Roma, la Resistenza: cenni

Renato Guttuso, La Resistenza – Fonte: Aldo Pavia, Op. cit. infra
Fonte: Fondazione Gramsci

Il 10 settembre 1943, la zona sud di Roma è teatro di uno degli episodi più drammatici ed eroici della Resistenza: la battaglia di Porta San Paolo: l’estremo, disperato tentativo da parte dei militari e dei civili italiani di opporsi all’occupazione tedesca della capitale avviata subito dopo l’annuncio dell’armistizio.
A seguito della caduta del fascismo e della formazione del governo Badoglio, nella capitale erano confluite alcune divisioni dell’esercito regio. Contemporaneamente i partiti di sinistra, tornati allo scoperto e appena tollerati dal nuovo presidente del consiglio, iniziarono ad organizzare i primi nuclei militari composti da militanti antifascisti, coordinati da una Giunta militare nata alla fine d’agosto e diretta dai comunisti Luigi Longo, Giorgio Amendola e Mauro Scoccimarro; dagli azionisti Riccardo Bauer, Ugo La Malfa ed Emilio Lussu; dai socialisti Pietro Nenni e Giuseppe Saragat.
Dunque, al momento dell’annuncio dell’armistizio, la sera dell’8 settembre, la possibilità di difendere la città dall’imminente attacco nazista non è da escludere. Ma all’alba del 9 il re Vittorio Emanuele III, Badoglio e le autorità militari abbandonano Roma senza impartire nessuna direttiva precisa, lasciando l’esercito nella più assoluta incertezza.
Sin dalla notte dell’8 settembre avvengono combattimenti alla periferia della capitale: i militari italiani hanno la peggio e sono costretti a ritirarsi. La mattina del 10 una parte di questi si riunisce intorno a Porta San Paolo dove li attendono i civili giunti spontaneamente od organizzati dai partiti antifascisti. Si ritrovano così fianco a fianco, tra gli altri, i superstiti della Divisione «Granatieri di Sardegna», i Lancieri del battaglione «Genova Cavalleria», alcuni reparti della Divisione «Sassari» e moltissimi civili armati alla meglio.
Nonostante la schiacciante superiorità numerica e d’armamento delle truppe tedesche comandate dal maresciallo Kesselring, Il fronte resistenziale riesce ad attestarsi lungo le mura di Porta San Paolo, innalzando barricate e facendosi scudo delle vetture dei tram rovesciate.
Nel corso della battaglia si distinguono militari come il generale Giacomo Carboni, comandante del Corpo d’armata motocorazzato, che si prodiga nel tenere alto il morale dei soldati: manda i carabinieri a staccare i manifesti disfattisti che danno per imminenti le trattative con i tedeschi, fa spargere la notizia dello sbarco ad Ostia degli alleati e dell’arrivo a Roma delle divisioni «Ariete» e «Piave». Combattono valorosamente i tenenti colonnello Enzo Nisco e Franco Vannetti Donnini, i capitani Giulio Gasparri e Camillo Sabatini, i tenenti Francesco Saint-Just, Gino Nicoli, Guido Bertoni, Vincenzo Fioritto, il carrista Salvatore Lo Pizzo e tanti altri soldati.
Molti anche i civili che pagano con la morte il loro eroismo: l’operaio diciottenne Maurizio Cecati è colpito a morte mentre incita i suoi compagni alla lotta; il fruttivendolo Ricciotti che, finito il lavoro ai mercati generali, si era improvvisato eccezionale tiratore; muore colpito da una scheggia Raffaele Persichetti, professore di storia dell’arte al liceo classico «Visconti». Persichetti sarà la prima medaglia d’oro della Resistenza.
Complessivamente nella battaglia di Porta San Paolo muoiono quattrocento civili tra cui quarantatré donne.
Molti anche i dirigenti dei partiti antifascisti presenti sul luogo della battaglia: tra gli altri, Luigi Longo, Antonello Trombadori e Fabrizio Onofri del PCI; Emilio Lussu e Ugo La Malfa del PdA; Sandro Pertini, Eugenio Colorni, Mario Zagari del PSIUP; Romualdo Chiesa e Adriano Ossicini del Movimento dei cattolici comunisti; il sindacalista socialista Bruno Buozzi.
Nel primo pomeriggio la resistenza è travolta dai mezzi corazzati tedeschi e il capo di stato maggiore della Divisione «Centauro», Leandro Giaccone, firma la resa a Frascati, presso il Quartier generale tedesco.
La battaglia di Porta San Paolo è considerata il vero e proprio esordio della Resistenza italiana e in lei si può misurare emblematicamente il comportamento dei vari protagonisti. Le istituzioni, la cui assenza è ben rappresentata dalla fuga del re e del governo; l’esercito, diviso tra chi sceglie di combattere e chi, come il vecchio maresciallo d’Italia Enrico Caviglia, tratta con il nemico; gli organi politici antifascisti, che imboccano decisamente la strada della lotta di liberazione con la costituzione del CCLN ; infine la popolazione, che, nonostante la paura, sceglie numerosa, almeno in questa occasione, la solidarietà antinazista contro l’indifferenza.
Nelle stesse ore, a centinaia di chilometri di distanza, si consuma un altro tragico episodio di eroismo italiano e di violenza nazista: il martirio del presidio militare di Cefalonia.
Redazione, Porta S. Paolo e la Difesa di Roma, Storia XXI secolo

Società italiana per lo studio della storia contemporanea, Il mestiere di storico, Annale III/2002 Istituto Romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza – Associazione nazionale Partigiani d’Italia (Comitato Provinciale di Roma), Documenti della Resistenza a Roma e nel Lazio, CD e testo, Roma, Biblink, pp. 192, € 31,00
Da quando Enzo Piscitelli nel 1965 scrisse la sua Storia della Resistenza romana non sono mancati i contributi di alcuni studiosi sul tema, ma nessuno vi è tornato con lo stesso impegno e la stessa ampiezza di sintesi. Tra le molte ragioni di questa assenza di rivisitazione storiografica vi è stata anche una notevole dispersione delle fonti documentarie tra diversi archivi e raccolte private. Questo CD con la relativa guida alla lettura dei documenti in esso contenuti raggruppa invece una cospicua quantità di fonti archivistiche di diversa provenienza – archivi di Stato, comunali, militari, giudiziari, ecc. – organizzandole in diverse sezioni e sottosezioni tematiche. Di notevole interesse è il materiale proveniente da archivi stranieri, in particolare i National Archives di Washington e l’Archivio militare di Friburgo. Molto suggestive le testimonianze orali provenienti dall’Archivio sonoro “Franco Coggiola”, scelte da Sandro Portelli. Per evidenti ragioni di spazio pochi documenti sono proposti integralmente e non tutti gli stralci appaiono particolarmente significativi, ma naturalmente il materiale presentato vuole costituire un primo approccio e una guida a ricerche che necessariamente dovranno passare attraverso la consultazione diretta dei documenti negli archivi d’origine.
Quando in un futuro verrà il tempo di lasciarsi dietro le spalle “la gloriosa lotta di tutto il popolo romano contro gli aguzzini nazi-fascisti” e le lagrime, più o meno sincere, sui poveri riservisti altoatesini “vilmente trucidati in via Rasella dai cinici partigiani comunisti” [n.d.r.: azione, quest’ultima, come ben noto, dei GAP romani cui conseguì la non annunciata, imprevista, rapida, spietata rappresaglia nazista delle Fosse Ardeatine], quando cioè, per richiamarsi a Marc Bloch, “robespierristi” e “antirobespierristi” lasceranno il campo a chi vorrà spiegarci chi era veramente Robespierre, quando si vorrà finalmente ricostruire e capire che cosa è stata veramente la Resistenza a Roma, tutto questo materiale sarà di grandissima utilità.
Gabriele Ranzato, Biblink editori

da Mercurio anno I, n. 4, dicembre 1944 – Fonte: Biblioteca Gino Bianco

Nota soprattutto per la battaglia di Porta San Paolo e per l’azione di via Rasella, la Resistenza romana non è stata finora indagata al pari di quella di altre città del nord, e così pure quella laziale. Il suo studio è ora agevolato dalla vasta raccolta in CD, condotta dall’Irsifar e dall’Anpi dal titolo “Documenti della storia della Resistenza a Roma e nel Lazio”. Si tratta di materiali selezionati da archivi italiani e stranieri, da giornali, da testimonianze e memorie, e organizzati in diverse sezioni: la sconfitta e l’armistizio, l’occupazione militare, il terrore, la situazione sociale e politica, il movimento di resistenza, lo sbarco di Anzio e la battaglia di Cassino, il 4 giugno.
La raccolta ripercorre i passaggi nodali, ma ricostruisce anche il contesto sociale, le posizioni delle forze politiche e il ruolo delle istituzioni, in linea con la maggiore attenzione che gli studiosi negli ultimi anni hanno rivolto all’approfondimento delle realtà resistenziali locali si veda ad esempio la pubblicazione, presso Einaudi nell’ultimo anno del primo volume del Dizionario della Resistenza (a cura di Enzo Collotti, Renato Sandri e Frediano Sessi, pp. 617, £. 120.000); o dell’Atlante storico della Resistenza italiana edito dalla bruno Mondadori (pp. 160, £. 88.000, con prefazione di Giorgio Rochat). Particolare attenzione è poi attribuita alla rinascita della società civile e all’affermazione di una identità opposta al fascismo.
La consistenza minore della produzione storiografica sugli eventi della capitale e della sua regione è dovuta al fatto che qui la Resistenza ebbe una dimensione minore rispetto al Settentrione. Più limitate furono infatti le azioni di guerra e di sabotaggio e l’ostilità verso le truppe naziste e fasciste fu meno evidente. Ma, sebbene il movimento partigiano fosse meno diffuso e di inferiore capacità offensiva, a Roma fu organizzato l’attentato di via Rasella, una delle maggiori azioni di guerra e di più alto valore simbolico di tutta la durata del conflitto.
Nel Lazio la Resistenza si sviluppò in modo differenziato per zone, ma complessivamente si può distinguere tra l’area meridionale -dove le formazioni partigiane si organizzarono più velocemente per la vicinanza con il fronte e condussero una lotta più scoperta- e l’area dell’alto Lazio dove il movimento si organizzò con il passare dei mesi, quando fu evidente che i tempi della liberazione sarebbero stati più lunghi del previsto, e condusse una guerriglia più simile a quella montana del nord d’Italia.
Corredata di un volume guida alla lettura dell’intero CD, con saggi introduttivi sull’inquadramento nel contesto storiografico e sulle scelte del tipo di fonti (con testi di A. Parisella, A. Pompeo, A. Portelli, C. Natoli, G. Arfeè), l’opera è stata pensata anche come strumento didattico (l’Irsifar in questi anni ha avuto particolare attenzione al mondo della scuola e dell’aggiornamento degli insegnanti). E in proposito F. Piva, nell’introduzione, sottolinea come questa attenzione sia rilevante «nell’attuale congiuntura politico culturale, una fase in cui da più versanti e con diversa angolatura la storia viene usata come strumento di lotta politica per delegittimare le basi fondative della Repubblica (l’antifascismo, la Resistenza, la Costituzione) e, più in generale, per divulgare interpretázioni grossolanamente deformate della storia post unitaria del nostro paese».
Grazia Pagnotta, Il Manifesto, 20 giugno 2001, qui ripreso da Biblink editori

