Sui crimini di guerra il Governo italiano fino all’entrata in vigore del trattato di pace giocò una partita su due tavoli e dopo…

La seconda guerra mondiale in Europa non si era ancora conclusa e già in molti chiedevano la punizione di numerosi atti di violenza a carico di civili e prigionieri di guerra avvenuti per mano delle truppe dell’Asse e in particolare di quelle tedesche. La Dichiarazione di Mosca del 30 ottobre 1943 sancì la decisione degli alleati di punire i crimini nazifascisti annunciando che i principali criminali di guerra sarebbero stati sottratti alle giurisdizioni nazionali e sottoposti a una punizione decisa di comune accordo dai Governi alleati. Fu questo il primo atto che portò in seguito alla nascita del Tribunale militare internazionale di Norimberga che nel 1946 giudicò i più importanti dirigenti politici e militari del Terzo Reich sopravvissuti alla guerra. Tuttavia già a Londra il 13 gennaio del 1943 si era svolta una riunione tra gli angloamericani e nove Governi in esilio che rappresentavano i rispettivi Paesi sotto occupazione tedesca. Nel giugno dello stesso anno il Primo ministro britannico Winston Churchill fece pressioni sul Presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt per creare una commissione d’indagine che doveva indagare i crimini commessi in Europa durante la guerra segnalandoli ai Paesi colpiti. Il 20 ottobre 1943 tale commissione (United Nations War Crimes Commission – UNWCC) venne effettivamente costituita senza però la partecipazione sovietica.
Tuttavia anche se gli alleati erano decisi a giudicare i principali criminali di guerra dell’Asse questo non toglieva la possibilità ai singoli Paesi di punire i cosiddetti criminali di “secondo livello”.
Il primo quesito che si pose riguardo alla persecuzione dei criminali di guerra era la loro punizione.
Si dovevano chiudere i conti in breve tempo e in maniera decisiva con fucilazioni sommarie come Churchill e Stalin in un primo momento ritenevano più opportuno, oppure bisognava allestire una serie di processi sulla falsa riga di quelli di Lipsia di vent’anni prima quando la Corte suprema tedesca (Reichsgericht) processò alcuni ufficiali germanici per violazione delle leggi di guerra e che alla fine si risolsero sostanzialmente con condanne a pene lievi, assoluzioni o non luogo a procedere per la mancata presenza degli imputati? Anche se non mancarono elementi innovativi in riferimento all’onnipresente problematica dell’ordine superiore <1. Furono nel complesso iniziati 907 procedimenti in relazione alle liste di estradizione; altri 837 furono avviati d’ufficio. Al dibattimento si arrivò soltanto in tredici casi. In nove processi che si chiusero con una sentenza si ebbero dieci condanne e sei assoluzioni. Le pene irrogate non furono in nessun caso eseguite integralmente.
Quando l’interesse delle potenze vincitrici andò scemando, altri procedimenti furono archiviati e due condannati furono poi assolti nell’ambito di un dubbio procedimento di revisione.
Per l’evoluzione del diritto internazionale i processi di Lipsia furono d’importanza solo relativa poiché fondamento del procedimento penale davanti alla Reichsgericht era il diritto tedesco. Nei pochi casi in cui si pervenne ad un’affermazione di colpevolezza furono applicate fattispecie del codice penale, anche se l’alta corte ricorse pur sempre, per affermare l’antigiuridicità delle condotte, alle norme del diritto internazionale.
Con il protrarsi del conflitto, ma anche con la sempre più chiara tendenza verso una vittoria alleata che avrebbe comportato un carico di responsabilità senza precedenti sui popoli d’Europa, si iniziò a intravedere una chiara opportunità politica nella possibilità di avviare procedimenti penali contro quegli elementi già presenti nelle liste d’indagine redatte durante la guerra ad opera dei Governi alleati e dalle loro truppe combattenti che a velocità alterna liberavano i territori europei dall’occupante nazifascista.
