Ruggero temporeggiava, Gasparotto voleva che si andasse alle barricate

Milano: Teatro alla Scala

I comandi dell’Esercito italiano lasciano agire i tedeschi nell’occupazione della città, nonostante la volontà di molti cittadini decisi ad opporsi. A metà agosto 1943 Milano è colpita da terribili bombardamenti aerei; chi può lascia la metropoli, per sfuggire a una situazione insostenibile. Le distruzioni acuiscono l’odio verso la guerra e alimentano la sensazione di un prossimo rivolgimento di fronte. Nell’estate alcuni Azionisti, tra cui Poldo Gasparotto, organizzano una rete informativa, per segnalare agli alleati gli spostamenti delle truppe tedesche; ne fanno parte l’avvocato Giovanni Barni e il notaio Virgilio Neri. La villa di famiglia in località Cantello Ligurno, a mezza strada tra Varese e la Svizzera, diviene la base logistica dell’attività illegale, avviata nella prospettiva della lotta contro l’occupazione nazista. Le notizie sul dispiegamento militare d’occupazione vengono trasmesse da Neri a Giovanni Gronchi e a Mario Badoglio, figlio del capo del governo. In agosto si costituisce a Milano il Comitato interpartitico, nello studio dell’avvocato socialista Roberto Veratti. Badoglio ha affidato la difesa territoriale della città al generale Vittorio Ruggero, già comandante della divisione Granatieri, inviato nel capoluogo lombardo col compito di tenere la situazione sotto controllo. L’alto ufficiale cerca di arginare gli scioperi operai e accetta il dialogo col Comitato antifascista; esortato a preparare con i civili misure difensive contro i tedeschi, presenti in città con forze assolutamente esigue, si dice disponibile a trasmettere al governo le richieste presentategli da Alfredo Pizzoni, portavoce di un’ampia area politica, estesa dai comunisti ai liberali. Nei primi giorni di settembre, quando appare imminente il rovesciamento delle alleanze militari, Poldo Gasparotto progetta con Pizzoni la formazione della Guardia nazionale, struttura militare per il reclutamento di volontari decisi a opporsi ai tedeschi. Al mattino dell’8 settembre il generale Ruggero assicura l’esecutivo antifascista dell’imminente consegna di armi, ma prende tempo. In serata Badoglio rende noto l’armistizio. L’indomani mattina si presenta alla sede del Comando di piazza, in via Brera, una delegazione del Comitato di liberazione nazionale milanese; accanto al comunista Girolamo Li Causi vi è Luigi Gasparotto, tra i più decisi nell’incalzare il titubante generale Ruggero. Pizzoni così ha riassunto il tempestoso incontro: «Ruggero temporeggiava, Gasparotto voleva che si andasse alle barricate, io chiesi ci si dessero le armi e dichiarai che la Guardia nazionale e il popolo milanese avrebbero fatto il loro dovere e avrebbero combattuto contro i tedeschi. Ma lì non si decise nulla e allora noi venimmo via e decidemmo di aprire gli arruolamenti». Li Causi e altri antifascisti presenti all’incontro ricordano la determinazione del vecchio Gasparotto, deciso a trasformare Milano in baluardo della resistenza antitedesca, con la collaborazione dell’esercito e dei civili. Luigi Gasparotto era sospinto dalla sensazione di riprendere le tradizioni familiari, risorgimentali e di rivivere l’epopea della grande guerra. Il colonnello Alfredo Malgeri, comandante della III Legione della Guardia di finanza, ha tracciato un ritratto emblematico del vecchio radicale, di cui egli ignorava i trascorsi patriottici e persino l’identità: Una commissione di cittadini si presenta, chiedendo armi per la difesa della città. Fra essi, un vecchio signore mi è rimasto impresso: baffi e barba a pizzo, cappello a larghe falde, figura che ricorda vecchie stampe dei nostri uomini del Risorgimento. Quanta