Quelle fotografie tedesche della strage di Piazzale Loreto

Fonte: Carlo Gentile, Op. cit. infra

La sequenza fotografica che si presenta fa parte del fondo Bild 101 (Propagandakompanien), conservato presso la fototeca del Bundesarchiv di Coblenza, nel quale sono raccolte le immagini riprese dai fotografi delle compagnie di propaganda tedesche nel corso della seconda guerra mondiale.
Numerose (nell’ordine di alcune migliaia) furono scattate in Italia nel periodo tra il 1943 e la tarda estate del 1944.


 

[…] Oggettivamente, l’accessibilità del fondo, nelle sue attuali condizioni, si presenta assai disagevole. Da un lato sta la sua grande frammentarietà: dei circa 3.500.000 fotogrammi scattati in origine dai fotografi di guerra tedeschi, soltanto 1.100.000, meno di un terzo, sembra siano sopravvissuti agli eventi bellici. Dall’altro, la mancanza pressoché completa di coordinate temporali e geografiche non permette di muoversi con facilità al suo interno. Il fondo è stato ordinato per album e per film e debitamente corredato di indici e guide. Per la consultazione sono disponibili una guida degli album ordinata numericamente ed un indice alfabetico dei corrispondenti di guerra.
[…] Tra le testimonianze fotografiche dirette della repressione antipartigiana in Italia, abbiamo scelto come esempio una sequenza relativa ad una delle vicende tra le più drammatiche: la fucilazione di 15 antifascisti tenuti in carcere dai tedeschi ed eseguita da un plotone di militi della Repubblica sociale italiana a piazzale Loreto, a Milano, il mattino del 10 agosto 1944. L’eccidio fu una rappresaglia eseguita per vendicare un attentato partigiano avvenuto due giorni prima ed in cui avevano perso la vita nove fascisti ed altri tredici erano stati feriti. L’attentato fu il momento culminante di una offensiva dei Gap iniziata nel mese di luglio e particolarmente virulenta tra il 21 dello stesso mese e l’8 agosto 8. Questa vicenda ha indubbiamente un forte valore simbolico per la Resistenza italiana, e soprattutto milanese; senza di essa non è pienamente comprensibile il secondo e più famoso episodio legato a questo stesso luogo, l’esposizione cioè dei corpi di Benito Mussolini, di Claretta Petacci e dei gerarchi fascisti il 29 aprile 1945.
Nulla sappiamo sulle circostanze precise che hanno condotto i corrispondenti di guerra tedeschi a piazzale Loreto il mattino del 10 agosto 1944. Mentre è evidente quale fosse il quadro generale in cui si svolgeva l’attività degli uomini delle Propagandakompanien, molte questioni a proposito del loro impiego sul territorio non hanno ancora trovato risposta. I pochi dati che abbiamo a disposizione sull’autore di queste immagini sono essenzialmente limitati al suo cognome, Rauchwetter, e all’indicazione del suo reparto di appartenenza, in questo caso una PK della Luftwaffe. Non esiste alcun documento che indichi il motivo della sua presenza nel luogo dell’eccidio. Non è nemmeno possibile appurare quale fosse la ragione del suo passaggio a Milano, dove tuttavia sappiamo che risiedeva un importante ufficio dell’apparato propagandistico (la Kriegsberichterstaffel Süd, ovvero squadra corrispondenti di guerra Sud). Con tutta probabilità egli fu un testimone giunto “casualmente” sulla scena dell’eccidio perché di passaggio, oppure perché informato dell’esecuzione e spinto dalla curiosità di assistere ad un avvenimento così inconsueto, in maniera analoga a molte delle altre decine di cittadini raccolte intorno ai corpi degli uccisi 9.
È da escludere che la ripresa di immagini delle rappresaglie e degli eccidi che avvenivano nel corso della repressione antipartigiana potesse rientrare in qualche modo nei compiti delle compagnie di propaganda tedesche. E questo per ovvi motivi. Gli stessi comandi militari si sforzavano anzi di controllare la produzione di immagini della propria attività repressiva, soprattutto per quanto riguarda le immagini “private” che innumerevoli militari tedeschi scattavano e tenevano come “ricordo” 10 .
Nell’estate 1944, il generale plenipotenziario della Wehrmacht in Italia, Toussaint, aveva posto rigorosi limiti alle riprese fotografiche di esecuzioni sommarie, prevedendo eccezioni soltanto in casi di estrema necessità di servizio.
Se da una parte non sappiamo fino a che punto simili limitazioni condizionassero l’attività dei corrispondenti e dei fotografi delle PK, è oggi possibile rilevare come nella pur vasta documentazione iconografica costituita dal fondo PK 101 le fotografie di esecuzioni, o più in generale quelle di uccisioni di avversari o di civili, sono decisamente rare.
Immagini di questo genere esistono (alcune di esse sono ormai conosciute anche in Italia), ma in complesso, dal punto di vista quantitativo, esse costituiscono soltanto una parte molto piccola del fondo.
L’ipotesi che la testimonianza tedesca dell’eccidio di piazzale Loreto sia dovuta al “caso” e/o alla “curiosità” del fotografo, trova ulteriore sostegno nell’esame delle immagini.
E particolarmente significativa la prospettiva da lui scelta: in posizione arretrata, tra la folla degli spettatori, o dall’alto, probabilmente in piedi su un’automobile, unico “vantaggio” che si permette rispetto agli altri spettatori. Il punto di ripresa è un chiaro indizio del fatto che il fotografo è giunto sulla scena quando l’esecuzione era già avvenuta. La sua attenzione non sembra indirizzata verso i particolari “tecnici” dell’esecuzione, ma cerca di cogliere con l’obiettivo tutti gli elementi narrativi visibili sulla scena.
Uno sguardo intenso, ma allo stesso tempo lontano, caratterizza le immagini di questo evento fissato attraverso le lenti dal fotografo di guerra tedesco. Se esaminiamo con attenzione la sequenza e lasciamo scivolare lo sguardo sui corpi senza vita dei quindici antifascisti uccisi, sui cittadini che li osservano, sui volti dei fascisti della Legione Ettore Muti e della Gnr che fanno cordone (forse lo stesso picchetto che ha eseguito la fucilazione), notiamo come i principali attori del dramma che si è appena svolto sono italiani.
