Secondo i tre autori la nuova politica repressiva fascista si indirizzava soprattutto agli oppositori ospitati dal governo francese

Una seduta della Società delle Nazioni, Ginevra, 1926 – Al palco degli oratori, Aristide Briand

Tra il 1926 e il 1937 gli oppositori italiani all’estero, in particolare in Francia, inviarono diverse lettere e petizioni alla Società delle Nazioni per sottoporre all’attenzione degli esperti e delle autorità ivi riuniti la loro particolare situazione.
I temi su cui gli oppositori italiani all’estero concentrarono la propria attenzione furono gli stessi su cui avevano cercato di agire nell’ambito bilaterale: da un lato essi tentarono di far valere la propria capacità rappresentativa, mettendo in rilievo la provvisorietà e non legalità del regime fascista che definivano un “semplice governo di fatto”, dall’altro reclamarono la precarietà della situazione giuridica in cui veniva condotta la vita all’estero chiedendo un intervento chiaro e determinato in proposito da parte della Società delle Nazioni.
Nel settembre del 1926, all’apice della tensione bilaterale franco-italiana sulla questione emigrazione politica, Oddino Morgari <1, Giuseppe Donati <2 e Ubaldo Triaca <3 scrissero al Presidente dell’Assemblea della Società delle Nazioni in qualità di rappresentanti dei comitati italiani di azione antifascista «Pace e Libertà» e di diverse correnti politiche della democrazia italiana costrette all’estero.
Il gruppo cercò di portare l’attenzione del consesso multilaterale sul fatto che, in seguito all’attentato Zaniboni, Mussolini aveva sollevato di nuovo la questione degli emigrati politici, rilevando in particolare che “Il semble d’après le discours du dictateur et les documents de sa presse que le gouvernement fasciste veuille exiger des gouvernements étrangers que les émigrés politiques italiens qui sont leurs hôtes, soient pour eux considérés comme de criminels de droit commun, par suite, être expulsés et remis à la police fasciste de la frontière”. <4.
Secondo i tre autori la nuova politica repressiva fascista si indirizzava soprattutto agli oppositori ospitati dal governo francese. Gli autori scrivevano alla SdN per esprimere al riguardo il parere della democrazia italiana, ormai priva di mezzi espressivi in Italia, temendo che all’estero il partito fascista venisse considerato come la vera espressione del popolo italiano quando invece così non era. La questione della rappresentatività era di essenziale importanza per gli autori della missiva, ed era proprio in base alla loro rivendicata legittimità rappresentativa che si rivolgevano alla Società delle Nazioni affermando di rendersi garanti per gli emigrati italiani: chi apparteneva alla democrazia sarebbe rimasto fedele ai principi e alle tradizioni di lotta civile del proprio partito in Italia <5.
Pochi mesi dopo, nel dicembre, Francesco Ciccotti <6, Alceste De Ambris <7, Ettore Cuzzani <8, Adelmo Pedrini <9 e Mario Pistocchi <10 firmavano, dalla sede della Lega dei Diritti dell’Uomo di Parigi, un «appel des proscrits italiens à la Société des Nations» in cui veniva raccontata la situazione di quanti erano stati privati della propria cittadinanza. Secondo gli autori della lettera era facile prevedere che nel giro di qualche mese in ogni paese di Europa si sarebbe trovato un numero considerevole di emigrati italiani senza nazionalità, «apolides», privati di uno status giuridico personale.
«Il en résultera – pour ces proscrits – dans leurs rapports avec les autorités des Etats où il se seront réfugiés, des situations juridiques et politiques inquiétantes pour le bon ordre international».
Era proprio su questa situazione che gli autori intendevano sollecitare l’intervento della Società <11.
