Studiare le donne che scelsero di schierarsi con i nazifascisti

Nel dopoguerra, migliaia di donne italiane e francesi furono processate dalle Cour de Justice e dalle Corti d’Assise Straordinarie con l’accusa di collaborazionismo con il tedesco invasore.
L’esame comparativo delle carte giudiziarie conservate nei fondi dei tribunali straordinari permette di rispondere ad alcune domande che aiutano a fare luce su un fenomeno lasciato per lungo tempo ai margini della storiografia, ridotto agli scarni stereotipi della spia e dell’“amante del nemico”. Perché queste donne scelsero di schierarsi con i nazifascisti? Quali furono i percorsi che le portarono verso quella scelta? In che modo collaborarono? Quali furono le motivazioni dei loro comportamenti? Che rapporto instaurarono con la violenza? Come furono giudicate nel dopoguerra?
[…] Concentrati principalmente sulla dimensione politico-militare delle due guerre mondiali, gli storici hanno in gran parte ignorato l’esperienza femminile del conflitto e dell’occupazione. Tradizionalmente, infatti, la guerra e la politica sono percepite come un “affare di uomini”: sono gli uomini a scatenare i conflitti, a prendere le armi, a combattere per la patria. Le esperienze delle donne, considerate per natura inclini alla pace, e di conseguenza escluse dalla politica e dai campi di battaglia, sono state dunque messe in disparte nella narrazione pubblica delle guerre mondiali.
Sia in Italia che in Francia solo negli anni ’70, grazie allo sviluppo delle idee e delle istanze del movimento femminista, si fece strada l’interesse per la presenza e per il ruolo delle donne in guerra. L’obiettivo di questa nuova generazione di studiose, impegnate a denunciare l’oppressione maschile e a rivendicare la presenza delle donne nello spazio pubblico, era infatti quello di «sortir de l’univers masculin» <4 e di rendere visibili le donne «comme actrices de l’histoire, comme sujet de recherche, comme historiennes» <5. L’analisi delle esperienze di guerra femminili avrebbe dunque restituito la parola alle donne, riempiendo quei vuoti d’analisi <6 che la storiografia aveva lasciato escludendole dalla narrazione pubblica. Come scrive Virgili, quindi, in questa prima fase: “l’histoire des femmes est l’écriture d’un combat en cours, pour lequel le récit historique des siècles d’oppression masculine et des luttes des femmes pour leur émancipation apporte légitimité, mémoire et identité”. <7
Fu tuttavia solo a partire dagli anni ’80, grazie alla proposta della storica statunitense Joan W. Scott, che il concetto di genere cominciò ad essere utilizzato come una vera e propria categoria di analisi storica <8 e applicato allo studio delle guerre. Nell’articolo “Gender: A Useful Category of Historical Analysis”, la studiosa definiva il gender come «un elemento costitutivo delle relazioni sociali fondate su una cosciente differenza tra i sessi» e «un fattore primario del manifestarsi dei rapporti di potere» <9. Ancor prima, in un saggio del 1976 intitolato “Women History in Transition: the European Case” <10 , Natalie Z. Davis rispondeva alle domande principali relative al genere nella storia (perché la storia tradizionale esclude le donne? Quali ruoli hanno svolto le donne nella storia?) utilizzandolo come categoria di analisi dei rapporti di potere insieme alla classe, alla stratificazione sociale e alla razza e ribadendo così la «storicità degli elementi legati alla determinazione dell’identità sessuale degli esseri umani» <11. La storia delle donne non poteva essere considerata un oggetto di studio autonomo e separato dagli altri, ma doveva essere intesa come un elemento indispensabile «per comprendere il passato alla luce dei rapporti di potere che il genere stabilisce» 12 . Ancora Scott scriveva che «le donne rappresentano sia un supplemento in più alla storia sia la causa della sua rielaborazione; esse forniscono qualcosa in più e sono necessarie per la completezza» <13.
