Radio Zella, i fratelli Spazzoli, la Banda Corbari

Uomini di Radio Zella – Fonte: Archivio Fototeca Manfrediana

[…] In particolare attorno alla figura di Raimondo Craveri si andò ad aggregare un gruppo che prenderà il nome di Ori, Organizzazione della Resistenza Italia. Craveri (Mondo), genero del filosofo Benedetto Croce, di origini piemontesi, era attivo nel Partito d’Azione di cui fu tra i fondatori. Inevitabilmente l’Organizzazione fece proseliti soprattutto tra giovani di ispirazione azionista e legati al movimento Giustizia e Libertà che provenivano prevalentemente da Piemonte, Liguria e Romagna. In particolare un certo numero di romagnoli riuscì a raggiungere Brindisi in bicicletta.
Il 14 novembre 1943 a Napoli fu fondata la Ori che si diede uno statuto di 4 articoli firmato da tutti i 37 membri, siglando un accordo di collaborazione con l’Office of Strategic Services (OSS) americana che ne supportò la nascita, al contrario dell’intelligence inglese che invece non vedeva di buon occhio e non aveva fiducia nelle formazioni italiane.
L’addestramento di questi ragazzi fu curato proprio della Oss che li arruolò nelle proprie file e li formò come agenti segreti in grado di operare, da soli o in piccoli gruppi, con incursioni dietro le linee nemiche, fornire informazioni e come supporto logistico alle formazioni partigiane combattenti.
Alcune delle più significative missioni Ori furono legate all’invio nella zona occupata di “team” composti da due agenti più un marconista dotati di una radio ricetrasmittente in contatto con il comando di Caserta. Il compito era di fornire informazioni sulla Linea Gotica e le difese approntate, sugli spostamenti e la composizione delle truppe nazifasciste, sugli obiettivi militari da colpire, di organizzare aviolanci di materiale per le formazioni partigiane e facilitare il passaggio e il rientro di militari alleati rimasti bloccati in territorio nemico. Uno di questi team, composto dai ravennati Antonio Farneti (nome in codice Roberti), capomissione, da Celso Minardi e dal radiotelegrafista di origine sarda Andrea Grimaldi (Zanco), venne sbarcato dal sommergibile Platino alla foce del Po il 20 febbraio ’44 per operare nella zona del forlivese e del ravennate. Il nome in codice della missione era “Radio Zella”. Diverse di queste squadre andarono incontro da subito al fallimento, rese immediatamente inoffensive dai tedeschi con la cattura e l’uccisione dei componenti.
Non così Radio Zella. In un primo periodo Farneti nascose radio e operatore a Ravenna ma sostanzialmente senza farne utilizzo. Radio Zella divenne pienamente operativa a partire dalla fine di marzo/inizio aprile 1944 quando vennero coinvolti nella gestione il forlivese Tonino Spazzoli assieme ai faentini Vittorio Bellenghi e i fratelli Bruno e Virgilio Neri, tutti legati ad ambienti azionisti che già stavano operandosi nella lotta contro i nazifascisti organizzando una vasta rete di contatti.
Da quel momento Radio Zella cominciò a inviare e ricevere messaggi con regolarità fornendo le informazioni via via richieste dal comando di Caserta, coordinando molte attività della Resistenza romagnola in particolare della 8a e la 28a Brigata Garibaldi e del battaglione Ori Corbari-Casadei. Attraverso le conoscenze di Tonino Spazzoli prese corpo una vera e propria trafila di stile garibaldino che permise il trasferimento di un ingente gruppo di altissimi ufficiali alleati dalle montagne sopra Santa Sofia, nell’Appennino Romagnolo, fino all’Italia liberata. Si presume che furono tre le missioni di questo tipo gestite da Radio Zella, tutte dopo molte peripezie concluse con successo. In particolare una di queste fu affidata alla guida di due giovanissimi ragazzi forlivesi, Arturo Spazzoli, fratello minore di Tonino, e Giorgio Bazzocchi, che furono poi inquadrati nell’Oss. […] Messaggi ricevuti e trasmessi di Radio Zella e nomi in codice
Documenti provenienti dal Fondo ORI-Farneti depositato presso l’Istituto Storico della Resistenza Archivi del Novecento di Ravenna.
Divisi nei due elenchi, ricevuti e trasmessi, ci sono molti ma non tutti i messaggi intercorsi tra il Comando Ori e la postazione radio Zella nel periodo che va dal 28 marzo al 31 luglio 1944 quando fu casualmente scoperta la postazione ricetrasmittente. Il Team radio Zella composto dal capomissione Antonio Farneti (Roberti), Celso Minardi (Celso Benazzi) e dal radiotelegrafista Andrea Grimaldi (Zanco) si appoggiò per la sua operatività a Tonino Spazzoli, ai fratelli Virginio e Bruno Neri e Vittorio Bellenghi.