Secondo la missiva, la conseguenza più immediata della perdita della cittadinanza era che i nuovi apolidi venivano privati non solo di un passaporto regolare, ma soprattutto di ogni possibilità di documentare e far valere la propria personalità giuridica all’estero. In effetti gli italiani apolidi non avrebbero più potuto presentare, nello Stato in cui risiedevano, un attestato valevole della loro identità e del loro stato civile, dal momento che le autorità del loro paese di origine avevano troncato ogni legame con loro. Nel quotidiano, i proscritti si sarebbero visti rifiutare ogni tipo di atto giuridico e amministrativo, interessante le loro persone e le loro famiglie e avrebbero ignorato le leggi e le giurisdizioni che avrebbero dovuto regolare i loro innumerevoli rapporti giuridici. La situazione più grave si sarebbe verificata nei rapporti con le autorità e le leggi degli Stati «qui à présent leur donnent une généreuse hospitalité» <12.
Rispetto a questi paesi, gli autori mettevano in evidenza l’assurdo che si veniva a creare: amministrazioni e governi, pur avendo tutto il diritto di procedere a misure di espulsione o “refoulement”, non avrebbero potuto, almeno in teoria, farvi ricorso visto che lo straniero «indésirable» non avrebbe nemmeno potuto varcare le frontiere dello Stato che lo stava espellendo: «les agents de frontière des autres Etats le refouleront pour la même raison pour laquelle il aura été expulsé parce que, en somme, il n’a pas un document établissant son identité personnelle. Au surplus, cette situation paradoxale est sans remède car l’étranger apolide, bien qu’objectivement en défaut vis à vis de la loi, il
n’a pas produit une violation de la loi, et il ne peut prendre aucune initiative pour y remédier» <13.
Poco tempo dopo Ubaldo Triaca rinnovava l’azione di pressione scrivendo al Presidente della Società delle Nazioni che il governo italiano era un semplice governo di fatto <14, sprovvisto del regolare e libero mandato del popolo italiano; per questo tutti i trattati e gli impegni presi dallo stesso con l’estero, fossero essi di natura politica, economica o altra sarebbero stati considerati dall’UDI e dalle forze democratiche italiane come «nuls et non avenus, car il leur manque la base juridique de la légitimité du contractant» <15.
Nel mese di febbraio, Francesco Ciccotti inviava un’altra lettera chiedendo un intervento della Società in favore di suo figlio, incarcerato a Lampedusa; Ciccotti scriveva che «dans ma situation de dénationalisé, n’existe pas, pour moi, une autorité responsable et protectrice, à laquelle je puisse m’adresser» <16.
Il 15 settembre del 1927 Ubaldo Triaca scriveva nuovamente a nome dell’Unione Democratica Italiana al Presidente della Società delle Nazioni con l’obiettivo di attirare la sua attenzione sulla situazione «des denationalisés et des persecutés politiques italiens». Triaca sottolineava la necessità di prendere misure adeguate nei confronti di questa categoria sociale, soprattutto in quel periodo, in cui alcune particolari sezioni della Società delle Nazioni discutevano della eventuale estensione del passaporto Nansen – di cui si parlerà a breve – o di altri documenti analoghi a diverse categorie di cittadini senza nazionalità o, seppur aventi una nazionalità, non protetti dal governo del
loro paese di origine. Il Presidente dell’UDI sottolineava che, oltre ai diciassette cittadini italiani che avevano perso la propria cittadinanza – e che per questo si trovavano in una situazione giuridica assurda – era necessario affrontare anche la situazione delle centinaia di cittadini che, pur possedendo ancora nominalmente la propria nazionalità, erano di fatto rifugiati all’estero, senza passaporto, nell’impossibilità assoluta di avere ricorso ai servizi dei funzionari fascisti all’estero.
Per questo, interpellando direttamente la Commissione Consultiva e Tecnica delle Comunicazioni e del Transito e facendo riferimento a una recente risoluzione dell’Assemblea – di cui a breve si tratterà – Triaca, a nome di tutti gli italiani all’estero concludeva: “Nous nous permettons de nous référer en particulier à la décision prise le 25 septembre 1926 par l’Assemblée de la Société des Nations en faveur de l’extension du passeport Nansen et nous manifestons le vif espoir que cette résolution soit rapidement appliquée pratiquement en faveur des dénationalisés et réfugiés politiques italiens à l’étranger” <17.

