Particolarmente delicato era il problema dei radiotelegrafisti

Per combattere contro i nazisti e i fascisti, dall’Armistizio dell’8 settembre 1943 fino alla primavera del 1944 fiorirono molte iniziative autonome italiane di intelligence: l’ORI (Organizzazione Resistenza Italiana), il Gruppo Montezemolo, la Rete Zucca, l’Organizzazione Otto e così via, collegate ai servizi segreti alleati che lavoravano con le proprie missioni, ma contemporaneamente si avvalevano della collaborazione degli italiani.
Da quel momento iniziò una seconda fase, che abbracciò il periodo da aprile a dicembre del 1944 e che vide il moltiplicarsi di iniziative indipendenti di intelligence e di missioni alleate, ma nello stesso tempo vide stabilirsi una più stretta collaborazione fra il Comando alleato e la Resistenza al Nord. Sempre in questa fase prese corpo il servizio informazioni del C.V.L. (Corpo Volontari della Libertà) che, in breve tempo, diventò la maggiore e più autorevole (anche agli occhi degli Alleati) centrale di intelligence nel territorio occupato.
La terza fase andò dal gennaio 1945 alla fine della guerra. L’organizzazione del Servizio I del C.V.L. raggiunse un tale livello di efficienza che il Comando alleato lo considerò ormai il suo più fidato periscopio in territorio nemico.
Gli anglo-americani non volevano un esercito partigiano in Italia. Non lo volevano sia per ragioni politiche, perché temevano che vi prevalessero le tendenze di sinistra, che per ragioni militari, perché ritenevano troppo oneroso rifornirlo. Essi chiedevano alla Resistenza italiana solo un buon servizio di informazioni, perché costava poco e, nel quadro generale delle operazioni, secondo il loro giudizio era preferibile a più di cento scaramucce di guerriglia. La Resistenza italiana diede l’una e l’altra cosa: l’esercito e l’intelligence. Ferruccio Parri sapeva che il riscatto del nostro Paese dalle colpe del fascismo sarebbe scaturito soltanto dalla lotta di tutto il popolo, cioè da un grande movimento armato; ma pur comprendendo le esigenze degli Alleati, mentre prendeva corpo l’armata partigiana si affrettò a organizzare il servizio di informazioni. L’intelligence della Resistenza fu multiforme, non priva di contraddizioni e di approssimazione, ma diede un grande contributo che gli Alleati riconobbero.
Dopo l’8 settembre, quando militari italiani di tutti i gradi si presentarono per essere impiegati al Nord, gli Alleati si trovarono di fronte uomini quasi sempre ben decisi a combattere e rischiare, ma non addestrati a svolgere i compiti per i quali si offrivano. Il militare italiano destinato a operare oltre le linee al Nord seguiva dei corsi e imparava nozioni che si supponevano utili a chi doveva agire in territorio nemico, con compiti che erano prevalentemente di informazione e sabotaggio.
I canali attraverso i quali, nell’Italia liberata, volontari italiani per missioni di intelligence venivano reclutati erano due: l’O.R.I. e il vecchio S.I.M. (Servizio Informazioni Militari). Intanto anche al Nord nascevano spontaneamente gruppi di intelligence che solo in seguito avrebbero avuto rapporti diretti o indiretti con gli Alleati.
L’O.R.I. fu certamente uno dei primi e più efficienti tramiti tra i volontari e i servizi anglo-americani. L’organizzazione era stata fondata da un gruppo del quale facevano parte anche Raimondo Craveri, Guido De Ruggiero, Ottorino Maiga e Tullio Lussi. L’organizzazione piacque agli americani, ma non altrettanto agli inglesi. Questi ultimi puntavano sulle superstiti strutture del regio esercito.
L’attivissimo trait d’union fra l’O.R.I. e l’O.S.S. (Office of Strategic Services) fu un giornalista americano, Peter Tompkins, che si trovava a Napoli fin dai tempi dell’occupazione tedesca.
Dai contatti fra O.R.I. e O.S.S. furono accuratamente esclusi il Secret Service britannico e il suo braccio secolare, la Special Force Number 1.
Quanto all’altro canale, il S.I.M., la logica avrebbe voluto che fosse uno dei primi organismi a scomparire dopo la caduta di Mussolini, perché durante il regime non si era limitato a svolgere i normali compiti istituzionali, ma si era adattato a una lunga e vergognosa complicità con il fascismo, culminata con l’assassinio dei fratelli Carlo e Nello Rosselli. Invece il S.I.M. sopravvisse al 25 luglio e anche all’8 settembre, mettendosi al servizio degli Alleati. Gli inglesi chiusero tutti e due gli occhi e accettarono la collaborazione; gli americani, a quanto risulta, non lo fecero.
Dopo il reclutamento, per i volontari iniziava subito la fase dell’addestramento; un training elaborato dallo Stato Maggiore britannico e adottato dagli americani. I corsi erano organizzati dalla Special Force Number 1 ed erano di: paracadutismo, canottaggio, sabotaggio semplice e sabotaggio per compiti speciali; mentre per organizzatori e istruttori: ricezione aviolanci, antisabotaggio, pilotaggio aerei, radiotelegrafia.
