Sul sano esercizio di bastonar la moglie

Ritratto di Giovanni Boccaccio in tarda età, particolare da un ciclo d’affreschi dell’Antica sede dell’Arte dei Giudici e Notai a Firenze – Fonte: Wikipedia

La novella nona della nona giornata del Decameron porta in rubrica la seguente dicitura: «Due giovani domandano consiglio a Salamone, l’uno come possa essere amato, l’altro come gastigar debba la moglie ritrosa: all’un risponde che ami, all’altro che vada al ponte all’oca».
È una novella che almeno all’apparenza è, come ognun sa, una delle più misogine del libro boccacciano, giacché ivi si spiega, per bocca di Emilia, che «se con sana mente sarà riguardato l’ordine delle cose, assai leggiermente si conoscerà tutta la universal moltitudine delle femine dalla natura e da’ costumi e dalle leggi essere agli uomini sottomessa, e secondo la discrezion di quegli convenirsi reggere e governare; e per ciò ciascuna che quiete, consolazione e riposo vuole con quegli uomini avere a’ quali s’appartiene, dee essere umile, paziente e ubidente, oltre all’essere onesta».
Sin qui le dichiarazioni esplicite.
Poi lo svolgimento del tema segue un andamento bizzarro: la cavalcata verso Jerusalem di Melisso e Giosefo, gli enigmatici consigli del re, la sbrigatività della prassi: si intuisce che i postulanti siano molti, tutti lì ammassati, e il re passi le sue giornate ad ammanire consigli, e i richiedenti, introdotti «d’uno de baroni di Salamone», ascoltate le parole del sapiente vengono subitamente e con ben poche cerimonie allontanati: infatti, anche nel nostro caso, l’uno, Melisso, «fu messo fuori», l’altro «fu senza indugio dalla presenza del re levato».
D’altronde Bartolomeo da san Concordio, negli Ammaestramenti degli Antichi, Distinzione undecima (Di Dottrina e modi di dire), rubrica VI (Che ’l dire breve è migliore che ’l lungo) ci spiegava che «’l parlare breve suole fare più desiderio, e ’l parlare lungo suole fare rincrescimento» e che «le brievi cose meglio si tengono a mente» e «imperò che le brievi cose talora più muovono», etc. Sulla via del ritorno, quando, al Ponte all’oca assistono alla bastonatura del povero mulo, Melisso dice a Giosefo: «Or ti dico io, compagno, che il consiglio datomi da Salamone potrebbe esser buono e vero, per ciò che assai manifestamente conosco che io non sapeva battere la donna mia, ma questo mulattiere m’ha mostrato quello che io abbia a fare».
E così la novella finisce con la bastonatura della moglie.
Melisso la annuncia a Giosefo: «io ti priego non ti sia grave lo stare a vedere, e di reputare per un giuoco quello che io farò» ma, d’altra parte, già la narratrice Emilia aveva sentenziato che «Sono naturalmente le femine tutte labili e inchinevoli » e che il proverbio recita «Buon cavallo e mal cavallo vuole sprone, e buona femina e mala femina vuol bastone».
Fuor di metafora, e in modo scherzoso, dicesi castigamatti proprio ciò che è «bastone, frusta, strumento efficace di punizione per chi si dimostra ribelle a ogni ordine o ragione» (GDLI, a cura di Salvatore Battaglia e Giorgio Bárberi Squarotti), ciò che serve a ridurre alla ragione i riottosi.
Ma il sapere proverbiale ha nel Decameron buono spazio, e i proverbi come sappiamo spesso alludono o usano doppi sensi, dalla «sposa bagnata» al «sacrificare a Venere» all’«attaccare il maio ad ogni uscio», etc., per restare a quelli di contenuto allusivamente erotico.
Ma la possibilità di doppia lettura, magari anche qui a soggetto sessuale, alberga un po’ ovunque, anche nelle canzonette, dall’«Ah! Che bella pansé che tieni» al clarinetto che in certi casi «si butta un po’ giù».
E sui significati collaterali del bastone molte citazioni si potrebbero dunque fare, dal termine toscano bischero – il cui primo significato è quello di piolo – al caduceo di Mercurio che scosta le nubi per svelare i misteri d’amore in Sandro Botticelli, La Primavera. Il tirso è attributo di Dioniso, etc.
Ora, sarà ovvio citare a questo punto Freud, ma facciamola una cosa ovvia, ché nell’Introduzione alla psicoanalisi fra le altre cose si dice che

Franz Xaver Winterhalter, Decamerone, 1837 – Fonte: Wikipedia

Poi, la parte del genitale più appariscente e curiosa per entrambi i sessi, il membro virile, trova sostituzione simbolica, in primo luogo, in cose che gli sono simili nella forma, ossia lunghe ed erette, come bastoni, ombrelli, verghe, alberi e simili; inoltre, in oggetti che con ciò che raffigurano hanno in comune la proprietà di penetrare nel corpo e di ferire, ossia armi appuntite di ogni genere, coltelli, pugnali, lance, sciabole; ma anche armi da fuoco: fucili, pistole e la rivoltella, così adatta allo scopo per la sua forma. Nei sogni d’angoscia delle fanciulle, l’inseguimento da parte di un uomo che impugna un coltello o un’arma da fuoco ha un’ampia parte.

