Sugli inizi della Resistenza in Piemonte

Locanda Canale. Mezzenile. Distaccamento Baldo. Archivio Istituto Storico della Resistenza Torino – Fonte: Catalogo Mostra fotografica: La Primavera della Libertà (1940-1945). Un borgo in guerra. La guerra, i bombardamenti, la resistenza, i partigiani e i caduti della Circoscrizione 6, Torino, ANPI VI circoscrizione, Auser, CGIL SPI, (1995)/2013

Mario Giovana ritiene che i profili salienti della resistenza armata e clandestina nella regione [Piemonte] possano essere individuati in quattro ordini di grandezza. <30 Il primo è sicuramente l’immediatezza con cui, al domani dell’armistizio dell’8 settembre 1943 e del crollo delle Forze armate regie, ebbe avvio l’organizzazione partigiana. Il secondo connotato che emerge risiede nella diffusione che essa assunse rapidamente, sviluppandosi soprattutto nella primavera del ’44 in una fitta trama di bande in crescita numerica che riuscirono a estendersi capillarmente in tutto il territorio, stendendovi una rete di forze combattenti pressoché senza soluzione di continuità. Ed è in questo quadro che si inserisce il terzo elemento di rilievo che consiste nell’impiego di tutti i moduli di lotta armata e clandestina in ogni condizione ambientale. La lotta partigiana si attuò in montagna, in pianura, nelle zone collinari e negli ambienti urbani. Il quarto fattore sta nell’elevato tasso di protagonisti, il più alto in assoluto nel centro-nord, che coinvolgeva uomini e donne di diversa estrazione sociale e sensibilità politica. Ciò che concorse ad attuare un tempestivo e piuttosto ordinato sviluppo della Resistenza in Piemonte fu sicuramente la costituzione a Torino del Cln, il Comitato di Liberazione Nazionale, costituitosi con l’accordo di tutte le correnti politiche antifasciste. A partire dal 1943 esso assunse pratiche funzioni di organo di direzione regionale del movimento avvalendosi della collaborazione di un nucleo di ufficiali effettivi. Il Cln regione Piemonte (Clnrp) si dotò di un comitato finanziario, di un corpo di ispettori e, a partire dal maggio del ’44, di un proprio organo di stampa, «La Riscossa italiana». Il marzo ’44 vide la cattura della maggioranza dei suoi componenti e la condanna a morte per otto di loro. In giugno venne quindi ricostituito un organo di direzione militare regionale, il Cmrp, Comando militare regionale piemontese, composto da comandanti regionali delle formazioni differenziate. L’azione delle bande armate partigiane vide l’alternarsi di diverse fasi, dall’estate del ’44 – che corrisponde al periodo di massima espansione della resistenza e alla creazione delle “zone libere” – al difficile autunno-inverno che seguì, con l’arrestarsi delle spinte alleate verso il nord Italia e la rinnovata serie di cicli di rastrellamenti su tutto l’arco della regione. Con difficoltà nel complesso l’impalcatura partigiana resse, ma si scontarono perdite elevate. Ai primi avvisi della ripresa offensiva alleata sui fronti e con la fine dell’inverno, il fronte partigiano ripartì all’attacco accelerando la dissoluzione dell’apparato fascista e incalzando i tedeschi.
30 In Dizionario della Resistenza, a cura di Enzo Collotti, Renato Sandri e Frediano Sessi, Torino, Einaudi 2001, pp. 500-518
Valentine Braconcini, La memorialistica della Resistenza attraverso gli scritti di Giovanni Pesce, Tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Anno Accademico 2007-2008

L’armata, comandata dal generale Vercellino e dislocata presso il confine franco-italiano, venne colta dall’armistizio mentre era in movimento verso la provincia di Cuneo <47. Dopo la consegna della memoria operativa 44, Vercellino non ricevette altre indicazioni dai comandi, così da avere la piena autonomia nelle decisioni sulla sorte dei suoi soldati. Il comandante diede quindi la libertà alle proprie truppe di indossare abiti civili, nonostante la sua fosse un’armata in piena efficienza, per poi far perdere le proprie tracce, dal nove settembre <48.
Alcuni dei “suoi” soldati ebbero poi il merito di costituire le prime formazioni armate nel Cuneese e nell’Astigiano, sfruttando anche l’abbandono delle casse dell’Armata, “imboscate”, con alterne fortune, nell’area delle Langhe <49.