anima ha nei suoi occhi inquieti, quanta decisione nei suoi gesti! Rivivo quel momento di commozione: vedevo col pensiero quell’uomo dietro una barricata e con lui migliaia e migliaia di milanesi rinnovare – in unione coi grigioverdi – le gesta delle Cinque giornate. Era un sogno del mio animo, ritornato per un momento fanciullo, ma un sogno che avrebbe potuto realizzarsi se Milano non fosse stata tradita dagli eventi. Non so chi fosse quel vecchio signore. Il generale Ruggero, uscito dal proprio ufficio, gli dice che penserà lui a tutelare l’onore del Paese e dell’Esercito e lo invita a starsene tranquillo con i suoi compagni. Il 9 settembre il Partito d’Azione stampa e distribuisce un volantino inneggiante al binomio Esercito e Popolo: «chiunque tenti di spezzare questa unità è nemico del popolo e della nazione italiana», proclamano gli azionisti, nel rivolgere un appello all’arruolamento della cittadinanza: Italiani! In nome dei martiri della libertà, in nome di Battisti, di Matteotti, di Amendola, di Gobetti, di Gramsci, di Rosselli, in piedi. Cittadini, formate i vostri comitati di ordine pubblico per la saldatura tra esercito e popolo in ogni fabbrica e in ogni rione. Giovani, si è costituito il Fronte Italiano della Resistenza: arruolatevi nei Volontari della Nazione Armata. …Antonio Fussi, descrive il clima di fervore patriottico misto a ingenuità, imprudenza e generosità in cui, nel volgere di un paio di giornate, si è consumata l’iniziativa: La base era in via Manzoni: l’ultima casa di via Manzoni, a sinistra, prima di arrivare ai portici di porta Venezia. C’era, in un cortile, la Società dei radiatori: lì si raccoglievano le iscrizioni alla Guardia nazionale. C’erano Poldo, Ugo di Vallepiana, Martinelli. Una radio funzionava a tutto spiano e dava la posizione dei tedeschi, che occupavano la città. E io mi lamentavo con Martinelli: «Ma senti, è inutile che fai una lista di nomi e cognomi … non ce n’è bisogno … ». C’erano decine di persone, giovani e meno giovani, studenti, impiegati … In uno stanzone una persona faceva un discorso ai giovani: parlava di Mazzini… Ho domandato a Martinelli chi fosse quel tipo che in un momento così particolare aveva tanto fiato in gola per parlare di Mazzini: era il professor Achille Magni, un repubblicano convinto. Nel frattempo Poldo e Vallepiana facevano la spola con l’ufficio del Comando di piazza, tornavano con qualche mezza promessa. Poi, a un certo punto, c’è stato un mezzo tradimento. L’azionista Giuliano Pischel, partecipe degli eventi, indica la paternità del progetto e ne sintetizza gli immediati sviluppi: «L’idea che aveva ventilato Poldo Gasparotto, della costituzione di una Guardia nazionale, veniva ripresa dal Comitato interpartiti tramutatosi in Comitato di Liberazione Nazionale» Ma l’unità operativa tra esercito e popolo resta un’utopia. Il generale Ruggero, timoroso delle ritorsioni tedesche, si è limitato a generiche promesse, senza esporsi a livello operativo. Il suo atteggiamento è influenzato dall’arrivo del tenente colonnello dei Carabinieri Candeloro De Leo, presentatosi quale emissario del Comando supremo. De Leo, dirigente del servizio segreto militare, vanta contatti col generale Ambrosio e induce Ruggero alla passività. Il 10 settembre i rappresentanti del comitato cittadino (Gasparotto, Li Causi, Damiani e Pizzoni) consegnano al comandante di Corpo d’armata una lettera programmatica, per indurlo a rompere gli indugi e ad assecondare l’azione patriottica: Signor Generale, a nome di tutti i gruppi antifascisti e in relazione alla conversazione di ieri, riteniamo possibile organizzare la difesa di Milano, in cooperazione colla popolazione. La nostra convinzione deriva