Radio Londra ed il dentifricio per l’asino

Uno scorcio della Val d’Aveto nel tratto in provincia di Piacenza – Fonte: Mapio.net

Le prime organizzazioni appoggiate dai servizi segreti alleati all’inizio della Resistenza in Italia furono la OTTO, la ORI (Organizzazione per la Resistenza Italiana), i VAI (Volontari armati italiani). La ORI, costituita a Napoli da Raimondo Craveri, genero di Benedetto Croce, fornì all’OSS (Office of Strategic Services) americano agenti per le missioni al nord <1; i VAI furono promossi dal governo Badoglio e gudati dall’ufficiale di marinaJerzi Sas Kulciski <ndr: dizione più diffusa: Kulczycki >, attivi in Liguria dal novembre 1943 al marzo 1944 quando venne sgominata <2.
Scopo di questo saggio è la pubblicazione integrale della “Relazione sull’attività dell’Organizzazione OTTO”, che, redatta da Ottorino Balduzzi nel 1946, è conservata presso l’archivio dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia “F. Parri”, Viale Sarca, 336, Milano 3.
Ottorino Balduzzi nacque a Godiasco, in provincia di Pavia, il 7 settembre 1896 <4. Si laureò presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Bologna il 3 luglio 1921, discutendo la tesi “Un caso di meningite pneumococcica primitiva”. Socialista in età giovanile, in seguito aderì al partito comunista <5. Nel 1943 Balduzzi era medico primario di neuropsichiatria dell’ospedale S. Martino di Genova: l’organizzazione OTTO <6 prese il nome da lui, il principale organizzatore, ma poteva anche essere considerata l’abbreviazione di ‘Organizzazione Territori Temporaneamente Occupati’. Era militante del Partito comunista, ma, secondo P. E. Taviani, dopo l’8 settembre “era in quel momento un comunista ‘indipendente’ perché i dirigenti locali lo avevano espulso non avendo ubbidito ad alcune loro disposizioni e avevano addirittura pubblicato la notizia sul giornale durante il periodo badogliano, indicandolo come il ‘prof. B.'”.
La cosa aveva fatto scandalo perché molti l’avevano considerata una proditoria forma di denuncia. <7
Lo scopo della organizzazione OTTO era di consentire il contatto diretto con i Comandi alleati e tra questi e le forze della Resistenza, per poi ottenere gli aiuti necessari ad accelerare il processo di trasformazione in unità combattenti dei primi gruppi di militari sbandati e dei patrioti antifascisti che si trovavano nell’entroterra. Attraverso i rifornimenti di armi, equipaggiamenti, viveri, ecc., effettuati tramite aviolanci, si sarebbe realizzata una efficiente organizzazione della resistenza armata oltre le linee avversarie.
Trascriviamo in corsivo la “Relazione” intercalando precisazioni e commenti.
RELAZIONE SULL’ATTIVITA’ DELL’ORGANIZZAZIONE OTTO.
Nel settembre 1943 costituitosi il C.L.N. di Genova venni incaricato di cercare fondi per la Organizzazione della Resistenza. Riuscii con molto stento a procurare al C.L.N. 500.000 lire ricevute dalla direzione dell’Ansaldo. Fu la prima cifra un po’ rilevante che il C.L.N. di Genova potette avere a disposizione. I bisogni finanziari che anche il C.L.N.A.I. non poteva colmare, essendo anch’esso difficoltato nel procurarsi fondi, mi resero chiaro che non sarebbe stato possibile organizzare ed alimentare il movimento partigiano se non si riusciva a creare un collegamento cogli Alleati ed ottenere aiuti sufficienti da questi.
Esposto il progetto al Presidente del C.L.N. lombardo, poi C.L.N.A.I. Longhi ([Alfredo] Pizzoni organizzai con l’aiuto finanziario di quel C.L.N. il trasferimento in Corsica di un colonnello inglese a nome GORE, il quale viveva nascosto insieme ad altri ufficiali e soldati inglesi nella zona di Cabanne (Rezzoaglio). Concorrevano alla custodia e alla difesa di questo gruppo di prigionieri fin dal 20 settembre 1943 [capitano di lungo corso della marina] Davide Cardinale, Gino Risso [Paolo Risso, detto ‘Gino’, motorista], Emanuele Strassera e il parroco Don [Luca] Cella, che costituivano il primo nucleo della Organizzazione OTTO“.
La liberazione del colonnello Gore
Insieme al colonnello Thomas Gordon Gore, si trovavano nella zona di Cabanne, 7-8 ufficiali fuggiti dopo l’8 settembre dal campo di prigionia di Piacenza. Tra questi il tenente colonnello Kenneth F. May del Essex Regiment, autore di ” Toothpaste for the Ass”, ossia “Dentifricio per l’asino” (pubblicato nel 1968 da Bracken Press, Hatfield), nel quale racconta la sua esperienza bellica a partire dal 1942 nel deserto di El Alamein, alla prigionia e alla guerra partigiana in Liguria.
Il primo novembre colla partecipazione di Giuseppe e Umberto Conforti, di Davide Cardinale e Gino Risso, fu organizzata la partenza da Voltri della spedizione alla quale oltre al Colonnello Gore presero parte il capitano Davide Cardinale, comandante della spedizione, Gino Risso in qualità di motorista e Umberto Conforti in qualità di marinaio. Dopo quattro giorni di navigazione e numerosi incidenti di viaggio la spedizione potette raggiungere la Corsica“.
