Rintracciare le missioni ovunque ne fosse segnalata la comparsa, collegandole con Torino

Torino – Fonte: Mapio.net

[…] opportuno approfondire la relazione che intercorse tra l’Organizzazione Franchi (Of) di Edgardo Sogno, le missioni alleate paracadutate in Monferrato e le brigate partigiane che qui operavano. Inediti documenti, provenienti dai National Archives di Londra (1) che riguardano l’arruolamento di agenti italiani per il Soe (Special Operations Executive) danno nuova luce alle fonti orali, raccolte in questi anni, rivelando una realtà variegata e complessa, in cui il coraggio e la diplomazia cementarono la lotta al nazifascismo, ma lasciarono emergere alcune ambiguità. Intorno alla “Franchi” si formò un intreccio di collegamenti che ebbe come esito l’invio di esperti sabotatori paracadutati e promosse lanci di sten parabellum, divise, radio sia per le bande partigiane di pianura sia per quelle delle colline (2).
(1) […] L’Esecutivo Operazioni speciali era un’organizzazione segreta inglese, nata nel 1940; in Italia operò dall’8 settembre 1943 con sabotaggi e incursioni dietro le linee tedesche. La rete di agenti sparsi in Europa era stata incaricata di sfruttare il ruolo dei gruppi di resistenza, presenti in ogni paese occupato, per favorire e coadiuvare le operazioni militari decise dall’Alto Comando interalleato. In Italia è nota con il nome di Number 1 Special Force e seguì le varie formazioni partigiane. Il Sim, citato in seguito nell’articolo, fu l’intelligence militare italiana dal 1925 al 1945, mentre l’Oss fu il servizio segreto statunitense operativo dal 1942 alla fine della guerra.
(2) Sogno definì l’Organizzazione Franchi «un’organizzazione militare autonoma, in collegamento diretto con gli Alleati e col comando italiano del Sud […]. Possono far parte appartenenti a qualsiasi partito antifascista o anche militari non iscritti a partiti purché sentano il dovere di battersi contro i tedeschi e la Repubblica Sociale, ma occorre in ogni caso che questa volontà di battersi esista e si basi su un motivo morale o politico essendo la nostra una guerra di volontari». EDGARDO SOGNO, La Franchi, storia di un’organizzazione parti-giana, Bologna, Il Mulino, p. 102. Ribadì, che la “Franchi” era una sua concezione e non del servizio britannico, anzi, collegando fra loro le varie unità operative, si staccò dai principi di sicurezza delle missioni alleate. Le attività svolte (a partire da aprile ’44) furono: addestrare gruppi di sabotatori, accogliere le richieste provenienti dalle formazioni e organizzare campi per ricevere i lanci.
Nel primo periodo, dall’aprile all’agosto del 1944, si predisposero campi per i lanci che avrebbero dovuto essere effettuati secondo la tecnica dell’aviorifornimento, si organizzarono squadre per atti di sabotaggio e per operazioni speciali, si strinsero legami con le formazioni autonome locali, il Comando militare regionale piemontese (Cmrp) e la Svizzera. Sogno, di propria iniziativa, con un ristretto gruppo di resistenti, procurò sedi protette e mise a disposizione veicoli, rifornimenti e documenti per sfuggire al controllo nemico.
Marilena Vittone, “Neve” e gli altri. Missioni inglesi e Organizzazione Franchi a Crescentino, “l’impegno”, n. 2, dicembre 2016, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia

È proprio nella sconfitta, di fronte alle umiliazioni e alle sofferenze patite in Russia, in Grecia, in Albania ad opera non solo dei nemici o dei partigiani, ma anche ad opera degli stessi alleati tedeschi, di fronte alle atrocità commesse a danno degli ebrei che il travaglio interiore giunge a maturazione, porta a distinguere definitivamente la Patria dal fascismo (come l’esercito dalla milizia fascista, il Re dal Duce, ecc.). La tragedia della guerra è un patrimonio condiviso tanto dagli ufficiali quanto dai semplici soldati, e si pone all’inizio di quel processo che porterà alla guerra «patriottica» e alla guerra di Liberazione combattuta dalle brigate Patria sotto il comando di Martino/Malerba.