La proposta dell’autrice era quindi di elaborare un nuovo modello di ricerca storica che infrangesse «la nozione di fissità» <14 e svelasse «la natura del dibattito o la repressione che governa l’apparente eterna permanenza della rappresentazione di genere binaria» <15. Questo tipo di analisi doveva quindi «includere nell’idea di politica come riferimento alle istituzioni e alle organizzazioni sociali il terzo aspetto dei rapporti di genere» <16, e il termine gender poteva quindi essere un’utile categoria di analisi storica anche quando applicato ai campi tradizionalmente ad esso estranei, come la guerra, la diplomazia e la politica <17.
Nello studio della Seconda guerra mondiale la categoria di genere permise dunque di allargare il campo di analisi, mettendo in luce l’evoluzione dei rapporti tra uomini e donne durante il conflitto. Gli storici cominciarono inoltre per la prima volta a interrogarsi su come, durante la guerra, si fosse costruita o organizzata la differenza sessuale e sulle modalità attraverso cui questa influenzò i due conflitti mondiali. Si trattava dunque di non limitare la ricerca alle sole donne, ma di analizzare le gerarchie e l’organizzazione sociale del rapporto tra i sessi, rifiutando il determinismo biologico e sottolineando l’aspetto relazionale del significato dei gruppi di genere nel passato <18. L’obiettivo non era più solo quello di rendere le donne “visibili”, ma anche quello di analizzare le evoluzioni del «gender system» <19, dei ruoli sociali e delle rappresentazioni sessuali, mettendo in luce quello che l’autrice chiama la «sexuation de politique en guerre» <20, ovvero le modalità attraverso cui i governi, gli individui e i gruppi sociali utilizzavano i simboli della divisione sessuale durante il conflitto.
Se dunque negli anni ’70 le studiose, rivendicando «la complicité entre femmes, chercheuses et sujet de recherche» <21 , si concentrarono principalmente sulla «versione resistenziale» <22 dell’esperienza femminile della Seconda guerra mondiale, il concetto di genere permise invece di superare la reticenza a «écrire sur des femmes dont l’appartenance au camp des victimes ou la participation à l’émancipation est problématique» <23 e di esaminare il posto delle donne nella società in guerra, le forme della loro coinvolgimento politico e le difficoltà della vita quotidiana <24.
Il ruolo delle donne durante il conflitto cominciò inoltre ad essere studiato in rapporto al complesso processo di «sortie de guerre» che i paesi europei dovettero affrontare nella transizione alla pace. A partire dagli anni ’90 diverse studiose, come la storica Mary Lou Roberts, analizzarono i processi di ricostruzione nazionale dei paesi europei in un’ottica di genere, mettendo in luce come la Liberazione comprendesse in sé, in molti casi, anche una volontà di ricostruzione di un ordine di sessuale, funzionale ad «apaiser les anxiétés sexuelles et culturelles nées des bouleversements de la guerre» <25.
Nel solco di questi studi trovarono dunque finalmente spazio anche le esperienze delle collaborazioniste, fino a quel momento doppiamente escluse – in quanto fasciste e in quanto donne – dalla storiografia sulla guerra e ridotte nell’immaginario collettivo dei due paesi agli scarni cliché della spia e dell’amante del nemico.
[…] A partire dagli anni ’90, grazie all’introduzione, nel 1985, del concetto di guerra civile da parte di Claudio Pavone <56 , gli storici cominciarono tuttavia a problematizzare l’interpretazione del biennio 1943-1945, concentrandosi su nuovi protagonisti, come i civili e le donne, fino a quel momento lasciati sullo sfondo. Lo sviluppo degli strumenti della storia sociale e il crescente utilizzo delle fonti orali provocarono un’ondata di studi sulla Rsi <57 che, affrancandosi dalle precedenti ricostruzioni storiche, seppero distinguere le sfumature interne e cogliere l’«universo delle tensioni, delle convinzioni, delle motivazioni, degli atteggiamenti e delle scelte individuali di uomini e donne e dei protagonisti di entrambi i fronti» 58.