Un’altra seduta della SdN a Ginevra

[NOTE]
1 Socialista unitario, in Francia dal 1926. Per una breve sintesi del suo percorso politico cfr. P. Mattera, Oddino Morgari, in Dizionario biografico degli italiani, 76, 2012, sub vocem. Consultabile online all’indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/oddino-morgari_(Dizionario-Biografico)/ (data ultima consultazione 10/01/2014).
2 Definito da Simonetta Tombaccini come uno degli isolati vicini al mondo della Concentrazione Antifascista, Giuseppe Donati giunse in Francia a metà del 1925. Lì diresse il «Corriere degli Italiani» e poi «Il Pungolo». Cfr. S. Tombaccini, Storia dei, cit.
3 In Francia dal 1911, egli divenne consigliere federale della loggia massonica Italia, afferente alla Grande Loggia di Francia, e fondò l’Unione Democratica Italiana. Nel suo studio sul fuoriuscitismo italiano oltralpe, Simonetta Tombaccini presenta Triaca come uno dei cosiddetti “isolati”, personalità in vista del mondo emigrato, pur tuttavia in qualche modo a margine delle diverse forme associative in cui il fuoriuscitismo si era organizzato nella seconda metà degli anni Venti. L’Unione Democratica Italiana non riuscì a contare su un grande numero di aderenti, e i rapporti del suo presidente con il resto della comunità furono a tratti piuttosto complessi proprio a causa delle velleità interventiste di Triaca che, all’epoca, firmò diversi appelli a nome dei “proscritti italiani” pur rappresentandone un numero tutto sommato marginale. Cfr. D. Ligou, Dictionnaire de la franc-maçonnerie, Paris, Puf, 1991, sub vocem “TRIACA, Ubaldo”; S. Tombaccini, Storia dei, cit., pp. 112-113. Importante sottolineare che tra gli emigrati italiani in Francia aderenti alla massoneria erano anche Alceste De Ambris e Luigi Campolonghi, fondatori della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo. In proposito cfr. Encyclopédie de la franc-maçonnerie, Paris, La Pochothèque, 200, sub vocem “Italie”.
4 LONA, FN (1919-1947), lettera di Pace e Libertà – Comitati italiani di azione antifascista al Presidente dell’Assemblea della SdN, 15 settembre 1926.
5 Ibid. Libera traduzione a cura di chi scrive.
6 Francesco Scozzese Ciccotti, aderente al Partito Socialista Unitario, in Francia dal 1924, vicino ad Alceste De Ambris e alla Lidu. Cfr. P. Agnello, “Francesco Scozzese Ciccotti”, in Dizionario biografico degli italiani, 25, 1981, consultabile online all’indirizzo web: http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-ciccotti_(Dizionario-Biografico)/ (data ultima consultazione 10/01/2014).
7 Alceste De Ambris, emigrato in Francia nel 1923. Collaborò con il «Corriere degli italiani» di Giuseppe Donati, fra i promotori della Concentrazione antifascista, divenne segretario generale della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo poco dopo la sua fondazione. Cfr. F. Cordova, Alceste De Ambris, in Dizionario biografico degli italiani, 33, 1987, sub vocem. Consultabile online all’indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/alceste-de-ambris_(Dizionario-Biografico)/ (data ultima consultazione 10/01/2014).
8 Ettore Cuzzani, Anarchico. Socialista, poi anarchico. Schedato dal 1909. Con Adelmo Pedrini diede vita a Bologna alla sezione dell’Unione italiana del lavoro alla quale aderirono gli ex sindacalisti passati all’interventismo. Nel 1923, per il proprio antifascismo, emigrò in Francia. Si recò a Tolosa e qui, assieme a Pedrini, diede vita ad alcune organizzazioni anarchiche e fu tra i dirigenti della sezione locale della LIDU. Collaborò con articoli al giornale antifascista “Il Mezzogiorno”, edito a Tolosa. Venne privato della cittadinanza nel 1926. Morì a Tolosa nell’ottobre del 1934. Ha pubblicato con Adelmo Pedrini, Il movimento sindacale e la sua funzione politica, Bologna, Tip. Azzoguidi, 1920, pp. 20. Per il suo profilo biografico cfr. A. Albertazzi, L. Arbizzani, N. S. Onofri (a cura di), Dizionario Biografico Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945), consultabile online alla pagina web dell’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nella Provincia di Bologna, consultabile alla pagina: http://www.iperbole.bologna.it/iperbole/isrebo/strumenti/C6.pdf. Data ultima consultazione 30/03/2014.