Pubblichiamo qui di seguito anche un elenco costante aggiornato con i nomi in codice dei partecipanti.
Organizzazione Resistenza Italiana (Ori). Nomi in codice
FRANCO GIM = TONINO SPAZZOLI
ITALO MORANDI = BRUNO VAILATI
TOMMASO MORO = BENIGNO ZACCAGNINI
ENNIO TASSINARI = MARIO SANTINI / ENNIO
MARIO ROBERTI = ANTONIO FARNETI
ARCANGELI = MATTEO SAVELLI
ANDREA GRIMALDI = ZANCO
MUSMECI = DOMENICO MONTEVECCHI
GIOVANNI BELLINI = ENZO BOERI
MAX = CAP. MASSIMO CORVO
MONDO = RAIMONDO CRAVERI
LANDI = TULLIO LUSSI
BULOW = ARRIGO BOLDRINI
CELSO BENAZZI = CELSO MINARDI […]
Radio Zella, fratelliSpazzoli.it, 7 dicembre 2020

Sirio Silvio Corbari
Fonte: Impronte Digitali, cit. infra

[…] Tra le azioni di Radio Zella vi sarà il recapito agli Anglo-Americani di preziosi documenti sui piani della linea Gotica, sottratti a due ufficiali tedeschi dai partigiani della Banda Corbari, e il salvataggio di alcuni generali alleati sfuggiti ai campi di prigionia italiani.
Dopo l’arresto del radiotelegrafista Alberto Grimaldi (Andrea Zanco), i componenti della missione Zella saranno progressivamente decimati: Bruno Neri e Vittorio Bellenghi rimarranno uccisi il 10 luglio in uno scontro coi tedeschi presso l’eremo di Gamogna.
Tonino Spazzoli sarà arrestato il 7 agosto a Forlì, il fratello Arturo e Adriano Casadei saranno sorpresi il 18 agosto dai nazifascisti al casolare di Cornio, assieme a Silvio Corbari e Iris Versari: finiranno tutti appesi ai lampioni di piazza Saffi di Forlì.
Fabbri, Lega, Bandini e altri saranno arrestati e uccisi nei mesi successivi. Grimaldi, sospettato di aver tradito i compagni – ma strenuamente difeso dal comandante della missione Antonio Farneti (Roberti) – sarà a sua volta fucilato dai tedeschi a Bologna il 22 agosto.
La Missione Radio Zella, biblioteca.salaborsa

[…] Nella chiesina della villa di proprietà del notaio Virgilio Neri, che sorgeva sul luogo dell’attuale, ebbe sede una base partigiana chiamata Radio Zella dall’apparecchio radio che in contatto con gli alleati trasmetteva notizie e segnalazioni e riceveva indicazioni per i lanci di materiale ai partigiani. La base radio fu poi trasferita a Pieve Cesato.
Nell’interno della chiesina un’altra lapide porta i nomi degli appartenenti alla missione O.R.I. (Operazione per la Resistenza Italiana).
Chiesina della Villa Neri, Faenza in mano

[Si pubblicano qui sopra alcuni esempi di trascrizioni di comunicazioni ricevute dagli uomini di Radio Zella (Fonte: fratelliSpazzoli.it)]

Uomini della banda Corbari
Fonte: Impronte Digitali, cit. infra
Una ricevuta firmata da Corbari
Fonte: Impronte Digitali

[…] Casadei organizzava, studiava, osservava. Corbari agiva, colpiva, guidava all’attacco ma soprattutto riportava al riparo i compagni, costantemente preoccupato della vita altrui. Fu Casadei a ideare e condurre le imprese più riuscite da un punto di vista bellico, come il duro colpo inferto ai tedeschi sul monte Lavane.
La leggenda del camion fantasma
Con quattro compagni colse di sorpresa sei miliziani della GNR scesi da un autocarro per prelevare sacchi di grano. Dopo averli disarmati, Corbari li fece anche spogliare.
