Sui ferrovieri e la Resistenza a Roma

L’aspetto della Stazione Termini a Roma durante la guerra – Fonte: Roma 8 settembre 1943

In questo clima fu naturale che tra i ferrovieri romani si consolidasse una diffusa ostilità verso la presenza degli occupanti tedeschi e verso ciò che restava del reparto ferroviario della Mvsn, nelle cui fila continuavano a operare solo gli elementi più fanatici e più compromessi. Ostilità che si concretizzava in una serie di atti di mancata collaborazione, di resistenza passiva o di assenteismo dal lavoro, che trovavano attuazione senza un piano preordinato e che possono essere annoverati nella categoria della resistenza civile. Pur trattandosi di esigue minoranze rispetto al complesso dei ferrovieri in forza negli impianti, gruppi di essi si organizzarono per dare continuità e sistematicità all’azione di resistenza, soprattutto per iniziativa dei socialisti che, pur dotandosi di un’organizzazione territoriale articolata nelle diverse zone della città, lasciarono che i ferrovieri organizzassero un raggruppamento a se stante, articolato in varie squadre, corrispondenti ai diversi impianti ferroviari della città, per un totale di centoquaranta uomini. Le iniziative di sabotaggio, messe in atto a danno degli impianti fissi o verso il materiale rotabile, costituirono dei colpi durissimi nei confronti degli occupanti e rappresentarono una minaccia continua ai piani tedeschi di controllo della circolazione e degli impianti: manomissione delle apparecchiature di stazione, tallonamento degli scambi, scalzamento di traverse e insabbiamento delle boccole delle ruote dei treni, riparazioni ai veicoli artatamente ritardate, manomissione delle locomotive elettriche ecc. […] La squadra di Tiburtina nell’ottobre del 1943, grazie all’iniziativa del capostazione Caccavale, coadiuvato dall’interprete tedesca Mimy Loeb, riuscì a far scendere dai carri di un treno in transito per la Germania circa 350 uomini razziati nel Napoletano e destinati al lavoro coatto. A Ostiense, tanto per fare un altro esempio, nel febbraio del 1944, la squadra di quell’impianto collaborò al minamento di sei carri carichi di esplosivo e proiettili tedeschi, mentre la squadra di Trastevere guidata dal ferroviere Serafino Marra riuscì a scaricare nel Tevere, all’altezza del ponte che lo sovrastava, un vagone carico di armi. Il giorno precedente la Liberazione di Roma si ebbe l’unica perdita. Il caposquadra cantonieri Roberto Luzzitelli, medaglia d’oro della Resistenza, decideva di sminare il Ponte delle nove luci, posto al km. 10 della linea per Viterbo, sabotato dai tedeschi in fuga. Sorpreso, veniva colpito a morte. Per quanto riguarda i ferrovieri appartenenti ad altre organizzazioni della Resistenza romana non è possibile ottenere una ricostruzione altrettanto precisa e circostanziata dell’azione da loro svolta, ciò non soltanto perché tali
organizzazioni non lasciarono a tale proposito memorie scritte altrettanto scrupolose di quella redatta dai socialisti, ma anche perché la loro azione a Roma si organizzò principalmente su base territoriale, attraverso la partecipazione alle formazioni operanti nelle diverse zone e quartieri in cui la città fu divisa. Tra le formazioni partigiane di zona del Pci a Roma operarono ad esempio diversi ferrovieri: il sottotenente Spartaco Zianna vice-commissario della brigata della Prenestina, Fernando Ferri, Mario Atzori, Tullio Salvatorelli e Alfredo Orecchio. Ma nulla è possibile stabilire della eventuale attività da loro svolta nell’ambito degli impianti ferroviari. Tra i sette ferrovieri caduti alle Fosse Ardeatine figurano tre ferrovieri appartenenti al Partito d’Azione: Armando Bussi, Elio Bernabei ingegnere, e Mario D’Andrea, manovale. I primi due, in particolare, furono arrestati da elementi della banda capeggiata da Pietro Koch il 3 marzo del 1944 e tradotti a Regina Coeli, dopo aver subito sevizie e torture presso la pensione Oltremare di Via Principe Amedeo. Armando Bussi, stretto collaboratore di Pilo Albertelli, non a caso fu inserito per primo nella lista dei cinquanta nomi di persone da fucilare fornita a Kappler dal questore Caruso e dallo stesso Koch […]
Massimo Taborri, Una categoria di oppositori: i ferrovieri in Liberi. Storie, luoghi e personaggi della Resistenza del Municipio Roma XVI, a cura di Augusto Pompeo, Municipio Roma XVI in collaborazione con l’ANPI, 2005 [ Massimo Taborri, Ferrovieri contro il fascismo. Roma 1922-1944, Edizioni Chillemi, 2019; Massimo Taborri, Antifascismo e Resistenza tra i ferrovieri del compartimento di Roma, ANPI Roma-Lazio, 2011 ]

[Massimo Taborri, Ferrovieri contro il fascismo. Roma 1922-1944, Edizioni Chillemi, 2019]
La ricerca di Taborri sul caso di Roma e del Lazio è importante anche perché gli episodi di antifascismo legati ai ferrovieri furono numerosi, sia per la quantità di dipendenti FS, visto che a Roma si trovava la Direzione generale, sia per la presenza della linea del fronte, che segnò il confine fra la Repubblica Sociale e il territorio controllato dagli Alleati, fra l’ottobre 1943 e il giugno 1944.