9 Adelmo Pedrini, anarchico, nel 1918 con Ettore Cuzzani diede vita all’UIL della provincia di Bologna, la nuova organizzazione cui aderirono anarchici e anarcosindacalisti interventisti. Nel 1919 aderì alla costituzione del Fascio di combattimento di Bologna. All’interno dello stesso fece parte della corrente di sinistra democratica e antimussoliniana. Negli anni in cui militò nel Fascio la Polizia allentò la sorveglianza su di lui, salvo tornare a considerarlo politicamente pericoloso quando iniziò a militare in campo antifascista. Nel 1923, viste le persecuzioni subite dai fascisti, emigrò in Francia. Ebbe rapporti complicato con il mondo antifascista in esilio, si iscrisse alla LIDU, e nel 1926 divenne a Tolosa redattore per del periodico antifascista «il Mezzogiorno». Fu fra i diciassette italiani all’estero che vennero privati della cittadinanza tramite applicazione della “legge sui fuoriusciti”. Cfr. sulla sua biografia a cura di A. Albertazzi, L. Arbizzani, N. S. Onofri (a cura di), Dizionario Biografico Gli antifascisti, cit., consultabile online alla pagina web dell’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nella
Provincia di Bologna: http://www.iperbole.bologna.it/iperbole/isrebo/strumenti/P2.pdf. Data ultima consultazione 30/03/2014.
10 Mario Pistocchi, nato a Cesena, repubblicano, redattore del «Corriere degli Italiani», emigrato in Francia nel 1925, e schedato nel Casellario Politico Centrale da quell’anno fino al 1943.
11 LONA, FN, «Appel des proscrits italiens au Conseil de la Société des Nations», 6 dicembre 1926.
12 Ibid.
13 Ibid.
14 Lo stesso concetto era stato ribadito anche nella missiva precedentemente citata.
15 LONA, FN (1919-1947), lettera dell’Unione Democratica Italiana, firmata da Ubaldo Triaca, al Presidente della Società delle Nazioni, 1 marzo 1927.
16 Ivi, lettera di Francesco Ciccotti al Segretario generale della SdN, 14 febbraio 1927.
17 LONA, TG, CCT, Passeports, R2502, f. «Passeports pour les réfugiés politiques italiens – correspondance diverse». Lettera di Ubaldo Triaca, Presidente dell’UDI al Presidente della SdN, 4 marzo 1927.
Costanza Di Ciommo Laurora, L’asilo politico nelle relazioni franco-italiane. I signori nessuno e l’impossibile status dell’opposizione italiana all’estero (1920-1986), Tesi di dottorato, Università Ca’ Foscari Venezia, 2014

Particolarmente documentato, dalle carte d’archivio ma anche da altre fonti, è quello di Bettini Schettini (66), la cui vita ardente merita di trovare chi vi dedichi una ricerca biografica di adeguato impegno.
A Parigi, dove emigrò nel 1926, ebbe una parte di un certo rilievo nelle tormentate vicende del fuoruscitismo italiano (67). Con Camillo Berneri e con il socialista Jacometti pubblicò il periodico «L’Iniziativa», di cui uscirono alcuni numeri nel 1928, con l’intento di aprire un dibattito «che potesse portare ad un accordo operativo nell’ala più radicale dell’antifascismo» (68). Berneri era un anarchico di vasti orizzonti politici e culturali, e insieme un rivoluzionario coraggioso fino alla temerarietà, protagonista di azioni clamorose e talvolta avventurose. Schettini, allo stato delle nostre conoscenze, non vi risulta coinvolto, perlomeno non direttamente. Partecipò intensamente alle vicende del partito repubblicano, militando nella sua corrente di sinistra. Nel 1932 entrò a far parte della direzione. Al V congresso, nel 1933, intervenne a favore di una collaborazione con i comunisti e di «un blocco di forze proletarie». La successiva sconfitta di questa linea lo spinse ad uscire dalle file repubblicane.