Si insegnavano particolari discipline, come cross combat (difesa personale senza armi, una specie di judo), tiro (specialmente con la pistola), armi leggere, topografia, sabotaggio, spionaggio.
Il gruppo degli italiani trascorse le settimane dell’addestramento in una specie di complesso residenziale formato da villette, cintato e sorvegliato da un piccolo presidio di soldati americani.
La mensa era comune e l’istruzione si svolgeva sempre con lo stesso schema: al mattino lezioni teoriche e pratiche, al pomeriggio esercitazioni di sabotaggio e marce di orientamento. Finito questo primo corso vennero trasferiti a Ostuni in Puglia, dove si svolgeva la seconda parte dell’istruzione: corsi di cifratura e decriptazione. Quelli destinati a diventare operatori radiotelegrafici (come Leandro Galbusera di Cinisello Balsamo) seguivano un apposito corso.
Infine, da Ostuni gli allievi partirono per l’ultima fase di addestramento, il corso di paracadutismo, che per alcuni si svolse a San Vito dei Normanni e per altri in Algeria. Le pietre parlano, Comune di Cinisello Balsamo

Una mattina, all’inizio di marzo 1990, mentre mi preparavo per fare colazione, suonò il telefono e sentii qualcuno che tentava di parlare inglese. Dopo che gli risposi in italiano la sua voce ebbe un sospiro, come per dire «meno male, ho trovato uno con il quale posso comunicare».
Era Giambattista [Lazagna] che mi trasmetteva l’invito del sindaco di Rocchetta Ligure di partecipare all’inaugurazione di un museo dedicato alla Resistenza nella Val Borbera.
Mi chiese di invitare anche il Cap. Leslie Vanoncini, capo missione dell’OSS Operational Group “Peedee”, lanciata nel gennaio 1945 con l’obiettivo di assistere i partigiani della Sesta Zona Operativa Ligure.
Mi comunicò che un giorno prima ci sarebbe stato un convegno all’Università di Genova su Gli Alleati nella Guerra di Liberazione in Liguria.
Il curriculum e gli scritti di “Carlo” sono ben documentati nella storia della Resistenza come risulta dall’Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza. Quando si ritirò a Rocchetta Ligure, egli divenne attivo nella creazione di un Centro di Documentazione per il comune e scrisse due altri libri: Rocchetta, Val Borbera e Val Curone nella guerra e Intervista a “Minetto”, il suo amico intimo, il Prof. Erasmo Marré che durante la guerra era membro dell’ORI, capo della missione OSS “Meridien” e comandante della Brigata Arzani.
Roberto Botta ha scritto un articolo (Patria, febbraio 2003) intitolato “Addio Gibì”. Il mio scopo in questo tributo è di testimoniare che senza quell’invito, senza i suoi aiuti e consigli, difficilmente mi sarei interessato allo studio della Resistenza.
Nel periodo in cui mi preparavo a partire per Genova eravamo spesso in contatto.
Egli mi chiese di trovare per il museo documenti ed esempi d’emblemi usati nella guerra clandestina, e il modello di una radio TR 2. Prima del 1985 tutti gli scritti sulla storia del primo servizio d’intelligence, l’Office of Strategic Services (OSS) dipendevano da ricordi personali e testimonianze orali. Tutti i documenti erano classificati e tenuti nell’archivio della CIA. Il grande contributo che l’OSS diede alla liberazione dell’Italia non era a disposizione degli storici. Adesso i documenti si trovano nel National Archives and Records Administration (NARA) ed è facile consultarli.
Cominciai ad andare lì, e con l’aiuto degli archivisti feci una selezione che portai a Gibì.
Tornato in America, incoraggiato e con il suo aiuto, scrissi un piccolo libro Americani dell’OSS e partigiani nella Sesta Zona Operativa Ligure in inglese. Il Professor Lamberto Mercuri lo tradusse e lo fece pubblicare.
Per la prima volta gli storici italiani vedevano documenti americani inediti, per trentacinque anni tenuti segreti.
Questi documenti, con altri che mandai, sono stati depositati all’Istituto Storico della Resistenza di Alessandria nel “Fondo Materazzi”.
Adesso simili fonti esistono negli Istituti di Belluno e Treviso.
Sto preparando documenti per Bolzano e per il Centro di Documentazione dell’ANPI a Roma.
Ho aiutato e fornito documenti per le tesi di laurea di sei studenti.
Ho risposto a richieste di non ricordo quanti ricercatori e storici.
Alcuni sono venuti per visitare il NARA e sono stati assistiti ed ospitati da me e da mia moglie.
Non ho tenuto il conto, ma il numero di copie mandate in Italia si avvicina a mille.
Nell’ottobre 1994, in collaborazione con colleghi italiani, i Veterani dell’OSS organizzarono una visita d’amicizia a quattro città con conclusione a Venezia. I vari membri hanno partecipato al convegno preparato dall’ANPI sul tema “Gli Americani e la guerra di liberazione in Italia”.
