testa alle SS con la sua personalità. Non aveva paura o almeno non dimostrava di averne. Era lei che si prodigava, tra le altre cose, per far giungere ai familiari notizie dei prigionieri politici detenuti nel carcere “Le Nuove”. E così padre Ruggero Cipolla: per coloro che avevano le famiglie lontane, ci faceva spacciare come sorelle o fidanzate per portare ai detenuti soccorso e viveri. Si era studiato anche la dietetica, per rendere i pacchi al contempo più sostanziosi e abbastanza piccoli per eludere la sorveglianza dei carcerieri. Numerose donne cattoliche tennero i raccordi con i partigiani nelle parti più “calde” del Piemonte, come in Valchiusella e in Val di Susa.
Qualche anno fa, come Centro Italiano Femminile (CIF), abbiamo voluto rintracciare alcune donne che operarono in quelle zone ed è stato emozionante ascoltare la straordinaria semplicità di queste testimonianze. Naturalmente le abbiamo registrate, per conservarle e perché entrassero a far parte della storia. Il CIF nasce poco dopo l’Unione Donne Italiane (UDI), nel 1945, e ne sono stata per 9 anni Presidente Regionale e Consigliera nazionale. Queste associazioni femminili, i gruppi di femministe che nascono subito dopo la guerra sono il frutto dell’aver compreso nel corso della Resistenza l’importanza di lavorare insieme.
A proposito delle testimonianze raccolte, vorrei ricordare una donna in particolare: Betty Ambiveri, della Resistenza bergamasca, unica italiana condannata a morte dal Tribunale militare germanico. La condanna fu poi commutata in dieci anni di carcere da scontare in Germania. La liberarono gli Alleati e Betty riuscì a salvarsi. Era una donna fortissima, che col rosario in mano ha sostenuto interrogatori tremendi, uno di tredici ore consecutive. Non ha mai rivelato i nomi dei partigiani, né i nascondigli delle loro armi.
Maria Maddalena Brunero, Testimonianza in “Noi, compagne di combattimento…”. I Gruppi di Difesa della Donna, 1943-1945. Il convegno e la ricerca, ANPI Lombardia, 2018

L’8 settembre, con l’armistizio, l’abbandono di ogni guida dell’esercito e la sua conseguente dissoluzione, le prime bande partigiane si vanno formando per contrastare l’occupazione tedesca. Nasce il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che guiderà la Resistenza. Qualche giorno dopo saranno le donne a decidere di non volere, né potere restare indifferenti e che tocca anche a loro compiere una scelta.
I Gruppi di Difesa della Donna e per l’assistenza ai combattenti della Libertà, nascono a Milano, intorno alla metà di novembre del 1943, ad opera di cinque donne – Giovanna Barcellona, Ada Gobetti, Lina Merlin, Rina Picolato e Lina Fibbi – che rappresentano alcuni dei partiti componenti il CLN. Le donne cattoliche non aderiscono ufficialmente, ma sono attivissime nei vari comitati locali. Nell’Atto costitutivo le aderenti ai Gruppi si autodefiniscono “compagne di combattimento”.
I Gruppi vengono ufficialmente riconosciuti dal CLN Alta Italia nel 1944: “Il Comitato di Liberazione per l’Alta Italia riconoscendo nei Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà un’organizzazione unitaria di massa che agisce nel quadro delle proprie direttive, ne approva l’orientamento politico e i criteri di organizzazione, apprezza i risultati sinora ottenuti nel campo della mobilitazione delle donne per la lotta di liberazione nazionale e le riconosce come organizzazione aderente al Comitato di Liberazione Nazionale”.
Lucia Corti, dirigente dei GDD, nel suo rapporto al 1° Congresso Nazionale dell’UDI (Firenze, ottobre 1945), organizzazione nella quale i Gruppi confluiranno, ne riferisce la consistenza: le donne aderenti sono state 70.000, coinvolgendo una quantità indefinibile di altre attiviste.
Cosa hanno fatto le donne dei GDD? Hanno organizzato manifestazioni per la fine della guerra, per l’aumento delle razioni alimentari, della legna e del carbone; hanno organizzato scioperi; sono entrate nelle formazioni partigiane; hanno provveduto a riunire le brigate disperse dai rastrellamenti; hanno accompagnato i distaccamenti nei boschi facendo da copertura in caso di incontri con i tedeschi e le brigate nere; hanno sostenuto i partigiani provvedendoli di maglie, calze, guanti; hanno preso in consegna armi, trasportandole attraverso posti di blocco e nascondendole nei modi più impensati.
Hanno rappresentato dunque per gli occupanti un vero e proprio “fronte interno”. Ma non è tutto: nel loro programma c’è già il futuro, che dovrà essere libero, democratico e paritario. Con tutti i diritti fino ad allora negati. Finalmente.
Redazione, I Gruppi di Difesa della Donna in “Noi, compagne di combattimento…” op. cit.

Dopo l’8 settembre 1943, nonostante le Forze Armate siano state lasciate senza ordini precisi, un consistente numero di ufficiali, sottufficiali e militari capirono dove rivolgere le proprie armi: contro i nazi-fascisti. Molti caddero in combattimento e migliaia furono deportati nei campi di concentramento nazisti. Nel nord si formarono numerose bande partigiane, spesso fondate e dirette da ufficiali o sottufficiali che erano riusciti a sfuggire ai rastrellamenti nazi-fascisti. Migliaia gli uomini, ma molte le donne, di diverso orientamento politico e differente ceto sociale e religioso, uniti per il riscatto della dignità della propria Patria, presero parte attiva alla Guerra di Liberazione e di Resistenza sacrificando, spesso, la propria vita.
Sono 19 le donne italiane decorate con la Medaglia d’oro al valore militare (1943-1945) tra cui 15 alla memoria:
Irma Bandiera, Ines Bedeschi, Livia Bianchi, Gabriella degli Esposti in Reverberi, Cecilia Deganutti, Anna Maria Enriquez Agnoletti, Tina Lorenzoni, Ancilla Marighetto, Clorinda Menguzzato, Irma Marchiani, Norma Pratelli Parenti, Rita Rosani, Modesta Rossi Palletti, Virginia Tonelli, Iris Versari.
Le donne decorate in vita: Gina Borellini (1924-2007), Carla Capponi (1918-2000), Paola Del Din (1923 – vivente), Vera Vassalle (1920-1985).
Redazione, Donne decorate 1943-1945, ANCFARGL