Radio Rosa: i partigiani e gli alleati

Viareggio (LU). Fonte: mapio.net
Manfredo Bertini

Esonerato dal servizio militare, perché indispensabile per il suo lavoro, Bertini [“Maber” Manfredo Bertini] che nel frattempo aveva sposato Elena Vassalle, dopo l’8 settembre 1943, quando i tedeschi occuparono militarmente Viareggio, si fece avanguardia del movimento resistenziale. Egli infatti aveva riunito intorno a sé un gruppo di giovani, in cui si registrava una notevole presenza femminile, con i quali mise a punto l’operazione Gedeone, che consisteva nell’invio oltre le linee di un emissario che entrasse in contatto con gli Alleati in modo da ottenere, attraverso lanci, rifornimenti ed armi.
Per questa missione, che aveva dell’impossibile, Manfredo scelse con grande intuizione la giovane cognata Vera Vassalle, ovvero “Rosa”. Vera riuscì a realizzare pienamente il progetto e fece rientro a Viareggio il 19 gennaio 1944 con una radio ricetrasmittente che sarebbe servita per i contatti tra partigiani ed alleati.
Nell’attesa che con l’arrivo di un radiotelegrafista il gruppo clandestino di “Radio Rosa” entrasse in azione, Manfredo partecipò insieme a giovani resistenti antifascisti al recupero del primo lancio per i partigiani versiliesi.
L’evento tanto atteso ed ottenuto tramite Domenico Azzari, radiotelegrafista addestrato dagli Alleati ed operante in Lunigiana, si verificò il 18 febbraio 1944, in località Foce di Mosceta. Al recupero dei contenitori parteciparono oltre a Manfredo Bertini anche Gaetano De Stefanis, Sergio Breschi, Emilio Jacomelli, Delfo Pivot, Ciro Bertini. Il lancio fu preceduto da un messaggio speciale, “Per chi non crede”, trasmesso dalla B.B.C. Questa frase era stata coniata proprio da Maber per contrastare un certo scetticismo che era diffuso tra molti dei compagni, ai quali sembrava impossibile che gli Alleati, sia inglesi che americani, potessero aiutare un piccolo gruppo di partigiani. Questa frase dimostra ancora una volta la sua acuta intelligenza e il suo spirito beffardo. Dopo questo fatto Maber, De Stefanis con Vera Vassalle e il resto del loro gruppo si dedicarono all’organizzazione dei collegamenti fra le formazioni del C.L.N. e la V Armata americana ed alla preparazione dei lanci. Manfredo restò comunque in contatto con il nucleo dei resistenti più nettamente convergenti verso il Partito Comunista, collaborando attivamente nell’organizzazione dei gruppi combattenti.
ANPI Viareggio – ISREC Lucca – SIT Comune di Viareggio

Nell’agosto 1944 viene paracadutata nell’area piacentina una missione italiana organizzata dall’OSS americano, denominata “BALILLA” (Piroscafo/Greenwich dal nome in codice della radio) che rimarrà in zona. Del gruppo fa parte “Maber” (Manfredo Bertini) che, ferito gravemente nel corso del rastrellamento autunnale, si toglierà la vita per evitare la cattura dei partigiani che lo stavano aiutando. Verrà decorato di Medaglia d’oro al valor militare. ANPI Voghera

Nell’estate ‘44, due dei principali leaders dei gruppi di partigiani operanti sulle Alpi Apuane avevano attraversato le linee e trasmesso ai servizi alleati informazioni assai preziose concernenti la linea gotica–tedesca. Immediatamente, essi si offrirono volontari per un’analoga missione d’intelligence e anzi, non volendo perdere tempo, rifiutarono di seguire un corso per paracadutisti preferendo saltare “a freddo”.
  Gli agenti che composero questa missione, denominata Balilla, furono: Manfredo Bertini, Gaetano De Stefanis e il radiotelegrafista Gennaro Kofol, nome in codice “Piroscafo”. I tre furono paracadutati nella seconda metà di agosto presso un gruppo di partigiani molto potente che si trovava a Pianello (Piacenza), forte di quattrocento uomini. Nella tenace attività di resistenza antitedesca, la banda aveva catturato quattrocentocinquanta prigionieri che erano detenuti in un campo di concentramento, oltre ad aver sequestrato alcune centinaia di carri armati e auto tedesche. Il gruppo disponeva, altresì, di un piccolo aereo. Questa missione inviò al Quartiere Generale alleato un’importantissima informativa militare allorquando, ad esempio, nel settembre ’44 riuscì a intercettare sulla strada principale che portava a Piacenza, un corriere inviato dal feldmaresciallo Kesselring e diretto al comando generale dell’Esercito tedesco sul fronte della V Armata. Un centinaio di libbre di documenti molti dei quali di natura segretissima furono così sequestrati e mandati all’Headquarters alleato a Siena, attraverso le linee, avvalendosi di uno speciale corriere di nome “Rita”. Questi documenti contenevano informazioni che si rivelarono assai preziose per le attività di controspionaggio dell’OSS, tanto che, secondo la testimonianza del capitano Bourgoin, consentirono di sgominare una fitta rete di agenti dei servizi segreti tedeschi operanti nell’Italia del sud. “Un’importantissima informativa militare ci fu inviata dai nostri agenti ed essi, in settembre, riuscirono a catturare sulla principale strada statale che porta a Piacenza, il corriere del Feldmaresciallo Kesselring diretto al Comando Generale dell’Esercito tedesco sul fronte della V Armata. Un centinaio di libbre di documenti molti dei quali di natura segretissima furono sequestrati e inviati a noi attraverso le linee avvalendosi di uno speciale corriere di nome “Rita”. Uno di questi documenti ci fornì tutti gli pseudonimi e i codici di accesso degli agenti tedeschi operanti nell’Italia liberata. Questo documento composto di otto pagine consentì all’americano CIC [Counterintelligence Corps, nda] e all’inglese FSS [Field Security Service, nda] di catturare tutti gli agenti dei servizi segreti tedeschi iscritti nell’elenco sopra detto. In tali documenti era contenuta anche una descrizione delle armi segrete da utilizzarsi nella guerra” (A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., p. 83 – nda). Senonché, il 20 novembre 1944 venticinquemila tedeschi e fascisti circondarono il territorio occupato dal gruppo di “Fausto” e iniziarono una crudele azione di rastrellamento. In quella situazione, l’agente Bertini combatté la sua ultima cartuccia e, quando era sul punto di essere catturato, si fece saltare in aria la testa con una bomba a mano. De Stefanis, che era un membro del Comitato di Liberazione (CLN) di Milano, continuò a esercitare funzioni di informazione e collegamento tra quest’ultimo e il Comando Alleato.
Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012

