Sui rapporti tra i tribunali militari di Salò e le autorità germaniche in Italia

Il disinteresse della storiografia sulla giustizia militare ha finito col comprendere il periodo successivo all’8 settembre 1943, quando anche la giustizia militare riprodusse specularmente la spaccatura nazionale venuta a crearsi con la nascita della Repubblica sociale italiana. Se poco si è scritto sull’esercito del Regno del sud, molto è stato detto sull’esercito repubblicano di Salò <39. Tuttavia questo turbinio di voci autorevoli si è soffermato solo superficialmente sulla giustizia militare della repubblica sociale, concorde nel relegarla al ruolo di mera esecutrice degli ordini di uno stato asservito al tedesco.
Eppure la giustizia militare dell’esercito di Salò mostrava tratti estremamente interessanti e variegati. Certamente ereditò integralmente i codici e le leggi militari del regime fascista e ne ampliò notevolmente le competenze soprattutto in materia di diserzione, ordine pubblico, disciplina dei cittadini in tempo di guerra e di lotta alle “bande armate”. Tuttavia il personale che la costituiva proveniva per la maggior parte dai ruoli dei giudici e dei magistrati che avevano formato le corti marziali del Regio Esercito, riproponendo, nonostante la situazione di estremo caos istituzionale, i medesimi atteggiamenti e suscitando spesso le stesse critiche da parte dello Stato Maggiore e dei comandanti regionali e provinciali, che con essa ebbero a che fare <40. Atteggiamenti che poi denotavano le varie anime della magistratura militare, divisa tra “linea legalitaria”, rappresentata soprattutto dal Procuratore generale Ovidio Ciancarini e tendenze strumentalizzatici dello Stato Maggiore e delle autorità repubblicane che, attraverso le critiche di Mussolini e Graziani e di molti comandanti regionali e provinciali, le circolari del generale Archimede Mischi, Capo dell’Ufficio legale dell’esercito, le intromissioni del Ministro dell’Interno Guido Buffarini Guidi e del Segretario del Partito fascista repubblicano (PFR), Alessandro Pavolini, auspicavano da parte dei giudici militari una maggiore fermezza e severità di giudizio anche a discapito della legge. Due opposte tendenze che la situazione politica della Repubblica sociale aveva reso definitivamente inconciliabili, escludendo, per evidenti ragioni di sopravvivenza, gli scrupoli legalitari di Ciancarini incompatibili con la grave situazione politica e militare e soprattutto illusori in uno stato che si reggeva sulle armi altrui. Furono proprio le emanazioni giuridiche derivanti da questa discrezionalità, mescolate alle continue ingerenze tedesche nella giustizia militare repubblicana, e non solo, a determinare le defezioni più significative tra i giudici e i magistrati. I primi ad allontanarsi furono quelli che non aderirono alla RSI come il procuratore di Milano Rinaldo Vassia eclissatosi dopo la richiesta di utilizzo indiscriminato del tribunale militare straordinario <41, poi fu la volta dello stesso Procuratore generale, Ovidio Ciancarini, che non seppe tacere in merito a quel “capolavoro d’illegalità” rappresentato dai “Bandi Graziani” contro disertori e renitenti alla leva, e fu, per questo, messo a riposo anticipatamente dallo stesso Maresciallo <42.
Una giustizia militare che potenziò il proprio ruolo sanzionatorio in materia di ordine pubblico e di controllo dei civili militarizzati impegnati nella produzione industriale e a cui aggiunse il compito di legalizzare la repressione dei fenomeni resistenziali <43. Incarico non nuovo per molti giudici e magistrati di Salò che già avevano fatto esperienza nella lotta contro i partigiani slavi durante l’occupazione italiana dei territori balcanici.
I codici penali militari utilizzati contro i partigiani slavi erano gli stessi che i giudici della repubblica sociale applicarono, in casa propria, contro la Resistenza; ovviamente, come in Jugoslavia, anche nel nostro Paese fu soprattutto espressione di una giustizia militare straordinaria in cui l’ottica era sempre la stessa: ogni occasione era buona per reprimere, per “dare l’esempio”, mentre nessuna lo era per giudicare secondo la legge. Un atteggiamento che segnò un continuum tra gli ordini dei generali Robotti e Roatta nei Balcani e le disposizioni del Capo dell’Ufficio Legale militare Archimede Mischi sull’utilizzo dei Tribunali militari, soprattutto straordinari, nella RSI <44. Che poi è la stessa prospettiva che rimanda all’operato dei tribunali germanici a sostegno delle operazioni antiguerriglia in tutta l’Europa occupata, Italia compresa <45.