All’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, Roma fu immediatamente occupata dai nazisti e tra i militari delle varie Armi del Regio Esercito già il 23 nacque in città il Fronte militare clandestino fondato su indicazione del generale Antonio Sorice, e guidato dal colonnello di stato maggiore Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, fino al gennaio 1944, quando fu catturato dai tedeschi. Sempre a Roma, il mese successivo seguì la costituzione del Fronte clandestino di resistenza dei carabinieri guidati dal generale Filippo Caruso, nota per questo anche come “Banda Caruso”. Su ordine del generale Caruso, il tenente colonnello dei carabinieri Ugo Luca, in servizio presso il Servizio informazioni militare, rimasto a Roma durante l’occupazione nazista e divenne responsabile del Nucleo informativo del Fronte militare clandestino, in collegamento con il Comando carabinieri Italia Meridionale. Il 12 dicembre 1943 il Fronte militare clandestino sottrae al Poligrafico dello Stato, in piazza Verdi, una notevole riserva di carta filigranata del tipo impiegato per stampare carte annonarie, quanto mai preziose per la crescente fame in città (nello stesso giorno i fornai ricevono l’ordine di panificare solo a giorni alterni, per carenza di farine). Con la carta sottratta verranno clandestinamente realizzate e distribuite mezzo milione di tessere contraffatte. Dipendevano dal “Fronte” il centro R, al comando del ten.col. Ernesto Boncinelli, con compiti informativi e il centro X, per i collegamenti radio clandestini, dove operava il ten.col. Ettore Musco. Fino al marzo 1944 il Fronte fu comandato dal generale Quirino Armellini, poi sostituito dal governo Badoglio dal generale Roberto Bencivenga. Il 16 maggio 1944 il fronte clandestino fu indebolito da numerosi arresti: dal 16 maggio al giorno 23 dello stesso mese si susseguirono gli arresti della Gestapo: il ten. col. Luigi Cano, il maggiore Alfio Brandimarte, del Fronte militare clandestino, il capitano Fulvio Mosconi, capo della banda Fulvi. Il 29 anche il capo di stato maggiore, il gen. Angelo Odone. A fine maggio i tedeschi scoprirono le fila dell’organizzazione e il rifugio in Laterano di Bencivenga: un’irruzione fu sventata dall’intervento della Santa Sede, fino all’arrivo il 4 giugno 1944 degli Alleati a Roma . Complessivamente contò su 16.500 aderenti (4.800 della banda Caruso), di cui 2.300 attivi. Wikizero

Ricevuta nazista per il contributo a raggiungere la somma richiesta da Kappler agli Ebrei romani

 

La Sinagoga di Roma. Foto: R. G.
La Sinagoga di Roma. Foto: R. G.

La “soluzione finale” per gli ebrei romani arriva il 24 settembre 1943 con l’ordine da Berlino di “trasferire in Germania” e “liquidare” tutti gli ebrei “mediante un’azione di sorpresa”. Il telegramma riservatissimo è indirizzato al tenente colonnello Herbert Kappler, comandante delle SS a Roma. Nonostante il colpo delle leggi razziali, gli ebrei a Roma non si aspettano quello che sta per accadere: Roma è “città aperta”, e poi c’è il Papa, sotto l’ombra della cupola di San Pietro i tedeschi non oserebbero ricorrere alla violenza. Le notizie sul destino degli ebrei in Germania e nell’Europa dell’Est sono ancora scarse e imprecise. Inoltre, la richiesta fatta il 26 settembre da Kappler alla comunità ebraica di consegnare 50 chili d’oro, pena la deportazione di 200 persone, illude gli ebrei romani che tutto quello che i tedeschi vogliono sia un riscatto in oro. Oro che con enormi difficoltà la comunità riesce a mettere insieme e consegnare due giorni dopo in Via Tasso, nella certezza che i tedeschi saranno di parola e che nessun atto di violenza verrà compiuto. Nelle stesse ore le SS, con l’ausilio degli elenchi dei nominativi degli ebrei forniti dall’Ufficio Demografia e Razza del Ministero dell’Interno, stanno già organizzando il blitz del 16 ottobre.
C’è una lapide sulla facciata della Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte a Via del Portico d’Ottavia, quasi di fronte alla Sinagoga. Ricorda che “qui ebbe inizio la spietata caccia agli ebrei”. Qui, in un’alba di 56 anni fa, si radunarono i camion e i soldati addetti alla “Judenoperation” nell’area del ghetto, dove ancora abitavano molti ebrei romani.
[…] Dopo il 16 ottobre 1943, la polizia tedesca catturò altri ebrei: alla fine scomparvero da Roma 2091 ebrei. Uno dei momenti più tragici fu il massacro delle Fosse Ardeatine; in queste cave di tufo abbandonate, fuori dalle porte della città e contigue alle vecchie catacombe, il 24 marzo 1944 furono trucidati 335 uomini di cui 75 ebrei.
Roma fu liberata il 4 giugno 1944 e la capitolazione finale di tedeschi e fascisti si ebbe il 2 maggio 1945. Nel 1946, le vittime accertate per deportazioni da tutta Italia furono settemilacinquecento e quelle per massacri mille; gli abbandoni per emigrazione, cinquemila. Dalla comunità di Roma, oltre ai 2091 deportati e morti, mancavano alla fine della guerra anche molti emigrati. Nel biennio 1943-1945 le perdite della popolazione ebraica in tutta Italia furono all’incirca 7750, pari al 22% del totale della popolazione ebraica nel nostro Paese.
Bibliografia
L’oro di Roma
Testimonianze sul 16 ottobre 1943 […]
Redazione, 16 ottobre 1943. La deportazione degli ebrei di Roma, resistenzaitaliana.it

La vicenda che riguarda i carabinieri romani ha inizio il 6 ottobre 1943, giorno in cui viene emesso l’ordine di disarmo dei carabinieri, ordine firmato da Rodolfo Graziani.
[…]
Il viaggio dei carabinieri romani è il viaggio degli ebrei del ghetto di Roma, di quelli toscani e non. È il viaggio dei deportati politici, dei partigiani, di tanti cittadini comuni destinati al sistema concentrazionario nazista.
È il viaggio della disperazione verso la tragedia, è il viaggio in cui si manifestano quegli elementi che conducono e condurranno alla spersonalizzazione di ogni singolo individuo destinato alla crudeltà dei campi di concentramento e di sterminio.
È il viaggio della disumanizzazione in vagoni piombati, pigiati l’uno contro l’altro senza neppure distendere i corpi in una posizione adeguata o comunque sopportabile. È un viaggio verso l’ignoto che, a causa dei bombardamenti e dei transiti interrotti, durerà per giorni e diventerà ogni giorno di più di un calvario per l’angustia dello spazio, l’aria inquinata, l’afa. Ogni tanto le porte dei vagoni vengono aperte per dare sfogo ai loro bisogni lungamente trattenuti tanto che qualcuno dovrà aprire a mo’ di vaso la gavetta o qualche barattolo vuoto se non gettare le mutande al momento in cui si aprono i portelloni.
All’arrivo sono sospinti all’interno del campo recintato da doppio filo spinato, ammassati in fetide baracche prive di pavimento e illuminazione.
Così come avvenuto per gli altri deportati anche i carabinieri sono oggetto di un processo di spersonalizzazione a cominciare dal numero di matricola inciso su una piastrina di riconoscimento passando per la perquisizione della propria persona e dei propri effetti, infine erano sottoposti al bagno, alla disinfezione personale e degli abiti, prima di essere assegnati alle baracche.
Una volta all’interno del lager la quotidianità è scandita dalla fame, dal freddo, dall’assenza di assistenza sanitaria, dagli appelli che si ripetevano più volte qualora la conta non tornava. Per coloro che erano avviati al lavoro coatto la sveglia era all’alba e una volta effettuato l’appello venivano condotti nei luoghi di impiego (industrie minerarie e pesanti) dove lavoravano dodici ore al giorno per sei giorni, orario che si estendeva fino alle 18 ore in caso di punizioni o di esigenze particolari.
Filippo Mazzoni, 7 Ottobre 1943: la deportazione dei carabinieri romani, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Pistoia