Indossate le loro divise, Corbari e compagni cominciarono cosi una lunga scorribanda nel faentino e nel forlivese a bordo del camion, arrivando infine nel casentino, in Toscana: nove caserme espugnate quasi senza colpo ferire, grazie al travestimento e al camion di servizio, più un numero imprecisato di posti di blocco tedeschi smantellati, ai quasi si avvicinavano salutando i camerati: offrivano sigarette, un sorso di vino, e quando la rilassatezza era al massimo… aprivano il fuoco nel mucchio, o, nel caso gli avversari fossero in pochi, li disarmavano mandandoli di corsa per i campi in mutande
In divisa da colonnello tedesco
Corbari si tolse la soddisfazione di girare per Faenza distribuendo saluti a braccio teso a fascisti e “commilitoni” nazisti, studiando qualche altra impresa.
Decise poi di spostarsi in Toscana, fino al Mugello, dove assaltò varie caserme e annientò alcuni presidi della Wermacht.
Erano azioni che miravano soprattutto a ottenere effetti eclatanti – oltre che a procurarsi armi e munizioni -, per dimostrare alle giovani leve della Resistenza, ai ragazzi attirati dalla lotta partigiana che la tanto declamata libertà poteva essere conquistata: quando poteva, Corbari evitava di spargere sangue, perché considerava più importante la “propaganda dei fatti” che non uno stillicidio di uccisioni.
Marzo 1944 (Il maiale)
Dopo aver occupato il paese di Tredozio per ben tre volte, cacciandone la guarnigione della GNR e, nel primo caso, resistendo per undici giorni, i fascisti vi concentrarono un grosso contingente, oltre alle truppe tedesche dislocate nella zona, per garantirsi il controllo dell’importante via di comunicazione con la Toscana.
Corbari arrivò ad avvisare ufficialmente il comando della milizia che si sarebbe recato in paese in un giorno preciso. Allarme generale, con ulteriore richiesta di rinforzi, strade bloccate, pattuglie ovunque… Ma l’unico a presentarsi a Tredozio fu un anziano contadino, piuttosto malconcio e lacero, che si trascinava dietro un maiale legato a una corda. Giunto sulla porta dell’osteria, salutò i miliziani presenti chiedendo gentilmente se potevano reggere la corda e tenergli il maiale il tempo di bersi un bicchiere di vino.
All’uscita riprese il maiale e ringraziò i militi per la loro gentilezza e poi scrisse al loro comandante un biglietto con cui lo informava che i suoi uomini non erano buoni ad altro che badare il suo maiale.
Il falso pentimento e l’uccisione del Console Marabini
Corbari, Iris e Otello, un altro giovane partigiano, partecipano all’azione che vede l’uccisione del console della milizia Marabini, comandante provinciale della GNR di Forlì, che si era macchiato di efferati delitti nella caccia di sbandati, renitenti alla leva e partigiani. Corbari ed Iris avevano architettato ed inscenato un pentimento e una finta resa, concordando il loro passaggio tra le file repubblichine. Il capo dei ribelli sarebbe stato posto al comando di una legione di camicie nere mentre la giovane donna avrebbe avuto un posto di rilievo nella Croce Rossa. L’incontro avvenne presso il podere Castellina, a pochi chilometri da Rocca San Casciano.
Iris, come già aveva iniziato Silvio, recita la parte della donna stanca di lottare in una causa in cui non crede più, perciò spiega al gerarca che ora cerca si la resa, ma la vuole ottenere alle condizioni più favorevoli.
Verso le otto di sera i tre partigiani salgono, assieme al gerarca fascista, in una “Lancia Augusta” condotta da una milite. Il gerarca e i tre “partigiani pentiti”, secondo gli accordi, dovevano raggiungere Mussolini che si trovava a Rocca delle Camminate e poi Forlì dove i partigiani sarebbero stati presentati al generale tedesco, comandante della piazza, che subito avrebbe avviato le pratiche atte a dare nuove identità a Iris e Corbari. L’automobile parte in direzione di Dovadola poi, appena oltrepassa la frazione di Pieve Salutare di Castrocaro, l’autista svolta verso Predappio e si ferma. Iris e Silvio si lanciano uno sguardo d’intesa dopo che la giovane partigiana estrae, con un gesto fulmineo, la rivoltella che aveva abilmente nascosto sotto i vestiti, e la passa al suo compagno seduto al centro. Corbari senza esitare, spara un colpo a bruciapelo alla nuca del console che si trova seduto davanti.
Iris rapina Modigliana
Il 28 maggio 1944 Iris, armata di mitra, prelevò 80.000 Lire dalla Cassa di Risparmio.
L’11 giugno ci tornarono, ma stavolta la banca era sbarrata: Iris andò direttamente a casa del cassiere, lo “convinse” a trovare le chiavi della cassaforte, e la svuotò di 10.150 lire, senza trascurare di rilasciargli una ricevuta.
