Se i rapporti con i tedeschi sono critici, quelli interni alla Repubblica sociale sono difficili

Una delle ultime diagnosi sulle condizioni della RSI è redatta da Giorgio Pini. Il 20 ottobre 1944, il direttore del “Resto del Carlino” viene nominato Sottosegretario al Ministero dell’Interno. In questa veste, riceve da Mussolini l’incarico di ispezionare le province della Repubblica sociale: “Cercherete di rendervi conto di tutto: uomini e cose, prenderete contatto con le autorità e la stampa, esaminerete i capi provincia, i questori, i comandanti militari e della Guardia, i podestà, gli organismi economici e sindacali, i rapporti coi tedeschi, la situazione annonaria, i danni per le incursioni, l’attività partigiana, l’umore delle popolazioni e anche quello del clero, incontrandovi coi cardinali e coi vescovi” <641.
Le informazioni raccolte da Pini <642 sono interessanti perché aiutano a comprendere una realtà complessa, fatta di sfumature che spesso gli organismi burocratici tradizionali, civili e militari, non riescono a cogliere. Si tratta di un’indagine approfondita che mette in evidenza le reali condizioni della Repubblica sociale, al di là dei resoconti di parte, più meno interessati, usati anche come strumento di pressione e di ricatto all’interno della lotta perenne tra opposte fazioni. L’occhio attento del giornalista riesce a vedere ciò che gli altri ignorano, per incapacità o complicità. L’attenzione è rivolta soprattutto alle dinamiche sociali, agli umori delle popolazioni, alle condizioni di vita, a tutto ciò che serve per definire e misurare il “consenso”, la credibilità, le prospettive politiche della RSI. Dalle ispezioni di Pini emerge il ruolo svolto dagli alleati germanici, non tanto nel campo militare quanto, piuttosto, nel settore dell’economia dove la crisi è profonda e diffusa. Nel territorio della RSI, i generi di prima necessità scarseggiano, il tenore di vita della popolazione è ai livelli di sopravvivenza eppure, i tedeschi requisiscono e portano via tutto: prodotti alimentari, materie prime, macchinari. Anche i lavoratori, per destinarli alle industrie del Reich.
Se i rapporti con i tedeschi sono critici, quelli interni alla Repubblica sociale sono difficili. Alle gravi carenze di organico e di equipaggiamento della Guardia Nazionale Repubblicana si aggiungono i contrasti tra i diversi organi e apparati dello Stato come accade, ad esempio, a Verona dove “Brigata Nera, Polizia e GNR spendono molte delle loro attività per controllarsi a vicenda”, o a Rovigo dove il Comandante della GNR è in lite con il podestà e con il federale, o a Treviso dove il Comandante della GNR è in polemica con la Decima Mas. Non mancano le annotazioni di “costume”, come quella relativa al Capo della provincia di Imperia che ha moglie e cinque figlie ma “trascura l’ufficio e i contatti col pubblico a causa di una donna… sarebbe bene sostituirlo” <643.
La situazione delle bande partigiane è differenziata per territorio ed è descritta in relazione al grado di pericolosità; alla capacità delle forze armate di Salò di contrastare le attività di sabotaggio e le azioni armate; alle rappresaglie condotte soprattutto dagli elementi germanici e da reparti fascisti i cui metodi vengono deplorati dalle stesse autorità <644.
L’atteggiamento della borghesia è prudente e vigile. Gli industriali, in particolare, sono impegnati nella difesa delle fabbriche e dei macchinari dai bombardamenti e dalle requisizioni. Devono fare i conti con la limitatezza delle fonti di energia e con la carenza di materie prime ma, soprattutto, con una situazione aggravata dalla crisi e dalla guerra e non ancora definita in termini politici. Mantengono rapporti formali con le autorità di Salò e, nello stesso tempo, in molti casi, stringono accordi con gli anglo-americani e con i partigiani. Non nutrono più alcuna speranza nella vittoria delle forze italo-tedesche ma si muovono con cautela, senza esporsi eccessivamente. Da questo punto di vista, Pini rileva il “solito attendismo” della borghesia veneziana e le “trame dell’ing. Valletta e dei suoi collaboratori”.