Il lavoro è il frutto dell’analisi di fonti documentarie inedite, con una approfondita ricerca all’Archivio centrale dello Stato, sapientemente combinate con interviste ai ferrovieri protagonisti di quel periodo, raccolte in anni di studio di questa tematica.
La ricerca – scrive Massimo Taborri – è anche un omaggio al coraggio e alla coerenza di tanti ferrovieri antifascisti, e soprattutto ai sei ferrovieri morti alle Fosse Ardeatine nel marzo del ’44. A loro non è stato mai dedicato un volume, come non è stato mai compilato un elenco dei caduti nella Resistenza, diversamente dai ferrovieri caduti nella prima guerra mondiale.
Il volume è corredato da un inedito elenco biografico dei principali esponenti dell’antifascismo e della Resistenza tra i ferrovieri del compartimento di Roma, dall’elenco dei ferrovieri caduti sotto i ripetuti bombardamenti della città e da un interessante confronto sulla memoria dei ferrovieri e sul caso francese.
dalla prefazione di Stefano Maggi, Professore ordinario di Storia contemporanea, Università degli studi di Siena, a cura di Associazione DLF Roma in Dlf Associazione Nazionale

10 settembre [1943]
Prima della fuga, il generale Roatta, Capo di Stato Maggiore, emana un ordine, dimenticandosi di firmarlo, con cui la difesa di Roma doveva cessare per evitare danni.
Ma i combattimenti continuano, in una ridda di ordini e contrordini. Ancora una volta i tedeschi tentano, e ancora con l’inganno di entrare in Roma […]
L’ultima battaglia avviene alla stazione Termini e dura 4 ore, dalle 16 alle 20.
Ferrovieri, e tra loro il capostazione Italo Campani, chiedono di poter avere armi per combattere. Il maggiore Carlo Benedetti, con 13 militari d’artiglieria e parecchi civili difende il treno di un comando operativo [Nell’interno della stazione Termini si svolge l’ultimo combattimento della battaglia di Roma, intorno a un treno di 22 vetture dello stato maggiore dell’esercito, che era stato trasferito lì dopo che Roatta e i suoi collaboratori avevano lasciato il comando di Monterotondo per insediarsi nel palazzo di via XX Settembre. Dei 214 militari addetti al convoglio ne sono rimasti tredici, compreso il comandante, maggiore Carlo Benedetti; ma ad essi si uniscono ferrovieri e cittadini riparatisi nella stazione dalle strade vicine. È un combattimento lungo e feroce, i tedeschi sparano contro il treno con un cannoncino da 20 mm e intorno alle 21 gli italiani devono cessare la resistenza. I corpi degli italiani restano allineati: sotto la pensilina del terzo binario sei militari e quarantuno civili. Di questi ultimi, otto rimarranno senza nome. Cesare De Simone, Roma: i tre giorni della rivolta, Patria indipendente, 23 settembre 2016] […]

18 ottobre [1943]
Alle 13.30, dal primo binario della stazione Tiburtina, parte il trasporto degli ebrei romani alla volta di Auschwitz-Birkenau. Il macchinista si chiama Quirino Zazza. I deportati, 75 per ogni carro, possono disporre per il lungo viaggio di 50 litri di acqua e dei viveri che hanno potuto portare con sé, come da ordine delle SS, per un viaggio di 8 giorni.
Qualche giorno dopo la partenza degli ebrei, alla stazione Tiburtina, per iniziativa del capostazione Caccavale, con l’aiuto di una interprete tedesca (97), vengono fatte fuggire dai ferrovieri (98) circa 350 persone che, rastrellate nel napoletano, stavano per essere deportate nel Reich destinate al lavoro forzato. 22 ottobre
I matteottini Gino Petri e Domenico Panetta, con le loro squadre si impossessano di armi e di altro materiale alla stazione Roma-Trastevere, dopo uno scontro con le sentinelle tedesche.