dalla considerazione che la zona di Milano è il centro della produzione bellica, per cui indiscutibilmente si potrà preparare coll’attività di tecnici (che noi stessi potremo mettere a vostra disposizione) un regolare rifornimento di armi e munizioni sia alle forze esistenti che alle nuove unità da costituire. Siamo inoltre certi che lo spirito della truppa potrà essere galvanizzato se non la si lascerà sotto l’impressione di essere già in partenza disposti a cedere. Il vostro spirito di cittadino e di militare ci rende certi di avere la vostra adesione d’opera, che sotto la vostra guida, vi proponiamo di svolgere nell’interesse e per l’onore militare della Nazione. Un Comitato Tecnico di ex Ufficiali che vi chiediamo di richiamare in servizio, potrà assolvere a questo compito. Quel medesimo giorno il generale Ruggero incontra gli emissari del Comando germanico, da lui rassicurati sulla propria disponibilità. Nel pomeriggio un nuovo abboccamento con gli esponenti antifascisti sancisce la rottura dei rapporti: l’alto ufficiale ha infatti concordato coi tedeschi che l’esercito non ostacolerà l’occupazione della città. La defezione del Comando militare si ripercuote sull’opinione pubblica in modo rovinoso, deprimendo gli animi; tramonta bruscamente il progetto della Guardia nazionale, «con vera disperazione di Poldo Gasparotto». Privi di armi, i promotori del CLN tengono un comizio in piazza Duomo e poi passano nella clandestinità. Scontri sporadici con i tedeschi culminano il pomeriggio del 10 settembre nei pressi della stazione centrale: civili armati si oppongono all’occupazione della stazione e negli scontri uccidono tre militari germanici. In serata il generale Ruggero legge alla radio un comunicato in cui informa dell’avvenuta occupazione delle principali città della Lombardia e dell’Emilia Romagna. In sostanza il Comando di piazza, su direttiva di De Leo, ha lasciato agire indisturbati i tedeschi. Da un giorno all’altro la situazione è cambiata e Mario Boneschi si accorge di avere costruito l’edificio della Guardia nazionale su fondamenta di sabbia: «La città era ben diversa da quella del giorno precedente. Esultanza per l’armistizio ed entusiasmo erano spariti. Sui volti si leggevano ansia e sgomento. Era il momento del “si salvi chi può”. Ritornai a casa e bruciai le liste». Al mattino dell’11 settembre i punti nevralgici della metropoli sono sotto controllo germanico. Su istruzione di De Leo, il generale Ruggero scioglie la Guardia nazionale, sulla base della normativa che vieta ai cittadini l’uso non autorizzato delle armi. Le dinamiche del capoluogo lombardo si ripetono con impressionante analogia in numerose altre città: da Torino a Firenze a Roma … In Lombardia, quel medesimo giorno, reparti germanici assumono pacificamente il controllo di Brescia e di Cremona. l vertici militari restano inerti, quando non collaborano apertamente con l’occupante. Le modalità dell’armistizio, l’ambiguità del comunicato letto da Badoglio alla radio, la fuga del re e dei ministri gettano le forze armate nella confusione, tanto più che i tedeschi sferrano un’impressionante offensiva nella penisola e nei presidi italiani all’estero. Il comportamento di De Leo si chiarirà con l’immediata adesione alla Repubblica sociale italiana, per la quale dirigerà il Servizio informazione militare (SIM). Il 12 settembre i tedeschi, completata l’occupazione di Milano, perquisiscono i cittadini e fermano i militari, in violazione degli accordi stipulati col generale Ruggero. La popolazione è disorientata e demoralizzata dallo scioglimento dell’esercito, disgregatosi all’apparire del nemico. Lo stesso giorno vengono occupate, senza colpo ferire, Varese, Como e Sondrio.”