Ricordiamo che la Corsica era stata occupata dalle forze italiane nel novembre 1942, dopo lo sbarco alleato in Marocco e Algeria, ma dopo l’8 settembre 1943, gli 80.000 militari italiani ebbero un ruolo decisivo (unico caso nel quadro del generale disastro di quei giorni) per sconfiggere e cacciare le truppe corazzate tedesche dall’isola, combattendo a fianco dei 10.000 partigiani corsi e ai circa 6.000 soldati coloniali francesi. L’occupazione alleata venne completata in meno di un mese, il 5 ottobre.
La fuga dal porticciolo di Voltri è racconta da P. E. Taviani nell’episodio ‘Il gozzo dalla vela nera’ in ‘Pittaluga racconta. Romanzo di fatti veri 1943-1945’ <9: il colonnello Gore è descritto come un uomo di 48 anni, di 1.90 m di statura. Radio Londra trasmise il messaggio “Gore l’inverno comincia”, che era stato concordato per segnalare che l’imbrcazione era giunta in Corsica. Risso e Cardinale dalla Corsica vennero inviati ad Algeri. Lì Cardinale incontrò il capitano Alberto Li Gobbi, sul quale torneremo più avanti ed al quale diede l’indirizzo di Balduzzi a Genova.
“Il colonnello Gore era latore di un messaggio del C.L.N.A.I.; di un piano dettagliato per favorire un eventuale sbarco alleato in Liguria, nel quale in allora il comando militare del C.L.N.A.I. sperava e di altre numerose informazioni di carattere militare. Il comando militare alleato, a quanto mi risulta, non prese subito in considerazione le sollecitazioni del Colonnello inglese, ne il memoriale del C.L.N.A.I. Il comando supremo alleato non credeva alla possibilità di un organizzato movimento di resistenza in Italia. In quell’epoca (novembre 1943) infatti il distaccamento della Special Force (reparto addetto alla organizzazione della resistenza nei paesi occupati) era solamente composto di un capitano (Cap. Vincent) e di un sergente”.
Grazie allo sbarco in Corsica del colonnello Gore, organizzato dalla OTTO, iniziarono a giungere in Val d’Aveto i primi lanci di materiale bellico a favore dei partigiani che operavano in Liguria e nel basso Piemonte. Pare che fossero i primi aviolanci in assoluto operati dagli inglesi in Italia. In seguito vennero fatti espatriare anche il tenente colonnello K. F. May e gli altri ufficiali nascosti.
I primi contatti con le formazioni piemontesi
Il primo contatto della OTTO con le formazioni piemontesi avvenne nel mese di novembre, durante la fase organizzativa della banda della Val Pesio. Il capitano di complemento Piero Cosa incontrò a S. Bartolomeo di Chiusa Pesio, Carlo Balestro, genovese, ex sergente degli alpini, che gli propose di mettersi in contatto con Balduzzi a Genova, per ottenere aiuti e collaborazione per la lotta ai nazi-fascisti. Nei primi di dicembre Cosa si recò a Genova e incontrò Balduzzi nel salone dell’Hotel Columbia presso la stazione Principe. I due concordarono di inserire nelle rispettive organizzazioni ufficiali di collegamento per la determinazione delle coordinate geografiche nelle zone disposte per gli aviolanci. In seguito la OTTO avrebbe comunicato il testo del messaggio “positivo” e “negativo” da ascoltarsi attraverso Radio Londra e le modalità per le segnalazioni da terra agli aerei. Costanzo Repetto fu nominato ufficiale di collegamento della OTTO, il tenente Luigi Meineri, che in seguito fu ucciso durante questa attività, per la banda di Val Pesio. Il primo lancio avvenne nella notte tra il 20 e il 21 gennaio al Pian del Creus in Val Pesio. <10
Le prime missioni alleate in Liguria: CAP-MAYO e JET-RADLEY
Tuttavia il 3 dicembre fu inviato presso di me un radiotelegrafista, [sottocapo di marina] Silvio De Fiori, il quale fu sbarcato insieme con Gino Risso sulle coste di Moneglia. Precedentemente, circa il 29 novembre, gli alleati fecero un lancio di generi di conforto e di denaro ai loro prigionieri che erano concentrati sotto la nostra vigilanza, nella regione di Cabanne. Tale lancio fu fatto di domenica in pieno giorno e fu grazie all’abilità del maresciallo dei carabinieri Monaco e del carabiniere Cardella se i tedeschi e i fascisti di Chiavari subito avvertiti non potettero scoprire nulla e soprattutto non potettero scoprire il rifugio dei prigionieri. Oltre alle persone sopra nominate entrano a far parte attiva della Organizzazione anche il maresciallo dei carabinieri Monaco e il carabiniere Cardella“.
La missione del 3 dicembre 1943, denominata CAP-MAYO, era comandata dal maggiore Andrew Croft <11, esploratore artico negli anni ’30, ufficiale del SOE (Special Operations Executive) con esperienza in Norvegia e in Nord Africa; venne utilizzato un MAS (Motoscafo Antisilurante) della marina italiana al comando del capitano Cosulich. De Fiore stabilì il collegamento servendosi di un apparecchio paracadutato pochi giorni dopo lo sbarco.
Il giorno 5 dicembre una missione composta dal guardiamarina [Mario] Cottini e dal R.T. [radio telegrafista, Romano Bruno] Pagani viene appoggiata dagli Alleati, pre […] in questo modo io posso avere a disposizione 2 R.T. che comunicano quotidianamente colla stazione di Algeri. È finalmente il primo anche se l’unico collegamento delle Forze Partigiane dell’Alta Italia col Comando Alleato“.
Il nome di questa seconda missione era JET-RADLEY.