In questo stesso periodo, inoltre, anche in Italia gli studiosi tornarono a rivolgersi agli archivi. Le carte dei tribunali del dopoguerra cominciarono così ad essere utilizzate dagli storici come chiavi di lettura della realtà politica e sociale del biennio 1943-1945, del dopoguerra e dell’epurazione. Fondamentale, in questo senso, il volume “Giustizia penale e guerra di liberazione” <59, uscito nel 1984 e curato da Guido Neppi Modona, Silvana Testori e Luigi Bernardi, all’interno del quale sono raccolte tutte le sentenze contro il fascismo emesse nel dopoguerra dagli organi giudiziari penali del Piemonte. L’obiettivo di tale censimento, che ha aperto la strada a numerose altre ricerche sulle carte dei tribunali straordinari, era quello di fornire «nuovi contributi allo studio del ruolo svolto dagli apparati dello stato, tra cui va evidentemente compresa la magistratura, nel momento del trapasso tra regime fascista e ordinamento repubblicano» <60. Nel solco di questo studio altre ricerche locali sono state dunque condotte, in tutta Italia, sui processi per collaborazionismo presso Corti d’Assise Straordinarie <61. L’esame di queste fonti ha così permesso di avvicinarsi, anche in Italia, al fenomeno della “collaborazione ordinaria” e di approfondire la comprensione di quella «zona grigia» <62 di spie, piccoli collaboratori e personaggi ordinari che popolavano lo schieramento nemico. Anche le donne, dunque, travolte quanto gli uomini dalla guerra totale e dal conflitto civile, trovarono posto nell’analisi come attrici sociali della “piccola collaborazione” e della successiva epurazione giudiziaria.
Come in Francia, i primi studi sulle donne fasciste hanno esaminato innanzitutto i rapporti tra le donne e il Ventennio e le modalità attraverso cui queste furono inquadrate e organizzate dal regime fascista e, in seguito, dalla Repubblica di Salò. Di questo filone fanno parte alcuni studi pioneristici come quelli di Vittoria De Grazia <63, Helga Dittrich Johansen <64 e Maria Fraddosio <65, concentrati soprattutto sugli aspetti politici e istituzionali della militanza femminile e sull’analisi della partecipazione delle donne agli organi del partito e della Repubblica, nonché al Servizio Ausiliario Femminile istituito nel 1944.
Nel corso degli ultimi vent’anni si è poi cominciato a dare più spazio allo studio delle esperienze soggettive, delle motivazioni e delle scelte individuali delle donne “del nemico”.
Maura Firmani <66, Dianella Gagliani <67 e in seguito Roberta Cairoli <68, ad esempio, hanno studiato le diverse forme di collaborazionismo femminile con l’intento di superare lo stereotipo dell’ausiliaria con semplici ruoli di assistenza, includendo nella ricerca le donne inquadrate irregolarmente nella Guardia Repubblicana e nelle Brigate Nere e le donne comuni che interagirono e collaborarono con il nemico.
Cecilia Nubola <69, Francesca Gori <70 e Andrea Martini <71 hanno infine utilizzato le carte processuali depositate presso gli Archivi di Stato e il fondo del Ministero di Grazia e di Giustizia per sottolineare l’importanza del ruolo delle donne collaborazioniste sia nel corso del conflitto sia durante il processo di transizione alla democrazia, analizzando le diverse forme assunte dalla giustizia nei loro confronti.
[NOTE]
4 F. Virgili, L’histoire des femmes et l’histoire des genres aujourd’hui, in «Vingitième siècle», 75, 2002, p. 5.
5 Ibidem.
6 A. Bravo, Resistenza civile in Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, vol. I, Storia e geografia della Liberazione, Einaudi, Torino 2000, pp. 274-275.
7 F. Virgili, L’histoire des femmes et l’histoire des genres aujourd’hui, op.cit., p. 7.
8 J.W. Scott, Gender: A Useful Category of Historical Analysis, in «The American Historical Review», vol. 91, Issue 5 (Dec., 1986), pp. 1053-1075, tr. it.: Il genere un’utile categoria di analisi storica, in «Rivista di storia
contemporanea» 4, 1987.