Siamo stati ricevuti ovunque con grande ospitalità ed amicizia.
Nel 1998 un gruppo italiano contraccambiò la visita e venne in America per un convegno al Trinity College in Hartford, Ct. e brevi visite a New York, Filadelfia e Washington.
Spesso, quando mi serviva un consiglio o qualche informazione particolare, potevo rivolgermi a Giambattista.
Se non ci fosse stata quella telefonata tredici anni fa, chissà se mi sarei interessato alla Resistenza […]
Albert R. Materazzi, Giambattista Lazagna, Patria Indipendente, 15 giugno 2003

La Resistenza dei militari è stata per molti anni lasciata alle memorie e al ricordo dei superstiti e delle loro associazioni, e quasi ignorata dalla storiografia, perché erano vicende che riguardavano le Forze Armate, che avevano comunque combattuto una guerra fascista […] Sono state sostanzialmente trascurate le vicende che coinvolsero i militari italiani dopo l’armistizio. Al di là della dissoluzione della maggior parte delle divisioni, vi furono parecchi episodi sia di collaborazionismo che di Resistenza armata, che rendono molto più difficile di quanto finora sia apparso un giudizio su quegli avvenimenti. Si sono sottovalutati casi anche eroici di reazione armata ai tedeschi in Italia, ma soprattutto nei territori occupati; la preminente iniziativa di ufficiali e soldati nella costituzione delle prime bande partigiane e la loro presenza attiva nella Resistenza; infine la partecipazione alla liberazione del paese nei gruppi di combattimento aggregati alle Forze Armate alleate. I militari “badogliani” e le formazioni “autonome” […] sono stati espunti dalla nostra storia nazionale. Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando. 8 settembre 1943, Il Mulino, 2006

[…] Nell’assoluta necessità di reperire informazioni sulla consistenza, la dislocazione, i movimenti delle truppe tedesche, gli Alleati fecero ricorso ai propri servizi segreti (Special Operations Executive, SOE, britannico e Office of Strategic Services, OSS, degli Stati Uniti). Nella difficile situazione brindisina, con mancanza di uomini, di mezzi, di spazio e con le continue interferenze alleate, il S.I.M. fu faticosamente ricostituito; al suo comando fu posto il colonnello Pompeo Agrifoglio, già appartenente al Servizio, caduto prigioniero in Africa e fatto rientrare apposta dagli Alleati dal campo di prigionia negli Stati Uniti dove si trovava. All’interno del S.I.M. fu costituita la 1a Sezione “Calderini”, guidata dal tenente colonnello Giuseppe Massaioli, con compiti “offensivi”; da essa dipendevano: un “Gruppo bande e sabotaggio” (maggiore Antonio Lanfaloni), con compiti di collegamento e rifornimento, e un “Gruppo speciale” (maggiore Luigi Marchesi), con compiti informativi. Date le difficoltà che i due Servizi anglo-americani avevano incontrato in precedenza, tutti e due ritennero opportuno prendere contatto con il S.I.M. per poterne avere l’appoggio, sia in uomini sia in mezzi. Il S.I.M., a sua volta, ritenne conveniente poter disporre dell’appoggio, specie in finanziamenti e mezzi, che la cooperazione con i Servizi alleati assicurava. Comunque, ognuno dei tre servizi continuò a perseguire, principalmente, i propri obiettivi e ognuno fece, innanzitutto, i propri interessi, ciò che a volte causò gravi inconvenienti con ripercussioni anche nel campo primario delle operazioni. Le azioni in appoggio della Resistenza, in fase di iniziale organizzazione, non rientravano nei piani dei servizi alleati. Invece il S.I.M. aveva interesse a che fossero appoggiate le organizzazioni “militari” nate dallo sbandamento dei reparti delle Forze Armate e che costituivano una forte opposizione alla tendenza in atto, nel nascente movimento partigiano italiano che andava assumendo connotazioni sempre più politiche di tipo comunista anti-monarchico. Il reclutamento del personale per i Servizi alleati avvenne direttamente oppure, in particolare per quanto si riferisce al personale militare, attraverso il S.I.M. o, a Napoli, attraverso una organizzazione messa in piedi, ai primi di novembre, da Raimondo Craveri, Mondo, genero di Croce, che si definiva Organizzazione Resistenza Italiana (ORI). Tale organizzazione raggiunse un accordo con l’O.S.S. in una apposita riunione che si tenne ad Algeri a fine settembre 1943. Fra i primi ad aderire vi fu il sottotenente medico di Marina Enzo Boeri, Giovanni, figlio di un ex deputato antifascista, che all’armistizio si trovava a Napoli. Una volta paracadutato nel Nord Italia, Boeri divenne, dal 12 settembre 1944, il capo del servizio informativo del CVL […] A Napoli, a Brindisi e a Monopoli continuava l’attività di reclutamento e di addestramento di personale italiano da destinare alle missioni oltre le linee. I corsi (inizialmente tenuti ad Algeri, per una parte del personale reclutato) comprendevano l’addestramento al lancio col paracadute, quello alla voga (per il personale da inviare via mare) e quello al sabotaggio; vi erano, inoltre, corsi particolari per il personale destinato a compiti speciali, per istruttori, per il perfezionamento degli agenti, anti-sabotaggio, per operatori radio telegrafisti, ecc. Particolarmente delicato era il problema dei radiotelegrafisti. Grazie all’attività di Boeri, l’O.S.S. di