Tuttavia, nonostante questo tratto «militare» della resistenza piemontese, la prima formazione che troviamo costituita e stanziata fin dal 12 settembre 1943 fra Valle Gesso e Valle Stura è Italia Libera, composta da una dozzina di civili, azionisti, capeggiati da Duccio Galimberti. Anche loro iniziano la loro avventura partigiana dopo essersi rivolti ad alcuni ufficiali effettivi, e di fronte al rifiuto di guidare la spedizione si pongono come primo obiettivo di organizzarsi solidamente e adeguatamente alla vita in montagna, costituendo il primo nucleo di quelle che saranno le divisioni Giustizia e Libertà del Cuneese.
Nel torinese ebbero immediato successo le iniziative del tenente Pompeo Colajanni (Barbato ) con un’ottantina di ex militari quasi tutti di origine meridionale. In val Chisone si insediò la banda Sestriere, composta esclusivamente di militari o graduati del corpo degli alpini, comandati dal sergente Maggiorino Marcellin (Bluter). In Valsesia, spostandosi verso la parte orientale della regione, Cino Moscatelli con un gruppo di ventidue ribelli costituì il primo nucleo delle future formazioni garibaldine della zona, mentre e nella val d’Ossola spicca tra i primi organizzatori Filippo Beltrami, che trasforma gli sbandati della zona in una formazione efficiente.
Gli sbandati della IV Armata si concentrano invece nella zona di Boves, presso Cuneo; spesso sono ancora in divisa. Fra loro troviamo un buon numero di ufficiali effettivi, si favoleggia di un imminente sbarco alleato in Liguria e di divisioni alpine ancora intatte e attestate sui monti; ma il 19 settembre di fronte all’attacco tedesco ogni illusione svanisce, la resistenza resta affidata a un pugno di uomini capeggiati da pochi ufficiali subalterni, tra cui si distingue il sergente Ignazio Vian; i tedeschi, sorpresi dal contrattacco, sfogano la loro rabbia sulla popolazione di Boves, incendiando l’intero paese e uccidendo 24 persone.
Questa prima fase si può definire «ribellistica», e consiste in un periodo di assestamento e di chiarificazione che perdura fino al dicembre del 1943, favorita dall’inerzia delle truppe nazifasciste. La reazione contro i primi nuclei partigiani è infatti particolarmente lenta, nella convinzione che si sarebbe dileguata ben presto «questa assurda velleità di voler combattere senza armi e senza mezzi contro il più potente esercito del mondo». Questi primi sparuti gruppi di resistenti «in divisa» invece diedero origine alle prime formazioni autonome piemontesi, subendo massicce operazioni di rastrellamento tra l’8 settembre 1943 e la primavera del 1944: i tedeschi miravano infatti «a ripulire dai partigiani le vallate piemontesi», segno che erano diventata una minaccia da neutralizzare.
I primi rastrellamenti in grande stile evidenziarono la debolezza del movimento partigiano piemontese, basate su forme elementari di resistenza delle bande, abbarbicate sulle posizioni di montagna e incapaci di manovra. Pareva impossibile dare vita a un esercito partigiano, ritenendo necessario limitarsi a un’opera organizzativa dei suoi quadri futuri e sciogliendo momentaneamente le formazioni e privilegiando la guerriglia con piccole squadre di sabotatori.
Questa tesi venne esposta nel convegno di Valle Pesio, alla fine di gennaio:
Là un ufficiale che era stato fra i più brillanti esponenti della banda di Boves sosteneva che, visti i risultati del primo esperimento, bisognava abbandonare l’idea di costruire o mantenere delle formazioni numerose, composte in prevalenza da «uomini»: secondo lui la miglior cosa sarebbe stata formare dei piccoli nuclei di sabotatori e di terroristi, composti esclusivamente di ufficiali, con al massimo qualche uomo per i bassi servizi. Questa idea (condivisa del resto da molti anche altrove, specie fra i «militari») trovò largo seguito fra i presenti al convegno, ma i politici la contrastarono decisamente: la guerra partigiana doveva essere la guerra del popolo italiano; per quanto possibile essa doveva essere impostata e mantenuta su basi e in termini tali da interessare e coinvolgere il maggior numero di persone.