La relazione distingue due gruppi di organizzazioni in Roma: il Fronte clandestino militare che, «in diretto collegamento col Comando Supremo italiano, raggruppava tutti gli elementi militari, organizzandoli in bande e gruppi di bande»; e il Fronte clandestino di resistenza, «costituito dalle formazioni armate dei vari partiti politici che operavano per proprio conto e da altre formazioni collaterali» (alleg. 1, p. 4).
La organizzazione di comando del Fronte militare, di cui diligentemente si occupa la relazione, è già nota nelle sue linee generali (da Montezemolo ad Armellini e Bencivenga) e quindi non la riportiamo. Interessa di più il censimento delle sue forze, che si riferisce all’aprile-maggio 1944.
Lo riassumiamo brevemente, attingendo all’allegato 1.
Comando del Fronte militare: gen. Bencivenga e Odone, col. Pacinotti e 325 uomini, con vari uffici collegamenti, informazioni ecc. Dal comando (12 membri del quale furono fucilati nel corso della lotta) dipendevano vari organismi:
a) Comando Gruppo Settori (gen. Caratti, col. Simonetti), a cui «era affidata la responsabilità dell’attività in senso offensivo, difensivo e di ordine pubblico nell’interno della città». Si articolava in tre Comandi di Settore
(affidati al gen. Tamassia, al col. Del Bello ed al gen. Girotti) e comprendeva le seguenti bande: D’Annunzio, Chiodi, Bianchi, Neri, Filippo, Strappo, Manfredi, Pilotta, Piccoli, Alfieri, Bartolucci, Accilli, con una forza totale di 4.660 uomini. Tutte queste bande svolsero unicamente attività assistenziale e propagandistica, tranne la banda Neri che vantava sabotaggi di automezzi, taglio di linee telefoniche, rimozione di mine, nonché scontri con elementi tedeschi non meglio identificati. Perdite del gruppo bande: 13 fucilati, 10 feriti, 22 arrestati.
b) Comando Gruppo Bande di Riserva (t. col. Salvati), i cui compiti non appaiono chiaramente distinti da quelli delle bande precedenti. Comprendeva le seguenti bande: Napoli, Granatieri di Sardegna, Valenti, Fulvi, Umberto, per un totale di circa 4.870 uomini. La banda Valenti (comandante cap. Costanzo, oltre un migliaio di aderenti, di cui però solo 150 attivi) risulta l’unica ad avere svolto azioni offensive (una cinquantina, tra cui il deragliamento di un treno); vantava una cinquantina di caduti. Le altre bande, oltre all’attività assistenziale e propagandistica, avevano trasmesso informazioni sui movimenti di truppe e effettuato modeste ostruzioni stradali (chiodi a quattro punte). Da notare che la banda Umberto riuniva circa 500 elementi della PS e della PAI. Perdite del gruppo bande: 7 fucilati e 10 arrestati, più i caduti della banda Valenti.
c) Organizzazione antisabotaggio (gen. Cortellessa), con circa 300 uomini, che salvarono dalla distruzione vari impianti di interesse pubblico.
d) Organizzazione Commissariati (cap. Battisti), con 450 uomini che avevano il compito di occupare i commissariati di PS all’atto della ritirata tedesca per garantire la continuità dell’ordine pubblico
e) Banda Caruso (gen. Caruso), che riuniva circa 4.800 (in altro specchio 5.500) carabinieri, quelli che erano riusciti a sfuggire all’internamento voluto dai tedeschi nell’ottobre 1943. Compiti assistenziali, propagandistici e di ordine
pubblico.
f – g – h) Organizzazioni di corpo della R. Guardia di Finanza (gen. Crimi, 250 uomini), della R. Marina (amm. Maugeri, 1.100 uomini) e della R. Aeronautica (gen. Cappa, 2.500 uomini).
In merito la relazione fornisce poche notizie, talora contraddittorie: marina ed aeronautica, ad esempio, non figurano nello specchio riassuntivo delle forze annesso all’allegato 1 B.
Per questi 16.500 uomini del Fronte militare, di cui 2.300 attivi i comandi competenti proposero 704 tra ricompense ed onorificenze: 18 medaglie d’oro, 24 d’argento e 10 di bronzo alla memoria, una medaglia d’oro, 128 (sic) d’argento, 189 di bronzo ai vivi, più 180 croci di guerra, 58 promozioni, 41 encomi, 4 passaggi in servizio attivo ed un totale di 51 onorificenze dei vari ordini militari.
La «banda Caruso» faceva la parte del leone con 170 proposte di ricompensa per i suoi 300 aderenti attivi, nessuno dei quali risulta (dalla relazione) aver compiuto azioni offensive
Giorgio Rochat, Una relazione ufficiale sui militari nella resistenza romana, Rete Parri

[…] con la motivazione di voler tacitare il malcontento popolare che vedeva nell’ozio degli ebrei un’offesa per gli italiani impegnati in guerra, il Ministero dell’interno ordinò in data 6 maggio 1942 la precettazione a scopo di lavoro di tutti gli ebrei di età compresa tra i 18 e i 55 anni, escluse le donne in stato di avanzata gravidanza o con figli in minore età.
In realtà questa direttiva non decollò mai pienamente per una serie di motivi (l’inadeguatezza di alcuni al lavoro manuale, la mancanza di tempestività da parte di molte prefetture nell’applicazione del decreto e, infine, la caduta del fascismo dopo breve tempo), per cui gli ebrei effettivamente avviati al lavoro non furono molti e per lo più vennero utilizzati in aziende agricole o in lavori stradali. A Roma nel 1942 furono impiegati 176 ebrei per lavori di pulitura degli argini del Tevere.
Manola Ida Venzo, Le leggi razziali in Italia in Liberi. Storie, luoghi e personaggi della Resistenza del Municipio Roma XVI, a cura di Augusto Pompeo, Municipio Roma XVI in collaborazione con l’ANPI, 2005