«Questa esperienza mi condusse di filato verso nuove piattaforme di lotta e trovai nel cosiddetto ‘fronte unico’ il mio posto di battaglia», dichiarò in un lungo interrogatorio nelle carceri di Trento, nel 1942, in cui tracciò una propria autobiografia, deformata, al solito, dalla situazione e dalla consapevolezza del suo uso a fini polizieschi. Ne riportiamo un brano:
“La mia attività è stata di lotta contro il fascismo e nel medesimo tempo contro l’antifascismo incapace di esprimersi secondo le aspirazioni della classe operaia italiana e internazionale. La nuova situazione creatasi in Francia in seguito ai fatti del 6 febbraio 1934 e cioè quando vi fu l’assalto al Parlamento da parte dei partiti di destra francesi, determinarono in me la necessità di prendere parte attiva alla lotta antifascista con molti discorsi e con qualche articolo pubblicato su giornali italiani riguardanti le condizioni dell’emigrazione italiana in Francia nei rapporti della situazione francese. La mia attività antifascista culminò in quell’anno con la mia presenza alla manifestazione dei combattenti francesi di sinistra la quale determinò la caduta del Ministero Doumergue. Nel 1935 in seguito alle disposizioni prese dal governo di Laval che limitava il visto sulle carte di identità necessarie per il lavoro in Francia, venni sollecitato, nella mia qualità di ex combattente e mutilato di guerra da parte dei moltissimi connazionali in Francia, di tentare qualche cosa per ovviare questo stato di cose che danneggiava enormemente la nostra emigrazione in Francia. Mi consultai quindi con alcuni amici ex combattenti e mutilati di guerra francesi appartenenti al partito radicale i quali mi consigliarono di fondare, come feci, una qualunque associazione di combattenti italiani, in nome della quale potermi recare presso i dicasteri interessati allo scopo di impedire che malversazioni venissero compiute nei riguardi dell’emigrazione italiana”.
La linea di Schettini di fronte al funzionario di polizia che lo interrogava, era evidentemente quella di valorizzare l’aspetto sindacale del suo operato, a difesa dei diritti dei connazionali emigrati. Ma nemmeno in una situazione così delicata Schettini se la sentì di minimizzare la sua critica radicale della guerra di conquista in Etiopia, il suo impegno a favore «di quella parte del popolo spagnolo che lottava contro Franco», la vicinanza ai comunisti nell’esperienza dell’Unione popolare che aveva per segretario generale Romano Cocchi. Con la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Francia vennero per lui il licenziamento dalla Società di Elettricità di Parigi presso cui lavorava, l’arresto da parte della polizia tedesca su ordine di quella italiana, il carcere e poi il campo di concentramento, il trasferimento in Italia nel 1942.
[NOTE]
(66) Riportiamo la scheda biografica di Silvio Bettini fornita dal fascicolo a lui intitolato in ACS, CPC: «Di povera famiglia ebbe una discreta educazione. Compì a Rovereto la scuola media di disegno. Intelligente, ha coltura superiore agli studi fatti, aveva molti amici e godeva di notorietà in quel di Rovereto e anche nella provincia. Appartenne al Partito socialista e fu segretario della camera del lavoro di Rovereto. Tenne conferenze di propaganda anche in paesi viciniori. Nel 1915 si staccò dal Partito socialista perché interventista. Riparò in Italia e si arruolò nel R. Esercito. Per ferita riportata in combattimento gli fu amputato il piede sinistro al posto del quale ha un apparecchio di protesi. Dopo la mutilazione, fu nominato ufficiale (Tenente) propagandista nell’Esercito. È decorato di medaglia d’argento al valor militare per atti di valore. Prese parte quale legionario alla spedizione di Fiume ed è anche decorato della medaglia commemorativa di Ronchi. È risoluto, volitivo, tenace. Fu amico del noto comunista Straffelini Emilio. Nel 1920 fece parte del primo Fascio di combattimento di Rovereto ma ben presto se ne staccò per iscriversi all’Italia libera manifestando idee repubblicane e massoniche. […] Il 22 febbraio 1926 ottenne passaporto per la Francia per motivi di lavoro». Le citazioni dei documenti che lo riguardano provengono da questa fonte e dal suo fascicolo personale in ACS, Ufficio confino politico. Segnaliamo l’interessante profilo che di lui tracciò Ernesta Battisti, che vedeva nella sua figura una sintesi di patriottismo e sensibilità ai diritti dei lavoratori. Il suo articolo Un simbolo, in «La Fiamma Intelligente», anno I, n. 3, 3 maggio 1921, esprime una sorta di dannunzianesimo sociale, che accomunava in quella fase l’autrice dell’articolo e il personaggio di cui faceva l’elogio.
(67) Cenni a Schettini sono frequenti anche nell’ignobile libello dello spione E. MENAPACE, Tra i «fuorusciti», Paris 1933, di cui esiste una copia presso la Biblioteca Comunale di Trento.
(68) C. BERNERI, Epistolario inedito, vol. II, a cura di Paola Feri e Luigi Di Lembo, Pistoia 1984, pp. 29-30.
Fabrizio Rasera, Fascisti e antifascisti. Appunti per molte storie da scrivere in (a cura di Mario Allegri), Rovereto in Italia dall’irredentismo agli anni del fascismo (1890-1939), vol. V Tomo I, Accademia Roveretana degli Agiati di Scienze Lettere e Arti, Rovereto 2002, pp. 85-130

Al centro degli scambi transnazionali tra Italia e Gran Bretagna vi era, ancora una volta, la più stretta collaboratrice di Salvemini, Marion Enthoven. Infatti, l’iniziativa del Refugees Committee riusciva a varcare anche il confine italiano tramite la rete parentale degli Enthoven, che per una parte aveva radici fiorentine e si legava alla famiglia, fascista, del conte Mario Gigliucci – la stessa rete che permise a Marion di compiere frequenti viaggi in Italia per conto di Salvemini, rimanendo sostanzialmente insospettata. Non tutta la famiglia Gigliucci, tuttavia, condivideva le idee politiche del patriarca; al contrario il cugino più vicino a Marion, Donatello, era invece un simpatizzante della causa antifascista, e si era sin da subito adoperato per raccogliere fondi da inviare al comitato. Ad esempio, in una lettera risalente al febbraio del 1928, Gigliucci, che da tempo si era stabilito a Sori Ligure, inviava a Marion Enthoven l’equivalente di mille lire italiane, che aveva raccolto dal viceconsole olandese a Genova Leendert Johannes Breman e dalla moglie Lolo – entrambi noti alla polizia politica per il loro supporto all’antifascismo – da Marion <189 Rosselli e da altri sostenitori fiorentini. <190 Contestualmente ai contatti con il cugino, come si è già accennato in precedenza, Marion Enthoven intratteneva una fitta corrispondenza con Umberto Zanotti-Bianco, anch’egli impegnato in attività di soccorso in Italia. Conosciuto tramite Salvemini, Marion Enthoven lo teneva aggiornato in merito alle attività svolte dal comitato, ma anche sulle attività clandestine da lei svolte per conto del professore in Italia. <191
Verso gli Stati Uniti, un tentativo di far giungere l’attività del comitato oltreoceano fu compiuto dalla stessa Daphne Larwill, che nel 1929 vi si era trasferita definitivamente per seguire la carriera diplomatica del marito, come testimonia un passaggio di una lettera di Giovanna Berneri nella quale annuncia una raccolta di denaro che aveva fruttato un centinaio di dollari, ai quali andavano aggiunti duemila franchi di ulteriori sottoscrizioni e altre donazioni promesse. <192
[NOTE]
189 Si veda il fascicolo intestato a Breman in ACS, PolPol, personali, b. 187.
190 RUL, MS 1244, CE33.
191 Si vedano a questo proposito le lettere conservate in RUL, MS1244. Interessante in merito è anche il resoconto risalente al 1928, Notes on a Journey in Italy under Fascism, di proprietà di John Rawson.
192 RUL, MS943, C172a.
Giulia Quaggio, Tra esilio intellettuale e militanza politica: l’antifascismo in chiave transnazionale, Sissco, 2017