Sulla Missione Ruina Fluvius

Estate 1944 – Il gruppo di agenti alleati della Missione Ruina Fluvius e partigiani vicentini
Fonte: LineaNews (www.lineanews.it)

La notte fra il 12 e il 13 agosto ’44, è paracadutata sull’Altopiano dei 7 Comuni, in Val Cariola, sotto Bocchetta Paù, la Missione inglese SSS/2 “Ruina” del SOE – N.1 Special Force, composta dal capo missione maggiore John Wilkinson “Freccia”, dal vice-capo missione tenente Christopher M. Woods “Colombo” e dal radiotelegrafista caporale Donald Archibald “Arci”; scopo principale e iniziale della Missione è quello di dare attuazione al Piano Vicenza. Con loro arriva anche la Missione italiana del SIM (Servizio Informazioni Militari), destinata al Trentino e guidata dal maggiore degli Alpini Antonio Ferrazza. La notte fra il 31 agosto e l’1 settembre ’44, a Pian di Granezza, vengono paracadutate altre due missioni Alleate collegate alla Missione “Ruina”: la Missione “Simia”, al comando del maggiore Harold Tillman (famoso alpinista) [n.d.r.: questo cognome in alcune fonti viene riporatto come “Tilman”] , con destinazione Pian del Cansiglio; la Missione “Gela” al comando del capitano rodesiano Paul Britsche “Bridge”, con destinazione il Monte Grappa. A causa del cattivo tempo, il loro equipaggiamento radio non viene però lanciato, e nei giorni successivi, non viene paracadutata neppure la terza missione inglese, la Missione “Blackfolds” destinata alla Lessinia e attesa in zona Recoaro. Nonostante tutti questi sforzi organizzativi non giunge però alla Resistenza Veneta il secondo messaggio radio speciale di Radio Londra, il messaggio (“Firenze ride”), che deve confermare l’approvazione da parte Alleata del Piano Vicenza e la sua operatività. Infatti, gli Alleati hanno cambiato le loro priorità, preferendo concentrarsi sul Fronte Occidentale, così la Linea Gotica resiste, e il Piano Vicenza viene accantonato. Oltre a non arrivare i rinforzi Alleati, non giungono nemmeno sufficienti rifornimenti per tutti quei patrioti saliti per la circostanza dalla pianura alla montagna. E’ l’occasione favorevole ai nazi-fascisti per organizzare in tutte le Prealpi Venete e Friulane massicce e devastanti operazioni di rastrellamento. Iniziano a metà agosto con l’Operazione “Belvedere” contro la “Zona libera del Pasubio”, per continuare poi contro la “Zona libera di Cansiglio”, e da settembre con le grandi operazioni “Timpano” in Lessinia, “Hannover” in Altopiano dei 7 Comuni e “Piave” sul Massiccio del Grappa.
Pierluigi Damiano Dossi Busoi, I grandi rastrellamenti nazi-fascisti dell’estate-autunno ’44 nel Vicentino, Studi Storici Giovanni Anapoli

Orazione ufficiale della Professoressa Alba Lazzaretto, Vice Presidente ISTREVI, a Bocchetta Paù (Altopiano di Asiago – VI), 9 Agosto 2020
[…] Molti di voi conoscono le vicende di quei giorni in cui, nella notte tra il 12 e il 13 agosto del 1944, furono paracadutati in questo luogo il maggiore John Wilkinson, il suo secondo, Cristopher Woods, esperto in sabotaggi, e il loro radiotelegrafista Douglas Archibald. La loro missione – nome in codice “Ruina” – aveva il compito di coordinare le formazioni partigiane che qui combattevano.
Ma al di là dei fatti, vorrei qui pensare alle persone.
Voglio immaginarmeli, questi giovani uomini venuti da un paese lontano sulle nostre montagne: erano tutti volontari, per partecipare a queste missioni organizzate dallo Special Operations Executive (SOE) britannico, ed erano perfettamente coscienti che, per un preciso ordine personale di Hitler, se fossero stati catturati e riconosciuti come appartenenti ai corpi speciali, sarebbero stati passati per le armi immediatamente, sul posto.