Ogni volta che occupavano un centro abitato dopo aver messo in fuga la guarnigione locale, Iris si dirigeva subito alla banca e la svaligiava, per poi dividere il bottino in parti uguali: una per le necessità del gruppo, l’altra da distribuire alle famiglie contadine più povere.
Il mitra di Iris era stato un “regalo” di Corbari: impugnatura arabescata, canna decorata da incisioni a sbalzo, dimensioni molto contenute. Quel mitra maledetto si sarebbe vendicato, diventando il punto di partenza per una concatenazione di eventi sfortunati, neanche conservasse l’anima fascista di chi lo aveva creato e voluto così com’era.
L’aviolancio del Monte Lavane
Corbari chiede aiuto a Tonino Spazzoli che con “Radio Zella” e assieme all’O.R.I. (Organizzazione Resistenza Italiana) lancia pressanti appelli agli alleati i quali decidono per un lancio di viveri e armi, sull’altopiano del Lavane, la notte tra il 10 e l’11 luglio 1944. Le casse appese ai paracadute comprendevano anche materiale esplosivo che venne nascosto in una capanna (a lato). I quattro passaggi consecutivi dell’aereo da trasporto erano stati notati dai tedeschi: cinque colonne formate da SS e truppe scelte degli Alpen Jager avanzavano verso il monte Lavane.
Casadei intenzionato a far saltare l’esplosivo, dopo aver piazzato detonatore e miccia si accorse di non avere i fiammiferi e decise di lanciarci dentro una bomba a mano, dicendo: “O riesce o ci resto secco”.
[…]
La Banda
I compagni venivano chiamati con nomi di battaglia (nomignoli) per evitare che i fascisti, conosciuti i nomi veri, mettessero in atto rappresaglie contro le loro famiglie. “Solo alcuni di noi erano a conoscenza dei nomi veri e possedevano l’elenco di tutti gli appartenenti alla formazione” (Dalmonte)
Lorenzo Casadio “Gallo
Ebro Drei “Bibì
Primo Palli “Primè”
Pino Bartoli “Maestro”
Giovanni Zanfini “Puccì”
Battista Casanova “e Babì”
Luigi Ceroni “il Dottore”
Francesco Bertoni “Uslì”
Luciano Roccalbegni “De Cinque”
Alfredo Nobili “il Bello”
Elio Ghiselli “Ferroviere”
Eleonoro Dalmonte “il Professore”
Altri componenti: I Fratelli Spazzoli
Tonino un legionario di Fiume, mantenne i contatti con gli alleati. Catturato dalla Gestapo a Forlì venne sottoposto a interrogatori e spaventosi tormenti, ma resistette senza riferire ai nemici alcuna informazione sulla banda. Anche Arturo Spazzoli, che aveva tentato inutilmente di liberare il fratello, partecipò ad azioni clamorose: riuscì a raggiungere le linee alleate dopo aver liberato 27 militari inglesi.
Il sostegno dei parroci locali
Corbari ebbe più amici tra i sacerdoti che tra i dirigenti politici. Anzi, i secondi gli tributavano una stima a denti stretti e più di una volta criticarono aspramente il suo innato senso di indipendenza, accusandolo di “individualismo” e di essere un “anarchico”, quasi fosse un insulto.
Nella canonica di San Valentino, sui monti a nord di Tredozio, don Luigi Piazza (il prete con il mitra in mano) ospitava i partigiani della banda e rischiava la vita ogni giorno per procurare loro cibo e vestiario. Dopo la morte di Corbari, decise di unirsi definitivamente alla formazione.
Don Antonio Vespignani, parroco di San Savino, conobbe Corbari nel gennaio del 1944 e trascorse un’intera nottata a discutere di tutto: cosa si provas­se nel momento di dover uccidere, il tormento di fronte alla decisione di fucilare una spia, i sentimenti da sopprimere in nome di una guerra di liberazione che stava costando troppo sangue… “Provai un’immediata simpatia verso di lui, per la schiettezza e la sincerità e per i nobili ideali…”
Il silenzio della Chiesa
Molti parroci della zona si schierarono con i ribelli, in lacerante contrasto con il papato di Pio XII che taceva sulla persecuzione degli ebrei. Erano preti in crisi di identità nei confronti del Vaticano, che oltretutto alla fine del conflitto si prodigherà per favorire l’espatrio e garantire un sicuro e agiato rifugio ai gerarchi nazisti in America Latina… E scomodi anche per quella parte di mondo cattolico rappresentato dalla Democrazia Cristiana, fondata nel 1942, che soprattutto a Faenza rifiutava la lotta armata in nome di un opportunistico rifiuto della violenza.