I primi difficoltosi passi nella guerra di liberazione evidenziano una prima differenziazione nel fronte dei «ribelli»: da una parte vi sono gli ufficiali effettivi che pur avendo intrapreso la guerriglia continuavano ad essere legati a una concezione legalitaria della guerra, convinti che occorresse affrontare la problematica della preparazione delle «reclute» nella convinzione che ogni azione, se poteva ottenere risultati bellici irrisori, rischiava soprattutto di mettere a repentaglio la sicurezza delle popolazioni. Dall’altra parte invece vi era l’ala politica dei sostenitori della «guerra per bande», dei ribelli il cui nome «corrisponde alla realtà di fatto, indica la funzione ancora polemica o di eversione violenta di ogni struttura tradizionale che i primi partigiani si sono assunta» .
La primavera del 1944 portò con sé anche una nuova consapevolezza da parte nemica: la ribellione andava stroncata sul nascere con un’offensiva a vasto raggio, caratterizzata dal contemporaneo sfondamento frontale e dall’aggiramento sulle ali, al fine di non lasciare scampo all’avversario. Al 7 marzo l’operazione investì le valli di Lanzo, al 13 si spostò in Val Casotto, successivamente in Val Varaita. Nella Val Casotto, dove era stata adottata la tattica della difesa rigida frontale, i volontari subirono un rovescio senza precedenti, perdendo i due terzi degli uomini, e solo una esigua schiera di superstiti al comando del capitano Enrico Martini Mauri riuscì a rompere l’accerchiamento e a riparare nelle Langhe. In Val Varaita e in Val di Lanzo le perdite furono minori, ma le bande uscirono dagli scontri disarticolate e scosse.
Nonostante la «batosta» primaverile, l’attività di organizzazione andava via via migliorando, le formazioni e le bande andavano adottando strutture di comando più vicine a quella profilata dal Comitato, pur mantenendo alcuni caratteri originali. Il Comitato Militare gettò le basi, tra il gennaio e il marzo del 1944, del Corpo dei Volontari della Libertà piemontese, nonostante si profilasse all’orizzonte una ulteriore battuta di arresto per l’attività cospirativa: la mattina del 1 aprile il comitato doveva riunirsi nella sacrestia del Duomo di Torino, ma forze imponenti di polizia e di agenti circondarono i dintorni e i cospiratori furono fermati uno ad uno. A seguito di un processo la cui sentenza era evidentemente già scritta la mattina del 5 aprile otto membri del Comitato vennero fucilati, e con la loro morte segnarono la dispersione di un patrimonio di contatti e piani intessuti in quei mesi.
Tuttavia il movimento partigiano si riprese prontamente, il comitato fu ricostituito, anche se ritoccato sulla base della rappresentanza delle varie correnti politiche, ereditando dal comitato del generale Perotti una situazione di maggiore concordia e unità d’intenti.
Lodovico Como, Dall’Italia all’Europa. Biografia politica di Edoardo Martino (1910-1999), Tesi di Dottorato, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Anno Accademico 2009/2010

L’arrivo, sul finire dell’anno ed al principio del ’44, di alcune missioni alleate introdottesi in Piemonte attraverso i valichi alpini, non aveva che complicato le cose. Le missioni tendevano a rimanere presso i reparti che le avevano accolte o si occultavano nella zona evitando di avere contatto con gli inviati del C.L.N.R.P. [C.L.N. Regione Piemonte], mantenendo segretissimi i loro rifugi e procurando lanci alle bande con cui avevano stretto rapporti; ma al tempo medesimo lavoravano per controllarne l’attività e volgerla verso gli obbiettivi cui erano più direttamente interessati i piani dello stato maggiore alleato: cioè sabotaggio di determinati nodi stradali, servizio di informazione, distruzioni da operarsi in punti delle comunicazioni rotabili e ferroviarie ritenuti vitali per i movimenti delle forze nemiche.
Inoltre, ciascuna missione proveniva da centri di smistamento diversi, dipendeva da organismi separati e che si ignoravano a vicenda. Per cui, non soltanto riusciva quasi impossibile intercettare i gruppetti (d’ordinario tre-quattro elementi) paracadutati, ma la loro presenza aveva offerto a tedeschi e fascisti il destro di camuffare nei panni di «commandos», spie ed informatori che s’infiltravano nelle bande.
Queste ultime, allorché ricevevano una missione, erano le migliori custodi delle esigenze di segretezza degli ospiti, perchè premeva ai capi partigiani, quasi sempre, conservare ad esclusivo profitto della propria formazione i vantaggi derivanti dal «possedere» in loco un centro di rifornimento alleato: così la disparità del potenziale bellico fra banda e banda si accentuava, s’inasprivano i contrasti, aumentavano le proteste.