Il comandante della piazza torinese, il generale Adami-Rossi, espresse una condotta ancor più vicina alle istanze dei comandi tedeschi. Nella serata del 10 settembre ordinò di ritirare le armi alle truppe presenti in città, compresi alcuni reparti provenienti dall’armata di Vercellino, consegnando la città al 2° reggimento della 1° Panzer-Grenadier-Division “Leibstandarte SS Adolf Hitler” del tenente colonnello Hugo Kraas, forte di appena 3000 uomini <50.
Adami Rossi aderirà successivamente alla Repubblica sociale dopo aver contestualmente vietato qualsiasi collaborazione militare con le prime formazioni antifasciste, composte inizialmente dagli operai degli stabilimenti dei quartieri industriali di Torino. La prospettiva di cooperare con le prime “guardie nazionali” <51, ovvero antifascisti, operai e semplici cittadini propensi a prendere le armi insieme ai militari contro le forze armate tedesche, risultò inaccettabile per Adami-Rossi. In tal modo il generale italiano rappresentava una certa identità di pensiero con gli stessi comandi della Wehrmacht, timorosi, almeno a livello di apparenza documentaria, dell’eventualità di una sollevazione comunista in Italia <52.
Lo spauracchio del comunismo sarà un carattere costantemente richiamato dai comandi tedeschi per incentivare una radicale barbarizzazione della violenza nazista, sin dalle prime fasi dell’occupazione d’Italia. In tal senso il combattimento contro un nemico “infido”, la cui condotta era segnata dal “disonore” e dall’”irregolarità” (militare) era finalizzato all’estirpazione del nemico principale del Reich, il bolscevismo, lo stesso avversario “mortale” della guerra ad est e del nazifascismo in generale <53.
Effettivamente a Torino venne proclamato uno sciopero in alcuni stabilimenti già nella mattinata del nove settembre, e gli operai avevano iniziato a richiedere, presso caserme e depositi dell’esercito, la consegna di armi per resistere alle prime operazioni delle forze germaniche; il fine sarebbe stato quello di resistere insieme ai soldati alle forze tedesche in avvicinamento, ma il “tradimento del generale Adami-Rossi” fece sì che Torino fosse occupata dalle Waffen-SS, la sera del 10 settembre <54.
[NOTE]
47 Aga Rossi, Una Nazione, op. cit. pp. 142 e seg.
48 Ibidem.
49 Allegra, op. cit. pp. pp. 159-161.
50 Adduci, Gli altri, op. cit. p. 66
51 R. Zangrandi, 25 luglio, op. cit. pp. 29 e seg.
52 Gentile, I crimini di guerra, op. cit. pp. 83 e seg.
53 P. Pezzino, Culture e pratiche della violenza, in Bugiardini, op. cit. pp. 286, 287.
54 La citazione è ripresa da Pavone, Una guerra civile, op. cit. p. 22.
Jacopo Calussi, Fascismo Repubblicano e Violenza. Le federazioni provinciali del PFR e la strategia di repressione dell’antifascismo (1943-1945), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Roma Tre, 2018

Nella notte sul 10 settembre, il gruppo tattico partì da Reggio Emilia al comando dell’SSObersturmbannführer (tenente colonnello) Hugo Kraas. Era composto da due battaglioni – il II, SSSturmbannführer (maggiore) Rudolf Sandig, e il III, SS-Sturmbannführer (maggiore) Joachim Peiper – del 2° reggimento Panzergrenadieren, da un gruppo, il III, del reggimento di artiglieria divisionale, dalla 1a compagnia del reparto controcarri (Panzerjäger-Abteilung 1) e da una batteria, la 5a, del reparto contraereo divisionale. Giunto a Casteggio, il gruppo si divise. Il grosso agli ordini di Hugo Kraas, composto dal battaglione del maggiore Rudolf Sandig, il gruppo di artiglieria e le unità minori, passò il Po in direzione di Pavia e proseguì verso Vercelli – Chivasso – Torino. Il battaglione di Joachim Peiper, rimasto invece sulla sponda destra del Po, proseguì per Voghera – Tortona, raggiunse Alessandria, occupata il giorno prima da forze della 94. Infanterie-Division della Wehrmacht, e, passato il Tanaro, giunse ad Asti, dove iniziò il disarmo della guarnigione <17.