23 ottobre
Alla stazione Tuscolana viene danneggiato un treno merci.
16 febbraio [1944]
[…] I ferrovieri e partigiani socialisti della Garbatella, guidati da Edoardo Vurchio, fanno saltare in aria quattro vagoni di un treno in transito alla stazione Ostiense, carichi di materiale bellico tedesco […]
20 febbraio
[…] Ricevute segnalazioni dai ferrovieri su treni in transito con uomini e rifornimenti tedeschi, gli Alleati bombardano il ponte di Poggio Mirteto, la stazione di Capranica, Settebagni e Viterbo.
Luigi Zanasso e Nello Mancini con le loro squadre attaccano un treno alla stazione Tiburtina, per impossessarsi degli alimenti caricati sui carri. Dopo uno scontro a fuoco con i tedeschi, l’intero treno è incendiato.
Alla stazione Ostiense le squadre di Edoardo e Cosimo Vurchio fanno saltare cinque vagoni di armi tedesche […]
3 marzo
[…] Viene arrestato dalla banda Koch il ferroviere Armando Bussi (244), antifascista e dirigente delle formazioni azioniste. Viene torturato alla pensione Oltremare.
Assassinato con altri 5 ferrovieri, tra i quali Michele Bolgia, alle Cave Ardeatine.
Con lui, nella stessa giornata finisce nella mani di Koch anche l’ingegner Elio Bernabei (245), del Partito d’Azione, impiegato al Ministero delle Comunicazioni.
17 aprile
All’alba ha inizio il rastrellamento del Quadraro, il tormentoso “nido di vespe” […] Una settimana dopo il rastrellamento, come risposta all’azione nazista, i partigiani della VIIIa zona del PCI, con la collaborazione dei ferrovieri, attuano un sabotaggio nei pressi della stazione Tiburtina, facendo deragliare un treno che trasportava circa 300 prigionieri, prelevati nella varie carceri romane e avviati ai lager tedeschi.
97 Il suo nome era Mimy Loeb. Massimo Taborri, Antifascismo e Resistenza tra i ferrovieri del compartimento di Roma. ANPI Roma e Lazio 2011. pag.60.
98 I ferrovieri organizzarono più squadre di azione: due a Roma Termini, una a Roma Ostiense, due a San Lorenzo, una a Roma smistamento (allora Littorio), una a Roma Trastevere, due a Roma Tiburtina e una presso la Direzione Generale di Villa Patrizi. Massimo Taborri, op. cit. pag.59. L’organizzazione dei ferrovieri socialista faceva capo a Sandro Sideri, l’indirizzo politico era di Eugenio Colorni e Enrico Di Pietro.
244 Partigiano combattente. Medaglia d’Oro al Valor Militare.
245 Anche Bernabei verrà assassinato alle Ardeatine. Gli altri ferrovieri, vittime alle Ardeatine, sono: Renzo Piasco, Goffredo Romagnoli e Mario D’Andrea.

Aldo Pavia, Resistenza a Roma. Una cronologia, in resistenzaitaliana.it

A seguito dell’occupazione tedesca dell’Urbe, all’interno della stazione Tiburtina si costituì un nucleo clandestino guidato dal guarda-sala Michele Bolgia, uno dei sei ferrovieri uccisi alle Fosse Ardeatine, che fornì informazioni dettagliate al movimento partigiano circa i treni di deportati in partenza o in transito. Nel solo mese di febbraio del ’44 Bolgia e i suoi uomini riuscirono ad aprire in quattro diverse circostanze i portelloni dei carri merci dei convogli diretti nel Reich, carichi di ebrei o di uomini rastrellati per il lavoro coatto, consentendo la fuga di alcuni di loro.
Il ferroviere socialista Alessandro Sideri fin dal settembre-ottobre 1943, nello scalo di Roma Tiburtina, reclutò colleghi nella resistenza, in rapporto con Eugenio Colorni, mettendo assieme circa 140 persone. L’attività di sabotaggio nei confronti dei trasporti militari tedeschi riguardò la rottura degli scambi di manovra, lo scalzamento di traverse, il taglio dei tubi della condotta dei freni. Nelle officine di San Lorenzo e Trastevere operai e tecnici ritardavano ad arte la manutenzione del materiale rotabile. Il personale viaggiante aiutò i giovani militari e civili che si davano alla macchia servendosi dei treni. Ci furono atti di coraggio anche da parte dei macchinisti, come Agostino Pierucci, che per bloccare il nodo ferroviario nel marzo del ’44 fece deragliare la sua locomotiva sui binari di Roma Tuscolana.