A Pecorara, Maber, ferito al braccio, con alcuni partigiani di “Giustizia e libertà”. Foto pubblicata in Liborio Guccione, Missioni “Rosa”-“Balilla”, Milano, 1987 – Fonte: ANPI Viareggio – ISREC Lucca – SIT Comune di Viareggio
Maber, ferito al braccio, a letto riceve visite. Foto pubblicata in Liborio Guccione, Missioni “Rosa”-“Balilla”, Milano, 1987 – Fonte: ANPI Viareggio – ISREC Lucca – SIT Comune di Viareggio

Manfredo “Maber” Bertini fu tra i primi a Viareggio ad organizzare importanti azioni per la lotta armata contro i nazifascisti. Con la collaborazione di un gruppo di amiche ideò il lungo viaggio di Vera Vassalle che portò alla creazione di “Radio Rosa”. Di spirito ironico e sarcastico anche nei momenti critici riuscì più volte a ingannare i nazifascisti per la naturalezza con cui raccontava fatti improbabili. Fu lui a coniare la frase “Per chi non crede“, segnale d’intesa concordato con gli alleati per il lancio di Foce di Mosceta. La frase voleva essere un monito per coloro che nell’antifascismo ancora titubavano nel passare alla lotta armata. Sfuggito alla grande retata che i nazifascisti effettuarono per tutta la Versilia nella notte fra il 4 e il 5 marzo riorganizzò con pochi altri l’antifascismo viareggino. Questo è quello che fece recapitare al padre Nicola pochi giorni dopo l’accaduto: “… Se tu per caso avessi modo di rivedere quei signori che vennero a cercarmi la mattina del 5, avrei caro che tu cercassi di giustificarmi presso di loro per quella mia brutta maniera di andarmene senza salutarli. In ogni modo, appena potrò di nuovo vederli, mi scuserò personalmente a voce e li persuaderò di tutte le mie buone intenzioni…” Durante questa retata, essendo stato arrestato di sorpresa, convinse i fascisti di doversi recare al gabinetto prima di essere condotto in caserma e questi, accertatisi che nello stanzino non vi fossero vie d’uscita usabili, accordarono il permesso. In realtà quello che sembrava un impraticabile finestrino si rivelò più che sufficiente al Bertini, che ebbe anche lo spirito di tirare lo sciacquone con un piede subito prima di saltare fuori. Il 10 giugno 1944 Manfredo Bertini partì alla volta dell’Italia liberata con l’amico Gaetano de Stefanis a bordo di una vecchia motocicletta, l’intenzione era di affinare i metodi di comunicazione con gli alleati e chiarire meglio le esigenze delle formazioni partigiane. Nonostante fossero in possesso di falsi documenti identificativi forniti dal C.L.N. vennero fermati da soldati tedeschi. Il sangue freddo del Bertini ebbe ancora la meglio: mostrandosi gioviale e pronunciando garbatamente frasi che invece erano pesantemente offensive verso i tedeschi, che d’altra parte non intendevano una parola d’italiano, riuscì a guadagnarsi quel tanto di fiducia che gli permise di appartarsi e liberarsi di tutto ciò che trasportava di compromettente prima di essere perquisito. Oltretutto così facendo i due giovani riuscirono a farsi regalare anche delle sigarette. Riusciti a raggiungere la V Armata vennero condotti a Roma dove poterono completare la loro missione. I due però non tornarono in Toscana, vista l’esperienza accumulata nel campo delle trasmisssioni clandestine vennero pregati di recarsi nella valle del Po a creare un servizio simile a quello che funzionava con efficienza in Versilia. Ai primi di agosto vennero paracadutati presso una delle più importanti formazioni dell’Oltrepò pavese, la Divisione “Piacenza”, che faceva capo al Partito d’Azione. In seguito verranno raggiunti anche dai partigiani Mario Robello e Carlo Vassalle, fratello di Vera. Manfredo Bertini morirà tragicamente il 24 novembre 1944. Ferito e febbricitante, costretto alla ritirata con la “Piacenza” per mancanza di munizioni e sotto l’incalzare di preponderanti forze nazi-fasciste, si rese conto di non poter continuare. Sapendo che mai i compagni l’avrebbero lasciato solo decise di distruggere l’apparecchio ricetrasmittente e di uccidersi con una bomba a mano. Questo è il biglietto lasciato alla famiglia: “Date le mie condizioni di salute, veramente pessime, a seguito della ferita ricevuta tre mesi or sono, sentendomi incapace di proseguire con mezzi propri, anche per la fatica sostenuta durante le giornate di oggi e di ieri, sono costretto a fare quello che sono in procinto di compiere, per consentire agli altri componenti la missione di mettersi in salvo e continuare il lavoro. Sono certo, infatti, che la fatica che li attende i prossimi giorni, nel tentativo di mettere in salvo sé e gli apparati sarà tale da non consentire la cura del sottoscritto; e sono certo d’altra parte, dati anche i rapporti di parentela e di stretta amicizia che mi legano con i componenti le missioni Balilla I e Balilla II, che per nessuna ragione al mondo, diversa da quella che io stesso sto per procurare, i detti componenti abbandonerebbero il sottoscritto. Giuro di fronte a Dio che la mia di stanotte non è una fuga e questo desidero sappia mio figlio. Groppo, 24 novembre 1944.” Il sacrificio di Manfredo Bertini è stato premiato da una Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. Prima della guerra Manfredo Bertini era stato un tecnico cinematografico di talento, aveva curato la fotografia di Pioggia d’estate (1937, curandone anche il montaggio), Ragazza che dorme (1940), Cenerentola e il Signor Bonaventura (1941), Il Re d’Inghilterra non paga (1941), La casa senza tempo (1943). ResistenzaToscana.It