9 Ivi, p.17.
10 N.Z. Davis, Women History in Transition: the European Case in «Feminist studies», vol. 3, n. 3/4, 1976.
11 P. Di Cori, Dalla storia delle donne a una storia di genere, op.cit., p. 553.
12 Ibidem.
13 J. W. Scott, 1993, La storia delle donne, in P. Burke (a cura di), La storiografia contemporanea, Roma-Bari,
Laterza, 1993, p. 61.
14 J. W. Scott, Il genere, op. cit., p.17.
15 Ibidem.
16 Ibidem.
17 Il concetto di genere è stato tuttavia criticato da parte di chi riteneva che questo, non riferendosi specificamente all’appartenenza sessuale, relegasse nuovamente in secondo piano l’aspetto della dominazione maschile.
18 Cfr. P. Di Cori, Dalla storia delle donne a una storia di genere, op.cit., p. 553; M. Riot Sarcey, L’historiographie française et le concept de «genre», in «Revue d’histoire moderne et contemporaine», 47-4, 2000, 805-814 ; F. Thébaud, Ecrire l’histoire des femmes et du genre, ENS Editions, Lyon, 2007.
19 F. Thébaud, Deuxième Guerre, femmes et rapports de sexe : essai d’historiographie, Les Cahiers d’histoire du temps présent (Bijdragen tot de Eigentijdse Geschiedenis), 1998, n° 4, p. 227-248, p. 228.
20 Ivi, p. 230.
21 F. Virgili, L’histoire des femmes et l’histoire des genres aujourd’hui, op.cit. p. 8.
22 F. Gori, Ausiliarie, spie, amanti. Donne tra guerra totale, guerra civile e giustizia di transizione in Italia. 1943-1953, Tesi di dottorato in storia, Università di Pisa, 2008, p. 2.
23 F. Virgili, L’histoire des femmes et l’histoire des genres aujourd’hui, op.cit. p. 8.
24 F. Thébaud, Penser les guerres du XX siècle à partir des femmes et du genre, op.cit., p.160.
25 Ivi, p. 173.
56 Cfr. C. Pavone, La guerra civile, in P.P Poggio (a cura di), La Repubblica sociale italiana 1943-45. Atti del Convegno di Brescia, 4-5 ottobre 1985, «Annali della Fondazione Luigi Micheletti» n. 2, 1986, pp. 395-415; C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1991.
57 Cito solo alcune pubblicazioni: G. Oliva, La Repubblica di Salò, Firenze, Giunti, 1997; A. Lepre, La storia della Repubblica di Mussolini. Salò: il tempo dell’odio e della violenza, Milano, Mondadori, 1999; D. Gagliani, Brigate nere. Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano, Torino, Bollati Boringhieri, 2000; L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere, Milano, Garzanti, 2002; F. Germinario, L’altra memoria. L’estrema destra, Salò e la Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1999; M. Griner, La «Banda Koch». Il Reparto speciale di polizia 1943-44, Torino, Bollati Boringhieri, 2000; M. Borghi, Tra fascio littorio e senso dello Stato. Funzionari, apparati, ministeri nella Repubblica sociale italiana 1943- 1945, Padova, Cleup, 2001; R. Caporale, La “Banda Carità”. Storia del Reparto Servizi Speciali (1943-1945), Lucca, S. Marco Litotipo, 2005.
58 F. Gori, Ausiliarie, spie, amanti, cit., p. 7.
59 L. Bernardi, G. Neppi Modona, S. Testori, Giustizia penale e guerra di Liberazione, Franco Angeli, Milano,
1984.