Eppure i tribunali militari della Repubblica sociale sono tra i pochi collegi giudicanti fascisti a essere stati ricordati per l’estrema puntualità nel reprimere <46. Sugli altri è sceso l’oblio, forse perché, come osserva Luigi Borgomaneri: “i trascorsi africani, l’antisemitismo, il non istituzionalizzato ma esistente razzismo antislavo sono stati annegati, insieme ai crimini di guerra e conto l’umanità, in una rilettura della nostra storia che, divulgata e divenuta senso comune, ha certificato la distanza, quando non l’estraneità del popolo italiano dal regime e dalle sue guerre” <47.
[…] L’attraente espressione dell’“alleato occupato” di Lutz Klinkhammer riassume efficacemente il doppio volto della situazione nella quale venne a trovarsi l’Italia dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943 <196. L’ambivalenza nasceva principalmente dalle condizione anomala del nuovo stato italiano stretto, tra le contingenze dell’occupazione e la necessità vitale di mantenere l’alleanza con i tedeschi <197. Il riconoscimento della Repubblica sociale italiana da parte dei tedeschi effettivamente si scontrò sin da subito con un’oggettiva presenza di eventi che tendevano a negarlo <198. Questo perché la Germania nutriva un interesse puramente strumentale per l’Italia, alimentato dall’esigenza di tenere lontani gli Alleati dai territori meridionali del Reich, e dall’opportunità di sfruttare l’apparato economico e la manodopera italiana. L’Italia diventava un gigantesco campo di battaglia e dietro le retrovie di un fronte altalenante tra periodi di stasi e di movimento, cominciava l’indiscriminato sfruttamento delle risorse.
Tuttavia la Germania aveva bisogno dell’Italia (o meglio della Repubblica sociale italiana) non solo in termini di sfruttamento economico ma anche per ragioni politico-propagandistiche; soprattutto nel momento in cui la “fortezza Europa” subiva un attacco polidirezionale, da est i Russi e da Sud gli Alleati, Hitler doveva mostrare che lo schieramento dell’Asse e il Patto tripartito godevano di ottima salute <199. Da questo punto di vista il “tradimento del re e di Badoglio”, divenuto non a caso un leitmotiv del fascismo repubblicano, rafforzava l’alleanza italo-tedesca e dava una versione riduttiva, puramente in termini propagandistici, dell’uscita dell’Italia dalla guerra <200
“A maggior ragione, anche a ignorare le ragioni che facevano prevalere in ogni Paese occupato l’esigenza di reperire collaboratori nel contesto locale per necessità organizzative e per occasioni politico-propagandistiche (la ricerca di un consenso, seppur limitato), questa cooperazione diveniva indispensabile in una situazione in cui si voleva salvaguardare, almeno nelle apparenze, la stabilità dell’alleanza” <201.
Il tutto, ovviamente, all’”ombra delle armi tedesche”, senza il cui aiuto non ci sarebbe stata alcuna repubblica fascista <202.
Con la nascita della Repubblica sociale italiana, pur non cessando immediatamente il periodo di amministrazione militare straordinaria tedesca, ebbe inizio il processo di trasmissione dei poteri alle nuove istituzioni repubblicane, che nell’opera di edificazione di uno stato nell’Italia centro-settentrionale, si assunsero il compito di garantire il controllo dell’ordine pubblico e della produzione industriale. Perciò sin dai primi giorni di vita del nuovo stato, furono varati strumenti legislativi e approntati organi giudiziari in grado di adempiere a queste funzioni203. Mussolini e i suoi ministri si riunirono per la prima volta il 27 settembre 1943 alla Rocca delle Caminate in provincia di Forlì, “a poca distanza da Predappio, il paese natale del duce, in quel castello rimodernato che gli avevano regalato negli anni della fortuna” <204. In quella prima, breve riunione del Consiglio dei ministri, il Capo dello Stato definì la situazione italiana una delle più gravi della sua storia. Il programma di “rinascita nazionale” prevedeva, oltre alla costituzione di una repubblica presidenziale e al conseguente ripudio della monarchia, colpevole del tradimento del 25 luglio e dell’8 settembre, la creazione immediata di un esercito nazionale <205; bisognava, inoltre, dare corpo ai ministeri che sino a quel momento erano tali solo nominalmente <206. Ma ancora prima della struttura amministrativa e militare era necessario mantenere l’ordine pubblico, controllare la manodopera impegnata nella produzione industriale e, in tal modo, assicurare l’ordinato svolgimento delle attività produttive. Questo compito non spettava, ovviamente all’alleato tedesco, a cui semmai, sino al momento della costituzione dell’esercito repubblicano, dovevano competere aspetti della sfera militare, ma alle autorità del nuovo stato repubblicano e, proprio in questo senso, si esprimeva Mussolini in una lettera inviata a Hitler la sera dello di quello stesso giorno:
“Il Governo Repubblicano che ho l’onore di dirigere, ha un solo desiderio, una sola volontà: far sì che l’Italia riprenda il suo posto di combattimento il più presto possibile, ma per raggiungere questo scopo supremo è necessario che le Autorità Militari Germaniche limitino la loro attività solo al campo militare e per tutto il resto lascino funzionare le Autorità civili italiane” <207.