E sarà altrettanto ovvio citare Francesco De Sanctis che, nella Storia della letteratura italiana, parlando del Decameron, scrive: Il comico talora vien fuori per un improvviso motto o facezia, che illumina tutta una situazione e provoca il riso di un tratto e irresistibilmente: ciò che oggi si direbbe un tratto di spirito. Sono brevi novelle, il cui sapore, come nel sonetto, è tutto nella chiusa. Di questo genere è la novella del giudeo, che guardando a Roma la corruzione cristiana, si converte al cristianesimo. La chiusa sopraggiunge così improvvisa e così disforme alle premesse, che l’effetto è grande.

Sarà forse di un qualche interesse notare che la novella immediatamente successiva, a questa della bastonatura, è quella di compar Pietro che chiede a donno Gianni di fare un incantesimo per trasformar la moglie in cavalla, e questi comincia l’azione magica, e toccandole il petto e trovandolo sodo e tondo, risvegliandosi tale che non era chiamato e su levandosi, disse: «E questo sia bel petto di cavalla» […] E ultimamente, niuna cosa restandogli a fare se non la coda, levata la camiscia e preso il piuolo col quale egli piantava gli uomini e prestamente nel solco per ciò fatto messolo, disse: «E questa sia bella coda di cavalla.» Tralasciamo ora tutta una serie di questioni che dovremmo verificare e approfondire (nel Novellino scopare è «percuotere a colpi di scopa, di frusta», le streghe vanno a cavallo di un bastone, etc.) ma, bastone o coda o quel che sia, il sospetto che ci sia nel racconto boccacciano un doppio senso, a livello inconscio, naturalmente ci assale.
Anche perché la novella si conclude con un «Così adunque fu gastigata la ritrosa, e il giovane amando fu amato», che chiude le due storielle parallele, e dobbiamo allora rammentare che il modo di dire «alzare la mazza», che troviamo altrove ma che nella lingua d’Italia esiste, significa prepararsi a castigare qualcuno, e nel Marino (dunque ben più tardi) troviamo il verbo castigare usato anche con il valore di vincere l’ozio e rompere il digiuno.
Nel Vocaborio della lingua italiana già compilato dagli Accademici della Crusca ed ora novamente corretto ed accresciuto dall’abate Giuseppe Manuzzi (Firenze, 1833) troviamo castigare con il valore di Per rendere accorto, Scaltrire alle proprie spese, e si cita «Se le lunga esperienza delle fatiche d’amore nella tua giovinezza non t’avea castigato che bastasse, la tiepidezza degli anni ec. almeno ti dovea aprir gli occhi», che è, naturalmente, il Corbaccio.
Qui naturalmente castigare vale correggere, emendare, ma sappiamo che fra i suoi significati ci può anche essere quello di domare, vincere, e nel gergo volgarotto e un po’ protervo di certe chiacchierate maschili, quello di amar sessualmente una femmina.
Ma per restare a Boccaccio e alle mazze, troviamo in Ninfale fiesolano, strofe 245, vv 1-2:
Ma poi che messer Mazzone ebbe avuto Monteficalli, e nel castello entrato, e nell’introduzione alla VI giornata del Decameron si favella di questioni relative al fatto che «messer Mazza entrasse in Monte Nero», e infine, e ritorniamo al Corbaccio, «fare che messer Mazza rientrar possa in Valleoscura».
Da dove, insomma, possiamo dedurre che Boccaccio si diverte assai con le sue metafore oscene e noi magari lo fraintendiamo e ce le troviamo anche quando non le usa.
Ma, insomma, ci divertiamo un po’ anche noi, caro Giovanni della Tranquillità, noi che riteniamo, e pensiamo che tu saresti subito d’accordo, che l’unico modo giusto di bastonare una donna sia quello da noi qui intravisto fra le righe, purché naturalmente bastonatore e bastonata siano d’accordo, ne escano saziati e insomma si diano, come tu bene dici, «buon tempo e lieta vita».

Marco Innocenti in IL REGESTO, (Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna – Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo), Sanremo (IM), anno XI, n° 1 gennaio-marzo 2020