60 Ivi, p. 7.
61 Cito alcune pubblicazioni: L. Allegra, Gli aguzzini di Mimo. Storie di ordinario collaborazionismo (1943-1945), Silvio Zamorani Editore, Torino, 2010 ; A. Alberico, Il collaborazionismo fascista e i processi alla Corte Straordinaria d’Assise (Genova 1945-1947), Libertà Edizioni, Lucca, 2005; I. Meloni, L’altra giustizia. La Corte d’Assise Straordinaria di Piacenza (1945-1947), Le Piccole Pagine, Piacenza, 2019 ; T. Omezzoli, I processi in Corte Straordinaria d’Assise di Aosta, Le Chateau, Aosta, 2011; G. Jesu, I processi per collaborazionismo in Friuli, in «storia contemporanea Friuli», n.7, 1976; M. Vittone, Un processo a collaborazionisti vercellesi tra amnistia e giustizia penale, in «l’impegno», a. XXVIII, n.1, giugno 2008; M. Saltori, I processi per collaborazionismo della Corte d’assise straordinaria di Trento: prime note, in A. Di Michele e R. Taiani (a cura di), La Zona d’operazione delle Prealpi nella seconda guerra mondiale, Fondazione museo storico del Trentino, Trento, 2009.
62 cfr. C. Pavone, Caratteri ed eredità della zona grigia, «Passato e presente», n. 43, 1998, pp. 5-12.
63 V. De Grazia, Le donne nel regime fascista, Marsilio, Venezia, 2007.
64 H. Dittrich-Johansen, Le militi dell’idea. Storia delle organizzazioni femminili del Partito Nazionale Fascista, Leo S. Olschki, Torino, 2002
65 M. Fraddosio, Donne nell’esercitò di Salò, in “Memoria”, 1982, 4, pp. 59-76. Ead. “Per l’onore della patria”. Le origini ideologiche della militanza nella Rsi in Storia contemporanea, 6,1993, pp. 1115-1195; M. Fraddosio, La donna e la guerra. Aspetti della militanza femminile del fascismo: dalla mobilitazione femminile alle origini della Saf nella Repubblica sociale Italiana, 6, 1989, pp. 1105-1181.
66 M. Firmani, Oltre il SAF. Storie di collaborazioniste delle Rsi, in D. Gagliani, Guerra resistenza, politica. Storia di donne, Aliberti, Reggio Emilia, 2006.
67 D. Gagliani, Donne e armi: il caso della Repubblica sociale italiana, in M. Salvati, D. Gagliani (a cura di), Donne e spazio, Bologna, Clueb, 1995, pp. 129-168.
68 Cfr. R. Cairoli, Dalla parte del nemico. Ausiliarie, delatrici e spie nella repubblica sociale italiana (1943-1945), Milano-Udine, Mimesis Edizioni, 2013
69 C. Nubola, Fasciste di Salò, Laterza, Roma-Bari, 2016
70 F.Gori, Ausiliarie, spie, amanti, op.cit.
71 A. Martini, Processi alle fasciste. La carta stampata, la rispettabilità e l’epurazione delle collaborazioniste in alcune province venete (1945-1948), Scripta, Verona, 2015; A. Martini, L’epurazione delle collaborazioniste in veneto, in «Italia Contemporanea», 281, 2016, pp. 82-106.
Barbara De Luna, Le donne del nemico. I processi per collaborazionismo nel dopoguerra: Francia e Italia a confronto. 1944-1951, Tesi di Dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna in cotutela con Université Paris 1 Panthéon Sorbonne, maggio 2021

La questione si ripresentò anche durante la Seconda Guerra Mondiale quando anche in Italia alcune donne vestirono una divisa militare, negli stessi anni e su versanti opposti. Donne soldato ci furono nella Repubblica Sociale Italiana, che istituì nel 1944 il Servizio ausiliario femminile; donne soldato erano presenti anche al sud. Si trattava di donne arruolate nel Corpo Ausiliario femminile delle Forze Armate, organizzate dai militari italiani con la collaborazione delle Forze Alleate.
Valentina Delle Cave, Mulier sed Miles, Tesi di laurea, Seconda Università degli Studi di Napoli, Anno Accademico 2010-2011