Due ufficiali della cerchia dei tecnici del Co.Mi. [Comitato Militare del C.L.N. regionale piemontese], i capitani Balbis e Torta, ebbero, verso la fine di febbraio, l’incarico di rintracciare le missioni ovunque ne fosse segnalata la comparsa, collegandole con Torino; una circolare in merito venne diramata ai comandi, il 29 febbraio ’44:
Emissari delle nazioni unite, paracadutati o provenienti dall’estero cercano di mettersi in contatto con unità di patrioti per ricevere notizie e per organizzare lanci di armi e materiali in favore dei nostri reparti; contemporaneamente è risultato che elementi dello spionaggio tedesco e fascista, fingendosi emissari degli anglo-americani hanno tentato di venire in contatto colla nostra organizzazione.
Questo Comitato Militare, allo scopo di impedire l’azione di spionaggio nemico e di coordinare ed intensificare il collegamento e i lanci delle forze anglo-americane, prega pertanto voler tassativamente disporre che:
– chiunque si presenti ad un nostro reparto o comando, dichiarandosi inviato od in collegamento con le forze anglo-americane, venga immediatamente fermato;
– sia data, col mezzo più celere, comunicazione al Comitato Militare dell’avvenuto fermo; fornendo, nel limite del possibile, precisazioni atte alla identificazione dell’emissario e delle unità alleate da cui proviene o con cui è in contatto;
– non si forniscano notizie nè si entri in trattative per l’effettuazione di lanci, senza l’autorizzazione scritta di questo Comitato;
– eventuali contatti o trattative attualmente in corso siano immediatamente rese note“. (17).
Balbis e Torta ed i vari collaboratori messisi sulla loro scia alla ricerca delle missioni, non riuscirono ad intercettarle, nè le disposizioni del 29 febbraio valsero a smuovere i comandi partigiani dal loro riserbo, né infine le unità alleate si scoprirono; anzi, al contrario, presero a spostarsi di zona in zona con notevole frequenza (18).
Al Co.Mi. non rimase allora che insistere nell’opera di convinzione presso i capi fruenti dei lanci perchè contribuissero ad armare i reparti confinanti, mentre si prodigava presso i membri del Comitato Esecutivo affinchè usassero della loro influenza nell’ambito delle formazioni che controllavano o in cui godevano di qualche ascendente, onde ottenere le spartizioni dei carichi.
D’altro canto, Edgardo Sogno e la sua organizzazione, la «Franchi», parvero il mezzo migliore per realizzare un collegamento fra C.L.N.R.P. e basi alleate, la qual cosa prometteva di far affluire contingenti più sostanziosi di materiale, di adeguare le forniture alla forza ed alle esigenze delle diverse formazioni su un piano di equità, di sottrarre i comandi alla dipendenza delle missioni.
I gruppi della «Franchi» svolsero in questo campo una attività eccezionale, percorrendo ogni zona, censendo l’entità dei reparti ed i loro fabbisogni, tracciando le coordinate dei campi di lancio e trasmettendole al Sud. Per ogni banda, gruppo di bande o settore furono concordate formule convenzionali di messaggi con i centri anglo-americani: ciascuna formula comprendeva un «messaggio positivo», per l’annunzio del lancio, ed uno «negativo» che equivaleva ad avvertire i partigiani del rinvio dell’operazione (19).
Quantunque l’avvio di questo improbo compito avvenisse in coincidenza con gli attacchi tedeschi del marzo-aprile che ostacolavano i rilevamenti topografici ed i contatti con le bande in zone ove esse dovevano spostarsi di continuo, gli uomini della «Franchi» riuscirono ad impostare ottimamente la rete dei campi, coadiuvando il Co.Mi. anche nei problemi disciplinari, nel contro-spionaggio e nelle segnalazioni dei movimenti nemici, le quali ultime erano parte precipua dell’incarico che Sogno adempiva per conto degli alleati.
Lentamente fu conosciuta, attraverso l’inchiesta per i lanci, la consistenza delle bande ed il loro reale stato di capacità bellica, attingendo i dati dalle ispezioni più che dai rapporti richiesti ai comandi centrali e periferici delle formazioni, che sull’argomento non fornivano di consueto informazioni attendibili perchè premeva loro di far risultare cifre artatamente contraffatte sugli effettivi, per vedersi così assegnate percentuali cospicue di armi (20).
