Sulle Missioni Cherokee e Bamon

Monumento a Soprana nel Biellese, dedicato alla Missione Cherokee – Fonte: Patria Indipendente

Intanto le formazioni valsesiane, riorganizzatesi dopo la Caporetto di Alagna, cominciarono a operare stabilmente nella pianura novarese; anche le formazioni biellesi applicarono la tattica della pianurizzazione; si posero obiettivi ambiziosi di attacchi in forze a grosse unità e a presidi fascisti. Fu concordata con formazioni valdostane un’azione mirante a liberare la valle di Gressoney. Toccò principalmente ai Battaglioni biellesi condurre l’operazione. Ma l’azione riusci solo in parte; il Distaccamento Caralli, che aveva attaccato Lillianes, fu costretto a ritirarsi perché da Ivrea arrivarono rinforzi fascisti, mentre il Distaccamento Bixio riusci a espugnare il presidio di Issime e a conquistare un ingente quantitativo di armi. Le perdite furono contenute nonostante l’asprezza dello scontro: undici morti e una decina di feriti.
Nei mesi di agosto e settembre, grazie a un ulteriore accrescimento degli effettivi, furono costituite nuove brigate, raggruppate in divisioni. Nel frattempo, cominciarono a essere paracadutate nel Biellese missioni alleate: dapprima la Bamon, composta da ufficiali italiani; poi la missione britannica Cherokee che ebbe giurisdizione su tutto l’alto Piemonte.
La Cherokee dispose di effettuare un grande lancio di armi che avvenne nei pressi della frazione Baltigati di Soprana (Valsessera) il 26 dicembre, in pieno giorno; si trattò di un lancio spettacolare, effettuato da ventiquattro quadrimotori. Intanto il giorno precedente la 75^ Brigata aveva occupato il paese di Cigliano e catturato cinquanta fascisti e un notevole bottino di armi, tra cui tre mortai da 81. Di questa operazione, compiuta in modo fulmineo, che costò solo tre feriti non gravi, diedero notizia le radio di Londra e di Mosca. Le Pietre raccontano

Il Nord Ovest si dimostrò essere un terreno pericoloso per la Missione Cherokee condotta nell’area di Biella. Il 17 gennaio [1945] venne catturato da una pattuglia tedesca il capo della Missione, il maggiore Alastair Macdonald, mentre era in ricognizione per individuare una nuova zona per accogliere aviolanci di materiale. Per fortuna, né il suo vice, Pat Amoore, né l’operatore radio Corporal Birch vennero catturati, anche se furono costretti a passare la maggior parte dei due mesi seguenti in fuga dalla lunga e determinata loro ricerca da parte tedesca. In un caso dovettero anche passare, grazie alla collaborazione del sacerdote, cinque notti in un pertugio nel muro della chiesa di Azeglio. “Fummo obbligati, in quanto agenti nemici infiltrati tra i partigiani, a cercare nuovi nascondigli ogni notte, in qualche occasione anche due volte per notte” ricordava Amoore […] Esempio tipico di attività di ufficiali SOE infiltrati in questa fase finale della guerra fu quello del maggiore Robert Readhead, che andò a prendere il comando della Missione Cherokee nell’aerea di Biella dopo la cattura del precedente responsabile, il maggiore Alastair Macdonald. Readhead era accompagnato da un ufficiale italiano, Marco Folchi-Vici, che usava il nome di copertura Mark Terry. La missione fu anche rinforzata con alcuni ufficiali polacchi […] David Stafford, Mission Accomplished: SOE and Italy 1943-1945, Bodly Head, London, 2011

Durante l’estate del ’44 le formazioni partigiane biellesi registrano una rapida crescita, raggiungendo in poche settimane la cifra di 2000 effettivi, molti dei quali però disarmati o in possesso di sole armi individuali.
Gli Alleati, che pure si dicono disponibili ad effettuare lanci di materiale per ovviare a queste carenze, si trovano di fronte ad una serie di problemi che mette a dura prova i rapporti tra le due parti.
Oltre alle difficoltà nell’allestimento e nella messa in sicurezza dei campi di lancio, i partigiani dimostrano scarsa disciplina in occasione dei lanci (accade a volte che formazioni non direttamente interessate intervengano facendo segnalazioni erronee allo scopo di impadronirsi del materiale, e questo malgrado il comando generale dei distaccamenti e brigate d’assalto Garibaldi invii di continuo precise istruzioni in merito).
A tutto ciò si aggiunge anche la limitatezza degli invii (un foglio di istruzioni datato 28 giugno indica che solitamente un solo aereo, o al massimo due, è impiegato nelle missioni e che il quantitativo “normale” di materiale paracadutato consta di 15 recipienti e 24 pacchi).
Dalla fine di agosto frequenti sono poi i contrasti all’interno dello stesso schieramento resistenziale biellese, tra le formazioni della V divisione Garibaldi e i giellisti della brigata “Col. Cattaneo”, sull’assegnazione delle armi e del materiale paracadutato dagli angloamericani.