(a cura di) Mimmo Franzinelli, Leopoldo Gasparotto, Diario di Fossoli

Leopoldo Gasparotto, militante del Partito d’azione dal 1942, durante il periodo badogliano è tra i protagonisti della rinascita democratica di Milano. Entrato nella clandestinità, diviene il comandante militare delle forze resistenziali della città e promuove e coordina alcuni gruppi nelle vallate delle province di Como, Varese e Bergamo. Arrestato l’11 dicembre 1943 e rinchiuso a San Vittore, viene torturato dai tedeschi. Il 27 aprile 1944 è internato a Fossoli, dove anima il collettivo dei «politici». Il 22 giugno, su ordine del Comando delle SS di Verona, è prelevato dal campo e ucciso a tradimento. È stato insignito di medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

ANPI Lissone, 7 settembre 2020

Dopo l’8 settembre 1943 i tedeschi approfittarono della confusione creata in seguito alla divulgazione dell’armistizio fra Alleati e regno d’Italia. Nel periodo fra il 25 luglio e il settembre 1943 infatti l’O.K.W. <65 concentrò delle divisioni al passo del Brennero perché, anche se gli italiani avevano confermato l’alleanza, non si fidavano del nuovo Governo presieduto dal maresciallo Badoglio. Così, quando fu reso noto l’armistizio, le divisioni tedesche cominciarono a riversarsi in Italia occupando le città e disarmando i pochi presidi militari che, lasciati in balia degli eventi e senza disposizioni, avevano cercato di opporsi. L’esempio più chiaro di questa situazione caotica è quanto avvenne a Milano tra il 10 e il 12 settembre: i tedeschi circondarono la città, pronti ad assediarla se necessario, ma il comandante del presidio militare cittadino, generale Ruggero, fece con loro un accordo per mantenere il controllo della città. Questo accordo lasciava agli Italiani il mantenimento dell’ordine pubblico, l’istituzione del coprifuoco nell’orario dalle ore 21 alle 5 del mattino, gli orari dei negozi che dovevano essere chiusi alle ore 20, doveva essere vietata ogni riunione, fatta eccezione per quelle di culto. I tedeschi però non rispettarono l’accordo e all’alba del 12 settembre cominciarono ad entrare in città. L’esercito italiano non oppose resistenza, ma in molti casi le armi furono lasciate a coloro che singolarmente avrebbero voluto impegnarsi nella difesa della città, fossero civili o militari <66. Questo episodio va evidenziato perché fu così che nacquero i primi arsenali di armi della Resistenza a Milano. Alla sera la città era già sotto il controllo dei tedeschi che istituirono il loro quartier generale all’Hotel Regina, in via Silvio Pellico 7, luogo diventato poi tristemente famoso perché è dove le SS effettuavano gli interrogatori sui prigionieri, interrogatori caratterizzati da brutalità e da atroci torture <67.
[NOTE]
65 Oberkommando der Wehrmacht cioè l’Alto comando delle forze armate tedesche.
66 Da autori vari, La Resistenza in Lombardia, Labor, Milano 1965, pp. 50-51.
67 Recentemente è stata fatta mettere in via Pellico 7 una targa in memoria di quei tempi, mentre l’Hotel Regina è stato spostato in via Cesare Correnti.
Stefano Bodini, Gli Scout Milanesi e la Resistenza, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2009-2010

Attorno al giorno dell’armistizio una serie di nodi si intrecciano: una massiccia ondata di licenziamenti, iniziata ad agosto e che proseguirà fino a dicembre; il drastico aumento del costo della vita; i danni della guerra, soprattutto sul fronte abitativo. L’inizio dell’occupazione nazista e la proclamazione della Repubblica sociale, assieme al venir meno di fatto del governo badogliano (salvato unicamente dall’avanzata angloamericana da sud), accentuano, nel quadro di un nuovo scenario istituzionale e governativo, aspetti emersi nei mesi precedenti nel nord.