La Chiesa assume posizioni diversificate. Si notano differenze all’interno del clero e tra gli stessi vescovi. Molti parroci forniscono assistenza spirituale e materiale alla popolazione e alcuni svolgono anche un ruolo attivo a sostegno della resistenza. A volte direttamente, all’interno delle bande. Qualche vescovo collabora con l’autorità costituita, in modo convinto o in modo formale, senza troppa convinzione. Altri vescovi, invece, non nascondono il loro malessere di fronte agli innumerevoli episodi di violenza e alle rappresaglie che colpiscono in modo indiscriminato. Qualcuno, come il cardinale di Torino, “è accusato di intesa o addirittura di partecipazione al comitato di liberazione”; qualcun altro, come il vescovo di Savona, è “risoluto a non impegnarsi in nessun senso. Evasivo nelle risposte e generico nel deplorare la lotta fratricida” <645. Tranne che in casi particolari, l’atteggiamento delle autorità religiose può sembrare distaccato, prudente, defilato. In realtà, il rapporto tra la Chiesa e la RSI è stato critico fin dall’inizio. Il Vaticano non ha riconosciuto il nuovo Stato e non ha offerto lo stesso sostegno concesso ai tempi del regime. In più, sono aumentati i motivi di contrasto soprattutto a causa di alcune iniziative di carattere religioso e politico che hanno provocato una dura reazione delle gerarchie ecclesiastiche, nonostante la tradizionale cautela e il consueto atteggiamento conciliante. E’ il caso di ‘Crociata italica’, il settimanale “politico-cattolico” stampato a Cremona dal 10 gennaio 1944 fino al 23 aprile 1945 che, con le sue 100.000 copie è, dopo il ‘Corriere della Sera’, il giornale più diffuso della RSI. L’obiettivo del direttore, don Tullio Calcagno <646, e dei suoi più stretti collaboratori, don Angelo Scarpellini, Siro Contri, don Remo Cantelli (pseudonimo di don Carlo Barozzi), è quello di guidare i cattolici secondo il principio “Dio e Patria” e sostenere la politica della Repubblica sociale. Nell’articolo di fondo apparso sul primo numero, don Calcagno scrive: “Siamo cattolici apostolici romani […] Siamo italiani al cento per cento […] Siamo repubblicani perché riconosciamo che col duplice tradimento del re dell’8 settembre … il Regno d’Italia ha cessato d’esistere per tutti gli italiani e per tutti gli uomini onesti, e ad esso è succeduta, nel modo più legittimo la RSI, sotto la guida di colui che, fino alla vigilia della vergognosa catastrofe, era il Duce universalmente conosciuto da popoli e governanti, da Pontefici e Sovrani … Siamo repubblicani perché Dio ci comanda, per bocca di S. Paolo, di “obbedire ai nostri superiori”. Siamo infine repubblicani perché crediamo che la salvezza, anzi la vittoria d’Italia può venire e verrà soltanto dalla RSI e dal suo Capo e dal suo Governo […] perché la RSI “tiene fede alla parola data secondo la tradizione d’onore della nostra Nazione e continua la guerra” a fianco dei grandi, leali, generosi alleati liberamente scelti per una causa sacrosanta […] I giudei a Cristo, Uomo – Dio, preferirebbero Barabba, assassino sedizioso e alla regalità del Cristo il dominio straniero, e gridano: non abbiamo altro re che Cesare. Noi invece proclamiamo “non abbiamo altro re che Cristo”, “Dio e Patria, Verità e Giustizia” è la nostra bandiera … All’armi Italiani: Dio lo vuole. L’Italia agli Italiani: a noi!” <647.
Già il primo numero del settimanale, pubblicato nonostante la diffida del vescovo di Cremona, mons. Giovanni Cazzani <648, contiene i temi principali che costituiscono l’impianto politico e ideologico del fascismo di Salò: dal tradimento compiuto dal Re all’apologia di Mussolini; dall’esaltazione dell’alleato germanico agli attacchi razzisti e antisemiti <649. L’iniziativa di don Calcagno, però, è anche qualcosa in più di una semplice pubblicazione, successivamente diventata anche una associazione <650. ‘Crociata italica’, infatti, cerca di corrodere dall’interno la stessa unità della Chiesa, fino a prospettare soluzioni di tipo scismatico.