Per ovviare ad una situazione che diviene ogni giorno sempre più insostenibile, viene inviata a metà novembre ’44 la missione inglese “Cherokee”.
I compiti ad essa affidati sono fungere da collegamento diretto con il comando alleato, addestrare i partigiani al sabotaggio e provvedere all’organizzazione dei lanci, nonchè alla suddivisione e alla distribuzione del materiale inviato.
Comandante della missione, di cui fanno parte i capitani Patrick Amoore e Jim Bell (esperto di esplosivi) e il radio-operatore Tony Birch, è il maggiore inglese Alistair MacDonald.
Gli uomini della “Cherokee” si adoperano per individuare una zona adatta all’allestimento di un campo di lancio che permetta l’invio di un maggior quantitativo di materiale: «Facemmo alcuni tentativi non riusciti su un altipiano ricoperto di neve, circondato da alte montagne – ricorderà anni dopo il maggiore MacDonald – abbastanza sicuro ma di troppo difficile approccio per gli aerei […] I partigiani proposero allora di utilizzare uno spazio pianeggiante che si estendeva nei pressi di Baltigati di Soprana: abbastanza elevato da proteggerne gli accessi ma ricoperto di boschi […] I partigiani presero contatto con le autorità municipali locali, che subito accettarono di annunciare un programma di Soccorso invernale per procurare senza spese legna da ardere in favore della popolazione […] e fecero appello ai “volontari” per il taglio degli alberi. Nel giro di due giorni quei “volontari” avevano completamente disboscato l’area di lancio prevista, senza far sorgere alcun sospetto fra le truppe nemiche».
La scelta di Baltigati arriva dopo che due lanci di prova effettuati il 15 e il 16 dicembre sul Biellese occidentale, nella zona operativa della brigata giellista “Cattaneo”, hanno avuto esito negativo (gran parte del materiale inviato finisce in mano fascista).
Individuata la zona, è necessario approntare e difendere il campo di lancio: i comandi partigiani stilano un piano che prevede la partecipazione di tutti i reparti della XII divisione “Nedo” (nella cui area avrà luogo l’operazione) e di una unità della V divisione “Piemonte” (la 2ª brigata “Pensiero”) : «La 50ª brigata – ha scritto Claudio Dellavalle – avrebbe controllato la zona a sud delle colline, tra Roasio e Lessona, la 109ª avrebbe controllato la direttrice Cossato-Vallemosso e le strade interne fra Mezzana e Strona, mentre forze della V divisione avrebbero bloccato il transito fra Vallemosso, Vegliomosso e Mosso S. Maria; infine la 110ª avrebbe contrastato eventuali attacchi dalla val Sesia, presidiando la zona tra Crevacuore e Sostegno. Attorno a tutto il campo veniva così predisposta una cintura di sicurezza profonda diversi chilometri».
Vengono inoltre formate delle squadre per il rapido recupero del materiale, preparati i mezzi di trasporto e allestiti i campi di raccolta.
L’aviolancio, confermato la mattina del 26 dicembre, è effettuato da dodici quadrimotori Liberator, che iniziano i loro passaggi un’ora prima del tramonto: «Il lancio – ha scritto ancora Dellavalle – si trasformò in uno spettacolo indimenticabile per tutta la popolazione del Biellese orientale, che si riversò nelle strade ad ammirare la pioggia degli ombrelloni multicolori […] Per due ore gli aerei passarono e ripassarono sulla zona, mentre invano le mitragliere del presidio [fascista] di Lessona sparavano verso il cielo».
I partigiani recuperano 165 fucili mitragliatori Bren, 80 lanciagranate PIAT, 85 mortai da 50mm, 505 mitra Sten, 420 fucili mod. 91, 145 carabine Winchester, 5.725 bombe a mano, cospicue riserve di munizioni, di esplosivo, di indumenti invernali e di viveri in scatola.
Anche in questa occasione si presentano i soliti problemi relativi alla suddivisione del materiale paracadutato: rivolgendosi al comando della XII divisione, il comando del raggruppamento garibaldino biellese denuncia infatti la mancanza «di più di cento paracaduti e cioè quasi la metà», lamentando che simili «fatti dispiacevoli possono intaccare quella che è la serietà delle nostre formazioni [e] l’onestà stessa dei componenti» (pare comunque che la sottrazione dei contenitori fosse da addebitarsi ad una unità appartenente alle formazioni partigiane valsesiane di Cino Moscatelli).
L’aviolancio del 26 dicembre, al di là di questi inconvenienti, è comunque decisivo per risolvere in maniera duratura il problema dell’armamento delle formazioni partigiane biellesi, che dopo un periodo di inattività prolungata riprendono le azioni di guerriglia; lo stesso maggiore MacDonald, comandante della missione “Cherokee”, non esiterà a definire quello di Baltigati «il più importante lancio della Soe in Italia».