Cesare Del Guerra mi presentò Francesco Malfatti di Viareggio, che operava con la radio clandestina “Radio Rosa”, che trasmetteva nella zona di Camaiore. Era un elemento molto utile perché la sua vasta cultura serviva alla politicizzazione dei compagni delle cellule. Poi venne a Lucca il Bernieri di Massa Carrara, perché era ricercato; così il nucleo dirigente del movimento antifascista si rafforzava ed aveva la possibilità di intervenire in tutti i settori. Eravamo in collegamento con le formazioni che operavano nel bosco di Lucesi tramite la staffetta Roberto Bartolozzi, che cadrà a Lucca colpito da due camicie nere.
V. Vanni, Memorie di un partigiano lucchese, Ed. Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 1995 in (a cura di) Giovanni Verni, «Fischia il vento, infuria la bufera». Cronologia della resistenza in Toscana, Regione Toscana – Consiglio Regionale, 2005

L’esemplare di radio ricetrasmittente usata nelle missioni «Rosa» e «Balilla» – Fonte: Attilio Bongiorni

Stella Palmerini, allora giovanissima studentessa, ebbe parte di rilievo nella Resistenza partigiana versiliese, in particolare nella «Missione Radio Rosa», dalle operazioni della rice-trasmittente voluta da Vera Vassalle alias «Rosa», altra viareggina, medaglia d’oro al valore partigiano. Fu nel marzo 1944, a coronamento dell’opera della Vassalle, che venne inviato in Versilia, con i codici ed i piani di trasmissione, l’ex radiotelegrafista della marina Mario Robello. «Radio Rosa» restò parecchio tempo in casa Frugoli, alle Cateratte, dove Stella Palmerini divenne una preziosissima collaboratrice. Stella era una studentessa quando scoppiò la guerra e frequentava la scuola a Viareggio. La sua famiglia era sempre stata antifascista, specie lo zio Francesco, cieco, ma non fatto esente dalla persecuzione dei fascisti. La partecipazione alla Resistenza fu per lei un fatto naturale, spontaneo, malgrado la giovanissima età non le consentisse una chiara visione politica.
Giovanni Tonini, Il Tirreno, 3 settembre 1999