Per quello che riguarda il territorio italiano le truppe angloamericane avviarono numerose indagini sui crimini nazifascisti di cui venivano a conoscenza mentre risalivano con straordinaria lentezza la penisola. Le investigazioni furono avocate dal Quartier generale delle Forze alleate (AFHQ), ovvero suddivise tra britannici e statunitensi. A causa delle insufficienti risorse a disposizione delle unità in rapporto ai numerosi fatti di sangue che via via venivano alla luce, venne deciso una riorganizzazione strutturale che vide i britannici dotarsi di una particolare macchina organizzativa attraverso la creazione di una sezione speciale d’investigazione denominata Special Investigation Branch (SIB) numero 78 a cui presto seguì un’altra denominata numero 60.
La prima si rivolse a indagare i crimini commessi dai tedeschi contro la popolazione civile, la seconda quelli contro i prigionieri di guerra. Il lavoro svolto dal SIB fu materialmente significante visto che in fase istruttoria stilò oltre tremila rapporti raccolti tra gli ex prigionieri di guerra cui si andavano a sommare gli interrogatori dei nemici catturati, i rapporti delle autorità civili italiane e quelle dei partigiani che furono raccolte dallo “Psychological Warfare Branch” (PWB). Tale lavoro proseguì per tutto il 1945 incentrandosi sull’individuazione e la cattura dei presunti responsabili. Vennero indagati solo dai britannici oltre duecento casi, una ventina dei quali in dettaglio con la raccolta di centinaia di testimonianze e l’esumazione dei cadaveri <2. Nel giugno 1947 una riorganizzazione del servizio vide la creazione di un “War Crimes Group” per l’Europa del sud (competente per l’Italia e l’Austria) che rimase operativo fino alla fine di marzo del 1948.
A livello europeo nel marzo 1948 la UNWCC giunse a comporre un elenco di 24.453 criminali di guerra, dei quali 22.409 tedeschi e 1.204 italiani. Alla stessa data in tutta Europa erano stati svolti 967 processi con 3740 accusati di cui 2857 riconosciuti colpevoli per 952 condanne a morte e 1905 a varie pene detentive. Questi numeri misero in evidenza un divario consistente tra il numero di coloro che vennero inseriti nelle listi dei criminali e quelli che vennero effettivamente processati. A giustificazione di ciò la Commissione internazionale ribatté che «uno sviluppo più rapido dei procedimenti non avrebbe garantito lo svolgimento di processi secondo standard civilizzati» <3.
In Italia gli alleati, più che altro britannici, condussero a termine pochi ma rilevanti processi contro alti ufficiali tedeschi. L’orientamento prevalente consistette infatti nel giudicare questi alti ufficiali per la loro responsabilità nella programmazione e nella pianificazione delle uccisioni di ostaggi e nella distruzioni di interi paesi nel quadro della repressione della guerriglia partigiana italiana. Il tutto ebbe origine nell’ottica di svolgere una “Norimberga italiana” dove sarebbero stati coinvolti anche i maggiori criminali di guerra italiani. All’atto pratico invece questa progettata “Norimberga italiana” venne smembrata in una breve serie di processi <4. Questi videro il processo di Venezia nel maggio 1947 contro il comandante in capo delle truppe tedesche in Italia, il feldmaresciallo Albert Kesselring, che venne condannato a morte per responsabilità nell’eccidio delle Cave Ardeatine e soprattutto per il “draconiano sistema di ordini” che furono emanati nell’estate 1944 in funzione antipartigiana e che rappresentarono una sostanziale carta bianca in mano ai comandanti sul campo nell’annientamento della popolazione civile ritenuta responsabile di connivenza attiva con i partigiani <5.