Il 10 settembre, da Torino, il comandante italiano della piazza, il generale Enrico Adami Rossi, inviò un ufficiale a offrire “la collaborazione delle truppe italiane” ai comandi tedeschi <18. Intorno a mezzogiorno, il II battaglione Panzer-Grenadier raggiunse Chivasso e nel pomeriggio diede quindi inizio all’occupazione del capoluogo piemontese. Mentre i soldati del generale Adami Rossi venivano inoltrati al campo di raccolta di Mantova, si verificarono scontri tra i soldati tedeschi e la popolazione civile: “Situazione a Torino: circa 5.000 soldati disarmati, in trasferimento su convogli militari verso Mantova. Quantità maggiore trasferita nella giornata precedente. Popolazione comunista sediziosa. Aumentano gli incidenti con comunisti e saccheggiatori, che attualmente passano alle vie di fatto [tätlich werden]. Ho proclamato lo stato d’assedio e la legge marziale. Gli operai non si presentano al lavoro in fabbrica.” <19
[NOTE]
17 BA-MA, RH 24-87/13, Generalkommando LXXXVII. A.K., Kriegstagebuch Nr. 3, 31.7.1943 – 23.1.1944, v. 10 settembre 1943, annotazioni delle ore 11.31 e 13.25; GTB, vol. 8, 11 settembre 1943, p. 62.
18 BA-MA, RH 24-87/18, Gespräch Oberst i. G. Nagel mit Generalfeldmarschall.
19 BA-MA, RS 2-2/21, Leibstandarte-SS-Adolf-Hitler, Funkspruch, 11 settembre 1943, fto. Kraas. I primi torinesi uccisi erano civili, falciati durante il saccheggio di magazzini militari, v. G. DE LUNA, Torino in guerra: la ricerca di un esistenza collettiva, in: “Rivista di Storia Contemporanea”, no. 19, 1990, pp. 57-99, p. 94.
Carlo Gentile, Settembre 1943. Documenti sull’attività della divisione “Leibstandarte-SS-Adolf-Hitler” in Piemonte in “Il presente e la storia”, 47, 1995

Le varie notizie che giungono dalle vallate piemontesi e lo stato politico e militare in cui si trova l’intero paese, spingono i rappresentanti del Comitato regionale a costituire un primo Comitato esecutivo, di cui Paolo Greco diviene di fatto presidente. <160 Quello di Torino diventa così il «primo CLN che assume i compiti di effettiva guida della lotta di liberazione per un’intera regione». <161 Diversi sono i fattori che pongono il CLN di Torino come guida e modello per gli altri comitati nel nord Italia. Tra questi vi sono l’anzianità dell’organo centrale antifascista, poiché il FNL di Torino fu il primo a costituirsi nel 1942; <162 la tradizione antifascista del movimento operaio, che nel 1943 a Torino ha manifestato per due volte la sua ostilità al regime con gli scioperi del marzo e poi del novembre, dei ceti borghesi e di parte del mondo contadino; il senso di leadership e di guida dell’unità nazionale. <163 Tutti questi elementi fanno sì che a Torino si crei un organismo che si occupi fin dall’inizio dell’autunno dell’organizzazione militare e politica e del finanziamento delle prime bande. La necessità di coordinamento tra queste è uno dei primi compiti che si pone il Comitato, che però deve affrontare altri problemi, di organizzazione e di coesione interna. Tra le questioni, sono presenti la divisione del comando politico da quello militare, il rapporto con il governo del Sud e la strategia bellica da condurre. In questa prima fase organizzativa, il CLN di Torino agisce autonomamente a livello regionale, con l’intento di coordinare i gruppi di «resistenti» presenti sul territorio. Anticipando quindi l’iniziativa del governo del Sud, che dichiara ufficialmente guerra alla Germania il 13 ottobre, il CLN di Torino avvia contatti con gli sbandati della IV armata con l’intento di organizzare una prima forma di resistenza. I rappresentanti del comitato, “Duccio” Galimberti, Guido Verzone e il generale Giuseppe Perotti, e altri rappresentanti della resistenza ligure, si incontrano il 24 ottobre a Valcasotto «con i rappresentanti delle prime formazioni cuneesi», fra cui Ezio Aceto, Giovanni Barale e Aldo Sacchetti. <164 Contemporaneamente, il CLNRP prende contatto con il generale Raffaello Operti, <165 custode della cassa della IV armata, che ammonta a circa 150 milioni di franchi francesi, oltre a 12 milioni e 30 mila lire italiane. <166 Il denaro della