Vera Vassalle – Fonte: ANPI Versilia, cit. infra

Vera Vassalle, “Rosa”, nata a Viareggio il 21 gennaio del 1920, dopo l’armistizio si unì al gruppo di resistenti coordinato dal cognato Manfredo Bertini.
La necessità di contattare gli alleati vide Vera accollarsi un lungo e pericoloso viaggio verso la parte d’Italia che era già stata liberata.
Vera parte il 14 settembre 1943 e dopo due settimane passa il fronte nei pressi di Montella d’Irpinia, riuscendo a mettersi in contatto con ufficiali dell’esercito americano. In risposta alle necessità dei partigiani versiliesi le viene affidata la missione, nome in codice “Rosa”, di stabilire un contatto radio clandestino per coordinare le azioni alleate con quelle partigiane.
Dopo un breve periodo di apprendistato a Napoli presso l’Ufficio Servizio Strategico Americano, Vera riparte per un lungo tragitto che attraverso varie città del meridione e passando per la Corsica le permette di sbarcare a Castiglion della Pescaia con un motosilurante.
Portando con sé l’apparecchiatura ricetrasmittente dissimulata come bagaglio a mano, sfuggendo a perquisizioni e a numerosi imprevisti il 19 gennaio 1944 Vera è di nuovo a Viareggio.
In un primo tempo i tentativi di creare la radio clandestina fallirono per la negligenza del radiotelegrafista. Vera fu costretta a ripartire cercando un contatto a Milano, dal quale riuscì a ottenere nuovi piani di trasmissione e la promessa di un nuovo radiotelegrafista: Mario Robello venne designato per assumere l’incarico.
Robello, detto “Santa”, venne paracadutato sull’Alpe delle Tre Potenze e a fine marzo Radio “Rosa” potè cominciare le trasmissioni.
L’attività frenetica della radio ottenne 65 lanci alleati per i partigiani versiliesi e altri ne ottenne per formazioni partigiane dislocate in altre zone della Toscana.
Il 2 luglio 1944 a seguito di una delazione Vera, Mario e alcuni loro collaboratori furono costretti ad una fuga rocambolesca e ad interrompere la loro attività clandestina, salvando però le carte più preziose.
Finita la guerra Vera Vassalle e Mario Robello si sposeranno, trasferendosi in Liguria. Vera condurrà la sua professione di insegnante elementare e di attiva partecipazione politica con il Partito Comunista fino all’85, anno in cui morirà di un male incurabile.
A Vera Vassalle è stata assegnata una medaglia d’oro al valor militare, inoltre il 29.11.2003 la Regione Toscana le ha assegnato il Gonfalone d’Argento alla memoria durante la Festa della Toscana, nel 2003 dedicata ai temi della disabilità: poco dopo la nascita Vera è stata infatti colpita da poliomelite, riportandone una leggera ma permanente infermità alla gamba destra.
La vicenda di “Rosa” compare anche in Il Clandestino, romanzo di Mario Tobino, del 1962.
Medaglia d’Oro al Valor Militare: “Ventiquattrenne, di eccezionali doti di mente, d’animo e di carattere, all’atto dell’armistizio, incurante di ogni pericolo, attraversava le linee tedesche e si presentava ad un comando alleato per essere impiegata contro il nemico. Seguito un breve corso d’istruzione presso un ufficio informazioni alleato, volontariamente si faceva sbarcare da un Mas italiano in territorio occupato dai tedeschi. Con altro compagno R.T. portava con sé una radio e carte topografiche, organizzava e faceva funzionare un servizio di collegamento fra tutti i gruppi patrioti dislocati nell’Appennino Toscano, trasmettendo più di 300 messaggi, dando con precisione importanti informazioni di carattere militare. La sua intelligente e coraggiosa attività rendeva possibile 65 lanci da aerei alleati. Sorpresa dalle SS tedesche mentre trasmetteva messaggi radio, riusciva a fuggire portando con sé codici e documenti segreti e riprendeva la coraggiosa azione clandestina. Pochi giorni prima dell’arrivo degli alleati passava nuovamente le linee tedesche portando preziose notizie sul nemico e sui campi minati. Animata da elevati sentimenti, dimostrava in ogni circostanza spiccato sprezzo del pericolo, degna rappresentante delle nobili virtù delle donne italiane. Italia occupata, settembre 1943 – luglio 1944”
Giovanni Baldini, ResistenzaToscana.It, 14 luglio 2003

La carta del percorso di Vera Vassalle – Fonte: Attilio Bongiorni

Maber pensava: “Bisogna inviare qualcuno incontro agli angloamericani”.
I partigiani avevano diversi e difficili problemi da risolvere, innanzitutto quello delle armi, gli alleati avrebbero potuto aiutarli se solo avessero avuto un canale di comunicazione con loro. Ma per far questo bisognava organizzarsi e soprattutto incontrarli almeno una volta, ma come? Gli angloamericani erano al sud e Maber e il suo gruppo in Versilia, bisognava passare attraverso il fronte della guerra. Maber la chiama Operazione Gedeone, e incarica Vera che subito accetta. Vera Vassalle era una delle donne che costituivano il gruppo di partigiani della Versilia, formato da Bertini dopo l’8 settembre. Vera era una donna minuta, molto intelligente, solo apparentemente ingenua. Da piccola aveva avuto la poliomielite che le aveva lasciato una gamba rovinata e un’andatura zoppicante, anche per questo vera è apparentemente insospettabile. Purtroppo soldi non ce ne sono: Maber vende un po’ del suo oro, cerca di raccogliere quei pochi soldi che servono e li consegna a Vera.
Vera parte, il 14 settembre 1943 da Viareggio per un viaggio dalle sorti molto incerte, avrebbe dovuto passare attraverso le trincee del fronte per arrivare nel profondo sud, e poi la sarebbe riuscita ad entrare in contatto con gli angloamericani?
Il viaggio comunque inizia, con la bicicletta e con mezzi di fortuna, chiedendo dei passaggi e qualche volta in treno (quando proprio non era possibile fare in altra maniera) sempre per cercare di far bastare i pochi soldi che aveva. Quando arrivava la sera Vera dormiva in qualche cascina o anche all’aperto, molte volte senza niente da mangiare. Qualcuno vedendola sola e malridotta le chiedeva cosa andasse a fare al sud con tutti i pericoli che c’erano, e lei rispondeva che era alla ricerca della sua famiglia della quale non sapeva più nulla.
Il 28 settembre 1943, non si sa bene come, riesce ad attraversare le linee nemiche vicino a Montella D’Irpinia.
Vera, quindi riesce a contattare un Colonnello americano che resta impressionato da questa piccola donna dimessa ma con una determinazione impensabile, e nello stesso tempo così intelligente e credibile. Il colonnello la accompagna di persona a Napoli alla sede dell’OSS, l’ufficio del Servizio Strategico americano. Iniziano per Vera giornate di addestramento sulle telecomunicazioni e sui sistemi informativi dell’epoca, la Portano a Capri, poi a Pozzuoli, a Taranto. Il 16 Gennaio 1944 la trasferiscono a Palermo con un aereo militare e poi a Bastia in Corsica. Dalla Corsica il giorno dopo viene imbarcata su di un motosilurante inglese e sbarcata di notte in Maremma tra Pescia Romana e Orbetello: ora è ancora nel territorio nazifascista.
Adesso bisogna ritornare a Viareggio ma come??? Adesso Vera ha con se una valigetta che contiene la radio ricetrasmittente che le hanno affidato gli inglesi!
Cosa ti aspetta se ti trovano con un aggeggio del genere? Torture indicibili probabilmente e a seguire la morte. Non fa niente, bisogna andare avanti, la spiaggia è illuminata dalla luna, Vera si dirige verso i campi e dorme in una cascina abbandonata. All’alba si rimette in viaggio, raggiunge la stazione e prende un treno che possa portarla il più vicino possibile a Viareggio. Purtroppo a Cecina il treno si ferma, bisogna proseguire a piedi. La stazione è piena di tedeschi e fascisti che fermano tutti, perquisiscono e chiedono i documenti. Il treno si vuota, quasi tutti sono scesi, Vera piano piano attraversa i binari con fatica con la sua gamba malata, cercando di non farsi notare e riesce a raggiungere un campo e li si siede per un po’ in mezzo a dei cespugli. Poi adagio si avvia per la campagna costeggiando la ferrovia. Sempre a piedi e sempre evitando i centri abitati, in modo miracoloso riesce a raggiungere Viareggio il 19 gennaio.
Vera Vassalle, l’agente del 2667 Reggimento Office Of Strategic Services americano è ancora tra i suoi compagni partigiani.
La Missione «Rosa» e «Balilla 1 e 2 », che poi avrebbero portato Maber fino a Pecorara e quindi alla Sanese potevano iniziare… Attilio Bongiorni