La preoccupazione del duce poggiava sulla realistica considerazione che se ciò non si fosse realizzato, l’opinione mondiale e quella internazionale avrebbero giudicato il Governo incapace di un’azione propria, indipendente dalla volontà dell’alleato. Ecco perché era in primo luogo necessario dare una dimostrazione di presenza delle istituzioni del nuovo stato emanando una serie di provvedimenti che ne mostrassero la vigile presenza. Che l’ordine pubblico e il controllo della popolazione fossero le prime inquietudini del governo repubblicano, lo dimostrava il fatto che pochi giorni dopo la riunione del 27 settembre, il ministro dell’Interno, Guido Buffarini Guidi, emanasse un decreto sulle norme penali relative alla disciplina dei cittadini di guerra <208. Insomma, ancora prima della creazione di un esercito repubblicano e la conseguente istituzione di “tribunali militari repubblicani”, il nuovo governo Mussolini, nella persona del ministro degli interni, pensava alla giustizia militare come metro di giudizio per le infrazioni dei civili. In questo provvedimento Buffarini Guidi, con l’evidente proposito di impedire problemi all’occupante tedesco e garantire l’ordine pubblico, stabiliva reati e pene per i cittadini responsabili di aiutare i prigionieri di guerra (evasi in massa in seguito agli eventi dell’8 settembre) o di danneggiare in qualunque modo gli interessi delle Forze armate dell’Asse, attribuendo le competenze del giudizio ai tribunali militari. Resta da chiedersi quali tribunali, dato che quelli repubblicani verranno ufficialmente istituiti solo il 10 novembre209.
Lo stesso provvedimento inoltre vietava le manifestazioni e gli assembramenti non autorizzati, nonché l’utilizzo di apparecchi radio trasmittenti. Sanzionati gravemente erano anche azioni quali prendere fotografie all’aperto o accendere fuochi durante le ore dell’oscuramento. Abbandonare il lavoro senza autorizzazione, istigare altri operai a fare lo stesso, danneggiando in questo modo il supporto alle Forze armate germaniche, poteva fruttare le reclusione fino a 10 anni e (art. 8) “qualora il fatto rivesta carattere di particolare gravità in relazione al danno che ne è derivato, si applica la pena di morte” <210.
La cognizione dei reati previsti dal decreto era devoluta ai tribunali militari, come d’altronde sempre loro era la competenza relativa alle prime azioni di sabotaggio che cominciarono a registrarsi sin dall’ottobre 1943. Facendo riferimento proprio a questi casi, una nota del ministro degli interni del 21 ottobre chiariva che
“Chiunque compia atti di sabotaggio contro le linee di comunicazioni militari – telefoniche, telegrafiche, stradali, ferroviarie – sarà passato per le armi sul posto se colto in flagrante e processato, negli altri casi, per direttissima dai Tribunali Militari. Tali reati che possono compromettere il corso delle operazioni militari, saranno puniti con la pena di morte. Le autorità militari e civili sono incaricate della sorveglianza e dell’esecuzione di quest’ordine” <211.
I tribunali militari dopo il Decreto ministeriale del 9 ottobre del 1943, emanato dal ministro dell’Interno, Guido Buffarini Guidi, aveva trasmesso ai tribunali militari la competenza per reati di sabotaggio, aiuto ai prigionieri di guerra, spionaggio, etc., tutti reati che in quel momento erano rivolti principalmente contro le Forze armate germaniche.
Il vuoto di potere innescato con lo sfaldamento dell’esercito italiano dopo l’8 settembre coinvolse inevitabilmente anche i tribunali militari che, quando uscì il Decreto di Buffarini Guidi avevano condiviso le sorti del Regio Esercito e quindi si trovavano nella totale impossibilità di riprendere qualsiasi attività (con l’eccezione, stando a Ciancarini, dei tribunali di Roma e Trieste) <212. La stessa Procura generale, al fine di assicurare la continuità del loro funzionamento aveva valutato attentamente, sino da ottobre, l’opportunità di accordarsi con le Autorità germaniche
“Con i fogli 16 e 28 ottobre u.s., pari oggetto, rispettivamente n. 6129 e 6152 di prot. diretti al Gabinetto ed a questa Direzione Generale, la Procura Militare ha rappresentato la difficile situazione in cui è venuta a trovarsi, dopo l’8 settembre circa, l’Amministrazione della Giustizia militare e la conseguente necessità di adottare adeguati ed urgenti provvedimenti intesi ad assicurarne la continuità e il funzionamento. […] Considerato che, mancando il funzionamento dei tribunali militari, restano senza giudice italiano i reati militari e quelli comuni demandati alla competenza degli stessi tribunali, questa Direzione generale non può che convenire nelle considerazioni e nella suaccennata proposta della Procura generale militare e ravvisa all’uopo la necessità di prendere anzitutto i conseguenti accordi con le autorità germaniche” <213.