Proprio per l’eccidio delle Ardeatine il tribunale britannico di Roma condannò nel novembre 1946 il generale Eberhard von Mackensen comandante della 14ᵃ armata alla pena di morte, il brigadiere generale comandante della Piazza di Roma Kurt Mältzer, – condannato dapprima da un tribunale militare statunitense a Firenze a dieci anni di reclusione (di cui sette condonati) per aver fatto sfilare per le vie di Roma dei prigionieri di guerra americani a scopo propagandistico <6. A Padova nel giugno del 1947 toccò al generale Max Simon comandante della 16ᵃ divisione Panzer Grenadier Reichsführer delle SS per una lunga scia di massacri di civili che costellarono il centro Italia e l’Emilia dove la divisione operò. Sempre a Padova venne processato e condannato a dieci anni di prigione l’allora maggior generale Eduard Peter Crasemann, comandante della 26ᵃ divisione Panzer della Wehrmacht per l’eccidio del Padule di Fucecchio in Toscana <7. A Caserta nell’ottobre 1945 un tribunale militare statunitense condannò a morte il generale tedesco Anton Dostler, comandante del 75° corpo d’armata per la fucilazione di due ufficiali e tredici soldati dei reparti speciali americani catturati a La Spezia.
La severità di tale condanne verrà subito meno eccetto che per il generale Dostler che fu giustiziato nel dicembre del 1945. Simon fu subito graziato mentre Kesselring, von Mackensen e Mältzer già il 4 luglio 1947 vedranno una prima commutazione della condanna a morte in carcere a vita. Come se non bastasse nel 1950 verrà annunciata la revisione dei processi e contestualmente la pena dell’ergastolo per i tre ufficiali generali sarà ulteriormente ridotta a ventuno anni di carcere. Solo due anni dopo, verso la fine del 1952, Kesselring e von Mackensen verranno addirittura amnistiati mentre Mältzer morirà poco prima in carcere.
Questi atti di drastica riduzione prima e annullamento poi delle pene comminate rientrarono, come confermato dalla storiografia europea e italiana <8, in uno sviluppo politico che ebbe origine durante la Guerra fredda quando i rapporti tra i due blocchi geopolitici erano più che mai tesi a causa dei sempre più frequenti scontri indiretti come la repressione dei comunisti in Grecia, il blocco terrestre di Berlino, la vittoria dei comunisti in Cina, la guerra di Corea e soprattutto una divisione della Germania che diventava sempre più marcata. Così le vecchie potenze dell’Asse sconfitte si trasformarono in alleati strategicamente decisivi nell’equilibrio tra le due superpotenze.
Questo valeva in particolar modo per la Germania di cui era necessaria la rinascita industriale e militare per creare un serio vallo difensivo contro l’Unione Sovietica.
Il comportamento dell’Italia in questa situazione oscillò tra la richiesta di giustizia e la necessità politica riguardante un’alleanza internazionale a cui si sommava l’esplicita richiesta d’oblio da parte di molti politici e militari che volevano evitare gli accertamenti delle corresponsabilità dell’amministrazione e delle forze armate con il regime fascista. Prima venne chiesto agli alleati di poter processare anche i grandi ufficiali tedeschi ma poi, visto che l’Italia era pur sempre un Paese sconfitto, si diede avvio alla richiesta di consegna di numerosi ufficiali e soldati tedeschi prigionieri degli alleati a cui si facevano risalire la responsabilità di numerose stragi. Il vero ostacolo a queste richieste furono le altrettante dei Governi jugoslavo, greco, albanese, etiope e sovietico perché gli fossero consegnati i militari italiani accusati di atrocità perpetrate nei rispettivi Paesi. Roma si rifiutò tassativamente di consegnarli e sottolineò che in quanto propri soldati dovevano essere processati in Italia. Come ulteriore contraccolpo si ebbe l’arenamento del processo di epurazione già a partire dal 1946 visto che la stessa divisione nei partiti antifascisti tra comunisti, favorevoli alla consegna dei generali italiani ai governi che ne facevano richiesta, e azionisti, socialisti e repubblicani decisi a sostenere per ragioni morali e nazionali il diritto a giudicare le proprie colpe, favorì il logoramento delle procedure d’epurazione e la manovra stessa del Governo orientato sempre più ad assicurare la continuità degli uomini e delle istituzioni militari e l’impunità dei comandi <9. Alla fine neppure uno dei circa 1200 italiani indiziati per crimini di guerra dovette rispondere del proprio operato di fronte a una corte di giustizia.