[…] Dopo aver frequentato un corso di addestramento in varie località dell’Italia Meridionale, Vera Vassalle, nel gennaio 1944, fu trasferita in Corsica, da cui raggiunse la costa maremmana in qualità di agente dell’Office of Strategic Service, a capo della missione radio “Rosa”.
Il 19 raggiunse finalmente Viareggio, ma non poté iniziare l’attività in quanto i piani di trasmissione erano andati perduti per l’imperizia del radiotelegrafista. La Vassalle si recò a Milano, dove, tramite un agente dell’OSS, riuscì a richiedere l’invio di un altro radiotelegrafista.
Infatti nel marzo del 1944 fu paracadutato sulle montagne della Lucchesia Mario Robello (“Santa”), che, messosi in contatto con Vera, permise l’operatività della missione.
Intanto a Viareggio era stata creata una rete informativa, di cui facevano parte, tra gli altri, Manfredo Bertini, Sergio Breschi, Carlo Vassalle, Gaetano De Stefanis, Francesco Malfatti, Bianca Dini, Stella Palmerini, le sorelle Anna e Maria Barsella.
“Radio Rosa” ebbe la prima sede alle Focette (Marina di Pietrasanta), poi si trasferì in una casa in località Cateratte, nella campagna di Capezzano Pianore. Successivamente la missione si spostò nella casa di Vincenzo Bonuccelli, presso il convento dei Frati a Camaiore, dove operò fino al 2 luglio, giorno in cui avvenne un’irruzione da parte dei tedeschi, su denuncia di una donna loro collaboratrice.
Così la Vassalle ricordava l’accaduto: ‘il comando tedesco inviò nella zona tutti i radiogoniometri, riuscendo ad individuare l’apparecchio radio nella stessa casa in cui era il “Santa”e a conoscere le ore di trasmissione. In quella mattina, alle ore 11 circa, mentre “Santa” era intento alla trasmissione, due vetture, da diversa direzione, si avvicinarono alla casa e ne scesero una decina di SS comandate da un maggiore, che circondarono la casa. “Santa” ebbe subito la percezione del pericolo e, dopo aver lanciato cinque bombe a mano con le quali colpì il maggiore e altri quattro tedeschi, si lanciò armato di mitra per le scale riuscendo ad uscire incolume dal portone e a raggiungere i campi. Di tale scena sono stata testimone oculare, trovandomi alla finestra di una casa vicina. I tedeschi credendo che un pensionato, che per caso si trovava nei pressi del portone, fosse un altro nostro agente, lo ucciso con una raffica di mitra (si trattava di Ciro Del Vecchio). Operarono pure numerosi arresti tra cui quelli di una mia cugina, che ospitava “Santa” con la radio, a nome Emilia Bonuccelli, che fu sottoposta a lunghi interrogatori e, poi, con gli altri condotta a Bologna, dove fu in un secondo tempo rilasciata. Io, intanto, ero riuscita a fuggire, portando con me tutta la documentazione, inerente al servizio. Riparai a Monsagrati, dove il giorno successivo ebbi notizia della salvezza di “Santa”.‘ Ma, ricercata dai tedeschi, fu costretta ancora una volta a fuggire e a trovare rifugio presso la formazione “Marcello Marosi”, dove fui raggiunta da “Santa”.
Per la sua preziosa attività la Vassalle fu decorata di Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:” Ventiquattrenne, di eccezionali doti di mente, d’animo e di carattere, all’atto dell’armistizio, incurante di ogni pericolo, attraversava le linee tedesche e si presentava ad un comando alleato per essere impiegata contro il nemico. Seguito un breve corso d’istruzione presso un ufficio informazioni alleato, volontariamente si faceva sbarcare da un Mas italiano, in territorio occupato dai tedeschi. Con altro compagno R. T. portava con sé una radio e carte topografiche, organizzava e faceva funzionare un servizio dì collegamento fra tutti i gruppi di patrioti dislocati nell’ Appennino toscano, trasmettendo più di 300 messaggi, dando con precisione importanti informazioni di carattere militare. La sua intelligenza e coraggiosa attività rendeva possibile sessantacinque lanci da aerei a patrioti. Sorpresa dalle SS. tedesche mentre trasmetteva messaggi radio riusciva a fuggire portando con sé codici e documenti segreti e riprendeva la coraggiosa azione clandestina. Pochi giorni prima dell’arrivo degli alleati passava nuovamente le linee tedesche portando preziose notizie sul nemico e sui campi minati. Animata da elevati sentimenti, dimostrava in ogni circostanza spiccato sprezzo del pericolo. Degna rappresentante delle nobili virtù delle donne italiane. Italia occupata, settembre 1943 – luglio 1944”. […]
ANPI Sezione “Gino Lombardi” – Versilia Lucca