6 ottobre [1943]
Il neonato ministero della Difesa Nazionale emette un bando per la costituzione delle forze armate dello Stato nazionale (RSI). Gli ufficiali residenti a Roma devono presentarsi alla caserma del 2° Granatieri.
7 ottobre
In viale delle Milizie i fascisti della GNR e un reparto della PAI rastrellano le case alla ricerca dei renitenti al lavoro obbligatorio.
Un milite della Guardia repubblicana, Giuseppe Tirella , uccide Rosa Calò Guarnieri Carducci, una madre che cercava di non fare arrestare il figlio che, per non rispondere alla precettazione al lavoro, si era nascosto in un armadio di casa.
Vengono rastrellati i Carabinieri e più di 1.500 vengono deportati in Germania. 28 ufficiali, 342 sottufficiali, 561 carabinieri e 650 allievi . Tra loro Mario Bonistalli che finirà nel KL Dachau e verrà liberato il 29 aprile 1945, e Abramo Rossi. Saranno 12 gli Allievi Carabinieri romani che moriranno in prigionia. Riescono ad evitare l’arresto Raffaele Aversa, Romeo Rodriguez Pereira, Genserico Fontana , Giovanni Frignani che entreranno nella Resistenza. Tutti e quattro verranno assassinati alle Cave Ardeatine.
Eugenio Colorni, con Luisa Usellini, fa saltare in aria un pilone radio a San Paolo.
A Bellona vengono assassinate 54 persone per rappresaglia in seguito all’uccisione di un soldato tedesco che aveva tentato di stuprare una ragazza.
8 ottobre
Il Maresciallo d’Italia, generale Rodolfo Graziani fa affiggere sui muri della capitale un bando per ingaggiare operai, promettendo una paga giornaliera di 12.50 lire nette,oltre a 20 lire per la moglie, 5 lire per ogni figlio a carico e 10 lire per ogni genitore. Nonché l’esenzione da ogni richiamo alle armi. Le iscrizioni al bando cesseranno quando verrà raggiunto il totale di 90.000 lavoratori. Nei confronti degli inadempienti saranno presi gravi provvedimenti estesi anche ai loro famigliari.
Il generale Chieli parla agli ufficiali che si sono presentati alla caserma del 2° Granatieri, ordinando loro di raggiungere Firenze. Una volta raggiunta la città, potranno scegliere se militare con Graziani o essere internati. Chi non avrebbe raggiunto Firenze sarebbero stati scovati dai tedeschi e internati a loro volta.
Il generale Raffaele Cadorna, comandante della Divisione “Ariete”, e il generale Fenulli, vicecomandante, offrono il loro contributo al colonnello Montezemolo.
9 ottobre
I tedeschi fanno affiggere un manifestino di appoggio a quello di Graziani. Vi si legge che gli appartenenti alle classi 1921-1925 sono chiamati al lavoro dalle Autorità italiane, per ordine del Comando Superiore Tedesco e che chi cercherà di sottrarvisi sarà punito secondo le leggi germaniche di guerra.
A Caserta si stabilisce il quartiere alleato del Mediterraneo.
10 ottobre
A Ladispoli due militi dei battaglioni M catturano 6 giovani romani, renitenti alla leva. Li portano sulla spiaggia e lì inizia un crudele gioco. Ai giovani viene messo in mano un cerino acceso. Verrà ucciso chi farà spegnere il cerino per primo. E il primo è Ferruccio Fumaroli. Un tedesco lo abbatte con un colpo di rivoltella alla nuca. Poi ne viene ucciso anche un secondo. Infine due tedeschi, a raffiche di mitra, uccidono anche gli altri quattro.
Chiodi a quattro punte vengono disseminati sulle vie Appia, Casilina, Tuscolana, Ardeatina e Laurentina.
Si costituisce il primo nucleo del Fronte Clandestino Militare della Resistenza dei Carabinieri, al comando del generale Filippo Caruso. Capo di Stato Maggiore il maggiore Ugo De Carolis.
11 ottobre
Viene fucilato a Forte Bravetta l’operaio Giacomo Proietti, condannato a morte per detenzione di armi.
12 ottobre
6 componenti di un gruppo armato che nella notte precedente aveva tentato di impossessarsi di generi alimentari e di vestiti in via Gelsomino, vengono giustiziati.
Ad Ariccia viene effettuato un rastrellamento che porta alla cattura di 190 giovani.
Le truppe naziste massacrano 23 civili a Caiazzo.
13 ottobre
Gli uomini di Kappler saccheggiano il Tempio Maggiore della Comunità ebraica impossessandosi dei libri antichi, dei preziosi manoscritti e di documenti di notevole valore storico.
Sulla Via Trionfale, tra le 22 e le 23, quattro gappisti del “Pescatore” attaccano con bombe a mano e colpi di mitra tre camion tedeschi. Tre i morti e qualche ferito. Dell’azione vengono ritenuti autori i carabinieri alla macchia.
A Caiazzo, nel casertano, i tedeschi del 29° Panzergrenadieren Regiment uccidono 22 civili accusati di aver fatto segnalazioni agli alleati. 7 le donne 11 i bambini.
Il Governo italiano dichiara guerra alla Germania. Americani e Russi riconosceranno agli italiani l’essere “cobelligeranti” ma non alleati.
15 ottobre
Giuseppe Bernasconi, un truffatore che dopo il 25 luglio si spacciava per alpino e dopo l’8 settembre collaboratore delle SS, con la sua banda riesce ad arrestare due dei più importanti dirigenti della Resistenza: Sandro Pertini e Giuseppe Saragat. Dopo un interrogatorio in questura, vengono rinchiusi nel Sesto braccio di Regina Coeli. Poi, visto che nulla esce dalle loro bocche, il 15 novembre vengono inviati al Terzo braccio, a disposizione delle SS.
Dai muri di Roma vengono strappati i manifesti tedeschi che incitano all’arruolamento volontario degli operai. Vengono licenziate le maestranze del Poligrafico dello Stato. Gli impianti sono destinati ad essere trasferiti al Nord.
Viene bombardata Aprilia.
16 ottobre
Rastrellamento degli ebrei romani. La “Razzia del Ghetto” inizia alle 5.30 attorno a via Portico d’Ottavia, via Arenula e Teatro Marcello. Anche nel resto della città inizia, in tutte le 26 zone operative in cui il comando tedesco l’ha divisa, la “caccia all’ebreo”. Tutti i rastrellati vengono concentrati al Collegio Militare in via della Lungara. Dopo una prima selezione, sono 1.023 gli ebrei, donne, bambini, uomini, giovani e vecchi che il 18 ottobre, dalla stazione Tiburtina partono, in vagoni piombati, alla volta di Auschwitz-Birkenau. I bambini deportati sono 244, il più piccolo, figlio di Marcella Perugia nato il giorno prima della partenza. 188 gli anziani, nati prima del 1884. La più anziana, Rachele Livoli di 90 anni. Al loro arrivo a Birkenau, entrano nel campo solo 149 uomini e 47 donne. Tutti gli altri vengono inviati immediatamente alle camere a gas. Delle donne tornerà la sola Settimia Spizzichino . 16 gli uomini che faranno ritorno alle loro case.
Prima della liberazione di Roma ne verranno catturati, soprattutto dietro delazione dai fascisti, e deportati altri 1.000.
Aldo Guadagni, impiegato della TE.TI, di Bandiera Rossa e capocellula, arrestato il 13 ottobre, viene ucciso con due colpi alla nuca e gettato dal quarto piano di via Tasso, per fingere un suicidio.
Il CLN approva un Ordine del giorno in cui si chiede la sostituzione del governo Badoglio, al quale si rifiuta obbedienza, con un governo straordinario “espressione di quelle forze politiche che hanno costantemente lottato contro la dittatura fascista e fino dal settembre 1939 si sono schierate contro la guerra fascista”. Per quanto riguarda il destino della monarchia l’Ordine del giorno si impegna a: “convocare il popolo, al cessare delle ostilità, per decidere sulla forma istituzionale dello Stato”.
Combattimenti sulla via Flaminia.
17 ottobre
Lungo le vie consolari, con i chiodi a quattro punte vengono bloccate le autocolonne tedesche. E’ questa la prima volta che, in Roma, vengono utilizzati questi chiodi. L’idea era stata di Lindoro Boccanera che li aveva notati al Museo Storico dei Bersaglieri a Porta Pia. Utilizzati dagli austriaci nella prima guerra mondiale. I chiodi vengono realizzati dapprima dal fabbro Enrico Ferola, a Trastevere.
I giornali pubblicano un comunicato tedesco che minaccia pesanti ritorsioni nei confronti delle persone che abitano lungo le strade in cui avvengono sabotaggi.
Una SS viene uccisa tra ponte Sisto e ponte Garibaldi.
18 ottobre
Alle 13.30, dal primo binario della stazione Tiburtina, parte il trasporto degli ebrei romani alla volta di Auschwitz-Birkenau. Il macchinista si chiama Quirino Zazza. I deportati, 75 per ogni carro, possono disporre per il lungo viaggio di 50 litri di acqua e dei viveri che hanno potuto portare con sé, come da ordine delle SS, per un viaggio di 8 giorni.
Qualche giorno dopo la partenza degli ebrei, alla stazione Tiburtina, per iniziativa del capostazione Caccavale, con l’aiuto di una interprete tedesca , vengono fatte fuggire dai ferrovieri circa 350 persone che , rastrellate nel napoletano, stavano per essere deportate nel Reich destinate al lavoro forzato.
I tedeschi minacciano rappresaglie nei confronti di coloro che con i chiodi sabotano le loro colonne e portano sabotaggio alle loro linee telefoniche.
A Centocelle i gappisti tentano di impadronirsi di armi e munizioni nell’aeroporto. Viene ferito il partigiano Giulio Boccacci.
Gappisti attaccano i repubblichini di guardia ad una scuola elementare di viale Mazzini, trasformata in caserma.
Il “Giornale d’Italia” deplora la comparsa di scritte antitedesche sui muri.
19 ottobre
Sulla via Salaria, davanti all’aeroporto del Littorio, viene ucciso un portaordini tedesco.
20 ottobre
Circa 40 partigiani delle borgate di Pietralata e San Basilio, appartenenti a Bandiera Rossa, e popolani attaccano la caserma presso il Forte Tiburtino, per impadronirsi di armi, medicinali e viveri . Le SS, intervenute in numero superiore ai partigiani, dopo un combattimento di breve durata ne catturano 22. Fatta loro attraversare tutta la borgata di Pietralata, vengono rinchiusi nel castello di Casal de’ Pazzi. Durante questa marcia, 3 riescono a fuggire. I 19 rimasti sono tenuti tutta la notte sotto la luce di riflettori e sotto la minaccia di due mitragliatrici. La mattina successiva vengono condotti a Palazzo Talenti, per essere giudicati dal Tribunale militare tedesco. Alla fine di un breve processo, tenuto tutto in lingua tedesca e quindi incomprensibile per i prigionieri, vengono divisi in due gruppi, uno di 9 e l’altro di 10. Uno rinchiuso in una cantina del palazzo, l’altro in una stanza al piano terra. Lo stesso giorno, nel pomeriggio, il gruppo dei 9 viene portato con un camion nei pressi di Rebibbia. Vengono consegnate loro badili e zappe e sono costretti a scavare una larga e profonda fossa. Il lavoro viene ultimato durante la notte. Il mattino del 22 ottobre alle cinque, il gruppo dei 10 condannati, a loro insaputa, a morte, con gli occhi bendati e le mani legate dietro la schiena viene fatto montare su un camion e portato al margine della fossa. I prigionieri, scortati ciascuno da un milite della PAI e da una SS, vengono, ad uno ad uno, fatti inginocchiare davanti alla fossa e uccisi con un colpo di pistola alla nuca. In cambio di un paio di stivali da ufficiale che avevano suscitato il desiderio di un caporale della PAI, viene lasciato in vita, nascosto durante il tragitto in fondo al cassone del camion, il giovane Guglielmo Mattiozzi . Ma poiché i fucilati dovevano essere assolutamente nel numero di 10, viene fermato un ignaro ciclista, diretto alla volta della città e ucciso per fare tornare i conti.
A Forte Bravetta viene fucilato Giacomo Proietti, condannato per detenzione di armi e per aver fatto fuoco contro militari tedeschi.
Nel territorio di Velletri e Colleferro in un rastrellamento vengono catturati 250 giovani e ufficiali italiani e numerosi soldati alleati.
A Vicovaro viene arrestato Riccardo Di Giuseppe.
Un proclama di Badoglio ordina di procurare danni al nemico, ovunque ed in ogni modo.
21 ottobre
Vengono uccisi due soldati tedeschi.
Con un accordo finanziario la RSI si impegna a pagare ai tedeschi, come contributo di guerra, 7 miliardi al mese. Che, dopo il 17 dicembre, diventeranno 10.
22 ottobre
I matteottini Gino Petri e Domenico Panetta, con le loro squadre si impossessano di armi e di altro materiale alla stazione Roma-Trastevere, dopo uno scontro con le sentinelle tedesche.
23 ottobre
Alla stazione Tuscolana viene danneggiato un treno merci.
Nel corso di una azione di sabotaggio dei posti di blocco sulla Tuscolana vengono arrestati i fratelli Giovanni e Carlo Lucchetti.
A Capranica Prenestina, viene fucilato il cappellano militare don Giuseppe Butturazzi, per complicità con i partigiani. Il suo corpo viene lasciato insepolto per tre giorni come monito alla popolazione.
I fascisti ricostituiscono le “squadre d’azione”.
A Forte Bravetta viene fucilato il contadino Etargenio Angelini, di Artena, sorpreso nelle campagne del suo paese con un fucile, dopo che ignoti hanno sparato colpi di arma da fuoco contro soldati tedeschi.
Le autorità fasciste sostituiscono i direttori dei quotidiani romani.
24 ottobre
Viene messo in atto un piano di fuga di prigionieri russi dal campo di concentramento dello scalo merci di Monterotondo. Il piano era stato messo a punto dai comandanti partigiani Alvaro Marchini e Francesco Zuccheri con il russo Alessio Fleisher. Un gruppo di oltre 20 di questi prigionieri viene inviato ai Castelli romani. Accolti e rifocillati ad Albano, vengono fatti proseguire per Genzano. Altri vengono inviati nei comuni tra Monterotondo e Mentana. Alcuni a Roma, in un comando clandestino a Villa Thay. Anche altri prigionieri russi, fuggiti nei primi giorni di ottobre sempre da Monterotondo, erano nascosti nella tenuta Valchetta-Cartoni, a Prima Porta.
I partigiani si impossessano delle armi nella caserma di polizia di via Guido Reni.
25 ottobre
Sulla Salaria, scontro a fuoco tra un gruppo di partigiani e i tedeschi. Feriti alcuni ufficiali.
Aldo Pavia, Resistenza a Roma. Una cronologia, resistenzaitaliana.it, 2014