Dunque il Governo italiano fino all’entrata in vigore del trattato di pace, il 15 settembre 1947, giocò una partita su due tavoli. Con gli alleati evitando di consegnare i propri militari sino ad ottenere il riconoscimento di poterli giudicare direttamente (nonostante il trattato di pace all’art. 38 prevedesse il contrario) ma procedendo invece all’insabbiamento della questione, e dall’altra parte con la Procura generale militare che il Governo ufficialmente sollecitava a procedere contro gli stessi militari italiani accusati di crimini di guerra ma in pratica dilazionando le iniziative processuali e spingendo semmai a raccogliere prove di crimini commessi dagli jugoslavi per contrastare le richieste del Governo di Belgrado <10.
Anche se rallentata dalla nuova situazione geopolitica la macchina della giustizia italiana era ancora in movimento. Già alla fine del 1945 il Procuratore generale militare Umberto Borsari aveva scritto direttamente alle autorità alleate per avere notizie sulle generalità degli incriminati per crimini di guerra. In contemporanea il responsabile della magistratura militare italiana proseguì con le indagini sugli eccidi avvenuti in territorio italiano facendo formare per ogni inchiesta un relativo fascicolo con tutte le indicazioni possibili per risalire ai responsabili. Nel giugno 1947 lo stesso Borsari, incontrandosi con l’alto funzionario del Ministero degli Affari Esteri Castellani, annunciò che i processi stavano per essere celebrati. Ma di questi non più di una decina a carico di nazisti vide la luce. Per quanto concerne i processi a carico dei gerarchi fascisti va parimenti osservato come molte delle condanne loro inflitte siano state poi azzerate o comunque sensibilmente ridotte per effetto di una serie di provvedimenti di clemenza. Ad esempio il maresciallo Rodolfo Graziani, condannato il 2 maggio 1950 a diciannove anni di reclusione, in virtù di un condono si trovò a dover scontare solamente quattro anni e cinque mesi11. I soli a essere condannati e puniti furono quei pochi catturati e giudicati direttamente nei Paesi vittime della politica imperialista fascista e coloro che furono processati in Italia dagli alleati per delitti commessi contro i prigionieri di guerra.
Per quello che riguardò i nazisti le azioni di Borsari si infransero contro il lento iter burocratico oltre che con l’opposizione di una parte delle istituzioni italiane. Ci si appellò anche alla scarsa possibilità di una effettiva realizzazione delle pretese punitive contro i criminali che risiedevano all’estero e quindi contro l’inutilità di avviare processi in contumacia. Il 28 dicembre 1961 la Procura generale militare di Roma chiese l’archiviazione del procedimento contro dodici ufficiali tedeschi «imputati di concorso in violenza con omicidio in danno di cittadini italiani: delitto commesso il 24 marzo 1944 in Roma presso le Cave Ardeatine». Tra i dodici c’erano anche l’ex capitano delle SS Erich Priebke e l’ex maggiore delle SS Karl Hass che negli anni Novanta torneranno alla ribalta della cronaca internazionale dopo che nel 1994 il primo sarà rintracciato da un giornalista americano in Argentina dando così avvio a una nuova stagione processuale italiana per crimini di guerra. Il pubblico ministero nel 1961 chiese nei loro confronti il “non luogo a procedere” «essendo risultate negative le possibili indagini dirette alla identificazione e al rintraccio degli imputati». Dopo nemmeno due mesi, il 19 febbraio 1962, il giudice istruttore militare Giovanni Di Blasi decise per il definitivo proscioglimento. Intanto nel 1960 l’allora Procuratore generale militare Enrico Santacroce aveva già apposto – nonostante non ne avesse le prerogative – su molti dei documenti d’indagine raccolti l’inesistente istituto legale della “archiviazione provvisoria”, eccetto per quelli privi dei dati degli indagati e quindi innocui. Quest’ultimi, all’incirca 1300, tra il 1965 e il 1968 vennero trasmessi alle varie procure militari, ma essendo tutti “contro ignoti” risultarono inutilizzabili. Un indizio questo, per non dire una prova, a conferma del cedimento della magistratura militare italiana alle richieste e alle pressioni provenienti dalla sfera politica da cui dipendeva direttamente.