Viene convenuto col C.L.N.A.I. e col Comando Alleato che questo nucleo di collegamento e riorganizzazione delle attività partigiane rimanga formalmente autonoma. Questa autonomia che le circostanze e la più elementare prudenza esigevano è stata in qualche comitato regionale non correttamente interpretata, sospettandosi che la Organizzazione Otto volesse perseguire fini militari e politici particolaristici. In realtà la autonomia era soltanto formale, la Organizzazione Otto ha sempre lavorato in stretto accordo col comando militare del C.L.N.A.I. Nel dicembre entrano a far parte della Organizzazione: il capitano [di fanteria, Costanzo] Repetto, il tenente [di artiglieria] Piero Lodigiani [del SIM italiano], l’ufficiale di marina [sottotenente di vascello] Pompei [Giovanni], il dottor Merella, il capitano [dell’aviazione, Ernesto] Roggero che funzionano come ufficiali di collegamento tra il centro di Genova e le bande partigiane della Liguria e del Piemonte e poi come responsabili di zona avendo alla loro volta alle loro dipendenze al centro delle varie zone altri gruppi di ufficiali di collegamento; mentre il capitano Roggero funzionante come aiutante maggiore, tiene da Genova il collegamento militare centrale. Il capitano Vincenzo Cardinale che si collega con Venezia, Bertorello fa il collegamento colla cosidetta banda di Zignago comandata dal maggiore [Gordon] Lett <12. Già da tempo Arturo Dellepiane e Antonio Milani tenevano contatto con i G.A.P. di Genova. Il comando militare del C.L.N.A.I. rappresentato da Ferruccio Parri stabilisce il collegamento per mezzo del corriere Cirilli tra quel comando militare e la Organizzazione. Alla fine di dicembre del ’43 l’organizzazione collabora direttamente coi C.L.N. di Cuneo, di Torino, di Novara e colle organizzazioni partigiane dipendenti da questi centri. Il 6 gennaio 1944 la Otto riceve il primo lancio di materiale bellico nella regione di Brignole (Val d’Aveto). Questo materiale viene trasportato a mezzo camion sotto la direzione di Giuseppe Conforti a Sturla e depositato nella casa di Franchi di Sturla, che provvede insieme alla moglie e al figlio (che morirà poi combattendo in una formazione partigiana) alla custodia e alla distribuzione del materiale stesso ai G.A.P. di Genova. Successivamente nello stesso mese vengono organizzati aviorifornimenti di materiale alle bande della zona di Mondovì. Purtroppo la stagione inoltrata, la difficoltà degli aviorifornimenti in montagna, dove spesso la nebbia copre i segnali luminosi e sopra tutto l’ancor diffidente stato d’animo del comando alleato verso il movimento di resistenza italiano, fanno sì che nel mese di gennaio e febbraio del ’44 gli aviorifornimenti, pur avvenendo con una certa regolarità e in sempre maggior numero, siano tuttavia assolutamente inadeguati alle richieste ansiose delle bande partigiane. A questo proposito io devo ricordare l’opera meritoria del capitano Davide Cardinale il quale, rimasto presso gli Alleati come mio rappresentante personale, si è adoperato in tutti i modi perché i preconcetti psicologici che impedivano che le nostre formazioni partigiane fossero rifornite in maniera adeguata, fossero pian piano rimossi. Molto si deve alla tenacia e all’ostinazione di Cardinale se il movimento di liberazione italiano fu fin dall’inizio in qualche modo apprezzato. Nel febbraio 1944 l’Organizzazione Otto aveva allargato la sua attività a tutta la Liguria e a tutto il Piemonte. Funzionava anche uno stretto collegamento verso il capitano [Alberto] Li Gobbi colle formazioni Garibaldine di Moscatelli“.
Il capitano Alberto Li Gobbi nacque a Bologna nel 1914, dopo l’8 settembre 1943 era stato catturato dai tedeschi ma riuscì ad evadere. Si unì ad un Comando dell’Italia liberata; assegnato ai Servizi di informazione, dopo essere stato addestrato ad Algeri, era stato paracadutato in Piemonte, la sua missione era denominata SIM1-HUNTINGDOM / MILL HILL. Con il fratello Aldo, organizzò una vasta rete informativa comprendente Lombardia, Piemonte e Liguria.
Comandante della Brigata alpina Valle Strona e poi della Divisione alpina Beltrami, venne catturato a Genova con Edgardo Sogno. Riuscì a far evadere Sogno allargando le sbarre di una finestra. Non tentò la fuga per timore di rappresaglie contro il fratello Aldo, venne ferocemente torturato. Evase nuovamente e si unì al 35° Reggimento di artiglieria del Gruppo di combattimento Friuli. Nel dopoguerra proseguì la carriera militare: nel 1960 fu addetto militare dell’Amabasciata italiana a Washington. Nel 1965 Capo di Stato Maggiore della Regione militare Nord ovest. A Li Gobbi è stata conferita la Medaglia d’oro al valor militare.
