Sostanzialmente la Resistenza savonese resse bene alla dura prova dell’inverno ’44-’45

Mentre il CLN provinciale [di Savona] veniva duramente colpito e soffriva per la carenza di fondi e le diffidenze tra i partiti <13, reggeva validamente l’offensiva poliziesca l’organizzazione cittadina della Resistenza, che poteva contare su centinaia di uomini e donne delle SAP, del Fronte della Gioventù, dei Gruppi di Difesa della Donna, del Comando di Sottozona, del Comitato Militare Provinciale. In verità le difficoltà non mancavano nemmeno per loro: le SAP del Finale e di Calice Ligure (distaccamenti “Simini”, “Cambiaso” e “Piombo” della brigata “Perotti”) furono duramente colpite dalla repressione attuata dalla Controbanda, che aveva estorto confessioni con i noti metodi in uso e aveva infiltrato delle spie nelle file sapiste. In tal modo l’8 dicembre e il 26 gennaio furono arrestati diversi sapisti, alcuni dei quali riuscirono poi a fuggire dai treni destinati ai lager.
Ciò comportò un rimescolamento degli organici, giacché molti sapisti “bruciati” dalle indagini di polizia raggiunsero i compagni della Quarta Brigata “Manin”, i quali, a loro volta, inviarono alle SAP alcuni uomini, in particolari del disciolto distaccamento “Guazzotti”, per ricostituirne le fila <14.
Ma sostanzialmente la Resistenza cittadina resse bene alla dura prova dell’inverno ’44-’45, mostrando anzi un attivismo che contrastava con la contemporanea debolezza di gran parte dei reparti di montagna. Basti pensare che alla fine del 1944 le brigate SAP “Falco” e “Colombo”, attive nell’ambiente dei quartieri operai del capoluogo, contavano rispettivamente 102 e 150 elementi <15, numeri questi che consentivano di tenere in piedi un’organizzazione articolata in grado di resistere alle vaste operazioni di repressione (talora autentici rastrellamenti casa per casa) e ai frequenti arresti operati dalle polizie nazifasciste.
Dapprima fu organizzata, subito dopo i rastrellamenti, la “Settimana del partigiano”, durante la quale si raccolsero 180000 lire più altre 60000 versate dalle SAP, denaro che servì a ricostituire le misere riserve di munizioni ed equipaggiamento rimaste ai volontari alla macchia <16.
In dicembre “Noi Donne”, organo di stampa dei Gruppi di Difesa della Donna, si appellò ancora una volta alla generosità dei lavoratori lanciando una campagna per il “Natale del partigiano” che fruttò nuovi fondi, abiti, scarpe, viveri. “Natale è alle porte”, scriveva “Noi donne”, “In tante, troppe case purtroppo, nelle quali il piombo assassino nazifascista ha seminato la morte e la desolazione, questo giorno di serena festa familiare sarà un giorno di immenso dolore (…). Un Partigiano, forse un amico di chi vi era caro, lassù sui monti bianchi di neve, pensa di vendicarlo. Pensate anche voi a lui, siategli madre, sposa, sorella spirituale in questo giorno (…). Fategli sentire che le sue pene, i suoi sacrifici non sono vani. Fategli sentire che il terrorismo e la ferocia non uccidono la volontà di resistere (…)” <17.
L'”Unità” clandestina del 9 aprile riassumerà le attività del Comitato Provinciale di Solidarietà Nazionale nei mesi più duri: 527 familiari di antifascisti aiutati in dicembre per complessive 612840 lire, 576 assistiti in gennaio per un totale di 681600 lire, e ancora pacchi per un valore di 6200 lire inviati ai deportati in Germania e viveri per 7000 lire assegnati a 51 bisognosi <18. Certamente una piccola parte di queste cifre fu ottenuta grazie ai versamenti forzosi dei beneficiati dal regime, ma ciò non deve far dimenticare la sincera solidarietà mostrata nei fatti da una popolazione sofferente e semiaffamata. Se il pane, rigidamente razionato, era ancora reperibile (con file “sovietiche” davanti ai forni) al prezzo politico di 2,80 lire al chilo, le castagne secche, cibo non certo di lusso, raggiungevano il prezzo folle di 45 lire al chilo, e la carne, quasi introvabile, valeva ben 90 lire <19. In un anno il costo della vita era pressoché raddoppiato mentre i salari reali dei lavoratori dipendenti erano diminuiti.