Tra le formazioni partigiane di zona del Pci a Roma operarono ad esempio diversi ferrovieri: il sottotenente Spartaco Zianna vice-commissario della brigata della Prenestina, Fernando Ferri, Mario Atzori, Tullio Salvatorelli e Alfredo Orecchio. Ma nulla è possibile stabilire della eventuale attività da loro svolta nell’ambito degli impianti ferroviari. Tra i sette ferrovieri caduti alle Fosse Ardeatine figurano tre ferrovieri appartenenti al Partito d’Azione: Armando Bussi, Elio Bernabei ingegnere, e Mario D’Andrea, manovale. Ricordati in una pubblicazione dell’aprile 1945 sui caduti del Pd’A essi svolsero un’attività comune e coordinata.
I primi due, in particolare, furono arrestati da elementi della banda capeggiata da Pietro Koch il 3 marzo del 1944 e tradotti a Regina Coeli, dopo aver subito sevizie e torture presso la pensione Oltremare di Via Principe Amedeo. Armando Bussi, stretto collaboratore di Pilo Albertelli, non a caso fu inserito per primo nella lista dei cinquanta nomi di persone da fucilare fornita a Kappler dal questore Caruso e dallo stesso Koch, la cui attività repressiva – avvalendosi del contributo di un agente del Sim infiltratosi nelle file azioniste, Francesco Argentino – portò all’arresto e alla morte di quasi tutti i principali esponenti del Pd’A a Roma. <18
La presenza di questo nucleo di azionisti, lo abbiamo visto, rimanda all’attività svolta dai ferrovieri repubblicani prima e dopo l’avvento del fascismo.
18 Koch indicò 29 dei 50 nominativi chiesti dal comando tedesco alla questura di Roma per raggiungere il numero dei 335 uomini da fucilare alle Fosse Ardeatine. Di quei 29 nominativi 18 riguardavano militanti azionisti. Cfr. Massimiliano Griner, La banda Koch, Bollati Boringhieri, Torino, 2000.
Massimo Taborri, Una categoria di oppositori: i ferrovieri in Liberi op. cit.

Non è qui il luogo per un resoconto particolareggiato dell’attentato gappista e dell’atroce rappresaglia tedesca, dei quali esiste una notevolissima bibliografia. <212 Riassunti i fatti, si vuole solo precisare, sulla base delle fonti scritte, confrontate con le più recenti testimonianze orali, i tempi e i modi del ritrovamento dei cadaveri; ritrovamento avvenuto per opera dei salesiani residenti presso le catacombe di S. Callisto, a meno di 24 ore di distanza dalla strage. <213
L’attentato di via Rasella il 23 marzo 1944 – esattamente il giorno in cui le camicie nere di Salò celebravano il 25° anniversario della fondazione dei fasci – aveva causato la morte di 32 soldati tedeschi, <214 il cui comando militare decise per rappresaglia la fucilazione di dieci italiani per ogni vittima. <215
Nel primo pomeriggio del giorno seguente, prelevati dal carcere di Regina Coeli <216 e dal quartiere generale dei nazisti di via Tasso <217 335 prigionieri politici, ebrei, uomini arrestati per piccole infrazioni alle disposizione
emanate dai tedeschi, semplici sospetti, furono caricati su autocarri e portati nelle vecchie cave di arenaria (pozzolana) di via Ardeatina, fra le catacombe di Domitilla e quelle di S. Callisto, a meno di 300 metri dall’incrocio con via delle sette chiese (la via che dalla Cristoforo Colombo si ricongiunge all’Ardeatina, per poi sboccare sull’Appia).
[note]
212 Trattandosi dell’avvenimento più tragico dell’occupazione nazista di Roma se ne accenna in tutti i volumi di storia nonché, evidentemente, in tutti i libri di memorie dell’epoca. Citiamo qui solo qualche testo unicamente dedicato all’eccidio: A. ASCARELLI, Le fosse ardeatine. Bologna, Nanni Canesi, 1a ed. 1965 (2a ed. 1974, IIIa ed. 1984); C. SCHWARZENBERG C, Le fosse ardeatine. Roma, Celebes Edizione 1977, oltre al già citato A. MANNUCCI DI SANTACROCE, La strage delle cave Ardeatine. Non si può dimenticare quello del giornalista americano R. KATZ, Morte a Roma. Il massacro delle Fosse Ardeatine. Roma, Editori Riuniti 1968 (trad, dall’inglese del 1967). Il volume fu all’origine di un processo per diffamazione, che si concluse con la condanna dell’autore del volume e dei produttori del film «Rappresaglia» che ne era stato tratto. La tesi del Katz colpevolizzante Pio XII è respinta anche da R.A. GRAHAM, La rappresaglia nazista alle Fosse Ardeatine, in «La Civiltà Cattolica» q. 2963, IV, 1° dicembre 1973, pp. 467-474, raccolto in ID., // Vaticano e il nazismo. Roma 1975, pp. 75-88. Numerosi processi ai responsabili dell’eccidio furono celebrati davanti a tribunali italiani e alleati, mentre alle vittime venne innalzato un degno monumento sul luogo della strage.
213 Base del nostro resoconto è la relazione che don Valentini fece pervenire a mons. G.B. Montini in Vaticano, al comitato militare clandestino e, via radio, pure al governo Badoglio. Una copia dattiloscritta è esposta in visione al museo storico della liberazione di Roma di via Tasso ed è pubblicata in vari volumi relativi al museo stesso: vedi nota 217. Per parte nostra pubblichiamo in Appendice (n. 1) il testo – leggermente diverso da quello di via Tasso –
apparso su «Il Risorgimento liberale», il 5 giugno 1944, senza precisa indicazione del nome dell’autore. Una sintesi del documento con la scritta Confidential 82734 fu anche inviata da Roma in Inghilterra e negli Stati Uniti in data 30 giugno 1944: fotocopia in ASC F 535 Roma, 5. Callisto.
214 Non si trattava di vere SS, bensì di appartenenti all’11a compagnia del 2° battaglione Bozen, formato dall’ex comando di polizia di Bolzano, composto a sua volta da molti contadini del sud Tirolo: si veda l’articolo di A. G. Bossi Fedrigotti, uno dei primi ad accorrere sul luogo dell’attentato, in «Dolomiten» 23 aprile 1974.
215 Sulla vicenda di via Rasella, carica di interrogativi e di problemi, si è avuto un lungo dibattito storico-politico, non privo di polemiche, incertezze, continui distinguo e ricerca di responsabilità.
216 Molte le testimonianze relative alle carceri di Regina Coeli. Fra le altre: A. TRAZZERA PERNICIANI, Umanità ed eroismo nella vita segreta di Regina Coeli. Roma 1943-1944. IIa Roma, ed. Tipo-litografia V. Ferri 1959.
217 Pure sul carcere di via Tasso esistono molti scritti dati alle stampe, tutti facilmente rintracciabili nella bibliotechina del museo: vedi G. STENDARDO, Via Tasso. Museo storico della lotta di liberazione di Roma. Roma, II ed. 1971; A. PALADINI, Via Tasso. Museo storico della liberazione di Roma. Roma, Ist Poligr. e Zecca dello Stato 1986.
Francesco Motto, Gli sfollati e i rifugiati nelle catacombe di S. Callisto durante l’occupazione nazifascista di Roma. I Salesiani e la scoperta delle Fosse Ardeatine, Ricerche Storiche Salesiane, Anno XIII, N. 1, gennaio-giugno 1994