(17) Archivio Istituto Storico della Resistenza in Piemonte – Dossier AM/B-I-IX – Cartella: OM/B-V. Il documento è intestato: «Comitato Militare di Liberazione Nazionale Piemontese. – Oggetto: Emissari delle nazioni unite. – Ai Signori Comandanti Militari di Valle o di Settore». Una annotazione a margine sul primo foglio del documento, reca, a matita: «Doc. sequestrato a E. Giambone».
(18) Testimonianze del prof. Paolo Greco.
(19) Confr. il cit. volume di E. Sogno.
(20) Testimonianze del prof. Paolo Greco, dell’avvocato Cornelio Brosio e dell’avv. Valdo Fusi.
Mario Giovana, Il Comitato Militare del C.L.N. regionale piemontese nei primi mesi del ’44 in Italia contemporanea (già Il Movimento di liberazione in Italia dal 1949 al 1973), n. 41, 1956, Rete Parri

Quando il 3 novembre 1943 Ferruccio Parri e Leo Valiani, esponenti del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia, andarono a Villa De Nobili di Certenago presso Lugano per incontrare Allen Dulles e John McCaffery, responsabili delle Agenzie dell’Oss (Office of Strategic Services) e del Soe (Special Operation Executive), i servizi segreti statunitense e inglese, per sollecitare un sostegno militare e finanziario alla Resistenza, raccomandando “una propaganda più aderente alla realtà italiana”, la risposta che ottennero dal punto di vista tecnico fu interlocutoria e da quello politico lontana dalle aspettative. I sacri fuochi di una lotta armata con un grande esercito popolare erano apparsi in quel momento soffocati. Gli Alleati avevano preso le distanze da quella visione militare in nome di una strategia che non prevedeva cessioni di comando nella conduzione della guerra. La “guerra grossa” sognata da Parri per un riscatto del Paese contro l’oppressore “sotto la spinta di irrinunciabili istanze di rinnovamento politico e sociale” non rientrava negli impegni che gli Alleati avrebbero assunto nella campagna d’Italia. paginauno

Torino. 1945. Organizzazione “Franchi” autonoma operante in citta’ e collina. Archivio Storico Fiat – Fonte: Mostra fotografica: La Primavera della Libertà (1940-1945). Un borgo in guerra. La guerra, i bombardamenti, la resistenza, i partigiani e i caduti della Circoscrizione 6, Torino, ANPI VI circoscrizione, Auser, CGIL SPI, (1995)/2013

Nacque così l’Organizzazione Franchi, che sostituì la Otto e andò aumentando sempre più di importanza.
L’11 marzo [1944] fu paracaduta in zona Riva del Ger, nei pressi di Biella, la missione Brynston (capitano d’artiglieria Pietro Roggero, Gabrio, sottotenente pilota Teresio Grange, Catone, sottocapo radiotelegrafista Giuseppe Tarantino, Rodolfo). Grange prese contatto con il generale Trabucchi, con il maggiore Enrico Martini, il famoso maggiore Mauri, nelle Langhe, con gli autonomi della
Val d’Aosta e della Val Chisone. Si mise in contatto con la Franchi, di cui divenne il capo delle trasmissioni.
Con l’organizzazione continuò a operare anche il radiotelegrafista Bovati.
Sogno, a fine aprile, entrò in contatto con il capo dei servizi inglesi a Berna, John McCaffery, che lo incoraggiò ad attuare un’organizzazione più complessa.
La Franchi ebbe più le caratteristiche di una rete informativa che di una formazione partigiana, ma ebbe comunque le sue perdite. Sogno entrò nella direzione della Resistenza come rappresentante del Partito Liberale.
All’indomani del 25 aprile 1945 l’organizzazione poteva contare su una cinquantina di membri e su 200 “collaboratori”, di cui alcuni nelle organizzazioni fasciste. Rodolfo fu arrestato, ai primi di novembre 1944, durante un rastrellamento a Villanova (Cuneo) e se ne persero le tracce. La radio fu
salvata e continuò a operare agli ordini di Catone con un marconista locale.