Ancora a Tiburtina, nell’ottobre del ’43, grazie all’iniziativa del capo stazione Caccavale, coadiuvato da un’affascinante interprete tedesca di nome Mimy Loeb, circa 350 persone razziate in provincia di Napoli e avviate dai tedeschi verso la Germania, vennero fatte scendere dai carri su cui erano ammassate e, munite di documenti falsi, riavviate in parte verso Sud. Importante fu anche l’attività di intelligence in favore degli Alleati, con la segnalazione dei trasporti tedeschi di uomini o di materiale bellico.
Altri ferrovieri militarono nel partito comunista o nel partito d’azione. Tra questi spicca la figura di Armando Bussi, reduce della Grande Guerra, che aveva perso un occhio a Caporetto e nel Ventennio fu oppositore di Mussolini, assumendo poi incarichi direttivi delle bande azioniste. Arrestato il 3 marzo 1944 da elementi della banda Koch, fu tradotto a Regina Coeli dopo aver subito sevizie e torture presso la pensione Oltremare di via Principe Amedeo. Il 24 marzo venne fucilato nella strage delle Fosse Ardeatine insieme ad altri cinque colleghi delle FS. Un altro ferroviere, Roberto Luzzitelli, fu ucciso dai tedeschi il 3 giugno, il giorno prima della liberazione di Roma, “reo” di aver sminato il Ponte delle nove luci. A testimonianza del sacrificio di sangue dei ferrovieri romani alla causa della libertà.
(Il Messaggero, 19 dicembre 2011)
Mario Avagliano, La fiera Resistenza dei ferrovieri romani, Stori@ – il blog di Mario Avagliano, lunedì 19 dicembre 2011

Il saggio del Capitano della Guardia di Finanza Gerardo Severino (Michele Bolgia, l’angelo del Tiburtino, edizioni Chillemi, 2011), è uno di quei lavori che non solo contribuiscono ad arricchire la memoria della Resistenza romana di una pagina biografica fino ad oggi scarsamente conosciuta, come quella del ferroviere Michele Bolgia, ma che aiutano a fare luce sulla complessa trama di collegamenti, percorsi e motivazioni che la sottendono, non sempre opportunamente conosciuti e valorizzati.
Al centro del libro vi è infatti la ricostruzione dell’attività di opposizione all’occupazione nazifascista svolta nell’ambito della stazione Tiburtina da Michele Bolgia e da altri ferrovieri di quell’impianto, grazie alla collaborazione stabilitasi con il locale corpo di guardia delle Fiamme Gialle. Un’attività che si concretizzò (in varie e documentate circostanze) nell’apertura dei carri piombati dei treni merci carichi di uomini razziati per il lavoro coatto, ebrei o renitenti alla leva, in transito o in partenza da quella stazione e destinati al Nord: atti rischiosissimi e operativamente non facili da eseguire, attuati nonostante la vigilanza di soldati della Wermacht che presidiavano gli impianti ferroviari, ma capaci di restituire la libertà e spesso anche la vita a centinaia e centinaia di persone.
Che una collaborazione del genere tra ferrovieri e finanzieri potesse avere avuto luogo proprio a Tiburtina, epicentro della Resistenza dei ferrovieri romani (da cui si dipanava una rete di collegamenti con le squadre che si costituirono anche in altri impianti) poteva essere immaginabile, ma è grazie al lavoro del Capitano Severino, direttore del Museo storico del Corpo, che questa trama è stata oggi ricostruita.
D’altra parte era ben nota la scelta di schieramento operata dalle Fiamme Gialle e dal loro Generale Filippo Crimi, aderente al Fronte Militare Clandestino di Resistenza di cui era capo il Colonnello Montezemolo. Fu in attuazione delle direttive del generale Crimi che il nucleo di finanzieri della stazione Tiburtina, comandati dal Tenente Aladyn Korça (ventiseienne albanese in servizio sin dal ’39 presso la Legione Allievi di Roma), all’indomani dell’ 8 settembre del ’43, si attivarono per colpire come potevano i piani dell’occupante nazista. Trovando in Michele Bolgia, un uomo pieno d’umanità e di coraggio, il loro principale riferimento grazie anche alle funzioni di guarda-merci a cui fu adibito.