I tedeschi non avevano bisogno di alcun accordo dato che sin da subito si erano sostituiti alla giustizia militare italiana, assorbendone completamente il ruolo <214.
La situazione continuò anche dopo il Decreto istitutivo del 10 novembre 1943 dei Tribunali militari repubblicani, i quali, in una difficile fase di transizione, si trovavano spesso nella condizione di dover rendere esecutive pene non inflitte dai loro organi e proferite sulla base del diritto militare tedesco <215. Spesso ai “nuovi” tribunali non restava altro che rimandare alle autorità di polizia che li avevano emanati, i fascicoli processuali, completando un circolo vizioso che partiva dalle autorità di P.S., responsabili delle indagini, passava dal tribunale germanico per il giudizio per concludere il suo iter presso i tribunali militari della RSI, che avrebbero dovuto solo rendere esecutive le condanne. Il Ministero dell’Interno con il decreto del 9 ottobre aveva in parte contribuito a quella situazione, legittimando gli unici tribunali militari funzionanti, quelli germanici, salvo poi, dopo la nascita dei tribunali militari repubblicani, tentare di limitarne il raggio d’azione richiamando alla giustizia civile maggiori competenze, soprattutto in materia di ordine pubblico <216.
Sul delicato tema delle relazioni tra la giustizia militare tedesca e italiana prima e dopo l’8 settembre, particolarmente illuminante è un documento rintracciato nell’AUSSME, dal titolo Promemoria relativo ai rapporti tra tribunali militari italiani e le autorità germaniche in Italia. Si tratta di una relazione che potremmo definire “conclusiva”, del primo tortuoso rapporto tra giustizia militare germanica e italiana <217. Redatta a Roma il 1° gennaio 1944 dalla Procura generale militare a cui capo sedeva ancora Ovidio Ciancarini, presenta una suddivisione temporale in tre periodi: 1. Prima dell’8 settembre 1943; 2. Dall’8 settembre alla data di costituzione del governo repubblicano; 3. Dopo la costituzione del governo repubblicano <218.
Le considerazioni della Procura generale sulla situazione prima dell’armistizio rammentavano che, fino a quel momento, le relazioni italo – tedesche in merito alla giustizia militare si erano ispirate al principio di extraterritorialità, disciplinato dalla Convenzione di Roma del 17 aprile 1942. In base a tale principio i reati commessi in Italia da militari germanici “ivi residenti per ragioni di servizio attinenti alla guerra”, erano demandati alla competenza dei tribunali tedeschi che presso quel luogo funzionavano; ma i reati, sempre compiuti nel medesimo ambito territoriale, a danno delle forze armate germaniche restavano di competenza esclusiva dei tribunali militari italiani <219.
Dopo l’8 settembre la situazione era nettamente cambiata; le armate tedesche, dopo aver occupato buona parte dell’Italia, attuarono un regime giuridico conseguente all’occupazione bellica. Per questo motivo furono emanate ordinanze di carattere obbligatorio per tutti gli abitanti a cominciare da quella emanata, nella capitale appena occupata, l’11 settembre dal feldmaresciallo Kesselring, comandante in capo delle armate del sud. L’ordinanza, passata alla storia come “Proclama di Kesselring”, dichiarava il territorio italiano a lui sottoposto “territorio di guerra”, trasformando prima Roma, poi l’Italia occupata in una piazzaforte <220. Da quel momento le uniche leggi valide erano “le leggi tedesche di guerra e tutti i reati commessi contro le Forze armate tedesche saranno giudicati secondo il diritto tedesco di guerra” <221.
Nello stesso periodo gli uffici dei tribunali militari non sfuggirono all’occupazione e numerosi ufficiali italiani investiti di funzioni giudiziarie vennero “imprigionati o vincolati a domicilio o internati”, – contemporaneamente vennero – “distrutti i reclusori militari di Gaeta, donde uscirono circa 1.350 detenuti, trasferiti in località non conosciuta circa 1.400 detenuti del reclusorio militare di Peschiera; mentre altri numerosi detenuti militari riuscirono ad evadere, in seguito all’avvenuto disarmo del personale custode” <222.