Febbraio 1944: l’attività della Otto si espande
Nel febbraio 1944 Ferruccio Parri a nome del Comitato Militare Alta Italia mi domanda di assumermi anche il rifornimento delle bande partigiane del Veneto, della Lombardia e dell’Emilia. Domanda alla quale io non potetti aderire perché l’Organizzazione era già troppo estesa e oramai il numero dei collaboratori così aumentato e con compiti già tanto onerosi che non era possibile accentrare un altro compito tanto gravoso. Convenni con Ferruccio Parri di dividere l’Alta Italia in due zone: una costituita dalla Toscana nord-orientale [recte: nord-occidentale], Liguria e Piemonte, incaricandomi io di provvedere al controllo ed ai rifornimenti delle formazioni collà dislocate; un’altra costituita dalla Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia alle cui formazioni avrebbe provveduto il comando militare del C.L.N.A.I. occupandomi io solamente di trasmettere agli Alleati le ubicazioni dei campi di lancio e le richieste degli aviorifornimenti, che il comando militare del C.L.N.A.I. mi avrebbe segnalato. Nel febbraio ’44 al cantiere ILVA di Voltri avevamo inoltre creato un posto di sbarco e di imbarco per i mezzi leggeri della marina alleata. Al controllo di questi punti di sbarco di sbarco erano addetti Trequattrini e l’appuntato delle guardie di finanza Misuriello. Un altro posto fu organizzato tra Camogli e la punta Chiappa dal compianto Bacciccia (Prospero Castelletto). Qui vi dovevano sbarcare truppe dei Commandos americani, sbarchi che riuscii poi ad evitare non vedendovi alcuna convenienza“. […]
1 Cfr. R. CRAVERI, La campagna d’Italia e i servizi segreti : La storia dell’ORI (1943-1945), Milano 1980.
2 Cfr. P. PAOLETTI, Volontari armati italiani (V.A.I.) in Liguria (1943-1945), Genova 2009. Per un quadro complessivo sulle missioni alleate nella provincia di Genova, ved. il recente saggio di P. BATTIFORA, La speranza viene dal cielo. Resistenza, alleati e missioni operative nella VI zona in STORIA E MEMORIA, n. 2/2010, Genova 2010, pp. 7-79.
3 INSMLI, Archivio CVL, b. 42, f. 4, sf. 5, [C.V.L. Comando Genova. Archivio storico, 6250], Relazione sull’attività dell’Organizzazione OTTO <…>
4 F. GIMELLI P. BATTIFORA, Dizionario della Resistenza in Liguria, Genova 2008, p. 38 (scheda biografica).
5 P. F. PELOSO, La guerra dentro. La psichiatria italiana tra fascismo e Resistenza, Verona 2008.
6 F. GIMELLI P. BATTIFORA, Dizionario della Resistenza in Liguria cit. p. 260.
7 P. E. TAVIANI, Pittaluga racconta. Romanzo di fatti veri 1943-1945, Bologna 1993, pp. 31-35.
9 P. E. TAVIANI, Pittaluga racconta. Romanzo di fatti veri 1943-1945, cit. pp. 56-61, P. E. TAVIANI, A. FERRANDOSCRIVIA, Breve storia della Resistenza italiana, F.I.V.L., Roma 1994.
10 R. AMEDEO (a cura), Le missioni alleate e le formazioni dei partigiani autonomi nella resistenza piemontese, Cuneo 1980, pp. 220-221.
12 Ufficiale dell’East Surrey Regiment, catturato a Tobruk, prigioniero in Italia, liberato dopo l’8 settembre. Autore di memorie: Vallata in fiamme, Pontremoli 1949 (scritta con lo pseudonimo Lewis Ross); Rossano, an adventure of the Italian Resistance, Hodder & Stoughton, Londra, 1955 (pubblicato in italiano nel 1958 dalle Edizione librarie di Milano col titolo Rossano), Io so cosa vuol dire partigiano, Sarzana 1992.
Antonio Martino, L’attività di intelligence dell’Organizzazione OTTO nella relazione del prof. Balduzzi,  Quaderni savonesi. Studi e ricerche sulla Resistenza e l’età contemporanea, Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea della Provincia di Savona, n. 24, Savona, 2011

[…] Mr John Denison ha incontrato, presso l’Albergo Ristorante Paretin di Cabanne dove è stato ospite, molti anziani valligiani e ha posto loro cortesi ed insistenti domande riguardanti un episodio specifico avvenuto durante i tempi lontani della Seconda Guerra Mondiale: la presenza presso Farfanosa (a Cabanne) di un gruppo di 7/8 ufficiali inglesi, tra i quali il Tenente Colonnello May, che verso la fine del 1943 raggiunse la Val d’Aveto in fuga dal campo di prigionia di Piacenza [1].
L’incontro tra Mr John Denison, figlio di uno dei più grandi amici del Tenente Colonnello May, e la popolazione di Cabanne non avrebbe avuto luogo se, anni or sono, Marco e Ivano Cella di Cabanne non mi avessero raccontato un buffo episodio riguardante Angelino Cella fratello di Bacciun.
Io raccolsi l’episodio e tempo dopo lo riportai all’interno dell’articolo Brevi notizie storiche pubblicato su Valdaveto.net.
Ecco l’episodio narratomi.
Nel periodo 1944-45 furono paracadutati in alta Val d’Aveto alcuni ufficiali di collegamento inglesi per osservare la guerra partigiana su quel fronte.
Erano stati nascosti presso la Farfanosa.
Le donne del luogo, correndo non pochi rischi, portavano loro cibo e quant’altro.
Gli inglesi avevano però una strana abitudine… dopo pranzo si lavavano ‘anche’ i denti con pasta dentifricia.
La richiesta fu inoltrata ad ‘Angirin’ Cella, il quale circa tre volte il mese si recava allo spaccio di Rezzoaglio per soddisfare le ‘stranezze’ di questi ufficiali.
La cosa non passò inosservata… e allo spaccio un dì Angirin si sentì chiedere: Cose te ne fè de tantu dentifricciu? (Cosa ne fai di tanto dentifricio ?).
Lui con prontezza rispose: Devu lavà i denti all’ase… (Debbo lavare i denti all’asino…).
Quando raccontò l’accaduto agli inglesi questi risero di gusto e promisero che se si fossero salvati, una volta giunti in patria, avrebbero usato quella frase su Radio Londra per far sapere agli amici italiani che il rientro era avvenuto.
Radio Londra trasmise alfine il messaggio… e a Cabanne qualcuno sorrise“.