Un’inchiesta del 1999 da parte del Consiglio della magistratura militare (CMM) concluse infatti:
1. «Quattrocentoquindici fascicoli dei 695 ritrovati nel 1994 nel cosiddetto “Armadio della vergogna” presso la Procura generale militare, contenevano già nome, cognome, grado e reparto di appartenenza dei responsabili delle stragi, italiani e tedeschi, repubblichini e nazisti. È ovvio che a ridosso dei fatti sarebbe stato assai facile individuare anche gli altri assassini».
2. «Negli anni qualche fascicolo era uscito dall’armadio, ma non del gruppo dei 695 di cui si è detto; si trattò solo di quelli riguardanti crimini minori e/o con assai difficile identificazione dei responsabili».
3. «L’enorme illegalità si “arricchì” ulteriormente con l’apposizione sui vari fascicoli, nel 1960, di un timbro di “archiviazione provvisoria”, istituto sconosciuto in ogni angolo del mondo e creato per l’occasione, come alibi assurdo e fragilissimo. Probabilmente rappresentava il tentativo maldestro di coprire in parte l’enorme magagna, dato che in quel periodo si stava discutendo dell’opportunità di abolire la magistratura militare».
4. «La Commissione d’inchiesta del CMM, forse restringendo eccessivamente le responsabilità, indica soltanto nei primi tre procuratori generali militari, Umberto Borsari, Arrigo Mirabella, Enrico Santacroce, succedutesi dal 1945 al 1974, i responsabili diretti dell’occultamento. Ma ci sono pochi dubbi che altri, sino ai giorni nostri, sapessero».
5. «Fu il potere politico a imporre il silenzio. Secondo il CMM la decisione fu determinata dalla guerra fredda: la Germania Ovest avrebbe dovuto fronteggiare l’Unione Sovietica con lo scudo della Wehrmacht che per questo doveva riarmarsi. Le enormi palate di fango rappresentate dalle stragi contro i civili avrebbero, per molto tempo, tarpato l’intento. A riprova, nella relazione si accenna a un carteggio tra due ministri, di cui non viene fatto il nome».
Quei ministri a cui faceva cenno il Cmm senza farne il nome erano Gaetano Martino, liberale, titolare degli Esteri, e Paolo Emilio Taviani, democristiano, responsabile della Difesa, ex partigiano e presidente della “Associazione partigiana volontari della libertà”. Entrambi fecero parte del primo Governo Segni in carica dal 6 luglio 1955 al 6 maggio 1957.
Umberto Borsari dunque eseguì il volere dell’esecutivo e anche il suo successore Arrigo Mirabella non si discostò da tale strada. Enrico Santacroce sancì il tutto con l’invenzione della “archiviazione provvisoria” per dare una parvenza di legalità all’opera d’insabbiamento.
È anche vero che non tutto si arenò perché nel 1966 il Ministero degli Affari Esteri italiano inviò al Governo di Bonn i fascicoli ancora pendenti e una segnalazione del materiale probatorio. Questo però non fu inviato per un’autonoma decisione delle autorità italiane, ma dopo un’ennesima ed esplicita esortazione da parte del Governo della Germania federale che chiese di segnalare tutti i casi di crimini nazisti ancora pendenti prima della prescrizione del 1969.