Le autorità ecclesiastiche non possono tollerare simili atteggiamenti e, a più livelli e in momenti diversi, condannano l’opera di don Calcagno, peraltro sostenuta e incoraggiata da Farinacci e dallo stesso Mussolini <651 anche per ottenere il consenso del mondo cattolico e per “colpire” indirettamente il Vaticano, accusato di avere un atteggiamento tiepido, se non freddo o addirittura ostile, nei confronti della la RSI.
Significativa, da questo punto di vista, è la notificazione della Conferenza episcopale della regione triveneta. Il documento sottoscritto dai vescovi ha una funzione di orientamento delle coscienze dei fedeli e, nello stesso tempo, esprime una posizione chiara ed energica anche sui temi di natura politica. In particolare, si afferma che “la guerra, nella continuazione come nel suo principio, è un fatto schiettamente politico: di natura politica sono infatti gli scopi che l’hanno determinata, anche se vi si annettono interessi di civiltà e di religione, ed è politica l’autorità che l’ha dichiarata assumendone la responsabilità dinanzi alla propria nazione e dinanzi alla storia” <652. I vescovi si rivolgono poi a “quei pochi sacerdoti che conducono pubblica propaganda prettamente politica” esortandoli, “per amore delle loro anime”, “per l’edificazione dei fedeli disgustati e disorientati dal loro esempio, per l’onore della chiesa e il vero bene della patria” a “rientrare nelle file disciplinate del clero” <653. Una condanna esplicita è rivolta a ‘Crociata italica’, accusata di “spirito acre e ribelle, non sacerdotale e nemmeno cristiano”. La Conferenza, infine, vieta a sacerdoti e religiosi di collaborare con il settimanale di don Calcagno ed “esorta vivamente i fedeli di ambo i sessi ad astenersi dalla lettura e dalla propaganda di periodici e giornali che, come il sopra menzionato,
costituiscono un grave pericolo per l’integrità della fede cattolica e per l’unità della ecclesiastica disciplina” <654.
La stessa esortazione viene formulata ai sacerdoti e ai fedeli dall’episcopato lombardo della provincia ecclesiastica di Milano: il settimanale ‘Crociata italica’ “è da considerarsi riprovato; e perciò lo segnaliamo come lettura pericolosa, e facciamo divieto al clero, compresi i religiosi, ed alle associazioni cattoliche di collaborarvi e di favorirne la diffusione” <655. Segue la notificazione dell’arcivescovo di Cremona <656 e, infine, l’omelia tenuta dal cardinale Schuster il 20 agosto 1944 nel Duomo di Milano: “Da qualche tempo, sui giornali e per mezzo di opuscoli di propaganda largamente diffusi, si tenta di inoculare al buon popolo italiano i germi di una strana eresia: si vorrebbe niente di meno che la chiesa in Italia fosse italiana e che perciò il papa lasciasse libero ad un altro vescovo il posto di primate della penisola” <657.
La posizione delle autorità religiose è di netta condanna. Tuttavia, non viene sottovalutata né l’attività di don Calcagno né l’azione di proselitismo svolta da ‘Crociata italica’. D’altra parte, sono numerosi i sacerdoti che, per dovere d’ufficio <658 o per intima convinzione <659, aderiscono alla RSI <660. La Chiesa, però, ha già scelto da che parte stare. Il radiomessaggio di Sua Santità Pio XII ai popoli del mondo intero (24 dicembre 1944) è abbastanza esplicito <661. Per quanto riguarda don Calcagno, la sua esperienza religiosa si concluderà il 21 marzo 1945 quando il papa approverà la risoluzione di scomunica del Sant’Uffizio <662.
Il 15 dicembre 1944, dopo aver compiuto le ispezioni nelle province, Giorgio Pini invia a Mussolini una Relazione <663 che contiene un’analisi delle cause che hanno prodotto la “grande crisi italiana”. Queste cause sono riconducibili, fondamentalmente, allo “sviluppo negativo delle vicende militari; al tradimento della monarchia, dello Stato maggiore e della classe dirigente borghese; al collasso del regime per inquinamento ed errori di metodo, fino al suicidio del Gran Consiglio, alla diserzione dei gerarchi e al disorientamento della massa” <664.