IV armata è indispensabile al Comitato per dare vita a una prima organizzazione militare sul territorio piemontese. La disponibilità di questo denaro permetterebbe a Torino di giocare un ruolo centrale nella prima fase di organizzazione, cosa che di fatto avverrà. Grazie a questo fondo, il CLNRP riuscirà ad agire autonomamente, senza dover chiedere, almeno in un primo momento, il sostegno al CLN di Roma o agli alleati, e gli consentirà di aiutare anche il nascente comitato di Milano. Per ottenere questo denaro, il CLNRP deve convincere Operti a cooperare. L’unica soluzione sembra essere l’offerta del comando unico militare, proposta che suscita la decisa protesta da parte del PCI, che infatti vota contro. <167 Nonostante il «voto contrario dei comunisti è adottata la decisione di affidare il “Comando unico” delle formazioni partigiane ad una sola persona e non a un organo collegiale e viene designato a tale incarico il generale Operti». <168 Con la nomina di Operti emergono i primi contrasti all’interno del Comitato di Torino: essi riguardano da una parte la scelta di creare un comando unico militare, anziché un organo collegiale, e dall’altra l’elaborazione di una strategia di guerra che tende all’organizzazione – i comunisti diranno «all’attesa» – più che all’iniziativa. <169
[NOTE]
160 Ivi, pp. 29-31
161 R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, cit., pp. 206
162 M. Giovana, La Resistenza in Piemonte, cit., p. 15
163 R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, cit., pp. 206-7
164 G. Perona (a cura di), Formazioni autonome, cit., p. 334
165 Vero la fine di ottobre del ’43 hanno inizio i colloqui tra CLNRP e il generale Operti), M. Giovana, La Resistenza in Piemonte, cit., p. 37
166 M. Giovana, La Resistenza in Piemonte, cit., p. 49
167 Inizialmente il Comitato aveva raggiunto un accordo sul nome del generale Perotti, ma il denaro posseduto da Operti e gli «attriti personali difficilmente sanabili» tra i due contendenti fecero protendere la maggior parte del Comitato per quest’ultimo; si veda in G. De Luna (a cura di), G. Agosti e D. L. Bianco, Un’amicizia partigiana, cit., p. 7
168 R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, cit., p. 207
169 M. Giovana, La Resistenza in Piemonte, cit., p. 39
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013

Con la costituzione del nuovo Comitato Militare coordinato per la parte tecnica dal generale Perotti, il lavoro preparatorio del centro direttivo regionale della lotta partigiana compì un primo organico passo innanzi. Perotti, nell’esposto al C.L.N.R.P. nel quale illustrava le vedute sue e del gruppetto di ufficiali che con lui avrebbero collaborato alla stesura dei piani per la difesa e l’insurrezione cittadina, aveva prospettato una valutazione del carattere «popolare» della resistenza che aderiva agli orientamenti comuni dei rappresentanti della coalizione, illustrando il piano per Torino come uno schema impostato «sull’impiego delle masse operaie in collaborazione colle forze armate dell’ordine »; a ciò aggiungeva l’intendimento dei militari di « agire in base alle direttive od agli ordini che questo (il C.L.N.R.P. – n. d. r.) emanerà senza che siano state prestabilite determinate linee di azione nè assegnati posti di comando », e nel totale disinteresse anche « economico » – era detto — di coloro che offrivano i loro servigi (1).
La franchezza e la linearità dell’esposto avevano attirato al generale notevoli simpatie; il documento ed i successivi contatti che i membri del Comitato Politico e di quello Militare ebbero con Perotti, servirono a rimuovere molte delle persistenti diffidenze dei « civili » verso i futuri colleghi militari; le residue riserve scomparvero gradualmente con l’inizio della collaborazione, e si stabilirono fra i componenti dell’organismo una cordialità, una reciproca stima, non poco proficue per il lavoro da condurre.
La gestione del generale Operti e le divergenze fra questo ed il Comitato, avevano lasciato insoluti i problemi di fondo del coordinamento, della disciplina e dell’assetto delle formazioni partigiane.