Frammenti di Storia Biellese

La Missione “Cherokee” della Soe – Special Operations Executive – fu paracadutata nei pressi di Biella nella notte tra il 17 e il 18 novembre 1944. Il gruppo era composto da tre ufficiali: il sottoscritto, quale comandante, Pat Amoore e il nostro specialista in esplosivi e sabotaggio Jim Bell, nonché dal nostro fidato radio-operatore, caporal maggiore Tony Birch. Io ero stato per vari mesi dall’inizio dell’anno con i “maquisard” francesi nel Massif Central, ad ovest del Rodano. Pat aveva prestato servizio con le forze canadesi in Sicilia, risalendo poi con loro l’Italia meridionale fino a raggiungere il corpo d’armata polacco impegnato nella conquista di Monte Cassino. Egli aveva aggiunto al suo perfetto bilinguismo spagnolo una eccellente padronanza dell’italiano. In più parlava correntemente il catalano, il che gli permise di afferrare immediatamente l’affine dialetto piemontese parlato diffusamente nella zona di Biella.
Subito dopo il lancio, che vide Pat atterrare in un porcile, ci rendemmo conto del numero impressionante di partigiani italiani già in divisa operanti nella zona: essi costituivano la 5a e la 12a divisione Garibaldi e la brigata “Giustizia e libertà”, ed il contingente totale superava i tremila uomini. Ma le formazioni garibaldine erano separate da noi dalla città di Biella, asserragliata dai posti di blocco. Esse erano concentrate intorno a Valle Mosso, a nord-est di Biella, mentre noi eravamo scesi a sud-ovest della città, su una dorsale morenica e boscosa conosciuta come la “Serra”. Fu dunque subito chiaro che lo spostamento da un’area all’altra implicava sia una marcia notturna lunga e tortuosa, sia un rischioso percorso in macchina lungo un tratto di strada molto scoperto.
Non c’erano problemi di rifornimenti per quanto riguardava i fabbisogni di base dei partigiani, eccetto che per le armi e il fatto notevole di mantenere tanti uomini giovani vestiti e ben nutriti ci apparve allora come pacifico. In realtà, fu solo quando rivisitai Biella nel 1983 che riuscii a rendermi veramente conto dei rischi corsi e dell’ingegnosità dimostrata nel confezionare tante divise all’interno delle grandi fabbriche tessili del Biellese, e di farle uscire sotto il naso di guardiani e nemici, grazie alla totale collaborazione dei proprietari.
Io penso che noi oggi dovremmo tutti rendere omaggio a questa straordinaria impresa.
Un altro piccolo ma significativo esempio, che occorre forse citare, della ricchezza di risorse dei partigiani e dell’appoggio immediato della popolazione, riguarda un pietoso incidente occorso nella mia cascina una sera, quando un giovane si ferì accidentalmente all’inguine mentre puliva la propria pistola e si stava mortalmente dissanguando malgrado i nostri sforzi. In meno di mezz’ora dall’incidente giunse un medico con una soluzione salina e bendaggi appropriati. Disgraziatamente il tempo necessario per salvarlo era superato. Ma il tentativo stesso, compiuto in tali circostanze, non è già per sé un’impresa notevole?
Il primo nostro compito fu quello di trovare una base d’atterraggio più importante e più facilmente difendibile, e di organizzare un grande lancio di armi ed esplosivi destinati alle importanti formazioni partigiane. Queste ultime erano da oltre un anno quasi interamente equipaggiate con armi catturate durante le saltuarie sortite e gli scontri favorevoli occorsi nella zona.
Facemmo alcuni tentativi non riusciti su un altipiano coperto di neve, circondato da alte montagne, abbastanza sicuro ma di troppo difficile approccio per gli aerei: riuscimmo soltanto ad udirli mentre cercavano invano di avvicinarsi. I partigiani proposero allora di utilizzare uno spazio pianeggiante che si estendeva nei pressi di Baltigati di Soprana: abbastanza elevato per proteggerne gli accessi ma ricoperto di folti boschi. Quest’ultimo inconveniente sembrava già compromettere il progetto, quando fu avanzata una soluzione ingegnosa. I partigiani presero contatto con le autorità municipali locali, che subito accettarono di annunciare un programma di Soccorso invernale per procurare senza spese legna da ardere in favore della popolazione particolarmente colpita dai rigori dell’inverno e fecero un appello ai “volontari” per il taglio degli alberi. Nel giro di due giorni quei “volontari” avevano completamente disboscato l’area di lancio prevista, senza far sorgere alcun sospetto fra le truppe nemiche.
In meno di nulla potemmo così ottenere, come magnifica “Befana” anticipata, un lancio eccezionale su quel campo appena creato. Effettuato in pieno giorno da una ventina di aerei (i calcoli variavano da 14 a 24), fu certamente il più importante lancio della Soe in Italia.
Per dare un’idea di quello che venne messo a disposizione, oltre alla grande quantità di esplosivi, miccia e detonatori, si possono elencare grosso modo: 165 mitragliatrici leggere “Bren”, 80 lanciagranate anticarro “Piat”, 85 mortai fanteria, 505 sten, 565 fucili, 5.725 bombe a mano tipo “pigna”, senza contare le abbondanti riserve di munizioni.