[…] Le indicazioni fornite da Pini definiscono lo stato di salute della RSI e la cura necessaria. Forse, però, si richiede troppo a un corpo malato, ormai compromesso nelle sue funzioni vitali. Forse, con particolare riferimento all’annotazione finale relativa ai “motivi di avversione”, si attribuisce ad agenti esterni la responsabilità della crisi senza pensare, invece, a cause “endogene”. Forse, i motivi di avversione popolare nascono dalle scelte compiute
dalla RSI, indipendentemente dai rapporti con l’alleato tedesco (ma è possibile pensare a una “autonomia” della RSI?). Forse, infine, la malattia della RSI è una malattia “congenita” ascrivibile al DNA del fascismo italiano.
La crisi del fascismo di Salò è infatti una fase, quella terminale, della lunga crisi del fascismo italiano, una crisi di “consenso”, di sistema, di uomini, di idee che si è manifestata già da tempo. Precede la stessa guerra anche se da questa è stata accelerata; si fonda sulla debolezza delle strutture politiche, militari, industriali sovvertite da un conflitto mondiale che la retorica e la propaganda non riescono a inquadrare nelle sue reali dimensioni; si manifesta con le stesse modalità che hanno accompagnato la nascita e l’evoluzione del fascismo (la violenza, lo scontro tra gerarchi, la corruzione, le convenienze, l’opportunismo) fino ad assumere, in particolari momenti, l’aspetto della congiura e del “tradimento”. Il mito del complotto, interno ed esterno, non basta però per spiegare la cause di questa crisi, né il mito dell’onore da riscattare può giustificare la sottomissione alla “volontà di potenza” germanica e ad un alleato che si è dimostrato, in molte occasioni, sprezzante e autoritario.
[NOTE]
641 Giorgio Pini, Itinerario tragico (1943-1945), Omnia, Milano 1950, p.134.
642 Vedi Silvio Bertoldi, Salò, cit. pp.311-343. Come scrive l’Autore, “tutte le informazioni e le citazioni di questo capitolo sono tratte da documenti dell’Archivio Pini”.
643 Ivi, p.337.
644 “Le autorità sono unanimi nel deplorare l’esistenza e i metodi adottati da un reparto detto Sicherheitsabteilung, comandato da un certo colonnello Fiorentini, il quale si considera esclusivamente alla dipendenze tedesche, agisce con lo stile di un banditismo e di un ribellismo alla rovescia, senza riguardi a leggi e procedure e provocando la defezione di elementi della Brigata Nera e GNR con l’allettamento di maggiori paghe”. Riportato in ivi, p.322.
645 Ivi, p.339.
646 Nasce a Terni nel 1899. Entra in Seminario all’età di dieci anni ma interrompe gli studi per partecipare alla Prima guerra mondiale. A conclusione della guerra rientra in Seminario e nel 1924 viene ordinato sacerdote. Nel 1942 pubblica, senza l’imprimatur, La scure alla radice della Royal Oak, ossia Guerra di giustizia, un libro in cui ritiene “santa” la guerra di Mussolini e in cui dichiara: “Quando è lecito o doveroso uccidere, è lecito o doveroso odiare”. Diffidato dal Sant’Uffizio (“l’odio è un peccato più grave dell’omicidio”), continua a pubblicare scritti sullo stesso argomento e il 24 novembre 1943 viene rimosso dalla parrocchia di Terni e sospeso “a divinis”. Il 22 febbraio 1944 indirizza una supplica al Papa con la quale chiede la revoca della sua sospensione ma il 22 marzo 1945, nonostante i continui avvertimenti delle autorità ecclesiastiche, viene scomunicato. Il 27 aprile 1945 viene arrestato. Processato e condannato a morte, il 29 aprile viene fucilato. Su don Calcagno e su “Crociata italica” vedi Annarosa Dordoni, “Crociata italica”. Fascismo e religione nella Repubblica di Salò (gennaio 1944 – aprile 1945), Sugarco edizioni, Milano 1976.