Roma: Fontana delle Api – Fonte: IRSIFAR cit. infra

Molti luoghi storici di Roma diventarono, nei mesi dell’occupazione tedesca, sedi in cui avvenivano incontri clandestini. Alcune fontane monumentali, in particolare, furono scelte come punti di incontro dai GAP romani. Massimo Sestili le ha individuate, insieme a Mario Fiorentini (“Sette mesi di guerriglia urbana”, Odradek, 2015) e ci conduce, in questo percorso che coniuga la storia romana con quella della resistenza, alla loro scoperta.
A Piazza Trilussa davanti alla Fontana dell’Acqua Paola, meglio conosciuta come il Fontanone di Ponte Sisto fatto costruire da papa Paolo V Borghese nel 1613, si riunirono nel mese di ottobre del 1943, Carlo Salinari, Giulio Cortini, Danilo Nicli e Mario Fiorentini, e costituirono i GAP Centrali. Il primo GAP centrale è stato l’Antonio Gramsci, comandato da Mario Fiorentini, ‘Giovanni’, in coppia con Lucia Ottobrini, ‘Maria’. Da quel momento i Gap di Zona, comandati da Carlo Salinari, e i GAP Centrali, comandati da Antonello Trombadori, operarono separatamente, anche se per alcune azioni particolarmente difficili collaborarono, come nelle azioni di via Giulio Cesare e di via Rasella. Sia i GAP di Zona che i GAP Centrali facevano parte dell’organizzazione militare del PCI.
[…] L’8 novembre 1943, davanti la Fontana di Piazza Mazzini, si incontrano Maria Teresa Regard (Piera) e Franco Calamandrei (Cola), per formare il GAP Centrale “Gastone Sozzi” di cui Cola è il comandante.
[…] L’11 dicembre 1943, Giovanni (Mario Fiorentini) ed Elena (Carla Capponi) sostano davanti alla Fontana delle Api tenendosi per mano con il tipico atteggiamento di due innamorati. Il loro obiettivo erano i soldati della wehrmacht che uscivano dal Cinema Barberini.
La Fontana del Tritone a Piazza Barberini è testimone del drammatico episodio. Giovanni decide di attaccare con uno spezzone di bomba ma, arrivato al centro della piazza cade dalla bicicletta. Fortunatamente i soldati tedeschi vedono cadere Giovanni in terra ma non si rendono conto di quanto sta accadendo. Giovanni si rialza, raccoglie lo ‘spezzone’ e fugge in bicicletta per via del Tritone.
[…] Il 22 gennaio 1944 gli alleati sbarcano ad Anzio-Nettuno. La mattina del 23 gennaio sono presenti intorno alla Fontana delle Tartarughe i gappisti Giacomo (Antonello Trombadori), Maria (Lucia Ottobrini), Giovanni (Mario Fiorentini) e Giuseppe Felici.
Scopo dell’incontro era lo studio delle vie del quartiere per eventuali azioni di difesa del Ghetto. I tedeschi erano impegnati sul fronte di Anzio e non ci fu bisogno di un loro intervento. Comunque gli ebrei continuarono ad essere arrestati in altri quartieri di Roma.
[…] Dopo la riunione davanti alla Fontana delle Tartarughe, Giovanni e Maria si incontrano con Giorgio Labò presso la Fontana dei Quattro Fiumi a Piazza Navona per studiare dei piani d’attacco contro i nazifascisti. Mario Fiorentini e Giorgio Labò, in previsione della liberazione di Roma, predispongono un piano per trasferirsi in Liguria con una macchina privata. Una settimana dopo, il 1 febbraio 1944, Giorgio Labò viene arrestato in via Giulia dai nazisti.
[…] 3 marzo 1944. A Viale Giulio Cesare un tedesco uccide Teresa Gullace. I GAP al gran completo si aggirano intorno alla Fontana dei Quiriti in attesa di attaccare la caserma. Maria (Lucia Ottobrini) e Giovanni (Mario Fiorentini) hanno il compito di disarmare la sentinella che è di guardia all’ingresso della caserma. Maria nello zainetto custodisce una bomba e una rivoltella per sé e una bomba e una rivoltella per Giovanni. Al loro fianco, armato, il giovane messinese Alfredo Orecchio. Nel trambusto generale Carla Capponi e Marisa Musu vengono arrestate e Carlo Salinari, comandante dei GAP, sospende l’azione. I GAP attaccheranno nel primo pomeriggio uccidendo due soldati.
IRSIFAR, Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza

Tra i suoi [di Peter Tompkins] aiutanti più fidati vi sono Maurizio Giglio (“Cervo”) – giovane ufficiale di polizia della RSI che, in realtà, lavora per l’OSS, ovvero colui che, dopo aver partecipato agli scontri di Porta San Paolo contro i tedeschi, si era recato al Sud per mettersi a disposizione degli Alleati ed aveva portato a Roma, da Napoli, la radiotrasmittente clandestina dell’OSS (chiamata in codice “Vittoria”) e che si occupa di spostarla periodicamente per evitare che venga trovata dai nazifascisti – e Franco Malfatti, stretto collaboratore del socialista Giuliano Vassalli […] Tompkins stabilisce relazioni con i capi militari della Resistenza e con rappresentanti delle forze badogliane. Viene così allestita un’estesa rete spionistica […] A metà marzo 1944 radio Vittoria, per la cattura del suo radiotelegrafista e di Maurizio Giglio, è obbligata a cessare le trasmissioni. Giglio, il 17 marzo 1944, viene fermato dalla banda Koch mentre sta prelevando la radio, installata in una chiatta sul Tevere, per metterla al sicuro: il 23enne è torturato a lungo e poi ammazzato nell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Tompkins si impegna a riorganizzare il servizio di informazioni […]
Marco Scipolo, Maurizio Giglio, Sicurezza Nazionale

Metà della città di Roma – è stato scritto – ha accolto e protetto l’altra metà durante i nove mesi di occupazione. È un’affermazione molto vicina alla realtà. La Resistenza (armata e non) conta su un vasto retroterra che contrasta e rende inefficaci molte misure degli occupanti. La gente ascolta di nascosto “Radio Londra” e attende con ansia le notizie che giungono dal vicino fronte; quando non aiuta apertamente i partigiani finge di non sapere se nell’appartamento vicino si svolgono “strane” riunioni o se vi si conservano giornali clandestini o, addirittura, armi. E, soprattutto, nelle case si nascondono giovani in età di leva, ebrei, prigionieri evasi dai campi di concentramento e oppositori ricercati. Tutto questo in una situazione estremamente confusa. La guerra ha distrutto molte abitazioni o ha reso inutilizzabili intere palazzine, dalle vicine province accorrono quotidianamente “sfollati” in cerca di una sistemazione; a causa della mancanza di viveri e di combustibili in tutta la città sorgono mercati improvvisati dove si acquistano e si scambiano generi di prima necessità. In questo contesto se è facile per gli oppositori nascondersi è altrettanto facile per gli occupanti introdurre spie e delatori nelle formazioni partigiane. Gli infiltrati sono gli informatori di mestiere attivi prima del conflitto (la ricostituita Ovra) e i numerosi confidenti registrati abitualmente sul libro paga dell’Ufficio politico della Questura a cui si aggiungono, nelle nuova situazione, altri che per danaro o per convinzione politica, si mettono direttamente alle dipendenze delle SS tedesche. Di questi ultimi parlerà lo stesso Herbert Kappler nel processo cui sarà sottoposto nel dopoguerra.
Gli “arruolati”, in genere, parlano tedesco, sono soldati o ex soldati e, non di rado, hanno ricevuto un addestramento in Germania.
Vanno a stabilirsi nei quartieri dove è più intensa l’attività partigiana, si confondono fra gli sfollati, gli sbandati, fra le tante personeche giornalmente raggiungono la città.
Si fingono oppositori e cercano di entrare in contatto con le organizzazioni clandestine, all’interno delle quali arrivano, qualche volta, a ricoprire ruoli anche importanti e riferiscono periodicamente a Via Tasso del lavoro svolto.
Quando ritengono giunto il momento suggeriscono i rastrellamenti e partecipano agli arresti. E non è raro il caso in cui il partigiano catturato si trovi a essere interrogato, nell’AussenKommando, con lo stesso puntiglio e con la stessa ferocia usata dai poliziotti tedeschi, da un italiano creduto, fino al giorno prima, un fiancheggiatore o un militante della Resistenza o, più semplicemente, un tranquillo vicino di casa.
[…] Il Tribunale militare tedesco di Via Lucullo il 22 marzo del 1944 condannò Silvio Barbieri a 5 anni di reclusione, ma l’ufficiale ebbe la sventura di essere fra i 335 prescelti per il massacro delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944. Prima della sua tragica fine ebbe modo d’inviare alla moglie una lettera, in data 4 marzo 1944, in cui, in modo criptico per sfuggire ai controlli sulla corrispondenza dei carcerati, chiedeva notizie sulla sorte del cognato e forniva informazioni sull’identità del delatore. […]
Luca Saletti, Collaborazionisti e delatori in Liberi op. cit.

Un palazo di Roma distrutto dalle bombe

6-7 gennaio [1944]
Nella notte, centinaia di chiodi a quattro punte vengono lanciati sulla Aurelia, sulla Salaria e sulla Casilina, bloccando centinaia di automezzi tedeschi diretti al fronte.
I partigiani della Banda Rossi attaccano al ponte del Quadraro una pattuglia tedesca, ferendo un soldato.
A Zagarolo viene attaccata una camionetta tedesca. Due tedeschi feriti.
7 gennaio
Con l’inganno anche una squadra partigiana di Genzano riesce a recuperare alla B.P.D. materiale esplosivo. Ripetendo l’azione nei giorni successivi. Entrando così in possesso di 28 sacchi di esplosivo, ciascuno di 25 chilogrammi.
A Pietralata, 1.200 persone cadono nelle mani naziste in un rastrellamento. 242 di loro vengono deportate in Germania.
I gappisti di Tor Pignattara, mentre trasferiscono, per nasconderli, alcuni prigionieri inglesi e sudafricani, si scontrano a Centocelle con una pattuglia della PAI (Polizia Africa Italiana) e la disarmano.
L’attività di spie e delatori è sempre più intensa. Il vicesegretario nazionale del Pfr e segretario federale romano Giuseppe Pizzirani <174, inoltra al comando di Kappler tre informative con le quali si denunciano rispettivamente il nascondiglio dell’ebrea Miriam Di Cave e della sua famiglia, il gestore della trattoria “Tarantola” per attività antirepubblicana e antigermanica e tale Vincenzo Belloni quale appartenente ad una banda di comunisti del Tiburtino III. Segnalando anche ove si riunisce detta banda. <175
Sulla via Appia lancio di bombe incendiarie contro un camion tedesco.
8 gennaio
Esplode una mina a via Liegi. Le squadre di Nello Mancini e Libero De Angelis combattono contro i tedeschi a Porto Fluviale e a Vigna Pia.
Viene arrestato Branko Bitler, di Bandiera Rossa <176. Con lui anche un gruppo di prigionieri inglesi, nascosti nel suo appartamento.
9 gennaio
Una bomba scoppia all’Ostiense.
Il CNL decide di unificare tutte le formazioni nel Corpo volontari della libertà.
10 gennaio
Nell’VIIIa Zona, accordo fra le formazioni gappiste e il responsabile dell’organizzazione clandestina della Marina Militare per recuperare i marinai sbandati che si erano rifugiati nella zona.
Radio trasmittenti per segnalare gli spostamenti delle truppe tedesche dirette a Montecassino, vengono installate in via Casilina 598 e in via Tuscolana 463, in casa di due partigiani, Giovanni Sansoni e Angelo Tramontana.
Al comando del Fronte Clandestino Militare il generale Quirino Armellini <177 prende il posto del colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, al quale resta la responsabilità operativa.
11 gennaio
Viene attaccata una autorimessa militare in via Annia. Il lancio di bombe al fosforo distrugge gli automezzi posteggiati.
A Verona vengono fucilati i gerarchi fascisti Galeazzo Ciano (genero di Mussolini), Emilio De Bono, Giovanni Marinelli, Luciano Gottardi e Carlo Pareschi, rei di aver votato l’ordine del giorno di Dino Grandi nella seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943, che portò alla caduta di Mussolini.
12 gennaio
Combattimento tra partigiani e tedeschi nella zona di piazza Vittorio.
Felice Salemme e Manlio Bordoni vengono arrestati nella casa di quest’ultimo, in via Taranto 95. Salemme viene condannato a morte, pena commutata in 10 anni di reclusione. Verrà assassinato alle Ardeatine. Anche Manlio Bordoni <178 sarà assassinato alle Ardeatine.
Viene arrestato il carabiniere Augusto Renzini <179 del Fronte Clandestino Militare.
Assassinato alle Ardeatine.
13 gennaio
Manlio Gelsomini, medico, del Fronte Clandestino Militare, della formazione “Monte Soratte”, viene arrestato. Verrà assassinato alle Ardeatine. Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Allo stabilimento AEG di Berlino arriva la lavoratrice coatta romana Giselda Pietrangeli. <180
174 Giuseppe Pizzirani, nato nel 1895. Volontario negli Arditi durante la prima guerra mondiale. Partecipa alla marcia su Roma. Federale fascista a Rovigo, Pistoia e dell’Albania. Commissario straordinario della Federazione dell’Urbe.
Chiamato a sostituire Bardi dopo il suo arresto. Il 10 febbraio 1944 nominato vicesegretario del Partito Fascista Repubblicano. A Roma gli succede Renato Pasqualucci.
175 Viene indicata come covo l’osteria “Vino”, tra una latteria e un fornaio in via del Badile. Persone sospette si riunivano anche nel Dopolavoro della stessa borgata.
176 Branko Bitler era un impresario teatrale.
177 Quirino Armellini (1889-1975). Partecipa alla guerra di Libia e alla Prima guerra mondiale. Dalla fine del 1935 capo dell’Ufficio operazioni del Comando superiore in Africa Orientale. Dal 1940 addetto allo Stato maggiore Generale. Poi al comando della Divisione La Spezia e successivamente del XVIII° e IX° Corpo d’Armata.
178 Manlio Bordoni. Impiegato. Dopo l’armistizio in servizio di leva in Emilia –Romagna, viene deportato dai tedeschi in Germania. Fuggito, torna a Roma e riprende il suo lavoro alle Poste. Entra nel Partito d’Azione e nelle formazioni Giustizia e Libertà, operando nella zona di Centocelle, Quadraro, Tor Pignattara, Quarticciolo. Arrestato dalle SS, guidate da un fascista. Sottoposto a duri interrogatori, per salvare i suoi compagni, si dichiara unico colpevole dell’uccisione di due soldati tedeschi il 21 ottobre 1943. In febbraio condannato a morte.
179 Augusto Renzini (1898-1944). Medaglia d’Oro al Valor Militare.
180 I lager della AEG a Berlino erano 4. Sempre alla AEG arriverà, l’11 agosto 1944 anche la romana Maria Gentile. Ricciotti Lazzero, Gli schiavi di Hitler. I deportati italiani in Germania nella Seconda guerra mondiale. Mondadori
1996. pag.103, 104.
Aldo Pavia, Op. cit.

Carabinieri del contingente R rientrano a Roma il 5 giugno 1944 – Fonte: Ministero della Difesa

4 giugno
Alle 3,30 arriva in Campidoglio il tenente colonnello Pollok, primo rappresentante della 5a armata americana.
Alle 6,30 il generale Bencivenga si insedia come comandante militare e civile di Roma.
Il questore Pietro Caruso, nelle prime ore fugge accompagnato dal suo autista e dal caporal maggiore Franzetti, a bordo della sua Alfa Romeo ministeriale. Mitragliato nei pressi di Viterbo esce di strada e si frattura una gamba. Verrà arrestato dai partigiani di Bagnoregio.
I carcerati di Regina Coeli sono liberati dalla popolazione.
Mentre gli Alleati sono alle porte di Roma e avanzano lungo l’Appia Nuova e la Casilina, la sera del 3 giugno i nazisti della Gestapo ammassano su alcuni camion prigionieri di via Tasso, ritenuti utili ostaggi, scortati dalle SS, per portarli con loro al Nord. A nord, sulla Cassia un camion scortato da 6 SS (due italiane) si ferma e fatti scendere, i 14 prigionieri vengono obbligati a ricoverarsi in una rimessa della tenuta Grazioli. Al mattino del 4 giugno le SS decidono di sbarazzarsi di loro. Nel pomeriggio li portano in una zona cespugliosa, nei pressi della Storta e li uccidono con un colpo di pistola alla testa.
Tre giorni dopo gli abitanti del luogo ne rinvengono i cadaveri. Tra gli assassinati, Bruno Buozzi, leader sindacale socialista <327e Edmondo Di Pillo <328.
A Monterotondo i partigiani, italiani e russi guidati da Alvaro Marchini, da Francesco Zuccheri e dai sovietici Kaliaskin e Tarassenko, assaltano il Comando tedesco. I tedeschi, dopo uno strenuo combattimento, si arrendono. 250 circa i
prigionieri e molti i feriti e i morti.
Intanto a Capistrello, in Abruzzo e non molto lontano da Roma, i nazisti assassinano 33 civili, abitanti del luogo ed ex prigionieri alleati.
Lungo la via della ritirata, sulla Cassia e sulla Flaminia, ai tedeschi si mischiano anche i repubblichini fascisti. Commissari, prefetti, ispettori, tutta la gerarchia del fascismo romano.
Lungo la via Appia, nella zona di Monte Mario, nei quartieri Appio e San Giovanni, sulla Portuense e sulla Aurelia si battono contro i tedeschi in ritirata i carabinieri della “Banda Caruso” del FCMR. <329
Scontri molto duri i soldati americani hanno con i tedeschi in fuga a San Basilio, Tiburtino III e Pietralata. Una zona particolarmente colpita dai combattimenti è Portonaccio. Alle 17 gli americani raggiungono Forte Tiburtino.
Nell’VIIIa Zona garibaldina i partigiani entrano in contatto con le truppe alleate.
Sono stati fatti prigionieri 60 soldati tedeschi, subito consegnati agli Alleati.
A Villa Certosa, sulla Casilina, i partigiani combattono contro tedeschi in ritirata. Sei di loro restano uccisi.
Alle 9 del mattino l’VIIIa Zona può dirsi finalmente liberata. Cadono i partigiani Gennaro Di Francesco e Cataldo Grammatica. Le squadre Matteotti attaccano, al Mandrione, i tedeschi in fuga. Viene ucciso Mario D’Angeli e ferito, con mutilazioni, Mario Soldi.
Sulla via Appia squadre Matteotti catturano soldati tedeschi, consegnandoli poi agli americani.
Violento scontro a fuoco alla stazione Ostiense tra squadre Matteotti e paracadutisti tedeschi.
La squadra di Riziero Tesei attacca a Monte Mario una colonna di carri armati tedeschi. Quelle di Francesco Tunetti e di Giacomo Mereu liberano italiani rastrellati e catturano i tedeschi di scorta, consegnandoli agli americani.
Praticamente in tutte le zone di Roma i partigiani attaccano i tedeschi e i fascisti, disarmandoli e consegnandoli poi agli americani.
Poco dopo le 16,00, 4 carri armati americani sono fermi all’angolo di via Ostiense, di fronte ai Mercati Generali <330.
Alla sera, le truppe della Quinta Armata americana, attraverso Porta San Giovanni, entrano in Roma, liberandola dall’occupazione nazifascista. <331
Nella notte scontro tra partigiani matteottini e fascisti in viale Angelico.
5 giugno
Alle 10 del mattino, partigiani della “Banda Roma” <332 di Prima Porta, al comando del capitano Raffaele Ridolfi, si battono contro i tedeschi di una colonna composta da sei camion, tre autovetture e due carri armati. Uno dei carri armati viene bloccato da Felice Rosi, 19 anni, che riesce a piazzargli due bombe a mano nei cingoli. Perde poi la vita colpito in pieno da una raffica di proiettili, mentre tenta di bloccare anche l’altro carro.
Combattendo sulla via Salaria, cade ucciso Ugo Forno <333, “Ughetto”, un ragazzo di tredici anni figlio unico di un invalido, che con i suoi compagni riesce ad evitare che i tedeschi facciano saltare il ponte sull’Aniene. Colpito al suo fianco, muore in ospedale Francesco Guidi. Resterà mutilato di un braccio Sandro Fornari.
Le squadre socialiste dei fratelli Piacentini, dopo uno scontro a fuoco, occupano la caserma Mussolini che presidieranno fino al 10 giugno, per consegnarla poi ai soldati francesi.
Un cecchino fascista a Tor Pignattara, uccide il partigiano Pietro Principato, l’ultimo tra i caduti della Resistenza romana.
Il generale Roberto Bentivegna, che si era rifugiato in Vaticano, viene nominato su designazione del CLN, comandante militare e civile di Roma.
Vittorio Emanuele III trasferisce i suoi poteri al figlio Umberto di Savoia, nominandolo Luogotenente Generale del Regno.
Nella notte tra il 5 e il 6 giugno, i tedeschi bombardano Monterotondo. Numerose le vittime […]
327 Bruno Buozzi, il 13 aprile 1944, incappato in un rastrellamento, viene arrestato a viale del Re e imprigionato in via Tasso, dove viene riconosciuto dai fascisti. Con Buozzi e Di Pillo vengono assassinati il generale Piero Dodi, Medaglia d’Oro al Valor Militare; il tenente Eugenio Arrighi; il tenente Saverio Tunetti; Lino Eramo, Enrico Sorrentino, tutti del Fronte Clandestino Militare; Vincenzo Conversi; Borjan Frejdrik del Comando militare delle formazioni Matteotti, Luigi Castellani, Libero De Angelis e Alberto Pennacchi delle “Matteotti”, Alfeo Brandimarte, Medaglia d’Oro al Valor Militare, e il capitano inglese John Armstrong.
328 Edmondo Di Pillo (1904-1944). Direttore della Bomprini Parodi Delfino. All’8 settembre 1943 tenente di fanteria, decide di entrare nella Resistenza e stabilisce contatti con la Va Armata americana. Riesce ad evitare la distruzione di importanti impianti elettrici da parte dei tedeschi al momento dello sbarco alleato ad Anzio. Rientrato a Roma, arrestato e sottoposto a duri interrogatori a via Tasso. Medaglia d’Oro al Valor Militare.
329 Mario Avagliano, op. cit. pag.272.
330 Mancini Olivio, Un percorso di vita- Associazione culturale “Il Migliore” 2006.
331 Roma è la prima capitale europea ad essere liberata degli occupanti nazifascisti.
332 La “Banda Roma” faceva parte del Fronte Clandestino Militare della Resistenza.
333 Avvolto in una lacera bandiera tricolore, il suo corpo venne portato alla clinica Inail di via Monte delle Gioie. Per lui e alla sua memoria è stata proposta una medaglia d’oro. Ancora oggi è solo una proposta senza alcun esito.
Aldo Pavia, Op. cit.

Ai nostri giorni il paesaggio, a chi raggiunga Forte Bravetta, appare completamente diverso rispetto a quello che vide Carlo Kalusa in quel triste mattino di giugno del 1942: l’edificio è ancora immerso in un’area estesa e ricca di vegetazione ed è ancora utilizzato come deposito di materiali dal Ministero della difesa; ma la campagna coltivata non c’è più e, dalla fine della guerra in poi, sono stati costruiti molti edifici che hanno formato un quartiere densamente popolato. Costruito alla fine dell’Ottocento assieme agli altri forti ancora oggi esistenti per cingere Roma con una linea fortificata, nel 1919 venne adibito a deposito di munizioni e di “pezzi” d’artiglieria e i vasti spazi interni furono utilizzati come poligono di tiro. L’abitudine di addestrare le reclute all’uso dei fucili nell’area poligonale suggerì, probabilmente, la decisione di utilizzare gli stessi spazi per le esecuzioni.
Per 13 anni, infatti, dal 1932, il Forte fu il luogo deputato per le esecuzioni capitali a Roma.
Le più numerose e le più conosciute avvennero nel periodo compreso fra l’8 settembre 1943 e il 4 giugno dell’anno successivo, con l’occupazione tedesca della città e, appena varcato il cancello d’entrata, nel piazzale d’accesso all’edificio, dopo la Liberazione è stata posta una lapide che ricorda i nomi di 77 caduti della Resistenza romana.
Molti di quei nomi appartengono a personaggi di rilievo che sono ricordati dai libri di storia e sono celebrati nelle cerimonie commemorative: fra i tanti Pietro Benedetti, don Giuseppe Morosini, Fabrizio Vassalli ed Enzio Malatesta.
Il Forte per questo ancora oggi resta un luogo-simbolo della Resistenza romana.
Augusto Pompeo (a cura di), Forte Bravetta 1932-1945. Storie, memorie, territorio, SPQR XVI Circoscrizione, Anpi provincia di Roma, 2000

Roma, ponte ferroviario sull’Aniene. Sui binari di ferro sfrecciano come fulmini i treni rossi dell’Alta velocità. Una pista ciclabile s’inoltra nel verde, accanto al fiume. Sembra lontano il 5 giugno del 1944, quando sotto il sole cocente della primavera romana il dodicenne Ugo Forno, gracile ma vivacissimo, con i capelli scuri e gli occhi azzurri, morì per difendere il viadotto dagli ordigni germanici, mettendo in fuga assieme ad altri ragazzi e ad alcuni contadini i sabotatori della Wehrmacht. In memoria di quel suo coraggioso gesto la Presidenza della Repubblica ha avviato la procedura per l’attribuzione della medaglia d’oro al valor civile.
La breve vita dell’ultimo resistente romano è stata raccontata da Felice Cipriani nel saggio “Il Ragazzo del Ponte. Ugo Forno eroe dodicenne. Roma 5 Giugno 1944” (edizioni Chillemi), che sarà presentato il 29 maggio alla Provincia di Roma e sarà nelle librerie all’inizio del prossimo mese. Cipriani, completando il lavoro di ricerca realizzato da Cesare De Simone in “Roma Città prigioniera”, ha recuperato la documentazione conservata presso l’Archivio centrale di Stato di Roma, intervistando il fratello Francesco Forno, il compagno di banco Antonino Gargiulo e altri testimoni dell’epoca.
Ughetto, nato il 27 aprile del 1932 a Roma dai siciliani Enea Angelo Forno, impiegato dell’intendenza di Finanza, e Maria Vittoria, abitava al civico 15 di via Nemorense ed era studente al secondo anno, sezione B, della scuola media “Luigi Settembrini”, che ha la sede accanto al liceo classico “Giulio Cesare” di Corso Trieste. Amava i fumetti, divorava gli albi di Flash Gordon e del Vittorioso e, come tutti i ragazzi della sua età, durante il Ventennio aveva vestito la divisa dei Figli della Lupa e dei Balilla. Ma la sua famiglia era animata da sentimenti antifascisti. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, il padre Enea era diventato collaboratore del Fronte militare clandestino diretto da Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, che tesseva le file della resistenza militare e monarchica ai tedeschi nella capitale.
Quel 5 giugno del 1944, giorno di festeggiamenti a Roma per la liberazione dall’occupazione nazifascista, alle 6,30 del mattino lo studente era già a Piazza Verbano, “Ugo era sereno girava tra le Jeep dei soldati americani, aveva un paio di pantaloncini corti ed una maglietta, con sé non aveva nulla”, ricorda il compagno di banco della scuola elementare. Alle 7,30 Angiolo Bandinelli, che diverrà parlamentare radicale, lo vide in mezzo a delle persone, tra via Ceresio e via Nemorense, mentre gridava: ”C’è una battaglia, lassù oltre piazza Vescovio! Ci sono i tedeschi, resistono ancora”.
Ughetto si allontanò verso piazza Vescovio, dirigendosi con altri giovani armati di fucili, tra cui il sottotenente paracadutista Giovanni Allegra, verso lo strapiombo sull’Aniene. Sotto il ponte gli artificieri della Wehrmacht stavano collocando le cariche esplosive.
Si accese uno scontro a fuoco. Ugo e i suoi amici chiesero aiuto ai contadini della casa colonica e assieme spararono in direzione dei tedeschi. I guastatori della Wehrmacht, sorpresi, furono costretti ad abbandonare l’operazione di sabotaggio.
La loro ritirata fu “coperta” da un mortaio che iniziò a lanciare devastanti colpi verso gli italiani. Il primo colpì Francesco Guidi, figlio del proprietario dei terreni della zona (poi morirà in ospedale).
Ughetto, imbracciando il fucile, alto quasi quanto lui, invitò i compagni a sparare verso il punto da dove si vedeva il fumo provocato dal mortaio. Le schegge ed i spezzoni del secondo colpo ferirono ad una coscia Luciano Curzi e troncarono un braccio a Sandro Fornari, entrambi braccianti. Il terzo colpo fu mortale per il ragazzo, che fu preso alla testa e al petto e stramazzò al suolo morente.
A quel punto i tedeschi bruciarono il deposito di carburanti e fuggirono precipitosamente verso la via Salaria. Proprio mentre arrivavano sul posto due carri armati americani e alcuni gappisti comunisti.
Il sottotenente Allegra si chinò su Ugo e gli chiuse le palpebre sugli occhi sbarrati, avvolgendo il suo corpo esamine in una bandiera tricolore stracciata. Nel taschino gli verrà trovato un santino intriso di sangue.
Il ponte sull’Aniene (che dal 2010 porta il suo nome, su iniziativa meritoria di Ferrovie dello Stato) era salvo, con le micce degli ordigni ancora penzolanti. Ughetto fu l’ultimo caduto della resistenza nella capitale. […]
Mario Avagliano, Eroe. Il dodicenne romano che fermò la Wehrmacht. La storia di Ugo Forno, l’ultimo caduto della capitale, proposto ora per una medaglia, blog, 18 maggio 2012

da Mercurio anno I, n. 4, dicembre 1944 – Fonte: Biblioteca Gino Bianco

Con gli Americani finisce la fame: si mangia, anche se nel disordine.
E arrivano cibi sconosciuti (o dimenticati) conservati nelle “scatolette”.
E continua l’economia di guerra basata sul baratto: vino annacquato in cambio di cibo in scatola.
(Giuseppe Grazzini)[…] “Dal punto di vista della fame, siamo stati sfamati dagli Americani… […] arrivò una Jeep, e scese un ufficiale Americano, che mi fa, in toscano: “Te, tu sei il figlio di Mario?” – io rimasi così – “c’è babbo?”. Baci, abbracci: era un suo amico d’infanzia che era emigrato ed era di Piombino. Emigrato prese la nazionalità americana, non è che aveva combattuto: lui era uno dell’OSS (Office of Strategic Services).
Si misero lì a parlare, poi questo mi guarda e mi fa: ”Tu ciài fame?”
“E sì, ciò fame!”. Arrivò la Befana: aprì scatole di carne, di fagioli… mi misi a mangiare… da quel momento mi chiamò ”lupo”. Quelle scatole di meat and vegetables…[…] Poi la borsa nera con gli Americani. Io troppa roba ho barattato per fiaschi di vino, sempre in bicicletta… Verso Acilia, in un’ansa del Tevere, gli inglesi fecero un campo di aviazione di fortuna, di atterraggio, c’erano anche i caccia ed era presidiato da reparti scozzesi.
Avevamo individuato ‘sti scozzesi e allora: fiaschi di vino annacquati, perché dicevo: “A questi gli fa male!” contro scatole di carne, sigarette… per sbaioccare un po’ di soldi per studenti senza una lira”.
L’entusiasmo con cui i liberatori sono stati accolti lascia un po’ di amaro in bocca a chi avrebbe voluto una maggiore dignità da parte della popolazione.
Alessandro Sferruzza, Gli americani in Liberi op. cit.