Anche prima di questo lancio eccezionale, Jim Bell aveva fatto buon uso dell’unica cassa di esplosivi e miccia lanciata insieme a noi a novembre, nel senso di individuare i punti di tensione in cui piazzare gli esplosivi e di confezionare le cariche adatte per far saltare la travata di un ponte della ferrovia nel centro di Ivrea, azione affidata ad un “commando” guidato da un tecnico soprannominato “Alimiro”, offertosi come volontario. Le tradotte cariche di forniture belliche in acciaio speciale, che regolarmente attraversavano il ponte provenienti dalla miniera e dalle fonderie di Cogne in alta Valle d’Aosta, ne facevano un obiettivo di grande importanza strategica. Ma siccome il ponte misurava soltanto 90 metri ed era sorvegliato da sentinelle alle due estremità e situato proprio di fronte all’albergo che ospitava la Kommandantura tedesca di Ivrea l’obiettivo appariva come irraggiungibile.
Ciò malgrado, Alimiro aveva deciso di farlo. E quando gli strinsi la mano prima di partire, augurandogli buona fortuna, mi disse soltanto: “Ricordi una cosa, maggiore: se questa volta non riesco, non credo di poter tentare una seconda”. E invece ci riuscì.
Un’intera testata del ponte precipitò nel fiume Dora. E anche se più tardi la missione fu di nuovo all’erta quando i lavori di riparazione sembravano essere a buon punto, il ponte non fu più utilizzato normalmente se non dopo la guerra.
Il grande lancio diurno del 26 dicembre fu seguito immediatamente dall’arrivo sul campo della Serra di due rinforzi per la nostra missione: il sergente maggiore Johns del Genio Reale e il sergente Bell. In quanto specialista di sabotaggi, il sergente maggiore Johns iniziò subito l’addestramento all’uso degli esplosivi, ormai disponibili in grande abbondanza. Il sergente Bell fece coppia con il nostro capitano Jim Bell per assisterlo nelle operazioni di sabotaggio e “anti-terra bruciata” appena predisposti nella bassa Val d’Aosta.
Il materiale ricevuto durante il “grande lancio” era così inaspettatamente abbondante da non poterlo spostare subito per intero e se ne dovette sotterrare una parte in un cimitero vicino, in attesa di concordare con il Comando di zona un piano di distribuzione. Tale piano fu basato sul principio della parità di armamenti fra le varie brigate Garibaldi, l’approvvigionamento della brigata Giustizia e libertà e la costituzione presso la Missione di una grossa riserva di materiale di sabotaggio e di equipaggiamento, per fornire ad hoc le zone non sottoposte al Comando zona biellese. Nella pratica però, era ovviamente difficile procurare i mezzi per il trasporto del materiale, anche prima dei rastrellamenti che si protrassero a lungo a partire da gennaio, tagliando fuori completamente intere zone, ed era pure inevitabile che sorgessero dispute fra le diverse unità concorrenti per rifornirsi delle armi paracadutate.
Quando tornai sulla Serra ai primi di gennaio, c’erano sicuri indizi di un imminente rastrellamento nemico in quella zona. E quando una brigata garibaldina, impaziente di utilizzare le nuove armi (forse malgrado discutibili direttive del generale Alexander, di sospendere le operazioni fino a primavera), riuscì ad attaccare una corriera carica di sottufficiali tedeschi e uccise l’intero contingente presso Cerrione, era fuori dubbio che il fatto provocasse delle rappresaglie. Il giorno che seguì l’incidente mi presentai nel villaggio più importante della zona, Magnano, con il nostro bravo ex prigioniero di guerra, caporal maggiore Keith Jones, che spedii in cima a una collina per sorvegliare i dintorni, mentre io mi intrattenevo con il radiotelegrafista del Sim “Armando”, e con una staffetta, che non avevo incontrato da qualche tempo. Tutto sembrava abbastanza calmo, quando improvvisamente irruppe di sorpresa sul villaggio uno “Zug” di Waffen Ss. La staffetta poté salvarsi correndo come una lepre, ma io e Armando non potemmo avanzare rapidamente sulla neve alta che circondava il villaggio e fummo bersagliati quasi subito di fucilate. Armando rimase ucciso da un proiettile alla schiena, proprio alla vigilia di essere ritirato da quella mansione, dopo un lungo e arduo servizio. Così, pure il mio servizio presso la Missione Cherokee prese fine di colpo.
Dopo un periodo di detenzione presso la prigione civile di Biella e circa un mese di interrogatori al quartiere generale della Sicherheisdienst in Verona (dove mi fu detto che Ferruccio Parri occupava una cella vicina), fui spedito al campo di smistamento dei prigionieri di guerra di Mantova. Qui, dopo un mancato tentativo di trasferirci tutti in Germania, ebbi la grande fortuna di poter fuggire, avvalendomi di una felice occasione di fuga nella mia lunghissima marcia oltre il lago di Garda e su per la val Camonica fino in Svizzera, grazie al coraggio ed alla presenza di spirito di un ragazzino italiano di dieci o dodici anni, che mi vide mentre mi defilavo fuori da un giardino: si accorse dei pantaloni militari inglesi che fuoriuscivano dal mio cappotto borghese e mi ingiunse di tornare indietro e seguirlo giù verso la riva del Mincio (che formava dalla parte del campo un vasto lago). Lì mi fece salire su una barca e remò attraverso il lago sotto gli sguardi delle sentinelle tedesche, verso una zona dove difficilmente potevano immaginare di trovarmi quando fosse scattato l’allarme.