Durante questa devastazione si smarrirono numerosi fascicoli processuali e corpi del reato e, la prima seria conseguenza di tutto ciò fu l’interruzione che la giustizia militare italiana subì un po’ ovunque, con l’unica eccezione degli uffici giudiziari militari di Roma e del Tribunale militare di Trieste <223.
[…] Dopo il Proclama di Kesselring furono numerosissime le ordinanze (Bekanntenachtung) emanate dalle autorità tedesche, di cui una sostanziosa traccia è rimasta in alcune cartelle del fondo RSI dell’AUSSME e dell’omonimo fondo nell’ACS <232.
Uno di questi proclami chiariva ulteriormente la funzione dei tribunali militari germanici in materia di sabotaggio e di ordine pubblico; l’ avviso, affisso sui muri di Roma e di altre città occupate nell’ottobre del 1943, iniziava con chiari riferimenti al tradimento badogliano per proseguire poi:
Badoglio hörige Verräter erdreisten sich, die Verteidigung des nationalen Italien durch Sabotageakte an den Nachrtichtenverbindungen zu erschweren. Alla ehrlich gesinneten Italiener werden aufgerufen, das verferliche Treiben dieser ehrlosen Subieckte im keine takräftig zu unterbinden. Bürgermeister und Präfekten sind fur die Sicherung den in ihren Bereichen verlegten Kabel veranwortlich una haben sofort zweckdienliche Bewachung durch Carabinieri und Xivilbevölkerung sicherzustellen. Durchfürung dieser Sicherungemassnamen wird überpruft. Sofern die Sabotageaktennicht ab sofort unterbleiben, sieth die deutsche Wermacht sich gezwungen, durch repressalien Kontributionen und Geisellgestellung diesem Befehl Nachdruck zu verleihen. Wer bwi Sabotage der Nachrictenverbindungen gefasst wird, wird durch deutsche Kriegsgerichte abgerecht. Fluchtig oder fluchtverdächtige Täter werden erschossen. Werden die Täter nicht gefasst, so werden Geiseln erschossen. Diese Anweisung tritt mit dem Tage der Bekanntgabe in Kraft” <233.
L’unico interesse dei tedeschi era l’ordine pubblico al fine di evitare ogni azione che potesse interferire nel funzionamento delle fabbriche di interesse bellico, già soggette a numerosi fattori di rallentamento (non solo il rifornimento di materie prime, lento e irregolare, ma anche il sabotaggio e le ripetute astensioni dal lavoro nel quadro di un movimento quasi ininterrotto di agitazioni). Le autorità tedesche non avevano alcun interesse al rafforzamento del partito fascista repubblicano e della sua immagine. Come in altri contesti del sistema di occupazione, esse erano impegnate ad assicurarsi ai fini della collaborazione la continuità di un apparato amministrativo in loco, piuttosto che la rinascita di una forza politica specificamente fascista. Poco importava poi se l’apparato amministrativo, in questo caso la giustizia militare della RSI, completamente svuotato di poteri sovrani, riproponeva la classica condizione in cui operavano i governi collaborazionisti di mezza Europa. Quello che contava era il controllo del territorio.
Anche a Milano l’ingerenza tedesca in materia di giustizia militare si protrasse ben oltre il decreto costitutivo dell’Esercito repubblicano e dei tribunali militari. Tale presenza è documentata da numerosi casi trasmessi dalle autorità di polizia e carabinieri a detti tribunali, sin dai primissimi giorni dopo l’armistizio <234.
Dalla metà di novembre 1943, circa, i tribunali militari tedeschi, presenti in tutte le province lombarde (a Milano si trovava in Piazza Brescia, successivamente fu spostato in via Monterosa), iniziarono a trasmettere i fascicoli processuali al Tribunale militare regionale di guerra di Milano. Tra gli accusati vi erano pochissimi militari e gli imputati, per la maggior parte, erano donne e uomini estranei alle FF.AA. Tra loro i pochi criminali “professionisti” si confondevano nella folla delle persone per bene, soprattutto di umili condizioni, che la guerra e la fame avevano spinto a rubare o a commettere reati di scarso conto. Si trattava per lo più di infrazioni che poco avevano a che fare con l’esercito, e che una volta trasmessi dai tribunali tedeschi a quelli italiani, venivano girati alla magistratura ordinaria per competenza, a meno che, ovviamente, non si trattasse di reati a danno dell’Amministrazione militare. In questo caso erano i tribunali militari ad avere cognizione in materia.
[NOTE]
39 Sull’esercito del Regno del sud si segnalano: A. Ricchezza, G. Ricchezza, L’esercito del sud: il corpo italiano di liberazione dopo l’8 settembre, U. Mursia, 1973; per l’amplia bibliografia sull’Esercito nazionale repubblicano della Rsi si rimanda alla pagina n. 244, p. 61 di questo lavoro.