Nota: in realtà l’episodio si svolse tra la fine del 1943 ed i primi mesi del 1944 e gli ufficiali inglesi che trovarono rifugio in Val d’Aveto non erano stati paracadutati ma erano in fuga dal campo di prigionia di Piacenza.
Mr John Denison, appassionato di storia e camminate fra i monti, tramite internet lesse su Valdaveto.net l’articolo Brevi notizie storiche e con una mail dall’Inghilterra puntualizzò che a sue mani aveva il libro scritto dal Tenente Colonnello May: il titolo del libro riporta proprio la frase che tanto fece sorridere, nell’episodio riportato, gli ufficiali inglesi nascosti presso la Farfanosa.
Nei giorni 10-11-12 giugno 2010 il fil rouge degli interessanti incontri presso l’Albergo Ristorante Paretin è stato il libro del Tenente Colonnello K. F. May dal titolo Toothpaste for the Ass (Dentifricio per l’asino). Questa frase così particolare costituiva il messaggio cifrato trasmesso da Radio Londra per avvisare gli amici italiani dell’arrivo in Corsica del Tenente Colonnello May nel febbraio del 1944.
Il Tenente Colonnello May, facente parte di un gruppo di 7/8 ufficiali inglesi che – fuggiti nel 1943 dal campo di prigionia di Piacenza – trovarono rifugio in Val d’Aveto, una volta lasciata Cabanne riuscì a raggiungere Chiavari e quindi Genova: da qui si imbarcò per Bonifacio in Corsica dove era atteso dai compatrioti al Quartier generale dei British Commandos.
A Cabanne intanto Antonio Raggi, detto Umun, alla sera ascoltava Radio Londra presso lo zio Anselmo Raggi, all’osteria Paretin, per ricevere il messaggio pattuito fra Bacciun e il Tenente Colonnello May.
La frase in codice – o codeword – secondo il libro di May era:
“Messagio numero 13, Dentefriscio per assino. Salute tutti”.
Antonio, ricevuto il cifrato, avvertì Domenico Cella di Farfanosa, detto Bacciun, e i suoi fratelli Angelino, detto Angerin, e Guglielmina: questi furono coloro che protessero gli ufficiali inglesi, rifugiati nelle forre di Farfanosa, dai rastrellamenti dei tedeschi, dei fascisti repubblichini e degli alpini della Monterosa.
Altri valligiani di Farfanosa e Cabanne si prodigarono insieme alla famiglia Cella recapitando agli ufficiali cibo e generi di conforto.
Agostino Giffra, detto Cicci, asserisce che dopo un rastrellamento verso la fine del 1943, gli ufficiali inglesi abbandonarono il primo rifugio posto presso una roccia lungo il rivo di Farfanosa in località “In tu Puzzu” per trasferirsi più in alto, presso la località “Costa secca”, luogo distante dalla carrabile.
Il primo rifugio era abbastanza vicino alla strada quindi era meno sicuro.
Infatti durante un rastrellamento il Tenente Colonnello May fu raggiunto da un cane lupo dell’esercito tedesco, ma l’animale, allettato da una bistecca lanciatagli dai rifugiati, non svelò il nascondiglio.
Fra l’altro il sito del secondo rifugio domina la valle e permette il controllo visivo della carrabile […]
[1] Rifugiato, dopo l’otto settembre 1943, tra le forre di Farfanosa era pure il superiore in grado al tenente colonnello Kenneth F. May, ossia il colonnello di fanteria scozzese Sir Gordon Thomas Gore, 48 anni, 1.90 di altezza, il primo ufficiale ad essere portato in salvo in Corsica grazie ai patrioti dell’organizzazione ‘Otto’: questi partirono per la traversata dal porticciolo di Voltri (GE) la notte del 1° novembre 1944 come racconta Paolo Emilio Taviani nel libro “Così parlò Pittaluga”.
L’altezza di Sir Gordon Thomas Gore dà lo spunto per raccontare un buffo episodio accaduto all’allora sedicenne Agostino Giffra detto Cicci, già citato.
Costui si rammentava che al tempo della presenza degli ufficiali inglesi presso Farfanosa (…cosa risaputa quasi da tutti in paese a Cabanne e a Farfanosa, ma che veniva bellamente ignorata per carità di patria) un dì si era recato per funghi nel bosco presso la località “Costa secca”. All’improvviso, ad una certa distanza, gli apparvero tre uomini che lui giudicava molto alti. Costoro confabularono tra loro in un linguaggio a lui incomprensibile, poi si dileguarono fuggendo nel bosco. Agostino ricorda che, spaventato da quell’apparizione, si diede ad una precipitosa fuga in direzione opposta a quella presa dagli inglesi.
Sandro Sbarbaro, Mr John Denison, un inglese sulle tracce del Tenente Colonnello K. F. May, Valdaveto.net, 24 ottobre 2010

Con l’8 settembre 1943 però «[…] il tempo per la sovversione politica era passato; l’obiettivo ora era dare il massimo dell’aiuto tattico e strategico all’avanzata degli eserciti Alleati» <11. Se in Svizzera la missione Damiani prima, e quella di Parri e Valiani poi, cercarono di stabilire un contatto con gli Alleati <12, a sud lo SOE iniziò a ricevere notizie <13, dapprima confuse poi sempre più precise <14, su episodi di resistenza armata ai tedeschi, o informazioni su bande ribelli <15. Rapporti importanti che lo aveva spinto a dotarsi di una struttura organizzativa “italiana”, la Number 1 Special Force, creando un retroterra logistico nella base di Maryland, presso Monopoli <16. Parallelamente il maggiore Andrew Croft venne incaricato di organizzare la base di Balaclava a Bastia che avrebbe lavorato con la sezione navale di Massigham per l’area del golfo di Genova <17. Dal punto di vista tattico invece la missione Vigilant, guidata dal maggiore Munthe, avrebbe affiancando la V armata americana lungo la costa tirrenica. Con tutte queste basi «[…] divenne necessario sviluppare procedure di coordinamento con l’istituzione di un comando e di una struttura amministrativa efficienti». Ed infatti fu solo nel 1944 che la Special Force uscì, anche se solo parzialmente <18, e solo tramite dubbi compromessi <19, «[…] da questa fase preparatoria completamente strutturata, sotto il comando di Holdsworth e con il controllo di tutte le operazioni» <20.