La figura di Vera nel “Clandestino” di Mario Tobino
“La Rosa agli occhi comuni non appariva avvenente.
Era di statura regolare, semmai leggermente inferiore alla media, magra, tutta in sé intima e raccolta. Aveva gli occhi infossati, pallida, il naso piccolo e senza grazia; la bocca mai vergata di rossetto, aveva il segno di una segreta bontà, compresa meglio da chi ha molto sofferto. L’ovale era dolce , le guance avevano un lieve ombroso infossamento come nelle suore di clausura. Da poco aveva passato i trent’anni. Era sicura di essere brutta.
Eppure quando l’anima completamente si manifestava, i lineamenti si componevano, il viso diveniva di un’unica intensità, di un amore per tutti, di una bontà femminile generosa per ogni creatura umana; e quel volto diveniva di una bellezza in quanto inusitata di tanto più vera.”
Mario Tobino, Il Clandestino, Arnoldo Mondadori Editore, 1962, p. 254
ANPI Viareggio – ISREC Lucca – SIT Comune di Viareggio

[…] C’è un sottile filo rosso che lega Vera Vassalle e la sua esperienza da partigiana con Montella e sarebbe bello che esso fosse ricordato con il dovuto risalto, magari con una targa, una pietra d’inciampo, così come avviene in altre città che ricordano il passaggio di coloro che hanno fatto la Storia.
Sì, perché Vera Vassalle ha scritto con la sua vita un bel pezzo di Storia d’Italia, dando un esempio e un motivo di orgoglio per tutte/i coloro che sfortunatamente hanno un handicap fisico, dimostrando che questo non è motivo di discriminazione o impedimento a compiere anche le cose più eccelse.
Vera Vassalle nacque a Viareggio nel 1920 e in tenera età fu colpita dalla poliomenite che le causò una menomazione alla gamba destra. Di idee antifasciste come anche il fratello Carlo , dopo l’8 settembre’43, insieme ad altri patrioti, volendo organizzare la lotta armata contro i nazifascisti in Versilia, ma consci della mancanza di mezzi, decisero di inviare uno di loro presso gli Alleati, appena sbarcati a Salerno, per chiedere aiuti ed armi. Vera Vassalle, poco più che ventenne, si offrì di percorrere centinaia di chilometri a piedi e con la sua inseparabile bicicletta, in un’ Italia divisa in due da combattimenti, bombardamenti e stragi di civili perpetrati dai tedeschi in ritirata; tutto ciò nonostante che fosse una “zoppettina”!
Quella menomazione invece di esser un handicap fu per lei la copertura per passare inosservata attraverso i posti di blocco nazifascisti. Partita da Viareggio il 14 settembre del 1943, quando ancora si combatteva aspramente sulle spiagge di Salerno, dopo poco più di due settimane, giunse nella nostra Montella liberata da pochi giorni dalle truppe americane del 7 Reggimento, Terza Divisione dell’esercito degli Stati Uniti d’America.
Montella in quei giorni era un crocevia di uomini in armi, carri armati, camion, ambulanze, interi ospedali da campo che da Salerno erano diretti a nord, verso la linea del Volturno prima e il Garigliano poi, superando Avellino, aggirando la Napoli dal porto inutilizzabile, devastato dai bombardamenti e dalle mine tedesche. Ma un percorso inverso lo facevano i profughi e gli sfollati, che fuggivano dalle zone di combattimento e, mescolata ad essi, la “zoppettina” Vera Vassalle che, nonostante la stanchezza del viaggio, era fermamente decisa a portare a termine la sua missione.
Riuscì così, in quel via vai di uomini, ad avere un colloquio con un ufficiale americano, comandante di un reparto momentaneamente di stanza a Montella che, incuriosito, e forse colpito dalla fermezza con cui quella gracile donna chiedeva di poter contattare un comando Alleato, la indirizzò verso il più vicino centro di Intelligence. Fu una fortuna per lei che a poche decine di chilometri un gruppo di americani ed italiani stesse lavorando all’identico progetto di Vera e dei compagni.