Grange, ricevuto l’ordine di recarsi in Svizzera, fu arrestato a Milano dalle SS il 2 gennaio 1945 e fu trasferito nel campo di concentramento di Bolzano, essendo liberato il 30 aprile 1945. Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale – Anno XXIX – 2015, Editore Ministero della Difesa

In effetti, per tutto il corso della cobelligeranza OSS, SIS inglese e SOE hanno tratto uomini dal SIM e dalle Forze Armate italiane per le operazioni speciali e per le missioni: erano morti in queste operazioni molti più italiani che alleati.
Nel novembre del 1944 i vincoli si erano leggermente allentati ed era stata stabilita una procedura che dava maggiore libertà al Servizio italiano; erano anche stati fatti degli accordi (v. sopra) per operare su territorio straniero anche se limitatamente. Tutti gli accordi e i contatti con il SIM in Italia continuavano a essere tenuti dal SI, Italian Division (Divisione per l’Italia); qualsiasi proposta di collaborazione con gli italiani in uno stato straniero doveva essere sotto la responsabilità del Capo della Divisione e Sezione competente del SI; la Centrale del SI, MEDTO doveva servire come ‘stanza di compensazione’ tra la SI Divisione per l’Italia e le altre Divisioni competenti.
Riconoscendo questi importanti contributi, finalmente, nel gennaio 1945, <15 la SI Divisione per l’Italia dell’OSS diede luce verde affinché fossero comunicate al SIM tutte le informazioni concernenti quelle attività dei e per i patrioti, organizzate dagli anglo-americani, prima ritenute riservate.
In realtà il problema era stato sollevato a metà gennaio quando uno degli Uffici della Field Base F OSS americana, nella persona del tenente colonnello Kenneth Baker aveva espresso dei dubbi per iscritto, il 15 gennaio 1945, sul fatto che erano stati passati al SIM alcuni rapporti segreti. Ricordava che quando la base era stata costituita presso gli Allied Forces Headquarters, 2677 Headquarters Regiment, due ufficiali del Stato Maggiore Generale italiano erano stati distaccati alla “Base F”, i maggiori Adam e Coisson. Costoro si erano integrati molto bene, riscuotendo la stima e il rispetto dei colleghi americani e italiani presenti in quel distaccamento. Però questi due ufficiali avevano fatto rapporto della loro attività presso quella “Base F” direttamente alla Centrale del SIM, dalla quale, bisogna ricordare, dipendevano amministrativamente e disciplinarmente. Peraltro le loro comunicazioni erano transitate attraverso i canali della Base, in modalità aperta. I rapporti erano stati passati al maggiore Corvo e l’ulteriore distribuzione di quei documenti era stata lasciata alla sua responsabilità. Il Baker notava che negli ultimi rapporti inviati, in alcune pagine erano stati dati dettagli delle operazioni svolte da quella Base e quindi il Baker chiedeva al colonnello Glavin, responsabile dell’OSS nel Quartier Generale di Algeri, il suo parere sulla possibilità di passare in genere questo tipo di rapporti al SIM Quei documenti con dettagli, sui quali si era appuntata l’attenzione del Baker, non sembravano mettere in pericolo la sicurezza della ’Base’ ma si chiedeva se per il futuro fosse opportuno passare questo tipo di informazioni al Servizio italiano. Venivano cioè richieste delle direttive precise al riguardo e addirittura se era o non era opportuno distribuire questi rapporti anche a Corvo e a Scamporino. Forse un eccesso di prudenza o…di zelo? O ancora sfiducia nei cobelligeranti nonostante più di un anno di attività in comune e con risultati professionali riconosciuti notevoli da molte parti?
William Maddox, allora a Capo del SI nel teatro operativo del Mediterraneo (MEDTO) <16 rispose rapidamente e con chiarezza, il 22 gennaio, a chi aveva sollevato dei dubbi: a suo giudizio i due ufficiali che avevano informato il SIM italiano delle loro attività non avevano fatto nulla di illecito e non lo facevano…. sempre che ovviamente non fosse messa in pericolo in pericolo la sicurezza dell’OSS. Comunque tutti i rapporti dovevano essere inviati a Scamporino, il quale li avrebbe valutati, nel senso di verificare se vi fossero pericoli per la sicurezza della missione o della Base, e poi inviati ai destinatari in indirizzo, tra i quali il SIM.