647 Riportato in ivi, pp.23-24.
648 “Cremona, 8 gennaio 1944. S.E. mons. Giovanni Cazzani, vescovo di Cremona, notifica: Vediamo preannunziata la pubblicazione di un settimanale “Crociata italica” che si qualifica politico – cattolico, diretto da don Tullio Calcagno. Perché non sia sorpresa la buona fede di cattolici, è nostro dovere avvisarli che il predetto sacerdote, di diocesi lontana dalla nostra, è sospeso da ogni sacro ministero e in nessun modo autorizzato alla pubblicazione di un giornale; e pertanto il giornale sunnominato non può essere considerato come cattolico”, ivi, pp.170-171.
649 Gli ebrei sono visti come “mostri infernali” (“Crociata italica”, 6 novembre 1944, Troppo poco di Giuseppe Franceschini), “cancro roditore dell’umanità” (“Crociata italica”, 26 marzo 1945. Omelia: aspra è la via della vittoria), “cancro dell’umanità che deve essere isolato” (“Crociata italica”, 23 aprile 1945, Omelia. Perché il dolore? Di padre Ottavio). Emanazioni della “satanica setta ebraica” sono la massoneria e la plutocrazia (“Crociata italica”, 13 novembre 1944, Omelia: buon seme non mente). Vengono denunciati la cospirazione dell’”internazionale ebraica” (“Crociata italica”, 17 aprile 1944, Ebraismo; 23 ottobre 1944, Programma di Quebec; 27 novembre 1944, La quarta vittoria, tutti di Giuseppe Franceschini), l’”egoismo affamatore” (“Crociata italica”, 27 novembre 1944, La quarta vittoria), lo “strozzinaggio usuraio” (“Crociata italica”, 16 aprile 1945, Avanti ariani d’Italia contro giudei e massoni di Vittorio Castelli). Si parla anche di “orde barbare di colore” (“Crociata italica”, 26 giugno 1944, Notarelle) e di “infingarda razza nera che vuol essere trattata con la sferza” (“Crociata italica”, 14 agosto 1944, Tragica epopea di Maria Pellizzari Giampietro). Ivi, pp. 87-99.
650 “Statuto della Crociata italica. I – La Crociata italica è una milizia cattolica italiana d’avanguardia, di linea e di retroguardia, al servizio di Cristo, unico Signore, e del’Italia sociale repubblicana. […] VIII – Tutti i crociati maggiorenni si vincolano con giuramento solenne di fedeltà a servire pubblicamente nostro Signore Gesù Cristo con la osservanza dei comandamenti di Dio dei precetti della chiesa e delle leggi della Repubblica Sociale Italiana. IX – Sono vietati ai crociati il matrimonio con persone d’altra religione, confessione, stirpe o nazionalità, e l’imboscamento. […] XI – Il crociato dopo nostro Signore Gesù Cristo deve amare la patria, cui, in tempo di guerra deve votar tutto e sacrificare, occorrendo, anche la vita e gli affetti familiari, pur senza speranza di premi, compensi o riconoscimenti. […]”, Ivi, pp.155-157.
651 “Voglio dirvi prima di tutto che sono un lettore assiduo del vostro giornale e lo trovo ben fatto. Lo ritengo, non solo opportuno, ma necessario e rispondente ai bisogni del momento”. Dal discorso di Mussolini tenuto a Gargnano il 17 marzo 1944 ai rappresentanti di “Crociata italica”, ivi, p.168.
652 “Bollettino diocesano di Padova”, aprile – maggio 1944, pp.156-163. Citato in ivi, p.176.
653 Ivi, pp. 176-177.
654 Ivi, pp. 177-178.
655 “Rivista diocesana milanese”, maggio – giugno 1944, pp.99-100. Citato in ivi, p.181.
656 “Alle molteplici ragioni di dolore e di angosciosa preoccupazione per l’avvenire della nostra povera patria si aggiunge un nuovo velenoso accanimento di certa stampa – che pare abbia il suo centro più focoso in mezzo a noi – contro la chiesa e contro i suoi pastori, che giunge fino alle più atroci offese contro lo stesso capo augusto della chiesa”, “La Vita cattolica”, 21 luglio 1944 e “Crociata italica”, 21 agosto 1944. Citato in ivi, pp.181-182.