Napoli riuscì a reclutare nove marinai radio telegrafisti che facevano servizio a bordo dei sommergibili italiani inviati a Napoli per fornire elettricità al porto. Dalle loro basi iniziali, stabilite a Napoli, a Brindisi, a Monopoli e Bari, SOE e O.S.S. cominciarono la loro azione di penetrazione nel territorio italiano occupato dai tedeschi. Il S.I.M. fornì direttamente propri uomini e si adoperò per reclutare altro personale fra quello delle Forze Armate […] I Servizi alleati presero quindi contatto con organizzazioni partigiane già impiantate che agivano più che altro a fini informativi. Fu questo il caso dell’Organizzazione Otto del professore Ottorino Balduzzi, costituita a Genova. Grazie alla presenza in essa di uomini di mare (il capitano Davide Cardinale, il sottotenente di vascello Giovanni Pompei), Balduzzi decise di mettersi in contatto con gli Alleati che erano non lontani, in Corsica, portandosi dietro, come prova di buona volontà, alcuni ex prigionieri, fra cui faceva spicco (non fosse altro per i quasi due metri di altezza) il colonnello sir Thomas G. Gore, amico personale del maresciallo Montgomery. Così, il 1° novembre 1943 a bordo del barcone I due fratelli, tre uomini di equipaggio e alcuni ex prigionieri lasciarono la spiaggia di Voltri e, dopo quattro giorni di una traversata non facile, raggiunsero l’Ile Rousse, ove sbarcarono alle 17:30 del 5 novembre. I piani inglesi non prevedevano alcun tipo di collaborazione con i partigiani (la Special Force in Corsica era ancora costituita dal solo capitano Vincent e da un sergente), ma Gore si recò ad Algeri e riuscì a convincere gli inglesi sull’utilità di una tale collaborazione. Il 29 novembre, in base alle richieste di Gore, fu effettuato un primo lancio di generi di conforto e di denaro nella zona di Cabanne d’Aveto. Inoltre, fra il 2 e il 5 dicembre furono inviati anche uomini addestrati delle missioni speciali. Il 3 dicembre il MAS 541 (sottotenente di vascello Guido Cosulich) sbarcò sulla spiaggia di Moneglia uno dei partecipanti alla spedizione in Corsica (Paolo Risso, Gino) e il secondo capo radiotelegrafista della Marina, Silvio De Fiori, Silvio, con un apparato radio con cui fu attuato uno dei primi collegamenti radio fra la Resistenza e gli Alleati. Il 5 dicembre sbarcarono, poco lontano, i due membri della missione JET, il guardiamarina Mario Cottini, Mario Campanelli, e il secondo capo radiotelegrafista Bruno Romano Pagani, con un’altra radio. Contemporaneamente fu lanciata in Piemonte la missione LOAM, costituita da personale del S.I.M. (capitano d’artiglieria Federico Sircana, tenente di cavalleria Edgardo Sogno del Vallino, operatore radio il sottocapo radiotelegrafista Luigi Bovati, Bianchi) che, però, perse la radio. Sogno, successivamente, si mise in contatto con la Otto e, di propria iniziativa, diede inizio a un’attività informativa autonoma e in parte politicizzata, costituendo la famosa organizzazione Franchi. Con la Otto collaborò anche un’altra missione S.I.M., quella del capitano Alberto Li Gobbi, Esposito. Con l’apporto delle radio e dei radio-operatori inviati dagli Alleati, con la disponibilità di operatori propri, in genere personale che aveva imparato il mestiere in Marina e poi era stato impiegato sulle navi mercantili (quali Giuseppe Cirillo, Ettore, e Agostino Cesareo, Aurelio), l’organizzazione Otto ricevette, il 6 gennaio 1944, un avio lancio di materiale bellico, nella zona di Val d’Aveto (Brignole) e, poco dopo, fece rifornire le bande che operavano nella zona di Mondovì. Inoltre organizzò il punto di sbarco e imbarco alla foce del Polcevera, nel Cantiere ILVA di Voltri. Qui, la notte fra il 1° e il 2 febbraio 1944, sbarcò da due PT americane, una delle quali ebbe un’avaria, la missione LLL/2 Charterhouse (Tail Lamp 2), del sottotenente Italo Cavallino, Siro, comprendente il sottotenente istruttore di sabotaggio Nino Bellegrandi, Annibale, e il radiotelegrafista di Marina Secondo Balestri, Biagio, con una radio ricetrasmittente italiana in valigia. Cavallino e Balestri furono inviati nella zona di Mondovì, in Val di Pesio, presso la formazione del capitano degli alpini Piero Cosa; Bellegrandi rimase come istruttore a Genova. Il 19 febbraio 1944, probabilmente sbarcata dal MAS 546, giunse una seconda missione, collegata all’O.S.S., del tenente Gianni Menghi con un operatore radio in grado di collegarsi con l’O.S.S., con scopi prevalentemente politici (vale a dire fornire notizie su i movimenti partigiani) che non furono ben capiti da Balduzzi. Il 17 febbraio fu ripetuta l’operazione Corsica; questa volta cinque uomini di equipaggio condussero, in quattro giorni, nell’isola, otto ex prigionieri e due aviatori americani, da poco abbattuti sul Piemonte e recuperati dai partigiani di Mondovì. Una serie di gravi imprudenze, il sospetto del C.L.N. regionale che la Otto stesse perseguendo fini militari e politici particolaristici, l’organizzazione attiva ed efficiente dello SD genovese, portarono alla rapida fine della Otto […] Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale, Anno XXIX, 2015, Editore Ministero della Difesa