A questa grave situazione si aggiungevano le condizioni disastrate di molte delle principali fabbriche della zona <20, costrette a frequenti fermi della produzione a causa della carenza di combustibili, dei danni provocati dai bombardamenti (ormai sporadici), dell’asportazione di macchinari da parte dei tedeschi o degli stessi proprietari, legati agli operai da un’anomala alleanza volta ad impedire il trasferimento degli stabilimenti in Germania.
Nel pieno del periodo più duro per la Resistenza savonese, i lavoratori dell’industria, esasperati, diedero vita ad una serie di agitazioni che, come sempre, partendo da richieste economiche, assunsero un preciso significato politico. Gli operai contestarono a gran voce la decisione del governo di abolire l’indennità di guerra di 25 lire al giorno, rivendicando il blocco dei licenziamenti, l’anticipo di tre stipendi mensili e la cassa integrazione al 75% dello stipendio per chi era rimasto senza lavoro, oltre a chiarimenti vari circa la distribuzione dei viveri <21. In 13 delle 15 fabbriche interessate dalle agitazioni le richieste operaie furono in gran parte accolte, con la promessa di nuove assegnazioni di generi alimentari per i familiari a carico; tuttavia l’indennità di guerra fu ridotta a 20 lire e per i soli capifamiglia <22. All’Ilva e alla Servettaz-Basevi le commissioni interne di nomina fascista dovettero dimettersi di fronte all’irriducibile ostilità dei lavoratori.
Il 19 dicembre [1944], alle ore 10, si ebbe una fermata generale del lavoro di un quarto d’ora in memoria di Gin Bevilacqua e Libero Briganti. La commemorazione, indetta dalla Federazione savonese del PCI e propagandata da volantini e scritte murali ad opera delle SAP, vide la partecipazione, in alcune fabbriche, anche di impiegati, tecnici e dirigenti <23 (mi si permetta tuttavia di dubitare della totale sincerità d’intenti di questi ultimi).
Per far fronte alla difficoltà di mettere insieme il pranzo con la cena, gli operai della Scarpa & Magnano, che in gran parte si erano rifiutati di trasferirsi oltre il Po dove erano stati trasportati i macchinari principali, si organizzarono, sfruttando le facilitazioni offerte da un decreto governativo, in una cooperativa per la fabbricazione del sale. Il prezioso minerale, ottenuto facendo evaporare acqua di mare su lamiere ondulate, veniva poi scambiato in proficui baratti con i contadini langaroli, a corto di sale ma ben forniti di farina, grano, mais, legumi <24. Tale attività, del resto praticata da molti già in precedenza, contribuì alla crescita di quell’economia informale (legale e non) che costituiva uno dei segni distintivi della condizione bellica.
[NOTE]
13 Resistenza e ricostruzione in Liguria…cit., p. 188 e 207. Una seria crisi interna al CLN savonese era stata provocata dall’uccisione da parte di partigiani del fratello di uno dei componenti del Comitato stesso. A seguito del tragico episodio, il rappresentante socialista si era ritirato dal CLN, salvo poi rientrarvi su pressione del partito una volta appurata la dinamica dei fatti.
14 M. Calvo, op. cit., p. 264.
15 R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 157.
16 Ibidem, p. 210.
17 Ibidem, p. 210.
18 Cfr. Ibidem, pp. 210-211 e G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 216.
19 G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 216.
20 R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 211.
21 G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 216.
22 Cfr. R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 212 e G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 216.
23 G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 217.
24 Cfr. R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 213 e G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 332.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet. La rivolta di una provincia ligure (’43-’45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999-2000