Alastair Macdonald in “l’impegno“, a. XII, n. 1, aprile 1992, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli

La missione Bamon venne incorporata nella Cherokee.
Il 22 dicembre [1944] il comandante GL Alimiro mi propose di fare saltare nuovamente il ponte ferroviario sulla Dora nel centro d’Ivrea, da pochi giorni riattato e guardato da ogni lato da sentinelle e vicino al Comando tedèsco. Eseguii un sopralluogo ad Ivrea con Alimiro, esaminai il suo piano e lo ritenni pressoché impossibile, ma ugualmente lo sottoposi al maggiore Macdonald che confermò il giudizio. Alimiro insistette a richiedere l’esplosivo, ed il maggiore Macdonald mi disse: «Carmagnola è lei il responsabile per il sabotaggio, cosa decide?». Acconsentii.
L’alternativa era una molto problematica occupazione temporanea del ponte per farlo saltare infiltrando lungo la linea ferroviaria 150 partigiani, oppure il bombardamento aereo nel cuore della città, giacché bisognava evitare il trasferimento, possibile solo per ferrovia, di siluri ed altro materiale in acciaio fabbricato a Cogne ed Alimiro rimarcò tutto questo insistendo per il suo tentativo. Nella notte, con Alimiro, preparai le 37 cariche da applicare ad ogni struttura del ponte.
Il 24 dicembre 1944 Alimiro fece saltare il ponte.
Il maggiore Macdonald segnalò alla base l’atto di grande coraggio, ed io, d’accordo con il maggiore, inviai un messaggio chiedendo che l’Alto comando italiano conferisse sul campo la medaglia d’oro al valor militare. Venne concessa medaglia d’argento ed annunciata, commentando l’azione, da radio Londra e radio Roma.
Il 26 dicembre partecipai, con il maggiore Macdonald ed il capitano Amoore, alla ricezione del grande aviolancio diurno effettuato da 24 quadri­motori in località Bartigati di Soprana in val Sessera e successivamente addestrai i reparti della 12a divisione Garibaldi all’uso delle nuove armi lanciate, mentre il capitano Bell era distaccato in Val d’Aosta.
La notte del primo dell’anno 1945 la trascorsi ospite in una villa di Comandola con il maggiore Macdonald, il capitano Amoore ed i capi partigiani. Nella notte iniziò una grande nevicata che fu di serio ostacolo ai partigiani ed a noi.
Il 4 gennaio 1945 il maggiore Macdonald – prevedendo un forte rastrellamento nemico dopo il grande lancio – mi ordinò di trasferirmi nella città di Biella con il tenente Gabory e Enrico Mario Bambino (Eric­Lupo) – radiotelegrafista nel frattempo giunto da Milano ed aggregato alla missione – con il compito di mantenere il collegamento radio con la base, di convogliare presso di me vari servizi informazioni rimasti isolati dopo la cattura di vari centri radio della Franchi, di sovraintendere le azioni di sabotaggio alle linee ferroviarie. Il contatto con la missione, operante presso le forze partigiane di montagna, sarebbe stato tenuto con staffette.
Installai la radio a Biella ed un deposito di armi ed esplosivi. Il maggiore Macdonald mi comunicò di raggiungerlo sulla Serra, a Magnano, con i tenenti Gabory e Marincola (quest’ultimo recatosi nei giorni precedenti a Milano al comando del CLN Alta Italia) il 7 gennaio per ulteriori istruzioni.
Essendo quel giorno impegnato in una riunione con il CLN di Biella e con Eric-Bora, inviai a Magnano i tenenti Gabory e Marincola, avvertendo che avrei raggiunto il maggiore il giorno successivo. Il 7 gennaio 1945 la locanda di Magnano, dove si trovava la missione, venne attaccata da un reparto di Ss infiltratosi nelle linee partigiane.
Restarono uccisi il radiotelegrafista Armando ed il sergente Pietro (di una missione distrutta a Torino ed aggregato dall’ottobre 1944 alla Bamon). Vennero catturati il maggiore Macdonald ed il tenente Marincola, mentre il tenente Gabory, lievemente ferito, era riuscito a sfuggire alla cattura ed a raggiungermi lo stesso giorno a Biella. Il capitano Amoore, dopo una visita a Moncastelli, in val Sesia, era presso il Comando unificato nel Biellese orientale. Informai la base della cattura del maggiore e di Marincola.
La base, non riuscendo io a collegarmi con il capitano Amoore, essendo in corso un grande rastrellamento, mi confermò il programma operativo nella città di Biella e solo in febbraio riuscii a collegarmi con il capitano Amoore.
Tentammo in vari modi la liberazione di Macdonald e Marincola, che furono trasferiti da Biella il giorno antecedente a quello stabilito per tentare di occupare le carceri di Biella con l’appoggio dei reparti di Eric-Bora e di Aspirina (Buratti) per liberare i prigionieri.