657 “L’Italia”, 23 agosto 1944 e “Rivista diocesana milanese”, luglio – agosto 1944, p. 150 sgg. Citato in ivi, p.183.
658 Vedi Mimmo Franzinelli, Il riarmo dello spirito. I cappellani militari nella seconda guerra mondiale, Edizioni Pagus, Milano 1991.
659 Sono numerosi i sacerdoti che aderiscono alla RSI e ne condividono l’ideologia. Uno dei casi più famosi è quello di padre Eusebio (al secolo Sigfrido Zappaterreni), cappellano delle Brigate nere. Alla fine della guerra viene condannato a vent’anni di reclusione per collaborazionismo. Nel 1946, però, viene liberato su intercessione della Chiesa ed espatria in Argentina dove continua a svolgere attività di coordinamento dei reduci di Salò. Sulle scelte dei sacerdoti a favore della RSI o a favore della Resistenza vedi, tra gli altri, Ulderico Munzi, Gesù in camicia nera, Gesù partigiano, Sperling & Kupfer, Milano 2005.
660 Sarebbero circa 300 su un totale di 100.000 preti italiani. Vedi: Antonio Fappani, Franco Molinari, Chiesa e Repubblica di Salò, Casa editrice Marietti, Torino 1981. Vedi anche: Mimmo Franzinelli, Chiesa e clero cattolico, in Dizionario storico della Resistenza, a cura di Enzo Collotti, Renato Sandri e Frediano Sessi. Volume primo. Storia e geografia della Liberazione, Einaudi, Torino 2000, pp.300-322.
661 “Sotto il sinistro bagliore della guerra che li avvolge, nel cocente ardore della fornace in cui sono imprigionati, i popoli si sono come risvegliati da un lungo torpore. Essi hanno preso di fronte allo Stato, di fronte ai governanti, un contegno nuovo, interrogativo, critico, diffidente. Edotti da un’amara esperienza, si oppongono con maggior impeto ai monopoli di un potere dittatoriale, insindacabile e intangibile, e richieggono un sistema di governo, che sia più compatibile con la dignità e la libertà dei cittadini”, Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, VI, Quinto anno di Pontificato, 2 marzo 1944 – 1° marzo 1945, Tipografia Poliglotta Vaticana, pp. 235-251.
662 “Essendo già stato il sac. Tullio Calcagno, della diocesi di Terni, dimorante nella diocesi di Cremona, sospeso a divinis a causa della negata ubbidienza all’autorità ecclesiastica e non essendo lo stesso ravveduto, nonostante le ammonizioni canoniche e la minaccia di scomunica; essendo anche arrivato al punto di presumere di attentare all’unità stessa della chiesa, gli eminentissimi e reverendissimi cardinali della suprema sacra Congregazione del santo Uffizio, preposto alla tutela della fede e dei costumi, nell’assemblea plenaria tenuta il 21 marzo 1945, hanno scomunicato e dichiarato scomunicato a tutti gli effetti di legge lo stesso Tullio Calcagno. E nel giorno seguente 22 marzo 1945, il santissimo nostro signore Pio per divina provvidenza papa XII, nell’udienza concessa all’ecc.mo e rev.mo assessore del santo Uffizio ha approvato la risoluzione degli em.mi padri, l’ha confermata ed ordinato che essa diventi di pubblico diritto. Dato a Roma, dal palazzo del s. Uffizio, il 24 marzo 1945. f.to: Giovanni Pepe Notaio della supr. S. Congr. Del s. Uffizio”, “L’Osservatore romano”, 25 marzo 1945; “Bollettino ufficiale della diocesi di Cremona” e “Rivista diocesana milanese” del maggio 1945. Citato in Annarosa Dordoni, “Crociata italica”. Fascismo e religione nella Repubblica di Salò (gennaio 1944 – aprile 1945), cit., p.167.
663 Riportata in ivi, pp. 450-454.
664 Ivi, p.451.
Antonio Gioia, Guerra, Fascismo, Resistenza. Avvenimenti e dibattito storiografico nei manuali di storia, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno Accademico 2010-2011