Era una unità dell’OSS , il servizio segreto americano (che in seguito diverrà la CIA) , sbarcati al seguito degli uomini del generale Clark che, avendo contattato il filosofo antifascista Benedetto Croce ed il genero Raimondo Craveri, e ricevuto da questi ultimi la richiesta di aiutarli a costituire un’armata di Resistenti di chiara fede antifascista, stavano muovendo i primi passi in questa direzione. Un progetto osteggiato dal Servizio Segreto inglese concorrente, il SOE, che avendo protetta la fuga e l’arrivo a Brindisi del Re, mirava ad avere il monopolio sulla nascente Resistenza Italiana, ponendola sotto lo stretto controllo di ufficiali badogliani di fede monarchica, per condizionare la futura vita politica italiana in chiave conservatrice e anticomunista.
Con questo complesso scenario, in un’Italia già contesa tra i vincitori, l’entusiasmo di Vera dovette fare i conti, e comprendere come il lungo cammino che l’aveva portata a Montella fosse la cosa meno difficile e la partigiana “Rosa” dovette attendere molti mesi affinchè il suo sogno si avverasse. Giunta ai primi giorni di ottobre a Montella, incontrò in seguito gli uomini dell’OSS che, in una Napoli appena liberata, si erano insediati a villa Raja, una villa di un ex-gerarca fascista, dove stavano arruolando antifascisti italiani e militari esperti nel sabotaggio e nell’uso delle radio.
Il 6 ottobre del 1943 dal porto di Brindisi mollava gli ormeggi il sommergibile Goffredo Mameli scortato dalla Corvetta Fenice sulla quale era imbarcato come cannoniere artificiere, il marinaio montellese Camuso Luigi ”Gino”, mio padre, che quotidianamente riportava su un diario gli avvenimenti di bordo più salienti. Le due imbarcazioni, doppiando la Punta di Santa Maria di Leuca raggiunsero il golfo di Taranto e poi si spinsero verso sud e lo stretto di Messina. A raggiungerli lungo il percorso altri cinque sommergibili diretti tutti al porto di Napoli per una missione speciale richiesta dagli Alleati: rifornire le strutture portuali di elettricità, con i generatori di bordo, essendone il porto sprovvisto a causa dei bombardamenti e dai sabotaggi tedeschi.
Giunti a Napoli, i radiotelegrafisti dei sei sommergibili, contattati da Boeri, un ufficiale medico italiano arruolato dagli agenti dell’OSS, furono indotti a “disertare”, con offerte di denaro e cibo e divenire, previo un opportuno addestramento, gli operatori radio per le missioni di collegamento con i partigiani nel Nord-Italia. La stessa Vera Vassalle, giunta a Napoli da Montella, incontrò questo gruppo di marinai italiani reclutati dall’OSS ma, finalizzata per una missione più complessa, fu inviata a Taranto, presso una base dell’OSS dove le furono insegnate le tecniche dell’agente segreto, come usare mappe e codici, le armi e le radio.
A causa dei pesanti contrasti tra servizi segreti americani ed inglesi, che videro questi ultimi sabotare con ogni mezzo il progetto di un’armata antifascista di fede non monarchica al comando del Generale Pavone, Vera Vassalle dovette attendere sino il 18 gennaio 1944 per rientrare nella sua Toscana, sbarcata di notte dalla PT Boat 203 (un MAS americano e non italiano come erroneamente cita la motivazione della medaglia) su una spiaggia poco distante da Orbetello.
Una missione, quella di Vera, dal nome in codice Rosa come il suo nome di battaglia, che all’inizio partì col piede sbagliato radio telegrafista e radio entrambi inaffidabili) trasformatasi tra le più riuscite, grazie all’arrivo in paracadute di un nuovo radiotelegrafista che, come nei migliori film d’azione, divenne suo marito a guerra finita. Grazie a Vera Vassalle, e il suo RT Mario Robello, furono oltre sessanta i lanci di armi e rifornimenti ad un movimento di resistenza sempre più agguerrito e che nell’estate del 1944, con l’insurrezione di Firenze, collaborò alla liberazione della Toscana.
Quella motosilurante che trasportò Vera ed i suoi compagni faceva parte di una flottiglia mista italo-americana di MAS al servizio delle missioni speciali dell’OSS, di stanza nel porto di Bastia, in Corsica, liberato nei giorni del settembre 1943, grazie alla vittoriosa battaglia navale, tra navi italiane e tedesche. Tra esse vi era la torpediniera Ardito su cui era imbarcato il marinaio montellese Nicola Chiusano, confermando come il fato si diverta ad incrociare destini, come quelli di Vassalle, Camuso e Chiusano.
Antonio Camuso, Vera Vassalle, la medaglia d’oro alla Resistenza, e il filo rosso che la lega a Montella (AV) e alla Puglia, Archivio Storico Benedetto Petrone, Puglia Antagonista, 9 maggio 2019