A facilitare il lavoro d’insabbiamento messo in atto dalle autorità italiane ci si erano messi anche gli alleati che tramite la UNWCC negarono definitivamente la consegna degli ufficiali superiori germanici, consentendo all’Italia di processare solo alcuni militari di grado inferiore purché non fossero già sottoposti a giudizio in altri Paesi. Ma neppure l’azione contro quest’ultimi risultò decisiva. La possibilità di ottenere prove necessarie per richiedere la consegna dei criminali di guerra tedeschi di grado inferiore non venne sfruttata adeguatamente poiché il materiale documentale raccolto dai servizi speciali britannici e statunitensi, una volta consegnato alla Procura generale militare di Roma, non venne utilizzato se non per rarissimi casi: il procedimento contro l’ex colonnello delle SS Herbert Kappler per la strage della Cave Ardeatine assieme ad altri cinque ufficiali subalterni (Roma, maggio-luglio 1948); contro il maggiore Joseph Strauch per il massacro del Padule di Fucecchio (Firenze, settembre 1948); contro il colonnello Rudolf Fenn e il capitano Theo Krake dell’organizzazione Todt (Firenze, maggio-giugno 1947) che aveva sfruttato e
deportato migliaia di uomini; contro il cosiddetto “gruppo di Rodi”, ossia il generale Otto Wagener come principale imputato, i maggiori Johann Koch e Herbert Nicklas, il capitano Helmut Meeske, l’ufficiale medico Christian Korsukewitz, il tenente Paul Walter Mai, il sottotenente Willy Hansky, il caporale Johann Felten, l’interprete Georg Dallago (Roma, ottobre 1948) per violenza con omicidio contro cittadini italiani. Solo quattro del cosiddetto “gruppo di Rodi” furono riconosciuti colpevoli. Nel biennio 1947-48 vennero complessivamente condannati soltanto sette tedeschi. Nel marzo 1949 il tribunale militare di Torino condannò il capitano di marina Waldemar Krumhaar per il saccheggio di Borgo Ticino. Sempre a Torino nel 1950 venne condannato il capitano Franz Covi per l’uccisione di due partigiani. Quello di Napoli nell’aprile 1950 condannò il capitano Alois Schmidt per concorso in rappresaglia continuata negli eccidi di Pian di Lot in Giaveno e di via Cibrario a Torino <12. E infine il tribunale militare di Bologna nell’ottobre 1951 condannò all’ergastolo l’ex maggiore delle SS Walter Reder per il massacro di Marzabotto <13.
Così si concluse quella poteva essere definita la “prima stagione processuale” riguardante i procedimenti a carico dei presunti responsabili dei crimini di guerra commessi in territorio italiano negli ultimi due anni di guerra. Solo poco più di dieci imputati vennero condannati e, ad esclusione di Kappler e Reder, poterono contare su misure straordinarie di condono della pena che in breve tempo li condusse alla liberazione.
La seconda stagione avrà invece inizio nel 1994 a seguito della riesumazione dei fascicoli occultati alla Procura generale militare di Roma ma a distanza ormai troppo grande per produrre risultati considerevoli in rapporto a tutte le prove che erano state raccolte nel dopoguerra e che avrebbero permesso l’imputazione di un notevole numero di tedeschi e dei loro collaboratori fascisti.
[NOTE]
1 Vedi una sintesi in Yoram Dinstein, The Defence of «Obedience to Superior Orders» in “International Law”, Leiden 1965, pp. 10-20, che resta tutt’oggi l’opera fondamentale in materia. Per il testo delle sentenze vedi “American Journal of International Law”, 1922, p. 696 ss.
2 Vedi il Public Record Office, War Office (PRO, WO) 204/11465, “Report on German Reprisals for Partisan Activity in Italy”, che illustra i risultati delle indagini condotte dal SIB.