40 Frequente è la documentazione che propone giudizi critici e disapprovazioni del Governo e dello Stato Maggiore sull’operato dei tribunali militari e sull’eccessiva tolleranza adottata soprattutto nei procedimenti penali contro i disertori e la manodopera militarizzata.
41 Sull’episodio si veda il § 1.11 Rinaldo Vassia e il senso della giustizia militare.
42 L’episodio è ricordato da G. Pansa, Il gladio e l’alloro. L’esercito di Salò, Mondadori, Milano 1990, p. 25 e da L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere, Garzanti, Milano 2002, p. 79.
43 In realtà le competenze per la repressione delle “bande armate” spettavano in parte al rinato Tribunale speciale per la difesa dello Stato della Rsi e in parte ai tribunali militari. Alcuni reati come la detenzione abusiva di armi da fuoco o la partecipazione ad associazioni sovversive erano di competenza del Tribunale speciale, mentre gli attentati contro membri delle FF. AA. spettavano alle corti marziali. A causa di ciò spesso si assistette a un rimpallo tra i due istituti giuridici di fascicoli processuali relativi a imputati accusati di vari reati di competenza diversa. Ad esempio, un disertore che fosse confluito nelle fila della Resistenza, agli occhi della giustizia di Salò, era passibile di reati sanzionabili dall’uno e dall’altro tribunale.
44 Sui crimini di guerra italiani commessi nei Balcani si vedano: Crimini di guerra. Il mito del bravo italiano tra repressione del ribellismo e guerra ai civili nei territori occupati, a cura di L. Borgomaneri, Guerini e Associati, Milano 2006; D. Conti, L’occupazione italiana dei Balcani. Crimini di guerra e mito della «brava gente» (1940-1943), Odradek; T. Ferenc, “Si ammazza troppo poco”. Condannati a morte – ostaggi – passati per le armi nella provincia di Lubiana 1941-1943. Documenti, Istituto di Storia moderna, Ljubljana 1999; E. Gobetti, L’occupazione allegra. Gli italiani in Jugoslavia (1941-1943), Carocci, Roma 2007.
45 AA.VV., Crimini di guerra. Il mito del bravo italiano tra repressione del ribellismo e guerra ai civili nei territori occupati, cit., pp. 12-13.
46 Un ricordo che emerge pressoché da tutta la produzione storiografica scientifica e memorialistica legata soprattutto a casi specifici e all’esercizio della giustizia militare straordinaria.
47 Crimini di guerra. Il mito del bravo italiano tra repressione del ribellismo e guerra ai civili nei territori occupati, a cura di L. Borgomaneri, cit., p. 13.
196 L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, 1943-1945, cit., p. 5. L’opera di Lutz Klinkammer conclude, un ciclo di studi storici sull’occupazione tedesca dell’Italia condotti principalmente su fonti tedesche, iniziato da Enzo Collotti trent’anni prima con l’opera L’Amministrazione tedesca dell’Italia occupata 1943-1945, pubblicata nel 1963, cit.
197 E. Collotti, RSI: L’occupazione tedesca. Italia, provincia del Reich, in “Il Manifesto”, www.ilmanifesto.it.
198 Ibidem.
199 Ibidem.
200 R. De Felice, Mussolini l’alleato: 1940-1045, II vol., cit. p. 137.
201 E. Collotti, RSI: L’occupazione tedesca. Italia, provincia del Reich, in “Il Manifesto”, cit.
202 La Repubblica sociale italiana 1943-45, P. P. Poggio (a cura di), Fondazione Luigi Micheletti, Brescia 1986, pp. 436 e sg, dove si legge: “I tedeschi, insediati in Italia, avrebbero sicuramente potuto, come misura di rappresaglia, usando l’argomento della violazione degli accordi, mutare il titolo della loro presenza in Italia e proclamare una vera e propria occupazione militare. Scelsero un tipo di occupazione camuffata, quello della formazione di un governo collaborazionista, sedicente nazionale, ma completamente soggetto alla loro volontà”.
203 R. Rainero, A. Bigini, L’Italia in guerra: il quinto anno, 1944, Commissione italiana di storia militare, Roma 1995, pp. 267 e sgg.
204 G. Bocca, La repubblica di Mussolini, Arnoldo Mondatori, Milano 1994, p. 192.
205 L’Esercito Nazionale Repubblicano nacque ufficialmente solo con il Decreto del Duce del Fascismo, Capo dello Stato Nazionale Repubblicano del 27 ottobre 1943 recante come oggetto: scioglimento delle Forze Armate Regie e costituzione delle Forze Armate Repubblicane (pubb. dalla G.U. il 10 novembre 1943, n. 262).