I partiti tentarono in diverse occasioni, con crescente insistenza, di imporgli la presenza di commissari politici. Cominciarono i repubblicani, ai quali rispose: “Non voglio commissari che mi diano ordini, lottare per la libertà è l’unica cosa che conta per me oggi”. Poi ci provarono e riprovarono tutti gli altri, sempre più indispettiti dai suoi rifiuti: arrivarono in alcuni casi all’aperta ostilità, creando un pericoloso isolamento intorno alla formazione partigiana che, senza commissari politici, si attirava la diffidenza dei dirigenti di ogni partito, frustrati dall’impossibilità di imbrigliare “l’eretico” Corbari. A un certo punto smise di mostrarsi cortese e diplomatico, e all’ennesima richiesta di accettare i commissari, stavolta da parte del comandante della 36a Brigata Garibaldi, rispose seccamente: “Caro Bob, a te con quel nome possono mettere il collare che vogliono, a me no”.
[…]
Rossi il traditore
Arturo Spazzoli e Casadei si imbatterono nei pressi di Modigliana in un certo Franco Rossi, un giovane partigiano che sostenne di essere appena evaso dal carcere di Castrocaro.
Ottenuto un incontro con Corbari, a Ca’ Cornio, gli rivolse preghiere di accoglierlo nella sua banda, ed egli acconsentì. Nella stessa casa si erano momentaneamente rifugiati alcuni partigiani della banda, Iris e Franco Casadei. Durante la notte che trascorsero lì Rossi rubò il mitra a Iris per poi scappare e riferire ai fascisti dove si trovava la banda. Iris, intanto, si procurò un mitra sostitutivo (Sten) dal quale però, a causa di un difetto di fabbricazione, partì un colpo che la ferì alla gamba sinistra e che le impedì di lì in avanti di camminare.
Tornati alla casa, Arturo, Casadei e Corbari, che si erano allontanati per recuperare il Rossi di cui avevano capito le intenzioni, sapendo che per prudenza avrebbero dovuto abbandonare immediatamente quel posto, decisero di ripartire all’alba, dopo aver recuperato le forze.
Il tragico epilogo
Alle prime luci dell’alba, Il casolare è completamente circondato, da un reparto scelto del Battaglione Mussolini e da un’intera compagnia della I Divisione Alpen Jager. Un manipolo di fascisti e militari tedeschi irrompe all’interno.
Un ufficiale nazista si affaccia nella camera di Silvio e Iris: lei ha già lo Sten in pugno, spara e lo uccide. Si scatena l’inferno: gli assedianti aprono il fuoco con mitragliatrici e mortai, la casa è sventrata dalle granate, porte e finestre si sbriciolano sotto le raffiche di grosso calibro, eppure dall’interno i partigiani continuano a rispondere colpo su colpo.
Corbari vorrebbe prendere in braccio Iris e scappare saltando giù per una scarpata dietro la casa, ma lei lo scongiura di lasciarla lì e tentare da solo: Silvio non sente ragioni. Allora Iris si uccide con un colpo di pistola, il gesto estremo per costringere Silvio a fuggire da solo.
Silvio, stravolto dalla disperazione, stringe per l’ultima volta Iris tra le braccia, le accarezza il viso, la bacia sulla bocca, e poi, urlando e sparando, si butta fuori dalla finestra al primo piano e rotola lungo la scarpata.
Arturo Spazzoli ha attirato il fuoco su di sé: ha le gambe sfracellate e una vasta ferita al ventre. Pochi istanti dopo, durante la fuga, Corbari, ferito alle gambe, sfinito e inerte inciampa e precipita dall’argine del torrente, sbattendo la testa contro un masso. Adriano Casadei, che è ormai in salvo tra i cespugli, torna indietro e tenta di sorreggerlo: ma Silvio ha il cranio fratturato, se lo carica in spalla e raggiunge un piccolo avvallamento, dove adagia l’amico privo di conoscenza, rimanendo accanto a lui.
A scorgerli per primi sono gli Alpen Jager. Urla di trionfo, ordini secchi, risate isteriche. Adriano si alza in piedi e li guarda senza tradire alcuna emozione.
E’ finita
Franco Rossi si para davanti a Casadei, squadra soddisfatto Corbari, sdraiato a terra in una pozza di sangue, e dice mostrando il mitra di Iris: “Visto? Te l’ho riportato!”. Casadei lo fissa con disprezzo e mormora tra i denti: “Anche tu farai una brutta fine”.