3 Vedi History of the United Nations War Crimes Commission anche su “www.unwcc.org”.
4 Quarantanove saranno complessivamente i processi celebrati dai britannici e non solo contro militari tedeschi.
5 Il processo a Kesselring è il più importante tra quelli istruiti in Italia dai britannici. Quello che avrebbe dovuto servire da modello agli altri e ricomprenderli tutti. Gli atti del processo sono visionabili nel PRO, WO 235/366-376. Sul sistema degli ordini tedeschi e sul processo Kesserling, oltre alla documentazione in PRO visionata da Luca Baldissara in Giudicare e punire, L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2005, vedere anche il saggio di Michele Battini nel suddetto volume e, dello stesso autore, Peccati di memoria. La mancata Norimberga italiana, Laterza, Roma-Bari 2003; Michele Battini, Sins of memory: reflections on the lack of an Italian Nuremberg and the administration of International justice after 1945, in “Journal of modern italian studies”, IX, 3, 2004; Ivan Tognarini, Kesselring e le stragi nazifasciste. 1944: estate di sangue in Toscana, Carocci, Roma 2002; Kerstin von Lingen, Kesselrings letzte Schlacht. Kriegsverbrecherprozesse, Vergangenheitspolitik und Wiederbewaffnung: Der Fall Kesselring, Franz Schöningh Verlag, Paderborn 2004.
6 Sulla strage delle Fosse Ardeatine vedi PRO, WO 204/1149 e 310/137, relativi alle indagini. Per il processo vedi WO 235/438, Judge Advocate General’s Office. War Crimes Case Files, Secon World War, Defendant. Colonel-General Place of Trial: Rome, Eberhard von Mackensen and Kurt Maeltzer.
7 Sulla strage di Fucecchio vedi i documenti in PRO, WO 32/14566 War Crimes against Italy (Fucecchio); WO 310/104-105, fascicoli sulle indagini condotte dalla SIB; WO 311/358, Fucecchio Marshes, Italy: killing of italian civilians 1947 Jan. Sul processo vedi PRO, WO 233/335 Defendant: Peter Crasemann Place of Trial: Padua Röschen Case 1947 Jan.-1949 Jan. (Fucecchio). Sulle stragi in Toscana (e sul Padule di Fucecchio in particolare) vedi Michele Battini e Paolo Pezzino, “Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del massacro, Toscana, 1944”, Marsilio, Venezia 1997; Gianluca Fulvetti, Uccidere i civili. Le stragi naziste in Toscana (1943-1945), Carocci, Roma 2009.
8 Filippo Focardi, Criminali di guerra in libertà. Un accordo segreto tra Italia e Germania federale, 1949-55, Carocci, Roma 2008; Mirjam Kutzner, I successivi processi di Norimberga. I criminali di guerra tedeschi e la “febbre della clemenza”, in “Qualestoria”, 1, giugno 2006, p 149-154; Filippo Focardi, Lutz Klinkhammer, La difficile transizione: l’Italia e il peso del passato, in Nazione, interdipendenza, integrazione. Le relazioni internazionali dell’Italia (1917-1989), a cura di Federico Romero, Antonio Varsori, Istituto Storico Tedesco DHI, Roma 2005; Filippo Focardi, La questione dei processi ai criminali di guerra tedeschi in Italia: fra punizione frenata, insabbiamento di Stato, giustizia tardiva (1943) in “Annali della Fondazione Ugo La Malfa”, XX, 2005, pp. 179-212; Lutz Klinkhammer, La punizione dei crimini di guerra tedeschi in Italia dopo il 1945, in Gian Enrico Rusconi, Hans Woller, a cura di, Italia e Germania 1945-2000. La costruzione dell’Europa, Bologna 2005, pp. 75-90; Luca Baldissara, Paolo Pezzino, a cura di, Giudicare e punire, op. cit.; Michele Battini, Peccati di memoria, op. cit.; Francesco Giustolisi, L’armadio della vergogna, Nutrimenti, Roma 2004; Kerstin von Lingen, Kesselrings letzte Schlacht, op. cit.; Mimmo Franzinelli, Le stragi nascoste. L’armadio della vergogna: impunità e rimozione dei crimini di guerra nazifascisti 1943-2001; Mondadori,
Milano 2002; Paolo Pezzino, Sui mancati processi in Italia ai criminali di guerra tedeschi, in “Storia e memoria”, X, 1, 2001, pp. 9-72. Tuttavia di rilevante interesse sulla questione è la Relazione di minoranza presentata dall’onorevole Carlo Carli della Commissione d’inchiesta parlamentare sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi ai crimini nazifascisti rintracciabile presso l’Archivio Storico della Camera dei Deputati a Roma, oppure tramite il sito ufficiale della stessa (www.camera.it).