Italiani sono gli antifascisti fucilati ed il plotone che li uccide, italiani gli spettatori dell’eccidio e italiani sono sia le vittime sia gli esecutori dell’attentato che ha innescato la rappresaglia. I tedeschi non compaiono in queste immagini, essi si mantengono in secondo piano. Non c’è tuttavia alcun dubbio che la rappresaglia, anche se eseguita da italiani, è avvenuta di concerto con le autorità occupanti, in questo caso la Sicherheitspolizei.
I suoi funzionari milanesi, Walter Rauff e Theo Saewecke, ad esempio, dovrebbero esserne stati i mandanti diretti e sono certo coloro che hanno consegnato ai fascisti gli “ostaggi” da fucilare, facendoli prelevare dalla “riserva” di prigionieri politici tenuti nel braccio tedesco di San Vittore.
E forse da individuare nell’assenza di una presenza tedesca visibile – un qualsiasi rappresentante delle forze di occupazione accanto ai fascisti basterebbe a modificare il senso della “rappresentazione” che abbiamo davanti agli occhi – il motivo per cui questo evento sia stato oggetto di una tale attenzione da parte del fotografo. L’evento, interpretato in queste immagini come uno dei molti episodi di “guerra civile”, è legato ad una realtà diversa e incomprensibile, che giustifica lo sguardo neutrale, da reporter “imparziale”, assunto dal fotografo-spettatore.
6 Carlo Gentile, II fondo fotografico delle PK presso il Bundesarchiv di Coblenza, in A. Mignemi (a cura di), Propaganda politica e mezzi di comunicazione di massa tra fascismo e democrazia, Torino, Gruppo Abele, 1995, pp. 129-132, in particolare le foto 90-94 e inoltre A. Mignemi, Storia fotografica della Resistenza, cit., le immagini 153-154 e 157.
7 Alcune immagini cinematografiche dello stesso evento — riprese dal cineoperatore della medesima compagnia di propaganda e utilizzate in un cinegiornale tedesco – compaiono nel documentario I 600 giorni di Salò di Nicola Caracciolo
ed Emanuele Valerio Marino, una coproduzione Istituto Luce-Italnoleggio e Rai Tre.
8 Der Befehlshaber der Sicherheitspolizei und des SD in Italien, Meldungen aus Italien vom 1. August bis 15. August. Verona, 23 agosto 1944, pp. 39, 45, in Bundesarchiv Koblenz (ora Berlino), R 70 Italien/14; si veda inoltre Giovanni
Pesce, Senza tregua. La guerra dei Gap, Milano, Feltrinelli, 1995, pp. 176-78, 198, 202-205 (prima ed. 1967).
9 L’impressione generale che si ricava esaminando l’album, in cui le fotografie sono contenute, è che non si tratti di un reportage “ufficiale” . Apparentemente, una delle poche sequenze dell’album che possa essere riferita ad un tema preciso è quella ripresa durante una visita degli ospedali militari nei grandi alberghi del lago di Como, a Cernobbio. In gran parte “casuale” si rivela la scelta dei soggetti, ripresi durante quello che, secondo l’ordine delle immagini, potrebbe essere inteso come un viaggio, che porta i corrispondenti da Firenze a Milano attraverso l’Appennino modenese, dove sono in corso delle operazioni antipartigiane. Dopo aver scattato le foto che vediamo nell’inserto e in copertina, i corrispondenti si dirigeranno nuovamente in direzione del fronte, verso la costa romagnola (Ravenna) e marchigiana (Pesaro), mentre un altro distaccamento agirà sulla riviera ligure di Levante (Portovenere, La Spezia).
10 Un impressionante campionario di immagini “private” di esecuzioni e eccidi operati da militari tedeschi e sequestrate da unità dell’Armata rossa ai loro possessori è riprodotto in Hannes Heer, Klaus Naumann (a cura di), Vernichtungskrieg. Verbrechen der Wehrmacht 1941-1944, Hamburg, Hamburger Edition, 1995; ovviamente resistenza di immagini fotografiche di questo genere non è limitata alla seconda guerra mondiale o alle forze armate naziste; nelle sue memorie, Michael Herr, noto corrispondente di guerra americano in Vietnam negli anni sessanta, parla dell’esistenza di “centinaia, se non migliaia” di album contenenti immagini “private” di nemici uccisi, torturati, di villaggi incendiati, diffusi tra i soldati americani (cfr. Michael Herr, Dispatches, Vintage, New York, 1991, pp. 198 sg.). Per quanto riguarda i vari comandi e i reparti tedeschi, non era prassi comune raccogliere testimonianze fotografiche “ufficiali” della propria attività militare allo scopo di integrare diari di guerra o relazioni. Alcuni singoli esempi di casi in cui questo è invece avvenuto sono oggi molto ben conosciuti, come tra l’altro la documentazione fotografica della distruzione del ghetto di Varsavia oppure il diario di guerra del Polizei-Bataillon 322, riprodotto in Ernst Klee, Willi Dreßen, Volker Rieß (a cura di), “Schöne Zeilen”. Jüdenmord aus der Sicht der Täter und Gaffer. Frankfurt am Mein, Fischer, 1988, pp. 18-29. Nel corso delle mie ricerche presso le varie sezioni del Bundesarchiv, sono incappato soltanto in due occasioni in fotografie allegate a documenti cartacei di unità tedesche e in entrambi i casi i soggetti non avevano nulla a che vedere con la guerra partigiana. Le fotografie scattate dagli ufficiali e dai soldati tedeschi rimanevano generalmente in possesso dei loro autori ed è infatti nelle raccolte di documenti “privati” conservati negli archivi che si possono trovare album di fotografie che, come ad esempio il Nachlaß del generale Niedermeyer, comandante della 162. (Turk) Infanteriedivision, contengono immagini di guerra partigiana; in questo caso, operazioni di rastrellamento in Slovenia ed in Friuli.
11 Cfr. il “divieto di fotografare fucilazioni” del 21 giugno 1944, contenuto in Allgemeine Anordnungen für den Dienstbetrieb Nr. 21/44, in Bundesarchiv-Militärarchiv, Freiburg, RH 31 VI/10.
Carlo Gentile, Piazzale Loreto 10 agosto 1944. Dai fondi fotografici degli archivi tedeschi, GIANO, n. 23, maggio-agosto 1996, Rete Parri

[…] Fucilazione di quindici detenuti politici tratti dalle carceri di San Vittore, per rappresaglia da parte dei tedeschi per un attentato ad un autocarro tedesco, posteggiato in viale Abruzzi, l’8 agosto 1944, in cui restarono uccisi alcuni cittadini italiani. Il 10 agosto, alle 4.45, vennero prelevati da San Vittore 15 detenuti politici, che vennero fucilati in piazzale Loreto da un plotone di esecuzione composto da militi della Gnr e delle legione Muti. Eraldo Soncini riuscì a fuggire in via Palestrina, ma fu raggiunto e ucciso sul posto. I corpi delle vittime furono lasciati sulla piazza fino a sera, come monito per la popolazione.
[…] Girardello Avellino, accusato per aver causato l’arresto di Casiraghi e Fogagnolo, fu condannato il 9 ottobre 1945 dalla Cas di Milano a venti anni di reclusione. Il 3 settembre 1947 la Corte di Cassazione annullò senza rinvio la sentenza dichiarando il reato estinto per amnistia.
Parini Piero, capo della provincia di Milano, accusato per non essersi efficacemente adoperato per impedire la rappresaglia, fu condannato il 27 ottobre 1945 a otto anni e quattro mesi. Il 10 giugno 1946 la Corte di Cassazione annullò la sentenza per erroneità e mancanza di motivazioni limitatamente al diniego delle attenuanti e rinviò il giudizio alla sezione speciale della Corte di assise di Varese.
Vittorio Rancati, quale comandante della Brigata Nera del gruppo fascista G. Oberdan, imputato non solo di aver comandato la guardia al luogo dell’esecuzione, ma anche di aver ordinato l’inseguimento del Soncini che non riuscì peraltro a salvarsi, venne condannato il 23 maggio 1947 ad anni dieci di reclusione. In data 17 novembre 1948 la Corte di Cassazione dichiarò amnistiato il reato.
Luigi Campi e Giacinto Luisi, imputati per aver materialmente ucciso il Soncini, vennero condannati il 23 maggio 1947 alla pena di morte per fucilazione. In data 17 novembre 1948 la Corte di Cassazione, pur rigettando il ricorso presentato dai due, tramutò la pena in ergastolo. Con ordinanza 6 novembre 1954 la Corte di Cassazione condonò la pena inflitta a Luisi, tramutandola in dieci anni di reclusione e in tre di libertà vigilata. Con ordinanza 6 febbraio 1961 la Corte di Assise di Appello di Milano dichiarò estinto il reato del Campi, facendo così cessare l’esecuzione della condanna.
[…] Bibliografia:
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Fonti archivistiche:
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