I fascisti requisiscono un barroccio trainato dai buoi e ci caricano sopra Corbari svenuto e Arturo Spazzoli agonizzante. Casadei, le mani legate dietro la schiena, è costretto a seguirli a piedi. Dopo qualche chilometro, i fascisti finiscono a colpi di pistola Arturo, per non sentire più i suoi gemiti. Raggiunti i camion in sosta sulla strada, si dirigono a Castrocaro.
La mattina del 18 agosto 1944
Silvio Corbari viene impiccato nella piazza del municipio di Castrocaro, senza aver ripreso conoscenza. Prima che il boia gli stringa il cappio intorno al collo, Adriano Casadei lo abbraccia e lo bacia per l’ultima volta. Un miliziano fascista lo colpisce con un manrovescio, spaccandogli un labbro. Quando tocca a Casadei, si mette il cappio da solo. Ma tirano la corda con eccessiva foga, e questa si spezza. Dopo qualche minuto, Casadei ripete la scena, e stringendosi il nodo scorsoio dice ad alta voce in dialetto romagnolo: “Siete marci anche nella corda!”.
Nel pomeriggio i corpi vengono trasferiti a Forlì e impiccati per la seconda volta, nella centralissima piazza Saffi, come monito per la cittadinanza. L’indomani decidono di appendere anche i cadaveri di Arturo Spazzoli e di Iris Versari.
Tonino Spazzoli, già prigioniero dei nazi-fascisti, viene portato la sera del 19 agosto in Piazza Saffi sotto il corpo penzolante del fratello; uno dei repubblichini presenti gli solleva il capo e gli dice: “lo riconosci? domani ci sarai pure tu!” E la promessa è mantenuta:è ucciso nei pressi di Coccolia, il suo paese natale, in un trasferimento a bordo di un furgone da Forlì a Ravenna durante un tentativo di fuga.
Nella foto che ritrae Iris mentre penzola da un lampione – scalza, le gambe scoperte, i lunghi capelli che nascondono l’oltraggio del cranio sfondato con i calci dei fucili – si notano a poca distanza due uomini in uniforme che la guardano e ridono sguaiatamente. Sono loro il dettaglio osceno di quell’immagine impietosa.
Frustrazione e dolore
Nei giorni seguenti aeroplani tedeschi lanciano volantini inneggianti alla fine di Corbari e della Banda Corbari (come la chiamano loro) I partigiani superstiti si ricompongono sotto il comando di Romeo Corbari, e danno vita al “Battaglione Corbari”.
MEDAGLIE ALLA MEMORIA AL VALOR MILITARE
Corbari Silvio
Comandante di un battaglione partigiano da lui stesso costituito, terrorizzava con attacchi improvvisi e di estrema audacia i presidi nazi-fascisti della Romagna, creando attorno a sé fama di leggendario eroe, inesorabile contro ogni prepotenza ed oppressione. Decine di colonne motorizzate nemiche furono da lui sbaragliate, caserme e reparti nazifascisti furono da lui disarmati e costretti alla resa, villaggi e paesi occupati e liberati. Ferito durante uno scontro contro forze preponderanti e catturato dal nemico, pagava col capestro il suo epico valore, concludendo la sua vita che fu simbolo di ogni ardimento e fiamma di amore per la Libertà e per la Patria ….
Adriano Casadei
Vicecomandante di battaglione partigiano, dopo innumerevoli azioni compiute alla testa dei suoi uomini con leggendaria audacia, dopo aver sbaragliato e disarmato decine di presidi fascisti e tedeschi, dopo aver infranto un attacco tedesco dando fuoco ad un deposito di esplosivi che nel tremendo scoppio seppellì oltre 200 nemici, veniva catturato mentre accorso vicino al suo comandante di battaglione, caduto ferito nel folto della mischia, tentava di portarlo in salvo. Sopportava fieramente torture e sevizie e nell’istante in cui il capestro stroncava la sua giovane esistenza, innalzava col grido di «Viva l’Italia », l’estremo inno alla Patria amata ….
Iris Versari
“Giovane di modeste origini, poco più che ventenne, fedele alle tradizioni delle coraggiose genti di Romagna, non esitò a scegliere il suo posto di rischio e di sacrificio per opporsi alla tracotante oppressione dell’invasore, unendosi ad una combattiva formazione autonoma partigiana locale. Ardimentosa ed intrepida prese parte attiva a numerose azioni di guerriglia distinguendosi come trascinatrice e valida combattente. Durante l’ultimo combattimento, circondata con altri partigiani in una casa colonica isolata, ferita ed impossibilitata a muoversi, esortò ed indusse i compagni a rompere l’accerchiamento e, impegnando gli avversari con intenso e nutrito fuoco, agevolò la loro sortita. Dopo aver abbattuto l’ufficiale nemico che per primo entrò nella casa colonica, consapevole della sorte che l’attendeva cadendo viva nelle mani del crudele nemico, si diede la morte. Immolava così la sua giovane vita a quegli ideali che aveva nutrito nella sua breve ma gloriosa esistenza.”….