Inoltre, nel lasso di tempo in cui s’era svolta la crisi del comando, erano sorte le formazioni di « colore », le bande avevano dilatato i ranghi ed erano incominciate le operazioni germaniche di contropiede su vasto fronte. Si era cioè entrati in una fase di « guerra guerreggiata » d’intensità maggiore di quella dei mesi precedenti e nella quale lo scacchiere partigiano andava mutando i suoi caratteri iniziali, sia nella struttura verticale che orizzontale. Nelle questioni connesse con la disciplina e con i rapporti fra i reparti, interferivano quelle delle relazioni fra le formazioni Garibaldine, G.L. e « militari » (cioè i gruppi rimasti autonomi), divise dalla concorrenza sia nell’assorbire i nuclei non ancora pronunziatisi per la soluzione « dipendenza politica o autonomia assoluta », sia nella spartizione delle zone d’influenza, spartizione che aveva un rilievo politico, di prestigio operativo e di portata pratica derivante dalle esigenze logistiche. Nel novero delle questioni attinenti i problemi strategici e tattici, urgeva conformare l’attività delle bande alle regole della guerriglia per impedire che i rinnovati attacchi nemici fossero sostenuti dai partigiani sull’errato presupposto delle difese rigide trasversali, e per indirizzare i piani offensivi delle formazioni verso obbiettivi di maggiore utilità, sincronizzati nei limiti del possibile da settore a settore. Sotto l’aspetto del rafforzamento del potenziale bellico, era da condurre ancora l’accertamento dei fabbisogni, distribuendo in modo il più equo e razionale possibile le riserve, mentre necessitava individuare le missioni alleate che erano giunte presso i vari comandi in zona operativa, sollecitare i lanci e cercare di ottenere che di essi usufruissero in misura relativamente eguale tutte le formazioni, convincere le bande favorite dai rifornimenti aerei a spartire una percentuale dei carichi con le consorelle escluse dal contributo anglo-americano.
«Il problema fondamentale – scrive il Trabucchi – era quello dell’attivismo e cioè dell’azione continua di molestia contro il nemico per impedire l’affermarsi del prestigio del governo neofascista e per logorare il morale del tedesco. Perchè la lotta raggiungesse gli scopi necessitavano volontà combattiva, danaro, armi» (2). A questi tre coefficenti, il Co.Mi. doveva aggiungere la sua opera per ottenere disciplina, unità di concezione strategica e serietà di obbiettivi tattici.
(1) Archivio Istituto Storico della Resistenza in Piemonte – Dossier: AM/B – I-IX – Cartella: OM/B-VI – « Ispezioni e Relazioni ». Il documento reca in testata del primo foglio la dicitura: « copia – Al Comitato Regionale del Fronte di Liberazione Nazionale ». Una annotazione a matita, accanto alle succitate, specifica: « Relazione Perotti – dic. 1943 – Gennaio 1944 ».
(2) Alessandro Trabucchi: I vinti hanno sempre torto – De Silva Torino 1947, p. 71.
Mario Giovana, Il Comitato Militare del C.L.N. regionale piemontese nei primi mesi del ’44 in Italia contemporanea (già Il Movimento di liberazione in Italia dal 1949 al 1973), n. 41, 1956, Rete Parri

23 Ottobre 1943 Si danno convegno a Val Casotto le maggiori personalità intellettuali del Piemonte e della Liguria aderenti al movimento partigiano di resistenza. Nella storica adunanza, tenutasi il giorno 24 alla «Trattoria Croce Rossa»,i rappresentanti dei C.L.N. regionali, persone dotate di coraggio, di elevato ingegno e di soda penetrazione politica, unanimi deliberano di favorire e sostenere con ogni mezzo morale e materiale il Gruppo partigiano della Valle. A quella riunione prende parte il Comando partigiano, che vede confermata e potenziata col più entusiastico plauso la sua opera, e ne prende incitamento- per continuare a svolgerla con costante tenacia. Uno solo era il fine: cacciare il tedesco e conseguire la libertà da tanti anni compressa. Tra i partecipanti al convegno, che tutti per ingegno e indipendenza di carattere ancora onorano la nostra generazione, ricordiamo: Gener. Gius. Perotti, presidente, fucilato a Torino il 6-4-1944; Colonn. Rossi (Ceschi), relatore militare; Avv. Guido Verzone, relatore agli effetti civili; Dott. Prof. Cesare Rotta, relatore agli effetti logisti; Geometra Giuseppe Galliano, indicatore tattico; Avv. Cristoforo Astengo, fucilato a Savona il 27-12-1943; Avv. Tancredi Galimberti, trucidato a Cuneo il 2-12-1944; Dottor Antonino Rèpaci, attualmente Pubblico Ministero alla Corte d’ Assise Straordinaria a Cuneo; Sig. Gerolamo Damilano, da Cuneo. Di molti altri ci sfugge il nome. Tra coloro che accompagnavano il colonn. Rossi, notiamo i carabinieri Gaglietto e Franco, come rappresentanti il Comando partigiano. Il nome di Valcasotto diventa simbolo di un vasto movimento »pro aris et focis»e penetra in ogni famiglia dalle alpi alle più lontane regioni liguri. I primi elementi delle forze che si chiameranno poi «1° Gruppo Divisioni Alpine» e che hanno dato un apporto risolutivo alla guerra di liberazione nazionale, ebbero la loro culla a Valcasotto e il loro riconoscimento ufficiale il 24 ottobre 1943.