206 M. Cuzzi, Presupposti e strutture della Repubblica sociale italiana, CUESP, Milano 1999.
207 B. Spampanato, Contromemoriale, Ed Illustrato, Roma 1952, vol.III, p.260. Anche in F. W. Deakin, Storia della repubblica di Salò, Einaudi, Torino 1963, p. 568.
208 Decreto ministeriale del 9 ottobre 1943, n. 248, in V. Caputo e G. Avanzi, Le leggi per le forze armate della Repubblica Sociale Italiana. Settembre 1943 – aprile 1945. Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2005, pp. 57 – 60.
209 Decreto ministeriale 10 novembre 1943, n. 291, Costituzione dei Tribunali militari territoriali, la determinazione della loro competenza e la istituzione di una Sezione del Tribunale Supremo Militare a Cremona”. ibidem, pp. 78-80.
210 Decreto ministeriale del 9 ottobre 1943, n. 248, cit.
211 ACS, RSI, SPD, Carteggio riservato (1943-1945), busta 38, fascicolo Tribunali Militari, 1943 ottobre 21, Comunicazione del Ministero degli Interni, Roma.
212 AUSSME, Fondo L/14, busta 33, fascicolo 5, 1943 novembre 5, Circolare del Direttore Generale dell’Ufficio Personali Civili e Affari Generali, Salvatore Vasa sul funzionamento della Giustizia militare, Roma.
213 Ibidem.
214 Il Proclama Kesselring dell’ 11 settembre 1943 trasferiva i poteri dei tribunali militari italiani a quelli tedeschi, soprattutto per questioni di ordine pubblico e repressione delle prime attività antitedesche.
215 AUSSME, Fondo I/1 (RSI), busta 64 , fascicolo 2.145, 1944 gennaio 1, Promemoria relativo ai rapporti tra i militari italiani e le autorità germaniche in Italia, p. 3.
216 Si veda il § 1.12 Le preoccupazioni di Buffarini Guidi. Qui ci si riferisce in particolare alla lettera inviata il 3 dicembre dal ministro alla Procura generale militare in ACS, RSI, Forze Armate, busta 5, 1943 dicembre 6, Nota ministeriale sul Funzionamento e competenze dei tribunali militari territoriali a firma di Guido Buffarini Guidi.
217 AUSSME, Fondo I/1 (RSI), busta 64 , fascicolo 2.145, 1944 gennaio 1, Promemoria relativo ai rapporti tra i militari italiani e le autorità germaniche in Italia, p. 4.
218 Sulla base della documentazione presente nell’ACS, Fondo RSI e nell’AUSSME, fondo I/1 (RSI), sono rintracciabili alcuni documenti che confermano le non sempre rispettose relazioni tra giustizia militare germanica e italiana. Proprio per ovviare a questo problema, frequenti sono i giudizi degli organi della giustizia militare di Salò (Ufficio Legale dell’Esercito, Procura Generale Militare, Tribunale Supremo) sui criteri di applicazione delle norme penali adottati dai tribunali di guerra tedeschi. Si tratta di considerazioni che spesso pongono in risalto le profonde differenze con i codici militari italiani e quelli germanici. ACS, RSI, Forze armate, busta 4, 1945 aprile 2, Promemoria sulle corti marziali.
219 AUSSME, Fondo I/1 (RSI), busta 64 , fascicolo 2.145, , 1944 gennaio 1, Promemoria …, cit., p. 2.
220 A. Majanlathi, A. Osti Guerrazzi, Roma occupata 1943-1944. Itinerari, storie, immagini, Il Saggiatore, Milano 2010, p. 72.
221 Ibidem. Il “Proclama di Kesselring” dell’11 settembre stabiliva: 1) Il territorio dell’Italia a me sottoposto è dichiarato territorio di guerra. In esso sono valide le leggi tedesche di guerra. 2) Tutti i delitti commessi contro le Forze Armate tedesche saranno giudicati secondo il diritto tedesco di guerra. 3) Ogni sciopero è proibito e sarà giudicato dal tribunale di guerra. 4) Gli organizzatori di scioperi, i sabotatori ed i francotiratori saranno giudicati e fucilati per giudizio sommario. 5) Sono deciso a mantenere la calma e la disciplina e a sostenere le autorità italiane competenti con tutti i mezzi per assicurare alla popolazione il nutrimento. 6) Gli operai italiani i quali si mettono volontariamente a disposizione dei servizi tedeschi saranno trattati secondo i principii tedeschi e pagati secondo le tariffe tedesche. 7) 1 Ministeri amministrativi e le autorità giudiziarie continuano a lavorare. 8) Saranno subito rimessi in funzione il servizio ferroviario, le comunicazioni e le poste. 9) E’ proibita fino a nuovo ordine la corrispondenza privata. Le conversazioni telefoniche, che dovranno essere limitate al minimo, saranno severamente sorvegliate. 10) Le autorità e le organizzazioni italiane civili sono verso di me responsabili per il funzionamento dell’ordine pubblico. Esse compiranno il loro dovere solamente se impediranno ogni atto di sabotaggio e di resistenza passiva contro le misure tedesche e se collaboreranno in modo esemplare con gli uffici tedeschi. F.to Maresciallo Kesselring.