9 Claudio Pavone, La continuità dello Stato. Istituzioni e uomini, in Enzo Piscitelli e altri, Italia 1945-1948. Le origini della Repubblica, Giappichelli, Torino 1974, pp. 139-289, poi in Claudio Pavone, Alle origini della Repubblica, Bollati Boringhieri, Torino 1995, pp. 70-169; Romano Canosa, Storia dell’epurazione in Italia. Le sanzioni contro il fascismo 1943-1948, Baldini & Castoldi, Milano 1999.
10 Filippo Focardi, La questione della punizione dei criminali di guerra in Italia dopo la fine del secondo conflitto mondiale, in “Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken”, 80, 2000, p. 60.
11 Il maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, già responsabile della sanguinaria repressione italiana in Libia ed Etiopia, divenne il comandante in capo dell’esercito della Repubblica di Salò. Su Graziani vedi: Rodolfo Graziani, Ho difeso la Patria, Garzanti, Milano 1947; Frederick William Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Einaudi, Torino 1963; Giuseppe Mayda, Graziani, l’africano. Da Neghelli a Salò, La nuova Italia, Firenze 1992. Tra l’altro all’Archivio Centrale dello Stato (da adesso ACS) è conservato il Fondo Graziani.
12 Su tali massacri vedi anche il Tribunale militare territoriale di Napoli, udienza del 6 aprile 1950, in “Archivio Penale”, vol. X, parte II, 1954.
13 Sul massacro di Marzabotto, più correttamente Monte Sole, vedi Luca Baldissara, Paolo Pezzino, Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole, Il Mulino, Bologna 2009.
Marco Conti, La cultura giuridico militare e i crimini di guerra nazifascisti, Tesi di Dottorato, Università Ca’ Foscari Venezia, 2014

Mentre gli alleati a Norimberga attraverso i processi ai nazisti contribuivano all’affermazione di quelle leggi «non scritte nei codici dei re, alle quali obbediva Antigone», gli italiani avevano relegato le “leggi dell’umanità” ai piedi della forca improvvisata per il Duce e la sua amante. La maggior parte degli imputati dei processi della CAS, tra cui una notevole percentuale di ladri, assassini, torturatori, riuscì a sottrarsi alla meritata punizione, grazie ad opportune evasioni, latitanze in luoghi sicuri, a cavilli legali, ricorsi, e rinvii che permisero loro di poter usufruire dei benefici dell’amnistia Togliatti, e di tutte le successive, che ebbero effetto anche per coloro che risultavano già giudicati <8. «Che tornino in libertà i torturatori e i collaborazionisti e i razziatori» scriveva già nel 1946 Piero Calamandrei con rassegnato orgoglio, «può essere una incresciosa necessità di pacificazione che non cancella il disgusto: talvolta il perdono è una forma superiore di disprezzo» <9.
L’attività della Corte d’Assise Straordinaria consisteva, come recitava il d.l.lgt. 27 luglio 1944 n. 159, “Sanzioni contro il fascismo”, nel giudicare coloro che, dopo l’8 settembre 1943 avevano violato «la fedeltà e la difesa militare dello Stato» ponendosi al servizio dei tedeschi, favorendone i «disegni politici, o le azioni militari, con qualunque forma di aiuto, assistenza, intelligenza o corrispondenza” mediante «qualunque forma di intelligenza o corrispondenza o collaborazione col tedesco invasore e di aiuto o di assistenza ad esso prestata».
[NOTE]
8 Bertagna F., La patria di riserva: l’emigrazione fascista in Argentina, Donzelli, Roma, 2006.
9 Calamandrei P., Desistenza, in «Il Ponte», n.10, ottobre 1946, pubblicato anche in Id., Costituzione e leggi di Antigone. Scritti e discorsi politici, La Nuova Italia, Firenze 1996, p. 14.
Sonia Residori, La “pelle del diavolo”: la giustizia di fronte alla violenza della guerra civile (1943-45) in Quaderni sulla Resistenza e la RSI (1943-45), Istrevi