Wilkinson, nome di battaglia “Freccia”, aveva 29 anni, era nato a Shangai da genitori inglesi, aveva prestato servizio nell’esercito in Egitto e in India (allora colonie inglesi), si era laureato in Economia e Giurisprudenza a Cambridge. Era un uomo che sapeva “fare la guerra”, pacato, colto. Qui doveva “svolgere il suo lavoro”, portandolo a termine al meglio possibile. Cristopher Woods, il suo secondo, nome di battaglia “Colombo”, aveva 21 anni, era fresco di nomina ad ufficiale ed esperto in sabotaggi; ci lascerà le memorie che rendono ancora viva questa vicenda. Douglas Archibald, il loro radiotelegrafista, veniva dalla Scozia, anche lui aveva circa vent’anni.
Accanto alla loro missione, che aveva lo scopo, come le altre missioni militari alleate, di “mettere a fuoco l’Europa”, secondo l’ordine dato da Churchill, c’era anche una missione italiana, la “Fluvius”, formata dal maggiore Antonio Ferrazza e dal radiotelegrafista Benito Quaquarelli. Sfortunatamente il comandante, che avrebbe dovuto operare nella zona di Bolzano, cadde malamente su uno dei massi, ferendosi gravemente, tanto da morire poche settimane dopo in ospedale, a Mezzaselva, per le conseguenze dell’incidente.
Cosa potevano pensare questi giovani inglesi paracadutati su queste nostre montagne, accolti dai nostri partigiani con grappa e polenta, che essi definirono “petrolio e segatura” (Petrol and sawdust), che cosa avevano in comune i giovani inglesi con i nostri ragazzi, con Nello Boscagli (Alberto), con Giuseppe Dal Sasso (Cervo), con Francesco Zaltron (Silva), con Rinaldo Arnaldi (Loris), con Attilio Andreetto (Sergio), con Pierino Scaggiari (Regolo) – e quest’ultimo, mi si permetta un accenno personale, era il bisnonno delle mie nipotine, e oggi c’è la figlia Paola, qui con noi -; cosa avevano in comune con Alberta Caveggion (Nerina), con Mary Arnaldi, con Gina Sella, con Marcellina Brazzale…. e taccio di molti altri nomi, per brevità, ma non perché fossero meno importanti: che cosa avevano in comune? In questo pur brevissimo elenco c’è una sintesi della lotta e della Resistenza europea: fatta da militari (ricordiamo gli IMI, gli internati militari italiani, che languirono e in molti morirono nei lager tedeschi, piuttosto che aderire a Salò, a giurare fedeltà a Hitler, perché così era il loro giuramento); fatta da giovani che erano stati allevati col latte della lupa, sotto il fascismo, ma che si erano presto accorti di quanto fosse velenoso, questo latte; fatta da donne eroiche e coraggiose, da intellettuali e da operai, da pastori e da gente comune: tutti però avevano capito una cosa importante, fondamentale: avevano capito che era in ballo la nostra civiltà, il nostro umanesimo, le tradizioni cristiane, le conquiste democratiche. Conquiste che erano iniziate nel 1789, con la Rivoluzione francese che, pur con i suoi eccessi, segnò una tappa fondamentale per scuotere l’assolutismo. Avevano capito che se non avessero lottato saremmo tornati nelle tenebre. Dopo la Rivoluzione francese l’assolutismo tornò a regnare, e tuttavia dopo nuove lotte fu costretto a concessioni democratiche che limitarono i poteri dei sovrani. Nell’Europa del primo ’900, dopo il bagno di sangue della prima Grande Guerra, le conquiste liberali si trovarono di fronte a un nuovo mostro, peggiore di quelli antichi, il totalitarismo. Nella nascita dei fascismi l’Italia fu maestra, e la Germania la prima della classe. Del totalitarismo bolscevico allora si conosceva ben poco, e molti credevano ancora che fosse un promesso paradiso.
Il totalitarismo non si contentava di governare le masse come greggi, voleva conquistare anche le loro menti, asservirle con i mezzi della propaganda di massa, che nel ’900 erano ormai ampiamente disponibili. E quello nazista si sarebbe macchiato dei crimini più orrendi che l’umanità avesse mai conosciuto. Ebbene, forse i nostri giovani inglesi e i nostri partigiani non sapevano molte cose, le donne erano poco istruite, secondo la mentalità dominate che le voleva massaie ubbidienti, ma la loro coscienza capiva che c’era qualcosa di disumano che andava combattuto […]
Redazione, Cerimonia in ricordo della Missione Alleata “Ruina-Fluvius”, paracadutata nella notte fra il 12 e il 13 agosto 1944 in zona Paù per tenere i collegamenti fra i comandi alleati e le formazioni partigiane del Vicentino, ISTREVI – Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Vicenza “Ettore Gallo”

Le missioni militari alleate furono organizzate, in collaborazione con il “SIM” (Servizio Informazioni Militari del Comando dell’esercito italiano), dagli inglesi dello “Special Operation Executive – SOE”, dagli americani dell’”Office of Strategic Service- OSS” e direttamente dal SIM, e dai francesi.
All’inizio (primavera 1943) il loro scopo era di individuare i militari che si trovavano dispersi in suolo italiano perchè sfuggiti dalle carceri o dai campi di prigionia e di riportarli in territorio amico. La nascita della Resistenza attivò l’interesse e la diffidenza verso questa forma di lotta da parte degli angloamericani che non volevano un esercito partigiano in Italia. Non lo volevano sia per ragioni politiche, perché temevano che vi prevalessero le tendenze di sinistra, sia per ragioni militari, perché ritenevano troppo oneroso rifornirlo: comunque, per comprenderne meglio le caratteristiche ma, soprattutto, per valutarne la valenza politica e ideologica, intensificarono l’invio di queste missioni.
Inizialmente i militari inglesi e americani, addestrati dai servizi segreti alleati, furono paracadutati in aree presidiate dalle formazioni partigiane autonome ma, dopo i grandi rastrellamenti dell’estate del 1944, i comandi furono spostati nelle aree garibaldine: perchè questo cambiamento? Forse gli alleati riconobbero nelle formazioni di sinistra una maggiore combattività e una maggiore ripresa dopo i tremendi rastrellamenti? Oppure per poter esercitare su di esse un maggiore controllo, condizionarne l’attività tentandone anche la scissione, come avvenne in alcune formazioni? Probabilmente tutte e due le cose, è comunque dimostrato che le missioni militari tentarono di disgregare i reparti garibaldini o di farli assorbire da formazioni composte da ex militari, o di prenderne direttamente il comando. Così successe per la missione Rye che tentò di prendere il comando della Brigata Avesani o per la Divisione Nannetti che subì il distacco di due Brigate, la 7° Alpini, confluita in formazioni guidate da esponenti del Partito d’Azione e la Piave, assorbita da una brigata democristiana.
Bisogna anche ricordare che non sempre l’intervento degli alleati si rivelò proficuo per la Resistenza: un esempio lampante è il rastrellamento e la conseguente strage sul Monte Grappa, dove il capitano Brietsche della missione Scorpion insistè per la difesa ad oltranza sul massiccio, promettendo lanci di materiale che non arrivarono mai e causando quel disastro che rimarrà alla storia come “la più grave disfatta militare della Resistenza e di tutta la storia” (Sergio Luzzato).
I partigiani chiedevano armi ed equipaggiamenti: mentre gli americani erano favorevoli a concederli, gli inglesi tendevano invece a limitarli, soprattutto le armi. La domanda che si ponevano era questa: era opportuno armare un esercito irregolare che aveva scatenato una guerriglia difficilmente controllabile? I partigiani avrebbero restituito le armi alla fine del conflitto? La diffidenza nei confronti del movimento resistenziale aumentò nel tardo autunno del 1944 con la grave situazione che scoppiò in Grecia.
I garibaldini avevano intuito che gli inglesi li guardavano con diffidenza e che ne temevano l’espansione. Questo il giudizio negativo di Alberto Sartori “Carlo”, comandante della Brigata “Stella” della divisione “Garemi”, sul significato della presenza delle missioni alleate tra le file partigiane (in questo caso la missione “Ruina Fluvius” comandata dal maggiore John Prentice Wilkinson “Freccia”): “Durante lunghi mesi Freccia ci aveva promesso lanci d’armi. I messaggi negativi e positivi si susseguivano infatti in un fervore di sempre nuove coordinate. Ma furono vere e proprie trappole in cui furono decimati i garibaldini delle “Garemi”. La missione Freccia ci considerava troppo spinti e teneva conto di quanto stava allora succedendo in Grecia…Cosicché può essere affermato e storicamente dimostrato che noi perdemmo più uomini aspettando lanci che non giungevano mai – malgrado la tragica beffa dei messaggi positivi – che non conquistandoci le armi assaltando caserme e presidi… Per me, che li avevo visti giungere in Algeria e Tunisia, non era una cosa nuova. NO!”
Sulla crisi greca, nonostante le difficoltà di comunicazione, anche le formazioni partigiane più isolate vennero informate del trattamento riservato ai partigiani comunisti greci e tutti iniziarono a porsi seri interrogativi sul rapporto con gli inglesi. Alberto Sartori “Carlo” spiega così la situazione venutasi a creare: “… con un messaggio urgente il Presidente del C.L.N. di Laghi (Severino, il calzolaio) mi chiedeva: “I partigiani sul Pasubio hanno saputo che gli inglesi, occupata la Grecia, stanno massacrando i vittoriosi partigiani greci. Sconvolti da simile notizia, chiedono a me spiegazioni. Io non so cosa dir loro. Spero che siano notizie false diffuse dai nazifascisti. Informami e consigliami in proposito.” Risposi con un lungo messaggio dal Comando della Brg. MAMELI. Quando lo rilessi, prima di consegnarlo alla fida staffetta, mi resi conto che non sarebbe bastato un volume per spiegare a quella gente semplice ed inesperta, a quei valorosi che combattevano e morivano per vincere il “fascismo in camicia nera”, che il fascismo tout court – la vera matrice del fascismo – poteva anche non avere la camicia nera e vestire l’uniforme di S.M. Britannica o altra uniforme. Feci una postilla al messaggio illudendomi che, sintetizzando, sarei riuscito a farmi meglio capire: “Spiega agli uomini, caro Severino, che abbiamo dovuto allearci al nemico N. 2 per combattere e vincere il nemico N. 1”
Il messaggio venne intercettato dal maggiore John Prentice Wilkinson “Freccia” che non poté non aumentare la sua diffidenza e prevenzione contro i vertici della “Garemi”. Così commenta ancora “Carlo”: “Peccato – dicevano in coro gli ufficialetti della Missione Freccia – peccato che il Comando della “Garemi” sia così rosso… altrimenti noi inviare molte armi e molti soldi a questi bravi partigiani”.
Un’altra testimonianza sulla ragione del mancato invio di materiale alle formazioni comuniste viene da Christopher Woods “Colombo”, a capo della missione “Ruina Fluvius” dopo l’uccisione di “Freccia”, quando afferma che all’inizio del 1945 la n. 1 Special Force (il servizio incaricato del collegamento tra gli Alleati e i Partigiani) aveva ricevuto ordine di limitare i rifornimenti alle formazioni garibaldine quanto più possibile a viveri e vestiario, quanto bastava per mantenerle in vita, anche esplosivi necessari per compiere sabotaggi ma non armi. ( nella prefazione al libro Grazia Spada “Il Moicano e i fatti di Rovetta. Una pagina nera della lotta partigiana”, Medusa ed.). Da notare che l’ufficio di propaganda nazista non si lasciò sfuggire l’occasione per intensificare l’opera di persuasione tra i partigiani per abbandonare le armi sfruttando le notizie provenienti dalla Grecia: “Sfruttare al massimo la lotta dei carri armati inglesi e degli aerei inglesi contro i partigiani greci. Far intendere con questo esempio ai cosiddetti “patrioti” italiani che anche ad essi un giorno potrebbe succedere lo stesso. Gli inglesi sfruttano per i loro fini i cosiddetti patrioti e, dopo che questi hanno compiuto il loro servizio, vengono poi dagli inglesi presi a fucilate”
Tratto da “Il caso Sergio – La ricostruzione di un movimento scissionista nel cuore delle Brigate “Garemi” di Ugo De Grandis
Redazione, Le missioni alleate in Italia e i mancati rifornimenti alle formazioni garibaldine, La Resistenza tradita, 30 luglio 2015

La notte tra il 12 e il 13 agosto 1944, infatti, dopo un volo tranquillo, per quanto disagevole, su un aereo Dakota, decollato da Bari, gli uomini di due Missioni SOE, la RUINA e la FLUVIUS, furono paracadutati qui sul monte Paù, scelto all’ultimo momento perché sulla destinazione iniziale, il Pian del Cansiglio, era in atto un rastrellamento da parte dei tedeschi. Vorrei che qui tutti sentissimo come, con tutte le incertezze e le paure del caso, questi giovani soldati stavano entrando nella storia del secondo conflitto mondiale.
La Missione RUINA era composta dal comandante il maggiore John P. Wilkinson (Freccia), affiancato da Christopher Woods (Colombo) e dall’operatore radio il caporale Douglas Arcibald. La Missione FLUVIUS era invece comandata da un italiano, un ufficiale degli alpini, il maggiore Ferrazza, accompagnato da un operatore radio.
Christopher Woods, in particolare, dopo un breve addestramento, era al suo battesimo come paracadutista, tanto che confuse i grossi massi dispersi nel prato su cui doveva atterrare con tetti di case. Gli uomini della Missione RUINA, pur con qualche rischio, atterrarono sani e salvi, mentre il comandante della FLUVIUS, Ferrazza, che avrebbe dovuto operare nella zona di Bolzano, cadde malamente su uno dei massi, ferendosi gravemente al bacino, tanto da morire per le conseguenze poche settimane dopo in ospedale.
A questo riguardo mi sembra importante aggiungere che queste due, come le altre missioni lanciate proprio in quei giorni sul Nord-est dell’Italia, erano state preparate e or-ganizzate attraverso le informazioni che via radio arrivavano alla Base operativa del SOE dalla importante Missione, già da tempo operante nella nostra zona, che noi chiamiamo ROCCO-MARINI o MRS e che gli inglesi chiamano BAFFLE BLUE.
Gli uomini della RUINA-FLUVIUS lanciati sul Paù furono quella stessa notte incontrati da una trentina di partigiani dell’Altopiano, comandati da Cervo (Giuseppe Dal Sasso), che si presentarono offrendo loro un po’ di grappa e qualche fetta di polenta, ciò che a Colombo fece l’effetto di “Petrol and Sawdust” (cioè di benzina e segatura).
[…] Quando ho affermato che gli uomini di queste due missioni RUINA e FLUVIUS ci portano dentro la storia del 2° conflitto mondiale, non ho fatto retorica. Queste missioni facevano infatti parte di un piano generale, il piano Olive, con cui le Forze Alleate in Italia, che ormai avevano superato Roma, si stavano preparando allo sforzo finale e quindi alla vittoria sui nazi-fascisti.
Un piano generale che si avvaleva oltre che delle forze in campo, anche del SOE (Special Operations Executive), il servizio segreto voluto dallo stesso Winston Churchill, allora Premier britannico di un governo di unità nazionale, già all’inizio della guerra, con l’ordine perentorio di “set Europe ablaze!” (mettete a fuoco l’Europa); si trattava quindi di un servizio segreto britannico che durante la guerra operava all’interno dei territori occupati dal nemico, facendo leva sulle forze anti-fasciste e anti-naziste locali, per il sabotaggio e la sovversione, creando il maggior scompiglio possibile al nemico.
Insieme con il corrispettivo americano OSS (Office of Strategic Services, Ufficio Servizi Strategici), secondo Mark Tudor, durante la guerra, soprattutto nella parte finale, furono inviate nell’Italia occupata circa 200 missioni SOE, di cui 36 sparirono o furono eliminate all’arrivo. In tutto furono inviati 500 agenti e circa 6 mila tonnellate di armi e rifornimenti ai partigiani. Per inciso va detto che questi agenti segreti delle Missioni SOE erano tutti volontari ed erano perfettamente coscienti che, per un preciso ordine personale di Adolf Hitler, una volta catturati e riconosciuti come appartenenti ai corpi speciali, sarebbero stati passati per le armi immediatamente sul posto.
Ciascuna Missione SOE era dotata di radio ricetrasmittente gestita da un operatore radio ma sotto la responsabilità di un BLO, cioè un ufficiale addetto ai collegamenti, per trasmettere alla Base operativa quante più informazioni possibili sulla zona da liberare. Anche se queste radio potevano comunicare solo con la Base e non tra loro, esisteva comunque una importante rete informativa che giocò un ruolo non indifferente sulle sorti della guerra in atto.
Ogni Missione SOE aveva poi un suo target, cioè un suo preciso compito od obiettivo da raggiungere, per il quale era comandata. Quello della Missione RUINA era di organizzare e coordinare le formazioni partigiane operanti sul territorio dal Garda al Brenta sotto un COMANDO UNICO, a sua volta in stretto collegamento con le Forze Alleate. Nella prospettiva della spallata finale, le azioni di qua e al di là del fronte, dovevano essere organizzate e coordinate per produrre insieme il massimo di efficacia.
[…] In questo senso, riguardo alla Missione RUINA iniziata qui sul Paù e che operò fino alla fine della guerra, si dovrebbe concludere che fu una Mission Unaccomplished, cioè una Missione non compiuta. Una Missione che restò Unaccomplished per la non accettazione dell’idea stessa del Comando Unico dovuta a divisioni ideologiche
[…] Sarei tentato di aggiungere alcune altre mie amare considerazioni su questo fallimento della Missione Ruina, nonostante i coraggiosi, ostinati tentativi del magg. John Wilkinson (Freccia) di evitarlo, col suo continuo girovagare per i nostri monti per convincere i capi partigiani delle diverse formazioni, fino al suo sfortunato, e per Colombo casuale, incontro con i nazisti altoatesini che lo uccisero.
Ma qui oggi mi interessa di più concludere con alcune considerazioni positive, richiamando tutti al senso di ammirazione e di gratitudine che dobbiamo verso questi ragazzi paracadutati sul Paù con la Missione SOE di cui facevano parte.
David Stafford, uno studioso britannico che si avvalse sistematicamente dell’opera di ricerca storica dell’amico Christopher Woods, ha efficacemente affermato che tutta l’azione del SOE durante la seconda guerra, può essere vista come la cintura che ha permesso di collegare le Forze Alleate con la Resistenza, soprattutto quando di fronte alla ritirata, per i tedeschi, il Veneto, dove operavano contemporaneamente ben 5 Missioni SOE, divenne la loro naturale via di fuga.
Questa saldatura, per quanto imperfetta e travagliata, tra Forze Alleate e formazioni partigiane fu resa possibile dal fatto che, da una parte, gli Alleati sapevano che i membri delle varie Missioni SOE in Italia, in generale, e nel Veneto, in particolare, avrebbero trovato una popolazione loro favorevole e una Resistenza che, pur divisa, era fortemente collaborativa: e, dall’altra parte, la popolazione e le forze partigiane sentivano che quei ragazzi erano venuti per liberarli dal ventennale giogo del fascismo e dagli orrori della guerra nazista.
Popolazione, soprattutto rurale e forze partigiane, che consideravano le Forse Alleate come i liberatori, per salvare i quali, siano stati essi Pow, piloti alleati e quanti erano braccati e perseguitati dal nazi-fascismo, erano disposti a rischiare le loro case e spesso la loro vita. È questa quella che Roger Absolom chiamò “la Strana Alleanza”, mentre per me è la vera, totale Resistenza degli uomini liberi contro la tirannia e la violenza del nazi-fascismo. […]
Ferdinando Offelli, Orazione ufficiale, COMMEMORAZIONE 72° ANNIVERSARIO MISSIONI ALLEATE “RUINA – FLUVIUS”, Bocchetta PAÙ (Altopiano di Asiago), 14 agosto 2016, ISTREVI

[…] Mario Mirri, il “Marietto” dei Piccoli Maestri di Luigi Meneghello.
Afferma infatti Mirri: “… dopo l’8 settembre 1943 in Italia non venne avviata nessuna “guerra civile” sostanzialmente perché guerra civile si ha solo se nel paese si determina una spaccatura e una contrapposizione dura fra due parti, entrambe sufficientemente consistenti, di cittadini motivati e mobilitati gli uni contro gli altri.
Invece… subito dopo l’8 settembre i resistenti, che si armavano e combattevano contro i tedeschi, non erano una parte di italiani, che sceglieva di contrastare un’altra parte di italiani…” E continua ancora a proposito della successiva nascita della RSI: “A nessuno è mai sembrato che le nuove autorità della RSI, che venivano via via imposte nelle città e nelle altre località e istituzioni del paese, o questi tipi di reparti fossero espressione di una parte – consistente e ideologicamente orientata e concorde – di cittadini italiani decisi a contrapporsi a chi combatteva per la libertà e la democrazia. … In quei due anni, dal 1943 al 1945, non si sono mai visti gruppi di cittadini italiani sostenere i reparti armati neofascisti al servizio dei tedeschi, solidarizzare con loro, seguirli o difenderli; le popolazioni ne avevano invece paura, come avevano paura dell’oppressore tedesco.”
In un intervista condotta a Cuneo pochi anni prima della sua morte a Nuto Revelli da parte di tre studentesse delle scuole superiori del bassanese, alla domanda su qual era l’atteggiamento della popolazione nei confronti della guerra e delle forze partigiane, Nuto affermava con la sua proverbiale schiettezza: “La gente non avrebbe voluto né noi né i tedeschi o i fascisti… ma, visto che non era possibile, stava con noi e non con i tedeschi e i fascisti!”
C’è però un altro senso in cui, soprattutto gli azionisti, parlavano allora di guerra “civile”, un senso che ci richiama direttamente al significato della nostra presenza qui oggi. Quella di liberazione era una guerra “civile” in quanto chi la combatteva lo faceva per la civiltà contro la barbarie, per la libertà contro l’oppressione, per l’uguaglianza contro la discriminazione. Vittorio Foà, rappresentante del Partito d’Azione presso il CLN e quindi deputato alla Costituente, rivolgendosi un giorno allo storico della RSI Giorgio Pisanò, gli disse: “Vedi Pisanò, in fondo tra noi e voi c’è una sola differenza: se aveste vinto voi io, in quanto ebreo, sarei finito ad Auschwitz in un forno crematorio, abbiamo vinto noi e tu sei diventato senatore della Repubblica”.
[…] Come ricordava già lo scorso anno la Prof. Poncina nella sua orazione commemorativa non è questa la sede e non c’è il tempo per un’analisi storica delle missioni e, in particolare, della figura di “Freccia”. Ricordi e testimonianze sono stati resi e scritti dai protagonisti.
Molto vi hanno lavorato gli storici della Resistenza e molto resta ancora da indagare, visto che un’importante busta di documenti relativi al Maggiore del SOE e depositata al Public Record Office di Londra è ancora secretata fino al 2022.
Un fattore va però riconosciuto e ribadito. Il compito di Wilkinson, di Colombo e degli altri componenti, fra tutti il Magg. Ferrazza morto pochi giorni dopo il lancio per le conseguenze delle fratture riportate, era quello di contribuire alla riorganizzazione del movimento resistenziale sulle montagne vicentine e veronesi dopo i duri colpi che gli erano stati inferti dai nazi-fascisti nell’estate-autunno del 1944. Tale compito prevedeva la costituzione di una catena di comando, con la conseguente subordinazione delle diverse formazioni in una scala gerarchica al fine di garantirne un efficace coordinamento. In subordine le direttive del SOE ai propri agenti prevedevano, soprattutto nell’ultimo anno di guerra, un attento monitoraggio delle formazioni di ispirazione comunista e un sostegno via via più scoperto a quelle di declinazione politica moderata. Eppure Wilkinson, in un ambiente non facile e segnato da divisioni anche profonde, si prodigò sempre e comunque a sostenere lo sviluppo dell’attività di guerriglia e la determinazione della lotta antinazista, a prescindere dalle connotazioni ideologiche e dalle affiliazioni politiche di uomini e bande. Ancor meno si lasciò influenzare da meschinità o interessi di parte. La sua tragica fine ad opera di una pattuglia del Corpo di Sicurezza Trentino, mentre scendeva da Tonezza a Laghi, l’8 marzo 1945, contribuì sicuramente a far sì che la desiderata unità di comando del movimento resistenziale, in vista della liberazione, non si realizzasse.
Paolo Pozzato, Orazione ufficiale, Cerimonia in ricordo della Missione alleata “Ruina – Fluvius”. Paracadutata nella notte fra il 12 e il 13 agosto 1944 in zona Paù per tenere i collegamenti fra i comandi alleati e le formazioni partigiane del Vicentino, Bocchetta PAÙ (Altopiano di Asiago), 12 agosto 2018, ISTREVI