Una significativa missione dell’OSS di collegamento, denominata Chevrolet, si svolse nell’area dei Monti Picchiara tra la Val di Vara e la Val di Magra (La Spezia). Uno dei principali gruppi di patrioti al comando di Tullio Benedetti mandò al Quartiere Generale alcuni corrieri sia per trasmettere agli Alleati le informazioni militari raccolte sia per chiedere le armi e munizioni necessarie per la guerra che si stava combattendo contro i tedeschi. Il gruppo era capitanato da un professore di filosofia denominato “Pipo” e i seguenti corrieri giunsero sulle linee alleate tra il 10 giugno e la fine di settembre ‘44: Ivo Capocchi, Millo Pocceschi, Gianni Laloggio, tale Putigliano e Boffa. Allo scopo di stabilire un diretto contatto con questo potente gruppo si decise di paracadutarvi agenti e radio operatori. Tra giugno e settembre furono, così, impiegate per la conduzione di circa sette operazioni speciali le seguenti persone: i citati Laloggio, Pocceschi cui si aggiunsero il radiotelegrafista Curti e Facca, Braccialarghi e il radio operatore Cittadini, nonché attuate più di venti operazioni di lancio a vantaggio di questo potente gruppo partigiano.
Durante tutto il tempo, le stazioni radio trasmisero informazioni militari di elevatissimo valore che furono immediatamente trasmesse all’Armata alleata. Infine, l’intero gruppo fu superato dall’Armata alleata nella prima metà di ottobre. I suoi componenti, una volta riforniti dagli Alleati del necessario equipaggiamento, vestiti, cibo, armi e munizioni, si arruolarono volontari per continuare la battaglia contro i tedeschi agli ordini del vecchio capo “Pipo”.
La missione Chevrolet fu composta dal tenente Antonio Cambriglia e dal radio operatore Romano Liborio ed ebbe lo scopo di portare aiuti e rifornimenti a un potente gruppo di Resistenza collocato sul Monte Picchiara.
La missione si congiunse al gruppo nell’ultima parte di luglio e trasmise all’Headquarters informazioni militari interessantissime e di elevatissimo valore, avvalendosi di un gran numero di operazioni di lancio organizzate per sostenere la guerra contro i tedeschi.
Sciaguratamente, il 30 novembre ’44 il tenente Cambriglia fu assassinato da un bandito che lo derubò del denaro che aveva ricevuto per la sua missione. Grazie al fatto che il radio operatore era ancora in contatto con la base si poté mandare immediatamente un altro agente in sua sostituzione <55.
Si decise, così, di mandare rinforzi al gruppo capitanato da “Fausto” e, a tale scopo, fu inviata una seconda missione che fu paracadutata in ottobre ’44. La missione fu composta dall’agente Carlo Vassalle, fratello della già citata Vera, e il radiotelegrafista Mario Robello, “Robo”, che si offrì volontario per una seconda missione dietro le linee. Questi uomini si tennero in contatto con il Quartiere Generale alleato, cui trasmisero informazioni militari della massima importanza e organizzarono più di venti operazioni di aviolancio, alcune delle quali compiute in pieno giorno. Bertini, cognato di Vera Vassalle, che fu l’agente capo in carica della missione in ausilio al gruppo di “Fausto” nonché chi inviò all’Headquarters la notizia riguardante il feldmaresciallo Kesserling mediante il corriere “Rita”, si avvalse dello stesso mezzo per ricevere istruzioni nonché di altri tre corrieri che attraversarono le linee nemiche, portando con sé informazioni militari corredate di documenti giudicati della massima utilità. Essi s’identificarono con le seguenti persone: Natana, Petrozzi, Boia, cui si aggiunse un altro patriota, il cui nome non è riportato <56.
[NOTE]
55 A. Bourgoin, From 20th September 1943 to 26th January 1945 cit., pp. 85 e 86.
56 A. Bourgoin, Ivi, pp. 87 e 88.
Michaela Sapio, Op. cit.

[n.d.r.: sulla morte del partigiano Cambriglia le informazioni sono discordanti, al punto che ne sono state scritte anche versioni grottesche]

Antonio Cambriglia. Nato a Calvello Tolve (Potenza) nel 1920, caduto nel novembre 1944, insegnante nella scuola “Giosuè Carducci” di Napoli, quando era stato chiamato alle armi. Sottotenente del 1° Reggimento bersaglieri, Cambriglia aveva combattuto contro i tedeschi nelle Quattro Giornate di Napoli. Liberato il capoluogo partenopeo, il giovane ufficiale, promosso tenente, si era arruolato come volontario in una unità della V Armata ed aveva partecipato a numerose azioni con gli americani. Cadde in una località imprecisata dell’Italia occupata. Medaglia d’oro al valor militare alla memoria con questa motivazione: “Fedele al giuramento, combatteva eroicamente contro i tedeschi nelle gloriose quattro giornate di Napoli. Si arruolava successivamente nel servizio informazioni della 5° Armata americana, per essere inviato nel territorio non ancora liberato. Aviolanciato presso un gruppo di patrioti, partecipava con essi a numerose azioni e forniva preziose informazioni ai comandi alleati a mezzo radio clandestina, sfidando le continue ricerche dei tedeschi. Accettato combattimento con pochi patrioti contro forze preponderanti nazifasciste, conscio della propria sorte, dopo aver strenuamente combattuto nel nome della Patria e della Libertà, chiudeva la sua eroica vita di soldato e di patriota”.
Redazione, Antonio Cambriglia Tenente di cpl. Bersaglieri, la corsa infinita