Con il tenente Gabory avevo in precedenza catturato un sottufficiale tedesco in città per proporre uno scambio, almeno per il tenente Marincola, ma il prigioniero, che avevamo affidato a una pattuglia partigiana, riuscì a sfuggire durante un attacco nemico.
Allora, con il tenente Gabory, mi recai, in divisa sotto l’impermeabile, dal primario dell’ospedale di Biella per indurlo a fare entrare uno di noi nelle carceri come suo assistente durante una visita ai prigionieri feriti. Aderì e, tirando a sorte, toccò al tenente Gabory di entrare in tal modo nelle carceri, dove poté parlare con il tenente Marincola preannunciandogli il piano. Esso consisteva nel fare irruzione armati non appena avessero aperto la porta del carcere al “medico” Gabory, disarmare il corpo di guardia e liberare i prigionieri, mentre il reparto di Aspirina e di Eric-Bora avrebbe sparato contro la caserma dei fascisti posta nella vicina piazza e protetto l’uscita e la ritirata dei partigiani liberati.
Purtroppo il trasferimento del maggiore Macdonald e del tenente Marincola mi indusse ad annullare il piano studiato precedentemente per la loro liberazione.
Rimasi a Biella oltre due mesi. Con l’aiuto del CLN (Poma, Guala, Cortusio, Filotto, Trompetto, Bocca, Galimberti ed altri) riuscimmo ad installare la radio in vari posti.
Per la grande abilità del radiotelegrafista Eric-Lupo che avvertiva una diminuzione di intensità di ricezione quando il radiogoniometro riusciva a coordinare il punto, riuscimmo per tre volte a fuggire in tempo rispetto alla perquisizione delle case dell’area individuata. Da ultimo trasmettemmo, grazie alla collaborazione del professore di ginnastica Grassi, dalla Casa della GIL, parzialmente usata come residence per gli ufficiali tedeschi e fascisti di passaggio mentre la palestra veniva usata sia dal vicino liceo sia dalla truppa. Il radiotelegrafista Eric-Lupo era sistemato con la radio nella soffitta sopra la palestra ed io e Gabory lo raggiungevamo per le trasmissioni notturne. Avevamo sistemato la nostra antenna lungo il pennone della bandiera e la ricezione era ottima.
Molta gente a Biella, aiutandoci ed ospitandoci, ha rischiato la vita. Calcolo che, oltre ai membri del CLN con i quali eravamo in contatto quasi giornaliero ed ai partigiani sabotatori comandati dal Eric-Bora che facevano capo a noi, altre settanta persone abbiano collaborato intensamente con noi in questo periodo: corrieri e staffette ci tennero in contatto con i centri d’informazione e sabotaggio collegati con noi a Milano, Novara, Vercelli, Santhià, Cavaglia, Chivasso, Ivrea e con reparti partigiani; varie persone ci ospitarono con la radio o per punti d’incontro o custodirono armi ed esplosivi; agenti informatori operanti in strutture militari od amministrative della Rsi erano in contatto con noi; autisti ci condussero all’occorrenza fuori Biella. Molte persone che incontrammo nelle strade od in locali pubblici ci avevano visti per mesi in divisa da ufficiali della missione nei pressi del Biellese: nessuno tradì, molti si offersero di collaborare con noi. Dobbiamo a tutte queste persone se la operazione a Biella ha avuto successo, nonostante i molti tentativi del nemico di catturare la missione che sapevano operante in città con una radio, dopo la localizzazione del radiogoniometro. Il 7 marzo il capitano Amoore ci ordinò di raggiungerlo con il tenente Gabory e il radiotelegrafista Eric-Lupo a Sala Biellese dove si era installato con il Comando partigiano di zona.
Poco dopo venne paracadutato sulla Serra (Campo Perth), con un tenente, il maggiore Readhead che assunse il comando della missione. Il tenente Gabory partì per la base via Svizzera, con il radiotelegrafista Eric­Lupo, sostituito dal radiotelegrafista Giuseppe giunto dalla Valtellina dove era stato paracadutato nell’estate 1944.
Il nemico, preoccupato per la consistenza delle forze partigiane sulla Serra, iniziò un forte rastrellamento fino al 19 aprile e noi condividemmo gli spostamenti in pianura dei reparti partigiani.
[…]
Eugenio Bonvicini, Le missioni Cherokee e Bamon nel Biellese, Milano Libera [Eugenio Bonvicini, nato a Massa Lombarda (Ra), nel 1922. Ufficiale dell’aeronautica, nel 1942 aderì a Giustizia e libertà, nelle cui formazioni, dopo l’8 settembre 1943, fu attivo a Roma. Dopo la liberazione di Roma, entrato nella N. 1 Special Force, fu paracadutato nel Biellese, dove assunse il comando della missione alleata Bamon, che operava nell’alto Piemonte, quindi, nel novembre 1944, entrò a far parte, col grado di tenente, della missione Cherokee. Fu decorato con medaglia d’argento e con medaglia di bronzo al valor militare. Autore di numerose pubblicazioni giuridiche e storiche. Avvocato]

<…> In un articolo commemorativo, Federico Bora, partigiano di “Giustizia e libertà”, che aveva condiviso con Marincola le vicende della missione “Bamon” nel Biellese, ha scritto significativamente che «fu per lungo tempo un mistero il suo passato» 2. Tale “mistero” si ripropone in un certo senso nelle interviste a compagni di classe e di partito.