Il giorno dopo, 23 gennaio, Scamporino scrisse a Maddox che naturalmente bisognava sempre tenere a mente la protezione della sicurezza nelle varie operazioni e quindi decidere di volta in volta quali informazioni veicolari e quali tenere ancora segrete. Occorreva considerare, però, come i civili italiani, l’Esercito, la Marina, l’Aviazione italiana e i vari partiti politici fossero tutti impegnati in uno sforzo congiunto nella Resistenza: vi era dunque un unico comune obiettivo e chi aveva più da perdere in quella situazione erano proprio gli italiani e soprattutto quelli che partecipavano in gran numero alle missioni segrete, che erano per la maggior parte di natura strettamente militare. Ecco perché – riteneva Scamporino-, le notizie sulle operazioni speciali dovevano e potevano essere comunicate all’organo informativo italiano. Poteva non essere opportuno rivelare in alcuni rapporti che comunque circolavano, l’esatta ubicazione delle basi operative per le missioni speciali e, infatti, questa parte era normalmente omessa nei rapporti distribuiti al SIM. Naturalmente non se ne parlava proprio di fornire informazioni sulla parte solamente americana delle operazioni segrete: …all of the above, however does not apply in any way to our secret intelligence operations. The rule there is a hard and fast one. We do not disclose to any foreign Agency, Allied or otherwise, what we are doing.
Our verbal understanding with SIM does not in any way include any disclosure on our part of operational details…parole dure di una chiarezza cristallina.
[NOTE]
15 NARA, RG 226, NND- 974345, 23 gennaio 1945.
16 Nella vita civile era un professore di Scienza Politica che insegnava Relazioni Internazionali all’Università di Harvard e a Princeton.
Maria Gabriella Pasqualini, La ricostituzione dei servizi d’informazione militare italiana nel periodo 1944-1949, Convegno CISM, 2012

.. punto di sbarco e imbarco alla foce del Polcevera, nel Cantiere ILVA di Voltri.
Qui, la notte fra il 1° e il 2 febbraio 1944, sbarcò da due PT americane, una delle quali ebbe un’avaria, la missione LLL/2 Charterhouse (Tail Lamp 2), del sottotenente Italo Cavallino, Siro, comprendente il sottotenente istruttore di sabotaggio Nino Bellegrandi, Annibale, e il radiotelegrafista di Marina Secondo Balestri, Biagio, con una radio ricetrasmittente italiana in valigia.  Cavallino e Balestri furono inviati nella zona di Mondovì, in Val di Pesio, presso la formazione del capitano degli alpini Piero Cosa; Bellegrandi rimase come istruttore a Genova…  Una serie di gravi imprudenze, il sospetto del C.L.N. regionale che la Otto stesse perseguendo fini militari e politici particolaristici, l’organizzazione attiva ed efficiente dello SD genovese, portarono alla rapida fine della Otto. Non è ben chiaro, nonostante le molte inchieste, chi fu la causa della cattura in serie dei membri dell’organizzazione: certo è che Siro fu catturato il 13 marzo nell’albergo Tre Limoni di Mondovì; la mattina del 29 marzo egli si incontrò, per caso, a Genova, con Cottini, che venne a sua volta arrestato il giorno dopo. Fu catturato anche Edgardo Sogno, che.. scappò… Caddero nella rete anche gli operatori radio, le radio, i cifrari, i piani per i lanci; cadde in conseguenza, tutta l’organizzazione messa in piedi dagli Alleati, tramite Genova, compreso il collegamento radio instaurato con Firenze… Non dissimile fu il caso della missione Zucca del 2677° reggimento O.S.S.-U.S.Army. Ne era a capo il tenente di artiglieria Piero Ziccardi, Zucca, Bruno, che, da Roma, fu inviato a Genova per attuare un collegamento fra il Comando Supremo e la città, con l’aiuto degli americani. Egli iniziò a tessere una rete informativa che ebbe un duro colpo la notte del 22 febbraio [1944], a Riva Santo Stefano [allora unico comune], quando la polizia sorprese alcuni appartenenti all’organizzazione che  attendevano un sommergibile alleato che doveva sbarcare materiale. Vi fu uno scontro a fuoco, una radio fu sequestrata e fu perduta una borsa piena di documenti.  Finalmente dal Sud giunsero gli altri membri della Zucca (capitano paracadutista Enzo Stimolo, Giuseppe Stimolo e Alberto Blandi)…
Ammiraglio Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale – Anno XXIX – 2015, Editore Ministero della Difesa