Peraltro anche la Marina era riuscita a stabilire un proprio Servizio Informazioni Clandestino (S.I.C.). L’attività da svolgere era sicuramente difficile, ma fu seguita con grande interesse da parte dei Comandi alleati, che utilizzarono le informazioni raccolte, con concreti riscontri. Particolarmente attento fu il controllo del traffico ferroviario e stradale in tutta la zona dell’Italia centrale e dell’attività di mezzi d’assalto, che consentì di neutralizzarne missioni nonché di catturare alcuni militari e agenti nemici. Un Centro, dunque, che fece un lavoro egregio non solo per la liberazione di Roma, ma per tutta l’Italia occupata. A Roma si trovarono dunque ad operare una serie di enti informativi: vi fu una certa collaborazione tra i servizi di matrice militare, mentre sembra che non ve ne fu assolutamente tra quelli militari e i civili, organizzati nell’ambito di ricostituiti partiti politici, collegati al Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.), che aveva alle proprie dipendenze anche esso un proprio organo informativo clandestino. Bisogna poi aggiungere che anche l’Arma, tra il 20 e il 30 settembre 1943 aveva organizzato una rete informativa militare, inquadrata nel Fronte Clandestino dei Carabinieri Reali. Stessa cosa accadde per la Guardia di Finanza. Tra le attività iniziali furono organizzati gli interrogatori degli evasi dai territori in mano ai tedeschi, attivate le comunicazioni radiotelegrafiche con il Comando alleato e con le Unità italiane in Albania e il collegamento con la Missione Militare alleata, nonché ripristinati i servizi cifra. Nel prosieguo di questo studio sarà però affrontata la sola ricostruzione dell’ordinamento del Servizio di Informazioni Militare, dipendente dal Comando Supremo. Nei primi giorni di ricostituzione vi fu assenza di attività di controspionaggio, ma in seguito esso assunse una parte preponderante anche perché il Servizio continuava a mantenere tutte le attribuzioni del controspionaggio per quanto riguardava la Marina e l’Aeronautica […] Al 1° ottobre 1943, quando il colonnello Agrifoglio assunse ufficialmente la Direzione dell’Ufficio, questa era l’organizzazione del Servizio, peraltro in costante evoluzione, come imponeva la complessità del momento in un territorio ‘liberato’ solo per una parte e per l’altra occupata dai tedeschi e dai fascisti repubblicani: il Servizio, ancora nella sede di Brindisi, prevedeva un Capo Ufficio, un Vice e due addetti, con compiti di coordinamento e di collegamento con altri organi informativi. Era stata costituita una Sezione C.S. operata dal Centro C.S. di Bari (con sottocentro a Brindisi); una Sezione offensiva, con annessa una scuola per informatori e marconisti; una Segreteria. Dal Capo della Sezione offensiva dovevano dipendere tre Gruppi. Il primo Gruppo doveva: conoscere la situazione politico-militare tedesca nell ‘Italia non liberata e i movimenti dei partiti antimonarchici; seguire la situazione dei nuclei di patrioti dislocati nell’Italia non liberata; riprendere contatto con gli elementi italiani dislocati all’estero ed eventualmente inviarvi altri elementi idonei. Il secondo aveva il compito di: ristabilire e mantenere i collegamenti con i nuclei dei patrioti dislocati nell’Italia non liberata; assistere e incrementare i nuclei stessi, organizzarli, eventualmente rifornirli per manovrarli, in relazione alla situazione contingente degli alleati e degli avversari. Il terzo avrebbe dovuto attuare sabotaggi atti a paralizzare o, quanto meno, rallentare i movimenti e rifornimenti avversari, riducendone l’efficienza bellica. Il Gruppo doveva altresì dirigere l’organizzazione e la vita delle scuole (radiotelegrafisti, informatori, sabotatori) […] Dal Secret Service di Londra dipendevano sul territorio italiano o connesso con la situazione bellica italiana: a Brindisi l’I.S.L.D. (Intelligence Service Liaison Department), incaricato del servizio informazioni offensivo, la N. l Special Force (sopra citata), incaricata dell’attività di sabotaggio, la I.S.G., per il recupero dei prigionieri, il servizio di controspionaggio S.C.I. (Service Counter Intelligence) e una speciale organizzazione incaricata degli interrogatori, con sede ad Algeri e distaccamenti a Napoli e a Bari, il C.S.I.D.I.C. (Combined Service Detailed lnterrogation Centre). Per gli americani era presente l’O.S.S. (anch’essa sopra citata), con sede ad Algeri, e distaccamenti a Caserta, Centrale a Brindisi e direttamente dipendente da Washington. Dopo vari problemi avuti sia con il Comando della Special Force che con il G-2 americano, per far comprendere l’importanza delle missioni sul territorio italiano, ne furono organizzate in seguito moltissime: alcune fallirono, ma la maggior parte furono indispensabili per la completa liberazione del territorio italiano […] Non fu facile, da quanto risulta dai documenti, convincere soprattutto la SpeciaL Force a utilizzare i movimenti della Resistenza e a dare loro un aiuto concreto, in quanto gli alleati ritenevano che i movimenti clandestini non sarebbero riusciti ad operare efficacemente per far terminare il conflitto; quell’aiuto che si materializzò poi specialmente con le missioni. Queste si suddivisero in missioni di collegamento e operative; speciali; di istruttori per sabotaggio; rifornimenti; finanziamento; propaganda. Per quanto riguardava le missioni di collegamento, nel maggio 1945 esse erano riuscite a coprire l’intero territorio, avendo così assicurato la possibilità a tutte le formazioni clandestine di essere in contatto con il territorio che veniva liberato progressivamente. Se molte missioni furono effettuate con aviolanci, alcune, particolarmente favorevoli, furono fatte infiltrare via terra: da ricordare, come segnalato nella citata relazione al generale Messe che, nell’ottobre del 1943, una missione attraversò le linee tedesche dell’Adriatico; nel dicembre 1944, una, partita da territorio neutrale; nel marzo 1945, una, partita da territorio francese; nell’aprile del 1945, due missioni infìltrate attraverso le linee tedesche in ripiegamento sulla pianura padana […] È interessante riportare dei numeri: le statistiche sono sempre fredde, però danno l’idea del lavoro svolto. In tutto le missioni di collegamento furono: 96, delle quali 48 italiane, miste 25, inglesi 23, per un totale di uomini impiegati 163 italiani e 119 inglesi, cioè 282 operatori, più altri elementi reclutati sul posto, per l’assolvimento di specifici compiti […] Quelle missioni speciali furono: nel gennaio 1944 (nelle Marche), la denominata ‘MAN’; la ‘ORO’, in Lombardia presso il Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia (C.L.N.A.I).; la ‘RRR’ e la ‘SSS’ nell’agosto del 1944, la prima e la seconda nel Veneto, ambedue presso i locali Comandi Militari […] Furono realizzate missioni antisabotaggio, soprattutto per far sì che i tedeschi in ritirata non distruggessero completamente le risorse economiche italiane, che rilevavano non solo per gli aspetti militari, ma soprattutto per le possibilità della ripresa economica dell’Italia, al termine del conflitto. Le missioni costruttive erano dedicate al controllo delle regioni via via liberate, al mantenimento dell’ordine pubblico, al rispetto delle leggi nel periodo intercorrente fra l’evacuazione tedesca, l’arrivo in forze delle truppe alleate e il ristabilimento di un governo legittimo. In questo caso gli organi alleati decisero di avvalersi della Special Force, costituendo missioni speciali ad assetto variabile con il compito di prendere contatti con i locali Comitati di Liberazione, di inquadrare se necessario le formazioni militari dei patrioti; di provvedere alla raccolta delle armi, controllando anche l’attività di patrioti e partigiani affinché non fossero commessi atti contro le leggi vigenti. Missioni delicate, che furono sospese con l’interruzione delle operazioni nell’inverno 1944-1945; posteriormente i compiti loro assegnati furono trasferiti alle missioni di collegamento. Da ricordare anche le due missioni con compiti speciali, la ‘FAT’ e la ‘VIS’, ciascuna con un ufficiale di aviazione, che furono inviate nel territorio occupato con fmi operativi, informativi e propagandistici. Parallelamente, dal territorio dell’Italia liberata fu creata una organizzazione che provvide a reclutare il personale, a istituire delle scuole per l’addestramento specialistico; a organizzare centri di sosta dove poter far appoggiare gli elementi da impiegare nelle missioni, in partenza o in rientro: tre furono istituiti in Puglia, con il nome di ‘Fabbrica’, ‘Villetta’, ‘Villa’. Nel febbraio 1945 l’Ufficio Informazioni prese sede in Toscana, ove furono allestiti altri centri con i nomi ‘Torre Fiorentina’, ‘Castagno’ e ‘Villetta’. Fu organizzato un gabinetto fotografico e un settore per la riproduzione dei documenti, operazione assai delicata: furono riprodotte carte di identità, tessere del Partito Nazionale Fascista, del Partito Fascista Repubblicano, tessere postali, fogli di congedo, patenti, documenti italo-tedeschi: il necessario per la parte logistica, forse la più difficile, delle missioni. Oltre a tutto questo, fu naturalmente organizzato un magazzino che provvedeva a rifornire di abiti adatti coloro che erano inviati in missione, e basi logistiche di approvvigionamento sul cosiddetto ‘libero mercato’, cioè a ‘borsa nera’, e d’altra parte non sarebbe stato possibile agire con tessere annonarie o attendere che sul mercato comparissero i generi di cui si aveva urgente bisogno. Molto importante era l’organizzazione dei collegamenti, che ebbero base principale prima a Monopoli e poi a Siena, allacciata con tutte le missioni in territorio occupato: questo sistema divenne attivo nel dicembre 1943, mentre nei mesi precedenti i collegamenti dovettero allacciarsi con la zona di Algeri, perché la SpeciaL Force era di base nel Nord Africa prima che gli anglo-americani sbarcassero in Sicilia e a Salerno. In seguito la Force organizzò la sua base in Puglia […] Vi fu una base avanzata nella zona di Firenze, allacciata con le missioni di carattere tattico (nell’agosto 1944); un centro di intercettazioni stazioni radio per collaborare con le due basi (già attivo nel novembre 1943). Sempre nel quadro degli importanti collegamenti, la base principale provvide anche ai normali collegamenti di servizio con Londra, soprattutto, per far pervenire i famosi messaggi radiofonici convenzionali per gli aviorifornimenti; quello con il Quartier generale alleato in Italia e quelli non meno importanti con i nuclei della Force già installati in territorio liberato.
Tutte le missioni ebbero personale militare (300 unità delle 474 reclutate); pochi furono i civili impiegati solamente nel periodo di ottobre-novembre 1943. Il lavoro informativo continuava non meno alacremente di quello burocratico e la 2A sezione dell’Ufficio Informazioni dello S.M. G. procedeva nella sua attività, anche organizzativa. Il 20 febbraio 1945 il Capo Sezione inviò una ennesima circolare, indicando e aggiornando compiti e direttive ai 14 Capicentro esistenti. Il controspionaggio e il contro sabotaggio rimanevano la funzione principale della Sezione C.S. e tutte le altre funzioni dovevano essere subordinate a questa […] Maria Gabriella Pasqualini, Carte segrete dell’intelligence italiana Vol. II: 1919-1949, Ministero della Difesa – RUD – Roma, 2007, (Prefazione Ministro della Difesa)

L’analisi dei documenti dell’O.S.S. dimostra che il S.I.M. fu un tramite importante nei rapporti tra gli Alleati e la Resistenza, soprattutto nella fase iniziale della guerra in Italia. Il S.I.M., in particolare nei piani di collaborazione con il S.O.E. inglese, ebbe il merito di aprire la strada ai primi contatti con la Resistenza nei territori occupati, mostrando quanto meno un notevole spirito di iniziativa e attivismo nella costruzione di una vasta rete spionistica e nell’invio di agenti dietro le linee tedesche. Le missioni del S.I.M., soprattutto all’inizio, ebbero infatti il compito di creare quei primi contatti tra partigiani e Italia libera che permisero in seguito alla Resistenza di ricevere gli aiuti Alleati indispensabili al suo sviluppo militare. Si potrebbe quindi ipotizzare che, in rapporto, fu più prezioso l’apporto militare italiano alla causa alleata nel campo dei servizi d’informazione che in quello strettamente operativo fornito dalle formazioni regolari dell’Esercito Italiano e che il S.I.M. contribuì alla Resistenza italiana più di quanto sia stato fino a oggi ammesso. Al di là dei reali meriti del servizio d’informazione militare italiano a noi sembra, tuttavia, che un complesso di cause – tra cui soprattutto l’incapacità di rapportarsi con il carattere profondamente ideologico del conflitto – concorsero a fare sì che il S.I.M. finisse per essere emarginato all’interno del network clandestino che aveva contribuito a creare. Va ricordato che gli Alleati evitarono un forte coinvolgimento italiano nelle operazioni di guerra contro i tedeschi. Soprattutto gli inglesi non vollero che il regno del Sud si arrogasse troppe benemerenze nella lotta contro il nazifascismo nella prospettiva del trattato di pace che vedeva l’Italia come una nazione vinta senza condizioni. L’Italia era solo un paese cobelligerante e non alleato delle Nazioni Unite. Solo alla fine del 1944, e per mancanza di truppe, gli Alleati acconsentirono a un impiego bellico più marcato del Regio Esercito. In generale si preferì impiegare i soldati italiani come lavoratori, disarmati, nelle retrovie del fronte. I gruppi di combattimento italiani furono privati di equipaggiamenti pesanti come carri armati o artiglierie di grosso calibro. Si lesinarono, inoltre, anche armi leggere, rifornimenti e la stessa razione viveri giornaliera era inferiore a quella più ricca ed energetica riservata alle truppe alleate. Claudia Nasini, Op. cit.

Modestissimo è senza dubbio il posto che gli Alleati assegnano nei loro piani al movimento partigiano italiano. Loro scopo evidente è di evitare in ogni modo che tutta l’Italia del Nord si sollevi impetuosamente alle spalle del nemico per suo conto o per sua iniziativa. Romano Battaglia, Storia della Resistenza italiana (8 settembre 1943 – maggio 1945), Torino, Einaudi, 1964, p. 528 e passim

Diciamo subito che i servizi segreti del Sud non mieterono successi: alla fine si ridussero a fornire materiale umano per le missioni in territorio occupato e nient’altro. Il S.I.M. vendette molto fumo agli inglesi, i quali gli cedettero (o fecero finta, visto che a loro conveniva?); per esempio, assicurò di disporre di una vasta rete radio al Nord, il che era perfettamente falso, là dove vi erano trasmissioni, lo si doveva a iniziativa personale, non al lavoro del S.I.M. Flavio Fucci, I servizi d’informazione della Resistenza, in Alessandro Mola (a cura di), La Cobelligeranza italiana nella lotta di Liberazione dell’Europa, Roma, Ministero della Difesa, 1986, p. 86

Nel periodo dicembre 1943 – luglio 1944, secondo dati pubblicati dall’Esercito, furono inviate oltre le linee dal SIM e dai Servizi Segreti britannici: 96 missioni operative e di coordinamento (48 con personale italiano, 23 con personale inglese, 25 con personale misto); 44 missioni addestrative con scopi di sabotaggio; 39 missioni informative. Il compito loro affidato fu portato a termine con il sacrificio di numerosi operatori caduti, feriti e catturati.
Con il nuovo Gabinetto Bonomi (18 giugno 1944) maggiore importanza venne data al Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI), vero rappresentante politico del Governo in territorio occupato; per mantenerne un certo controllo fu deciso che il comando del suo braccio armato, il neocostituito Corpo Volontari della Libertà, fosse affidato al generale Cadorna, già Comandante della Divisione di Cavalleria corazzata Ariete, che venne paracadutato al Nord nell’agosto del 1944. Egli fu coadiuvato, nella sua opera, da due ufficiali di Stato Maggiore già inviati al CLNAI. Molte furono, da questo momento, le operazioni condotte in coordinamento fra le truppe alleate e le formazioni partigiane attive dietro la linea del fronte. Moltissimi fra i componenti di queste ultime potevano contare su una precedente esperienza militare, di carriera o di leva; e tra di essi numerosi erano quelli che avevano preso parte ad operazioni di controguerriglia in Africa e nei Balcani. Commissione Italiana di Storia Militare (CISM) – a cura di Giuliano Manzari -, La partecipazione delle Forze Armate alla guerra di Liberazione e di Resistenza. 8 settembre 1943 – 8 maggio 1945, Ente Editoriale per l’Arma dei Carabinieri, Roma, settembre 2003

Al pari di tutte le altre attività dello SOE, anche per l’invio di missioni di collegamento era necessaria una notevole preparazione organizzativa, che risentiva della scarsa disponibilità di mezzi della Special Force, trovando ostacoli per la pianificazione e l’esecuzione, e che costringeva a scegliere le priorità. […] Nel novembre del 1944 il maggiore Vincent tracciava un ottimo rapporto sulla situazione delle missioni nell’area in cui operava, ma soprattutto si faceva portavoce di quegli ambienti della Special Force che erano ambienti critici rispetto al decentramento operativo […] In verità una gestione centralizzata era impossibile se anche all’interno delle formazioni gli inviati britannici erano costretti a delegare parte dei loro compiti a figure di cornice come l’Italian Intelligence Liaison Officer […] Nel relazionarsi con le formazioni invece i Liaison Officers erano aiutati dal fatto di condividerne la stessa vita. Ciò permetteva loro di non essere percepiti come burocrati militari estranei alla guerriglia. Alcune volte le difficoltà erano date dalla scarsa disponibilità a collaborare dei partigiani, espressione di un risentimento che non si dirigeva verso l’Inghilterra, ma solo verso gli ufficiali: “[…] il sentimento antibritannico ed antialleato non esisteva, quello del Partito Comunista e del Partito d’Azione era diretto esclusivamente verso la missione”. Un atteggiamento acuito dalla questione dei rifornimenti. Un lancio mancato, o semplicemente in ritardo, aveva delle ripercussioni sul morale delle formazioni screditando gli ufficiali dello SOE […] I BLO [British Liaison Officers] non avevano possibilità di comunicare direttamente con la centrale della Special Force e nemmeno con la squadra aerea in missione. Le richieste raggiungevano la propria destinazione solo dopo essere stato ripetute numerose volte, con una conseguente dilazione temporale. Le coordinate indicate per il rifornimento potevano essere soggette ad errori di trascrizioni o di ricezione. Anche nel migliore dei casi però erano sempre vaghe, visto che fotografavano una situazione in costante mutamento, che avrebbe potuto cambiare in breve tempo non corrispondendo più ai dati in possesso dallo squadrone aereo […] Grazie ai Liaison Officers gli italiani non si percepivano abbandonati, anche perché si adoperavano concretamente per migliorarne la situazione […]  Mireno Berrettini, Le Missioni dello Special Operations Executive e la Resistenza Italiana, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Pistoia, QF, 2007, n° 3