Così ci si presenta Milano nel primo mese di occupazione nazifascista: “Settembre 1943, gli stracci sono sempre i primi a volare. La Milano del dopo armistizio si presenta come una città devastata dalle incursioni aeree dell’agosto precedente. Degli oltre duecentomila abitanti rimasti senza tetto la maggior parte sono operai: alloggiavano in abitazioni malsane e carissime e ora, dopo che i bombardamenti alleati hanno infierito sui quartieri popolai di Porta Genova, Porta Ticinese, Porta Garibaldi e sull’area a nord dell’Arena, non hanno più nemmeno quelle. Diverso il discorso per i ceti abbienti, i quali, a quest’epoca, sono già sfollati trovando riparo nelle campagne e nelle valli lombarde. Le autorità municipali, di fronte a tale situazione, ventilano sì un progetto di accertamento e requisizione dei vani disponibili, ma basta il coro di proteste del sindacato proprietari di fabbricato perché tutto si areni e la proverbiale solidarietà meneghina, il “gran coeur de Milan”, si blocchi di fronte all’inviolabilità della proprietà privata. Adesso, dopo l’8 settembre, il problema degli alloggi è aggravato anche dalle requisizioni operate dai tedeschi. Trovare casa, anche un buco in cui accalcarsi, diventa impresa sempre più ardua, almeno per chi non possiede un reddito superiore. Non meno drammatica si presenta la situazione alimentare: le razioni assegnate a prezzi controllati – per ammissione degli stessi repubblichini – forniscono meno di un terzo del fabbisogno minimo. Il ricorso al mercato nero è, dunque, un fatto scontato e indispensabile, senonchè i prezzi vanno registrando un’impennata vertiginosa”. <270
A questa situazione drammatica, si aggiungano: l’aumento senza precedenti del costo della vita, soprattutto sul capitolo alimentazione, e la mancanza di combustibile e legna da ardere per affrontare l’inverno alle porte <271. Va da sé che in questo contesto la difesa del posto di lavoro e del salario diventa ancora più centrale che nei mesi precedenti.
Come già anticipato, una pesante crisi occupazionale interessa i lavoratori milanesi e della provincia: “Le cifre statistiche relative all’intera Italia settentrionale trovano conferma in ciò che accade nel capoluogo lombardo. Tra settembre e ottobre si scatena una massiccia ondata di licenziamenti: la Caproni (6.000 dipendenti) ne espelle 2.000, la Lagomarsino (4.000) ne caccia 3.000, la Brown Boveri 2.000 su un totale di 5.000, la Safar (3.000 dipendenti) ne allontana 1.500, la Olap 500, le Rubinetterie riunite 1.300, la Montecatini 700, la Rizzoli riduce il personale da 200 a 70 unità, la Magni chiude, l’Innocenti non licenzia ma sospende 1.500 lavoratori. A nessuno viene corrisposto il previsto pagamento del 75% del salario da parte della cassa integrazione e i licenziamenti sono accompagnati dalla contrazione delle ore lavorative e dal mancato rispetto di accordi aziendali […]” 272.
A questa offensiva padronale si aggiunge il doppio regime di occupazione nazista e collaborazionista interno che considera la produzione industriale terreno di disciplina militare e, di conseguenza, lo sciopero e l’agitazione sindacale un crimine, che dal giugno ’44 può essere punito con la morte (sebbene i tedeschi per i primi mesi si mostreranno più disponibili a fare concessioni alle maestranze in un’ottica di pacificazione e in generale la situazione di guerra renderà gli operai sempre difficilmente sostituibili).
Al tempo stesso l’organizzazione comunista in fabbrica si presenta come piuttosto disgregata. La particolarità del tessuto industriale milanese, rispetto a quello di una città come Torino, è la maggiore diffusione ed estensione sul territorio: caratteristica che aveva già rivelato le difficoltà di coordinamento e mobilitazione in occasione degli scioperi di marzo e che ora, con la nuova situazione politica, mette in risalto i problemi organizzativi delle forze operaie.
[NOTE]
270 L. Borgomaneri, Due inverni, un’estate e la rossa primavera, p. 13, Franco Angeli 1995
271 Il capitolo alimentazione del settembre 1943 registra un aumento di 50 punti rispetto ai 14 dell’anno precedente e quello del vestiario di 74 punti (contro gli 8 del ’42); il capitolo riscaldamento, invece, segna un aumento di 84 punti.
272 L. Borgomaneri, op. cit., pp. 14-15
Elio Catania, Il conflitto sociale: “motore della Storia” o “tabù” storico-politico. Il caso di Milano nel secondo dopoguerra, Tesi di Laurea Magistrale, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2016/2017