Il ricordo della pelle di Giorgio è continuamente mediato dal presente, struttura dei contesti solidali ed accoglienti piuttosto irrealistici per gli anni in cui ebbero ad essere; i tratti razzisti e discriminatori, o anche di semplice percezione di differenza, sono sempre accennati o lievemente allontanati.
Giorgio viene anche descritto, il che appare più realistico, come estremamente riservato e taciturno su questo punto, come ancora appare nelle parole di Federico Bora, che scrive come di quel “mistero”, dopo la morte di Giorgio, «sapemmo tutto quello che ci aveva gelosamente taciuto» 3.
Al contrario, nelle fonti documentarie cui abbiamo avuto accesso, tali sfumature trovano maggiore definizione e più intensi tratti, seppure contraddittori. All’indomani della strage di Stramentizzo, una commissione fu inviata dal Cln di Cavalese sui luoghi degli eccidi per svolgere un’inchiesta sull’accaduto.
Nel giugno del 1945, Giuseppe Morandini registrò tra le vittime «un mulatto, sul cui corpo ho rinvenuto le insegne dei prigionieri del campo di concentramento di Bolzano» 4. L’avvocato Morandini non riconobbe, in quel corpo, quello di un partigiano italiano ed è ipotizzabile che sia rimasto sorpreso dal trovare, tra le rovine di un villaggio della val di Fiemme, il corpo senza vita di un mulatto. Realismo maggiore lo si trova ancora nel rapporto dell’interrogatorio cui
Marincola si sottopose nel giugno 1944 all’ufficio dello Special Operations Executive ai fini dell’arruolamento. L’ufficiale interrogante annotò come Marincola fosse «di indubbia integrità, ma a causa del suo aspetto sarebbe molto riconoscibile al Nord» 5.
<…> «Fui convocato al Comando alleato – ha raccontato Bauer – dove un gruppo di generali stava discutendo delle operazioni partigiane che andavano svolgendosi nell’Italia centrale e settentrionale. Mi dissero di essere informati di quanto avevo fatto organizzando il movimento armato del Pda nella Giunta militare del Cln e mi posero alcuni quesiti relativi all’aiuto che credevo potesse essere più utilmente offerto alle formazioni clandestine operanti al Nord» 7.
Giorgio Marincola si presentò dagli ufficiali del Soe il 19 giugno 1944, quindici giorni dopo l’ingresso delle truppe angloamericane a Roma, insieme ad alcuni altri membri del Partito d’azione. Si trattava di Eugenio Bonvicini, Attilio Pelosi e Lionello Santi 8.
Durante le ultime settimane dell’occupazione tedesca a Roma, il settore in cui operava Marincola, la terza zona, strinse il suo collegamento con il comando militare azionista.
Non è un caso che gran parte dei militanti azionisti arruolati al Soe provenissero da quella zona. In particolare, oltre a Marincola, la figura di Gianandrea Gropplero di Troppenburg, pilota dell’aeronautica friulano d’origine e giunto a Roma nell’ottobre 1943, è centrale in questo avvicinamento 9.
La sera di sabato 3 giugno 1944, nella squadra azionista che partecipò all’occupazione della redazione de “Il Messaggero” troviamo Gropplero e Marincola ed anche Bonvicini e Santi 10.
Bonvicini, Marincola e Santi di lì a poco diventeranno membri della missione militare denominata “Bamon”.
Eugenio Bonvicini (Massa Lombarda, Ravenna, 1922 – Bologna, 2008) era giunto a Roma nell’ottobre 1943 ed aveva iniziato a collaborare alla produzione di documenti falsi con Guido Bonnet.
Introdotto al Soe, come gli altri, dal capitano in congedo Antonio Conti, principale collaboratore militare di Bauer, risulta vicino ad alcuni elementi dell’ala liberalsocialista romana. Il giudizio espresso nei suoi confronti dagli ufficiali britannici non è lusinghiero, dal momento che lo stimarono «Young and keen but gave the impression of having a rather slow brain. Somehow immature. Would best be used working under a leadership of another more dominating
personality» 11.
Lionello Santi (Portoferraio, Livorno, 1918 – Roma, 1955) era membro del Pda fin dalle origini ed era giunto a Roma da Bergamo negli ultimi giorni del 1943. Contrariamente a Bonvicini, venne fatto immediato affidamento sulla sua esperienza e modo d’essere: «Made a very good impression, as a cool and capable leader type. Appears to [be] very keen to go into action again with the bands. His previous experience and knowledge of resistance work and of the area N of Bergamo should be useful» 12.