Michele Bolgia non era giovanissimo. Essendo nato a Roma nel 1894 aveva combattuto nella prima guerra mondiale. Un esperienza comune al molti altri ferrovieri che presero parte alla Resistenza romana (Armando Bussi, ad esempio). Figlio di un ferroviere toscano e padre di due bambini aveva drammaticamente perduto la moglie Maria Cristina sotto il bombardamento aereo di S. Lorenzo. Di simpatie socialiste, il suo nome non risulta però tra i 140 effettivi che componevano le squadre di ferrovieri promosse dal PSIUP e che a Tiburtina facevano riferimento al Capo stazione Elviso De Bernardis e a Guido Patini (cfr. Relazione sull’attività di lotta armata dei socialisti romani redatta all’indomani della Liberazione da Peppino Gracceva – comandante della organizzazione militare socialista delle Brigate Matteotti – e controfirmato da Pietro Nenni). L’ennesima riprova che l’attività di Resistenza romana andò ben al di là dei confini rappresentati dai partiti e che fu assai più ricca delle ricostruzioni che se ne fecero a posteriori. Un dedalo complesso di fili che si materializzarono assai spesso grazie all’iniziativa di singoli o di gruppi di cittadini mossi da spirito di solidarietà e che, quando escono dall’oblìo, riservano non poche sorprese […] La Resistenza dei ferrovieri romani fu un’attività organizzata che potrebbe rientrare nella nozione di Resistenza civile. Una serie incessante di atti di sabotaggio più o meno rilevanti che, sommandosi ai bombardamenti alleati di linee e strutture ferroviarie, determinavano interruzioni anche prolungate della circolazione dei treni o la necessità di ricorrere alla circolazione su un unico binario: si andava dalla manomissione degli scambi o dei fili dell’alta tensione, al taglio dei tubi di gomma della condotta dei freni, dalla ritardata esecuzione delle attività di manutenzione delle locomotive e delle vetture da parte degli operai delle officine di S. Lorenzo, alla sottrazione ai tedeschi di materiale e pezzi di ricambio destinati in Germania. Una Resistenza non armata, non a seguito di una scelta ideologica, ma in quanto le circostanze in cui si dispiegò non richiedevano il ricorso alle armi. Non per questo i ferrovieri romani furono meno esposti alla reazione e alla repressione dei nazisti. Come dimostrano i sei ferrovieri che, insieme a Michele Bolgia, furono uccisi alle Fosse Ardeatine o la vicenda del cantoniere Roberto Luzzitelli, colpito a morte il 4 giugno del ’44 mentre decideva di sminare il Ponte delle nove luci, posto al Km. 10 della ferrovia per Viterbo, minato dai tedeschi in fuga.
Michele Bolgia fu catturato il 14 marzo del ’44 nel corso di una retata. Pochi giorni dopo l’azione gappista di Via Tomacelli, durante la quale furono lanciate delle bombe contro un corteo di fascisti. Era appena salito sul Tram n. 8, avendo terminato il turno di notte alla stazione Termini, dove talvolta, se necessario, veniva impiegato. La sua identità doveva evidentemente essere ben nota ai nazisti se – diversamente da quanto accadde alla gran parte di coloro che quel giorno vennero catturati – non fu portato nella caserma di S. Croce in Gerusalemme, ma piuttosto a Via Tasso, nella sede della famigerata SD (Sichereitdients) con la speranza di estorcergli qualche informazione. A Via Tasso l’anziano ferroviere rimase solo due giorni prima di essere portato a Regina Coeli, durante i quali fece amicizia con uno dei pochi sopravvissuti alle indicibili sevizie dei tedeschi, Pasquale Curatola, il quale nel suo diario ne ricorda la profonda umanità (“La morte ha bussato tre volte”, De Luigi editore, Roma, 1944).
E’ stato grazie all’infaticabile iniziativa del figlio Peppino Bolgia e alla relazione storica realizzata dal capitano Gerardo Severino che è stato possibile addivenire nel luglio del 2010 alla concessione della Medaglia d’oro alla memoria con la seguente motivazione: “Ferroviere, in servizio presso la stazione Tiburtina, durante l’occupazione tedesca contribuì con l’apertura clandestina dei vagoni piombati alla fuga e al salvataggio di molti deportati dai campi di concentramento e venne successivamente ucciso alle Fosse Ardeatine. Mirabile esempio di umana solidarietà ed elette virtù civiche, spinte fino all’estremo sacrifico, 1943-1944. Roma”.
Massimo Taborri, Il ferroviere Michele Bolgia, l’angelo del Tiburtino, in Storia XXI secolo