Sebbene la Special Force fosse a conoscenza della resistenza militare ai tedeschi fino dai primi giorni successivi all’armistizio, il primo vero rapporto completo relativo alla situazione italiana venne stilato solamente nel novembre del 1943 <21. Nel documento Guerrilla Bands in Italy molto significativamente non si parlava ancora di Resistenza, ma di bande eterogenee. La nascita delle formazioni era fatta risalire a tre motivazioni: l’antifascismo attivo, i militari e coloro che volevano sfuggire alla leva saloina. In primo luogo possiamo spiegare questo iato temporale anche con i problemi di comunicazione tra le varie sedi della Special Force: i «[…] rappresentanti a Berna non furono mai in collegamento radio con il Sud, ma inviavano i […] rapporti e le loro informazioni a Londra, che ne ritrasmise a Caserta solo una piccola parte» <22, mentre Baker Street (sede centrale dello SOE) non era interessata ad istituire dei contatti diretti con il Comando Supremo italiano, preferendo che essi fossero mantenuti tramite Maryland <23. Ne derivava che la sintesi di tutti i dati in possesso fosse un procedimento lento, prima ancora che difficoltoso.
Altra ragione però fu probabilmente che gli inglesi dovettero attendere il rafforzamento “autonomo” della Resistenza, una strutturazione parallela a quella della stessa Special Force, in modo da valutarne l’efficienza e le possibilità di impiego. In un certo senso gli italiani dovevano dimostrare che quei movimenti armati non erano episodici, ma la manifestazione permanente della volontà di combattere. Un’attesa necessaria per tracciare un primo bilancio, ma che non deve fuorviare. Lo SOE non rimase passivo.
Temendo che l’occupazione tedesca non scuotesse la freddezza italiana nei confronti della guerra, cercò di allacciare contatti con i leaders della Resistenza e di mobilitare gli ambienti più eterogenei, circoli politici, ed istituzionali, guidandoli « […] nel difficile passo dall’opposizione passiva a quella attiva» <24, coltivando sempre «il lato spirituale della resistenza», aiutando «tutti gli elementi capaci di tenere la popolazione in tensione» <25. Accanto alla propaganda <26, che aveva anche lo scopo inespresso, ed in alcuni ambienti comunque criticato <27, di creare o di aumentare il senso di allarme nei tedeschi <28, la Special Force cominciò ad organizzare un sistema di aiuti materiali <29: le rivolte « […] morali ed anche gli aneliti di libertà vengono sempre schiacciati e soffocati se non trovano una forza politica, uno Stato, che lo organizzi» <30. Si trattava di entrare in contatto con le formazioni, accertarsi della loro disponibilità a collaborare, che non fossero composte da renitenti al servizio militare, che fossero ancora presenti nell’area indicata, ed riferire l’esatta posizione per inviare i rifornimenti. Un macchinario lento ed inadeguato rispetto alle immediate esigenze dei partigiani, poco bilanciato dall’accorgimento di iniziare a rifornire quei gruppi con cui lo SOE era già in contatto31. Con il passare dei mesi e la strutturazione della Resistenza
stessa la situazione migliorò, ma anche allora «[…] il sistema era scomodo e comportava ritardi che sarebbero potuti essere pericolosi» <32.
[…]
Il primo problema risiedeva nell’individuazione di ufficiali preparati per questo tipo di lavoro. I British Liaison Officers (BLO) dovevano avere una grossa preparazione ed un background particolare <46, tale da permettere loro di operare facilmente in Italia <47. Inoltre un BLO « […] doveva essere un buon giudice, doveva saper distinguere fra attendisti ed attivisti, fra chi si sarebbe servito di esplosivo e chi l’avrebbe accantonato; doveva sopportare isolamento, fame e maltempo», insomma, «non aveva altra guida che se stesso» <48. Ma nonostante questo per l’«esercito privato di sua Maestà» <49 non era facile capire le sottili sfumature che distinguevano la realtà politica italiana dell’epoca <50. Data la grande varietà d’impostazione delle formazioni le direttive ribadivano che non l’invio di aiuti sarebbe stato subordinato al ricevimento dei «rapporti dai BLO» e le loro valutazioni. Un compito molto difficile che
implicava la massima cura nella scelta tra i graduati Alleati.
Venne preso in considerazione anche l’invio di italiani, ma solamente dopo « […] un’attenta selezione» e solo con funzioni ridotte, come l’interpretariato, «come mera missione di contatto designata per preparare la strada per il lancio immediato di ufficiali britannici o americani» oppure «per uno specifico obiettivo di sabotaggio» <51.
9 F. W. DEAKIN, La Special Operations Executive e la lotta partigiana, in AA.VV., L’Italia nella seconda guerra mondiale e nella resistenza, Milano, 1988, p. 95 e ss.; J. M. STEVENS – G. VACCARINO – F. VENTURI, L’Inghilterra e la resistenza italiana, in «Movimento di Liberazione in Italia», n. 80, luglio-settembre 1965, p. 75 e ss.; M. SALVADORI, Resistenza e azione. Ricordi di un liberale, Bari, 1951, p. 207; B. SWEET ESCOTT, Baker Street Irregular, London, 1965, p. 176; C MACINTOSH, From Cloak to Dagger. An SOE agent in Italy 1943-1945, p. 27; D. A. T. STAFFORD, Britain and European Resistence 1940-1945, London, 1980, p. 91 e ss.
10 HS 6/872, undated, anonimo, The OLAF story, riporta la missione Mallaby, effettivamente il primo agente britannico ad essere paracadutato in Italia nella notte tra il 13 ed il 14 agosto 1943, ma immediatamente identificato dalle
autorità e catturato sul lago di Como; H. J. BOUTIGNY, Le operazioni in Sicilia e in Italia meridionale (agosto-settembre 1943), in AA.VV., N. 1 Special Force nella Resistenza Italiana, Bologna, Volume II, 1990, p. 319.
11 HS 6/776 51 del 5-2-45, AD/P-DQ, Italy. Draft.
12 C. MUSSO, Diplomazia partigiana: gli alleati, i rifugiati italiani e la Delegazione del CLNAI in Svizzera (1943-1945), Milano, 1983, p. 30.
13 HS 6/818 90, undated, anonimo; HS 6/899 93 del 11-1-44, anonimo, Policy interest: PC in US. solo «pochi [di questi] sono tornati indietro dopo aver dato [informazioni sulla] situazione al nord».
14 Un esempio documentato di informazioni è HS 6/818 25 del 11-2-44, anonimo. «I segnali dal campo indicano che il Comitato romano ha poco controllo del nord ed è […] più interessato alla politica interna di Roma». Il quesito era stato posto in HS 6/818 27 del 4-2-44, London-?.
15 HS 6/781 6 del 21-1-44, Maryland-?.
16 Una decisione presa al meeting di Napoli del 31 ottobre 1943 dove erano presenti il maggiore generale Sir Bryan Robertson del DCAO e per lo SOE il maggiore generale Sir Gubbins, il colonnello Davies e tenente colonnello Rea. La sede del Quartier Generale sarebbe stata la città pugliese, ma la sezione «Tallone d’Italia» sarebbe stata sotto la direzione provvisoria del tenente colonnello Lord Harcourt e quella definitiva della sede Medio Oriente. Per velocizzare i rifornimenti venne deciso che la quota spettante a questa sezione non venisse più desunta dal quantitativo mensile destinata dal General Head Quartier Middle East dello SOE Cairo, ma venisse decisa dai futuri incontri di Napoli con lo staff del generale Robertson. Gubbins ne avrebbe presentato il progetto al Quartier Generale pregando di renderlo immediatamente operativo, in HS 6/775 123 del 5-11-43, Memorandum of meeting held at Naples on 31th october, 1943.
17 [A. CROFT, Operazioni clandestine via mare dalla Corsica all’Italia occupata (dicembre 1943-luglio 1944), in AA.VV., N. 1 Special Force…cit., p. 336, «alla fine di luglio 1944 […] avevamo eseguito cinquantadue sortite […], con ventiquattro successi. […] 7 fallimenti a causa del cattivo tempo; 7 fallimenti a causa di imbarcazioni ostili […]; 6 fallimenti a causa di navigazione errata; 4 fallimenti a causa di mancato ricevimento […]; 2 fallimenti a causa di guasto ai motori; 1 fallimento a causa d’una operazione sussidiaria che impiegò troppo tempo; 1 fallimento a causa della presenza di truppe nemiche sulla spiaggia, dovuta ad un avvistamento radar».]
18 A questa data comunque la struttura dello SOE in Italia non aveva ancora assunto un assetto snello. Afferenti a questo organismo rimanevano due grandi unità: l’Advanced Force 133 e Maryland. La prima era guidata da Bari dal brigadiere Kiles che però aveva il suo staff presso Torre a Mare: funzionava «sotto il controllo operativo del Quartier Generale Medio Oriente» ed i suoi compiti principali erano «la ricezione di emigrati fuoriusciti» o l’organizzazione di un sistema per rifornimento dei Balcani. A questi però affiancava «l’istruzione del 334 [Wing Force] sui bersagli e sulle priorità [di rifornimento] come indicato dal Cairo» e «l’allocazione dei rifornimenti per Maryland». A ben vedere si tratta di due compiti asimmetrici: l’unità operava su ordine de «Il Cairo in rispetto ai Paesi riforniti dal 334 Stormo, inclusa Italia ed Europa centrale» però non aveva «contatto diretto con il campo di battaglia». Le autorità jugoslave invece avevano una rappresentanza a Monopoli, collegata con la base per mezzo di una missione britannica, e potevano contare su una struttura che poteva inviare via mare fino a 2000 tonnellate di materiale al mese. La base di Maryland era diretta dal comandante Holdsworth. Anch’essa “soffriva” di dispersione “amministrativa”, per il distaccamento di Napoli e quello in Corsica. Le natura della base italiana era molteplice: già importante centro di comunicazioni, aveva in effetti «connessioni con Londra e Massigham» e con «le stazioni radio clandestine», era anche un centro per l’addestramento di agenti, potendo contare su 3 campi per il training paramilitare in grado di preparare complessivamente 130 agenti, su quello per operatori radio da 20 unità, ed infine sulla “perla” della struttura di addestramento paracadutisti dalla capacità mensile di 200 “studenti”. Ma Maryland era soprattutto il centro direttivo della Special Force con lo specifico compito di «dirigere le attività clandestine in Italia». Sulla carta il dispiegamento di risorse era notevole, in realtà le cose non erano così rosee: «l’Advanced Force 133 […] non [aveva] un ruolo operativo» se non «per offensive localizzate sulla costa dalmata», mentre per le attività in Italia la Special Force era «in grado di operare solo con obiettivi limitati», in HS 6/775 53 del 21-2-44, Report on SOE organisation in Southern Italy.
19 Tra la base italiana e la centrale di Londra sorse ben presto una diatriba sul controllo delle operazioni nella penisola. Il maggiore Roseberry, capo della sezione italiana nella capitale britannica e collegamento tra Massigham e Berna, rivendicava il primato allo SOE londinese, Gubbins ed il comandante di Massigham, Dodds-Parker, invece controbattevano la Special Force doveva stare alle dipendenze del XV Gruppo d’Armate. In verità una chiarificazione non si ebbe, anche se a causa della distanza geografica e della preminenza delle valutazioni militari nel teatro italiano, «l’influenza di Baker Street sulle operazioni in Italia era remota ed il suo coinvolgimento confinato agli aspetti logistici», in P. WILKINSON – J. BRIGTH ASTELY, Gubbins and SOE, London, 1997, p. 152.
20 «In quel momento Roseberry, che era stato in Italia fino alla fine di dicembre, tornò a Londra, dove fece da collegamento fra Monopoli e Berna», in C. M. WOODS, La n. 1 Special Force, in AA.VV., N. 1 Special Force…cit., p. 47.
21 HS 6/902 146 del 22-11-43, anonimo, Guerrilla Bands in Italy.
22 A. PIZZONI, Alla guida del CLNAI. Memorie per i figli, Bologna, 1995, p. 97.
23 HS 6/775 43 del 2-3-44, J-Berne.
24 S. COTTA, La Resistenza come e perché, Bologna, 1994, p. 120
25 HS 6/780 10 del 20-9-43, J-Berne.
26 HS 6/781 11 del 15-1-44, JD-Maryland. Il maggiore Lett osservava che «i pamphlets di Badoglio lanciati in ottobre e riportanti le ragioni per combattere i tedeschi hanno avuto un effetto eccellente».
27 Anche sull’effetto di demoralizzazione dei partigiani ai danni dei nemici non tutti erano concordi. Dall’interrogatorio di alcuni disertori emergeva che essi non erano fuggiti «per paura delle rappresaglie di Hitler sulle loro
famiglie, e non per conto dei maltrattamenti dei partigiani», in HS 6/791 27 del 14-5-45, Davies-?, Final report on Partisans in Modena province.
28 HS 6/843 del 13-6-45, J-D/EV, Note by Roseberry, Head of Italian Section, on Report by McMullen on his mission in Liguria; HS 6/843 Appendix B, Some Operations on Liaison with Partisans, «il nemico ha sovrastimato il valore militare dei partigiani». Una «paura fuori proporzione» che secondo il funzionario sarebbe aumentata «con la propaganda intelligente».
29 F. PUCCI, Spie per la libertà, Milano, Roma, 1983, p. 46, testimonia della consulenza italiana alla produzione di documentazione falsa per il nord.
30 L. VALIANI, Significato politico delle missioni alleate, in AA.VV., Le missioni alleate e le formazioni dei partigiani autonomi nella resistenza piemontese, Cuneo, 1980, p. 151.
31 HS 6/775 132 del 25-10-43, J-Berne.
32 J. M. STEVENS – G. VACCARINO – F. VENTURI, L’Inghilterra e la resistenza italiana…cit., p. 82.
33 HS 6/782 128 del 22-3-44, Berne.
34 HS 6/775 12 del 31-5-44, CD-AD/H.
35 E. SOGNO, Guerra senza bandiera, Milano, p. 393.
36 [Basti pensare a quella che Bocca chiama la «settimana di Kesserling», ovvero «il primo vero rastrellamento globale della guerra partigiana, con attacchi globali in ogni regione», G. BOCCA, Storia dell’Italia partigiana, Milano,
p. 438.]
37 M. SALVADORI, Sul cammino verso il CLNAI (25 ottobre 1943 – 5 marzo 1945), in AA.VV., N. 1 Special Force nella Resistenza italiana, Volume I, Bologna, 1990, p. 88; H. MAC MILLAN, Diari di guerra (1943-1945), Bologna, 1987.
38 HS 6/791 1 del 17-5-45, Macintosch-, Report on Tac HQ N. 1 Special Force.
39 Significativamente tutti i documenti sono simili, cambiano solo i nomi. Un esempio in HS 6/839 del 5-7-45.
46 C. M. WOODS, Genesi di una missione nel Veneto occidentale, in AA.VV., N. 1 Special Force…cit., p. 125, «io invece ero un semplice soldato entrato nella n.1 Special Force per puro caso».
47 C. MACINTOSH, From cloak to dagger, London, 1982, p. 118 e ss.
48 M. SALVADORI, Sul cammino verso il CLNAI (25 ottobre 1943 – 5 marzo 1945), in AA.VV., N. 1 Special Force nella Resistenza italiana, Volume I, Bologna, 1990, p. 91.
49 G. BOCCA, Storia dell’Italia…cit., p. 187.
50 M. SALVADORI, La Resistenza: luci e ombre della collaborazione italo-britannica, in AA.VV., Italia e Gran Bretagna nella lotta di liberazione, Firenze, 1977, p. 112; ID, Gli Alleati e la Resistenza italiana…cit., p. 501 e ss.
51 HS 6/843, Appendix B. Some Operations on Liaison with Partisans.
Mireno Berrettini, Le Missioni dello Special Operations Executive e la Resistenza Italiana  in QF Quaderni di Farestoria, 2007 – n°3 , Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Pistoia, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Pistoia, 2007