Antonio (Tonino) Spazzoli
“Volontario della prima guerra mondiale, mutilato e pluridecorato al valor militare, fu nella guerra di Liberazione organizzatore audace, sereno e cosciente e diede vita e diresse formazioni partigiane fedeli continuatrici delle più fulgide tradizioni. I più audaci colpi di mano, i più rischiosi atti di sabotaggio, le più strenue azioni di guerriglia lo ebbero primo fra i primi, di esempio a tutti per coraggio, valore e sublime sprezzo del pericolo. Arrestato una prima volta e riuscito ad evadere si arruolava in un battaglione partigiano continuando senza sosta nella sua attività che mai dette tregua all’avversario. Caduto ancora nelle mani del nemico durante l’espletamento di una missione rischiosa affidata al suo leggendario coraggio, subiva sevizie atroci e martirii inenarrabili senza nulla rivelare che potesse tradire la causa. A compimento della sua eroica esistenza tutta dedicata alla Patria, cadeva sotto i colpi degli sgherri nemici che barbaramente lo trucidarono.”
Arturo Spazzoli
Medaglia d’argento al Valor militare alla memoria […]
Molto del materiale riportato in questo testo è stato tratto, elaborato e riassemblato dalla tesina dell’alunna Aurora Borioni VCs del Liceo scientifico Torricelli di Faenza a.s. 2007/2008
La storia della Banda Corbari, Impronte Digitali

Ca Cornio Fonte: Impronte Digitali
Ca Cornio
Fonte: Impronte Digitali

[…] Nella notte del 20 gennaio una colonna, formata da soldati tedeschi e militi della Gnr, mosse contro Ca Morelli sorprendendo i partigiani che vi alloggiavano. Tre rimasero uccisi gli altri venti furono catturati. Inviati al carcere di Bologna, sette furono condannati a morte e nell’aprile 1944 fucilati a Verona. In dodici, fra loro Versari e Corbari, impegnati nella difesa di Tredozio si salvarono. (il padre e la madre di Iris Versari sua compagna inviati in campo di concentramento (il padre morirà in Germania)). All’eccidio sfuggirono Silvio Corbari, Iris Versari insieme a pochi altri che quella mattina non si trovavano a Ca’ Morelli. Appresa la notizia dell’attacco fuggirono a Otignana presso il parroco Don Giuliano Fabbri, poi proseguirono verso la Collina (podere dove si trovava la Villa del Commissario prefettizio loro amico) che forse non trovarono, perché chiamato a Tredozio. Ci vollero mesi per rimettere in piedi una formazione che non aveva ormai gran connotati politici. L’esiguità dei membri non impedì a Corbari e a Iris Versari di uccidere il console della milizia Gustavo Marabini, e ciò diede origine ad una vera e propria “caccia all’uomo” da parte dei fascisti. Il 22 maggio, il conte Francesco Zanetti Portolani Campi ricevette da Corbari la comunicazione che aveva intenzione di consegnarsi alle autorità repubblicane se gli fossero state concesse delle soddisfacenti condizioni di resa. Il conte prese gli accordi e si incontrarono con il Colonnello Gustavo Marabini, comandante della G.N.R di Forlì alle ore 15 del 23 nel podere Collina. All’appuntamento giunsero insieme e nell’orario stabilito il Conte ed il suo fattore, Francesco Agnoletti, Tullio Mussolini e Gustavo Marabini, i quali dovettero attendere per un’ora l’arrivo di Silvio Corbari, Iris Versari e Otello Sisi di Tredozio. Le trattative si protrassero per diverse ore e si conclusero con l’impegno da parte dei partigiani di consegnarsi dopo qualche giorno. Si allontanarono, ma poi tornarono indietro dichiarando di aver cambiato idea e di voler concludere subito la faccenda. I tre salirono così in macchina con Marabini ed il suo autista, lasciando gli altri a piedi con la promessa che sarebbero tornati a riprenderli. La macchina con il console ed i partigiani, che avrebbe dovuto fermarsi alla villa “I Raggi”, proseguì e si fermò verso Predappio. Al suo interno sicuramente era scoppiata una lite o le cose non andavano come previsto. Uno dei tre partigiani seduto sul sedile posteriore, sparò a Marabini uccidendolo, mentre l’autista fu lasciato libero di