222 AUSSME, Fondo I/1 (RSI), busta 64 , fascicolo 2.145, 1944 gennaio 1, Promemoria…, cit. p. 4.
223 Per Trieste il promemoria non considera la relazione inviata in data 20 novembre 1943 alla Procuratore generale Ovidio Ciancarini dal Presidente del Tribunale militare territoriale di Trieste, il maggior generale S. Cascella, che sui rapporti con i tedeschi afferma: “[…] è stato qui istituito un Commissariato Supremo tedesco avente giurisdizione sulle province di Trieste, Pola, Fiume e Gorizia e Udine. Alla suddetta relazione sono state allegate due Ordinanze del Prefetto Commissariato dalle quali si rileva che la funzione assorbente ed interferente in qualunque attività italiana da parte germanica: compresa quella giudiziaria. Infatti con una delle Ordinanze è stato stabilito il passaggio dei procedimenti pendenti dinanzi ai Tribunali militari italiani (evidentemente quello di Trieste) all’autorità giudiziaria ordinaria. Sembrava quindi che questo tribunale dovesse chiudere i battenti. Se non che nei colloqui avuti in merito, con il dirigente della Sezione giudiziaria del Commissariato supremo tedesco (il quale è da ritenersi una sezione del Ministero giustizia germanico) è stato richiesto il passaggio immediato dei procedimenti, per qualsiasi reato, previsti da qualsiasi legge, a carico di estranei alle forze armate (compresi i partigiani), pendenti presso questo tribunale, divenendone competenti i tribunali civili a seguito della suaccennata ordinanza. E tale passaggio è in via d’esecuzione. E’ rimasto invece sospeso quanto si riferisce ai militari. […]”. AUSSME, Fondo I/1(RSI), busta 64 , fascicolo 2.148, 1943 novembre 20, Tribunale militare territoriale di guerra di Trieste. Funzionamento dei Tribunali militari territoriali. Sulla situazione di Trieste durante la RSI si vedano: M. Pirica, A. D’Antonio, Adriatische Künstenland 1943-45, Centro Studi Silentes Loquimur, Trieste 1992 e L. Barrater, Le Dolomiti del terzo Reich, Mursia, Milano 2005.
232 Numerose ordinanze si rintracciano in AUSSME, Fondo I/1 (RSI), busta 18, fascicolo 358, Bandi e disposizioni emanati durante l’occupazione nazi-fascista ai comandi germanici.
233 Comunicazione: “I traditori appartenenti a Badoglio si azzardano ad ostacolare la difesa dell’Italia nazionale attraverso atti di sabotaggio nei confronti dei mezzi di trasmissione delle notizie. Tutti gli italiani onestamente uniti sono chiamati a impedire efficacemente sul nascere la riprovevole attività di questi soggetti disonesti. Sindaci e prefetti sono responsabili della sicurezza dei cavi collocati nei loro territori e devono assicurare subito un’adeguata sorveglianza attraverso i carabinieri e la popolazione civile.
L’esecuzione di queste misure di sicurezza viene controllata. A meno che le azioni di sabotaggio non smettano da subito, l’esercito tedesco si vede obbligato a conferire un certo rilievo a questo ordine attraverso rappresaglie e ostaggi. Chi viene preso a sabotare la trasmissione di notizie viene processato nei tribunali militari. I fuggitivi o i sospettati di fuga vengono fucilati. Se non vengono presi i colpevoli, vengono fucilati gli ostaggi. Questo ordine entra in vigore il giorno in cui viene comunicato”. ACS, RSI, SPD, CR, busta 38, 1943 ottobre, Bechanntmachung.
234 Sono prevalentemente furti, truffe, ricettazione di materiale trafugato soprattutto nelle giornate successive all’8 settembre; reati tutti perpetrati ai danni di civili o dell’amministrazione militare. Spesso si tratta di furtarelli di piccole quantità di cibo, vestiario e beni di prima necessità in genere. Vd. ASMi, TMTMi, Fascicoli processuali, dalla busta 200 alla busta 207, che contengono numerosi fascicoli processuali trasmessi dai tribunali tedeschi, dislocati nelle varie province lombarde, al Tribunale militare regionale di guerra di Milano tra il novembre e il gennaio 1943.
Samuele Tieghi, Le Corti Marziali di Salò. Il Tribunale Regionale di Guerra di Milano (1943-1945), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2012-2013