27 Ottobre Il colonnello Rossi, coadiuvato da Gaglietto e dal maresciallo dei Carabinieri Branca, con abilità e tatto compone un dissidio di natura politica scoppiato tra la squadra della Navonera e il Comando. Provenienti da Peveragno, accompagnati da quel parroco Don Giuseppe Ravera, arrivano quattro ebrei di origine polacca, due uomini già avanzati negli anni, e due giovani sposi Aronne Gottlich e Ruth. La popolazione è larga di ospitalità con tutti.
4 Novembre Vengono ad aggregarsi a questo Gruppo di partigiani alcuni ufficiali serbi, già prigionieri all’Hotel Miramonti di Garessio, e lasciati liberi dopo il 25 luglio; sono gentiluomini e godono, come i partigiani, la simpatia della popolazione. Ne riportiamo i nomi: Elia U. Radonik, capitano di 1a classe, comandante; Petko Mari Janovic; Demitrizr Ceratlic; Mihailo Rovacevic, Cvetkovnic Deginür, capitano di 2a classe; Bozo Kenjic, tenente; Bozo Vakicevic, tenente; Branislav Milanovic, s. tenente; Movac Viceliic, tenente; Dragutin J. Lasic, capit. 1a classe, aiutante maggiore. Tra di.essi è un medico, Dottor Constantinovic Nicolaiev, che adibì la casa canonica, ove abitava a prima infermeria del Gruppo partigiano. Arrivano Bruno Madella e Antonio Sciolla (Reno): Madella reduce dalla campagna di Grecia, e sergente dei bersaglieri, un ottimo elemento, retto, attivo. Sciolla ha subito il comando di una squadra col grado di tenente; e di una volontà ferrea, non cede dinanzi ad alcun ostacolo, e audacissimo. Vi e anche il buon Ritano Ferdinando di Mondovì, il soldato ideale, di una vita intemerata, ispirata e vissuta con-forme ai sublimi ideali di religione e patria.
Parroco Don Emidio Ferraris, Appunti (Alla memoria dei miei diletti parrocchiani), in sito del Comune di Pamparato (CN)

A Torino, l’organizzazione dei GAP scaturisce dalla riunione, tenuta il 10 ottobre 1943, tra Ilio Barontini, Remo Scappini e Ateo Garemi. Il fatto che la prima azione, compiuta il 24 ottobre contro il Seniore della MVSN Domenico Giardina, venga eseguita dallo stesso Garemi e dall’anarchico Dario Cagno è sintomatico delle difficoltà occorse nel reclutare nuovi elementi. La scarsa entità numerica e le numerose problematicità del gappismo torinese restano una costante <104, come evidenziato da Giovanni Pesce, il quale, divenuto comandante dei GAP di Torino, lamenta di trovarsi «senza servizio d’informazioni, senza altri uomini, senza mezzi, senza attrezzature tecniche» <105.
[NOTE]
104 Ibid., p. 44.
105 Giovanni Pesce, Soldati senza uniforme. Diario di un gappista, Edizioni di cultura sociale, Roma 1950, p. 18.
Gabriele Aggradevole, Biografie gappiste. Riflessioni sulla narrazione e sulla legittimazione della violenza resistenziale, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2018-2019

Balbo riuscì anche a stabilire un utile collegamento con il tenente di vascello Augusto Migliorini, che operava in Liguria. Il gruppo ebbe sempre carattere prettamente militare, senza alcuna coloritura politica. Si distinse in numerosi fatti d’arme e contribuì alla liberazione della vasta zona nella quale operava. Per tutto il periodo delle operazioni Balbo indossò sempre la divisa di ufficiale di Marina.
Fin dall’inizio partecipò alla lotta partigiana il tenente di porto Bernardo Bruno, sorpreso all’armistizio a casa, a Cuneo.
Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale – Anno XXIX – 2015, Editore Ministero della Difesa