andarsene. L’arco delle ipotesi di come si sono svolti i fatti è ampio. Dalla messinscena, alla Versari che sceglie la macchia. Le imprese della banda consistevano principalmente in colpi di mano il cui successo era affidato all’elemento sorpresa ed alla velocità con cui l’azione veniva portata a termine. Il 28 maggio 1944 Corbari da Tredozio calò a Modigliana. Il gruppo, composto da poche persone (forse 10 o 15) tra cui Iris Versari, disarmò i carabinieri perché i pochi militi fascisti erano fuggiti sul Monte Trebbio. Mentre Corbari era seduto al bar ed i compagni controllavano il paese, Iris con il mitra spianato entrò nella Cassa dei Risparmi e si fece consegnare 80.000 lire, che per quei tempi era una cifra cospicua. Poi il gruppo si allontanò senza colpo ferire. L’11 giugno tornarono e, siccome la banca era sbarrata, Iris (che evidentemente era l’esattrice della banda) si recò a casa del cassiere costringendolo ad uscire e ad aprire la banca per ritirare £ 10.150. Il gruppo si collegò con l’ORI (Organizzazione Resistenza Italiana) che gli permise di avere, nel mese di luglio ’44, un lancio d’armi e materiali da parte degli Alleati sul Monte Lavane. Ci furono dei combattimenti per difendere questi lanci che impegnavano per ore i partigiani in vere e proprie battaglie: quello sul Lavane detto o quello fra Lago e Casale (nel territorio di Modigliana) in occasione del lancio degli alleati per tutte le formazioni della montagna. Una parte dei partigiani che dovevano partecipare alla divisione era però stato attaccato e il lancio venne rinviato. Il lancio era stato rinviato alla notte fra il 17 e il 18 luglio. Così Corbari e Casadei la sera del 15 (secondo alcuni del 14, altri del 16) ripartirono da S.Valentino e arrivarono sul Lavane la mattina del 17 (o del 16), dove si congiunsero con altri partigiani che erano quelli del GAP di Palì di Brisighella e quelli della Garibaldi. Il lancio doveva avvenire su un vasto falsopiano all’interno di una zona ben delineata e segnalata. Intorno alla mezzanotte un aereo da trasporto eseguì il lancio. La mattina del 18 una sentinella lanciò l’allarme alla formazione di Corbari, l’unica rimasta in zona, perché aveva visto una pattuglia nemica che avanzava lungo il fondovalle. I 53 della banda dovevano prepararsi ad affrontare il pericolo. Si divisero in quattro gruppi occupando diverse postazioni collocate in punti strategici al fine di contrastare meglio l’avanzata del nemico. Per molte ore (dalle 10 alle 17) i giovani della Corbari tennero a bada i nemici, anche se gli attaccanti avevano ricevuto l’aiuto dell’artiglieria. Ma alla fine furono costretti alla ritirata. Arrivati alla capanna piena di esplosivo, Casadei ebbe l’idea di trasformarla in una trappola per il nemico che avanzava. Dopo si parlò di decine di morti e 120 feriti. Il 18 agosto 1944, tradito da una spia, venne catturato a Ca’ Cornio di Modigliana assieme a Iris Versari, Arturo Spazzoli e Adriano Casadei. I tedeschi e i fascisti diedero ampio risalto alla cattura di Corbari divenuto un simbolo della lotta partigiana, il Robin Hood del Faentino. Nessuno si era accorto dell’arrivo dei militi prima che facesse luce. Al contadino che apre la porta si para dinnanzi un ufficiale che salta nelle camere dove trova Iris e Silvio. Lei, già sofferente per ferita, è svelta e imbracciata un’arma lo fulmina. Quelli fuori si ritirano a una certa distanza e cominciano a far fuoco con armi automatiche e mortai. Per avere una speranza di salvezza bisogna lasciare subito la casa e tentare la fuga. Corbari è esitante, non vuole lasciare Iris in mano ai fascisti. Per dissipare l’indecisione di Silvio e fare in modo che si salvi, Iris si uccide. Mentre tentavano la fuga, Corbari precipitò nel greto di un torrente e rimase seriamente ferito. Casadei si fermò per tentare di soccorrerlo. Furono catturati entrambi e poi appesi, assieme ad altri partigiani, ai lampioni di piazza Saffi, a Forlì.
Banda Corbari, lacorsainfinita