In una memoria personale, Santi ha raccontato, con una certa ironia, la sua decisione di estendere il suo percorso resistenziale dopo la liberazione di Roma (nonché le motivazioni di questi arruolamenti) in seguito ad un colloquio con Bauer: «Verso il 15 di giugno [1944] mi recai a trovare Riccardo Bauer che mi aveva convocato con una certa urgenza. Mi raccontò un episodio che io peraltro già conoscevo: pochi giorni prima della liberazione si era paracadutato nei dintorni di Roma Aldo Garosci noto con lo pseudonimo di Magrini. Garosci aveva riferito delle difficoltà in cui si trovava a Milano lo “zio” Ferruccio Parri, capo unico del Corpo Volontari della Libertà, per mancanza di quadri. Infatti in quel periodo purtroppo le perdite erano enormi. Erano le 9 di sera circa e Riccardo Bauer terminò il suo discorso dicendomi: “Caro Nello, bisognerebbe che qualcuno tornasse su”. Ne convenni immediatamente, lungi dal pensare che si riferisse a me. “Certo, bisognerebbe che qualcuno andasse su!”. “Tu per esempio”. “Io?!” Sobbalzai. Dopo un attimo di stupore cercai di prendere tempo. Non ne avevo molta voglia» 13.
Santi, che sarà messo a capo della “Bamon”, risulta arruolato il 20 giugno 1944 14, cioè il giorno seguente il suo interrogatorio.
Complessivamente il Partito d’azione romano, grazie a Bauer e Conti, fornì ai servizi segreti di sua maestà diciotto partigiani delle sue formazioni. Un numero inferiore, probabilmente, alle aspettative del Soe, tant’è che nonostante i tentennamenti iniziali a suo carico, Marincola risulta arruolato nella missione “Bamon” dal 25 giugno 1944. 15
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2 Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (d’ora in poi INSMLI), fondo Bonvicini, fasc. 1 “Carmagnola. 10 mesi nel Biellese”, ERIC [Federico Bora], In paracadute con i partigiani.
3 Ibidem.
4 Procura militare della Repubblica presso il Tribunale militare di Verona, fasc. nr. 766/1996, Reg. mod. 21. Cfr. anche MIMMO FRANZINELLI, Le stragi nascoste. L’armadio della vergogna: impunità e rimozione dei crimini di guerra nazifascisti 1943-2001, Milano, Mondadori, p. 192.
5 The national archives [Public record office] (d’ora in poi TNA [PRO]), Hs 6/809, Security Interrogation Branch (Sib), Special Operations (Mediterranean) (Som) reports: mission interrogations, Marincola Giorgio. Traduzione nostra del testo originale, che recita: «Of undoubted integrity but owing to his appearance would be very noticeable in the north».
6 TNA [PRO], Hs 6/808, Security Interrogation Branch (Sib), Special Operations (Mediterranean) (Som) reports: mission interrogations, Fano Emma.
7 RICCARDO BAUER, Quello che ho fatto. Trent’anni di lotte e di ricordi, in “Rivista milanese di economia”, quaderno n. 13, Milano, Cariplo-Laterza, 1986, p. 191.
8 Cfr. TNA [PRO], Hs 6/807-811, Security Interrogation Branch (Sib), Special Operations (Mediterranean) (Som) reports: mission interrogations.
9 Cfr. CARLO COSTA – LORENZO TEODONIO, Razza partigiana. Storia di Giorgio Marincola (1923-1945), Roma, Iacobelli, 2008, pp. 86-90.
10 Idem, pp. 89, 96.11 TNA [PRO], Hs 6/807, Security Interrogation Branch (Sib), Special Operations (Mediterranean) (Som) reports: mission interrogations, Bonvicini Eugenio, letteralmente: «Giovane ed entusiasta ma ha dato l’impressione di essere lento di comprendonio. In qualche modo immaturo. Sarebbe meglio che fosse messo a lavorare sotto la leadership di un’altra personalità, maggiormente dominante».
12 TNA [PRO], Hs 6/811, Security Interrogation Branch (Sib), Special Operations (Mediterranean) (Som) reports: mission interrogations, Santi Lionello, letteralmente: «Ha fatto una gran buona impressione, come il tipo di leader scaltro e capace. Sembra essere entusiasta di andare in azione con le bande. La sua precedente esperienza e la conoscenza dell’attività di Resistenza nell’area N di Bergamo potrebbe esserci utile».
13 LIONELLO SANTI, Giugno 1940 – aprile 1945, dattiloscritto, pp. 2-3, per gentile cortesia della signora Franca Santi Invernizzi.

14 Cfr. TNA [PRO], Hs 9/1304/1, “Santi Lionello”, Agent’s Particulars, 3 settembre 1945.
15 Cfr. TNA [PRO], Hs 9/989/2, “Marincola Giorgio”, Record sheet, 19 luglio 1946.

Carlo CostaLorenzo Teodonio, Giorgio Marincola e la missione “Bamon”, l’impegno, rivista di storia contemporanea aspetti politici, economici, sociali e culturali del Vercellese, del Biellese e della Valsesia, a. XXIX, nuova serie, n. 1, giugno 2009, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli