Sulla Questura di Verona dal 1945 al 1963

Verona. Fonte: Mapio.net

Il rapido declinare dell’interesse della Questura [di Verona] per la sorveglianza sui fascisti si affianca a un crescente interesse nei confronti degli anarchici <333 e dei dirigenti e quadri socialisti e comunisti. Ciò, che si verifica nel quadro più ampio delle vicende politiche e sociali dei primi anni Cinquanta, segnati a livello internazionale dallo sviluppo della Guerra fredda <334, avviene naturalmente anche sulla scorta delle indicazioni governative.
Nel secondo dopoguerra, la riorganizzazione del sistema era stata affidata alla circolare 1-340 del 23 agosto 1945 che, nel variare l’oggetto della sorveglianza in relazione alle mutate condizioni politiche e istituzionali, aveva mantenuto inalterato il sistema, le sue modalità di funzionamento e le sue funzioni. La circolare specificava che dovevano essere segnalati al Casellario politico centrale tutti coloro i quali, per la loro attività politica, tendono a violare le disposizioni legislative emanate dallo Stato democratico contro il neo-fascismo; gli anarchici attivi, i quali, per definizione, sono contrari ad ogni legge ed organizzazione di Stato ed i violenti politici, cioè gli individui che, per attuare le loro idee politiche, non sentono alcun freno morale e legale e si inducono a commettere azioni antisociali, come attentati individuali o terroristici, o a provocare, con deliberato proposito, gravi disordini.
Le “istruzioni” per la compilazione della Proposta d’iscrizione per il Casellario politico centrale, rese pubbliche dal periodico anarchico «Umanità nova», sono oggetto di forti critiche innanzitutto da parte dei diretti interessati, cioè gli anarchici, che ne sottolineano la sostanziale continuità con la prassi del regime in un articolo dal titolo eloquente, “Niente è cambiato”, indirizzato «A sua eccellenza il Ministro dell’Interno e, per visione, al compagno Romita» dalle colonne del periodico «Umanità nova» del 16 aprile 1946 <335.
Dopo il 1950, non si registrano più nuovi fascicoli a carico di fascisti. Al contrario, dal 1946 al 1958 crescono quelli che vengono aperti a carico di sovversivi generici (6), socialisti (5) ma soprattutto di comunisti (20). È verso questi ultimi che si indirizza in particolare la sorveglianza. Esemplare, anche se a suo modo bizzarro, è il caso di Berto Perotti: mentre ricopriva nell’immediato dopoguerra la carica di vice questore provvisorio, si era portato a casa il proprio fascicolo di polizia, aperto durante il regime; in seguito, una volta tornato alla vita civile, la polizia della Repubblica democratica ne apre uno nuovo per il ruolo che Perotti ricopre nel partito comunista, dove si può leggere: “Durante il passato regime fascista, essendosi dimostrato di idee antifasciste, fu sottoposto a vigilanza da parte degli organi di polizia. Si sconosce la data di inizio e fine del provvedimento, in quanto il fascicolo personale, a lui intestato, fu prelevato dallo stesso, subito dopo la liberazione, essendo in quel periodo V. Questore politico della Questura di Verona” <336.
La serie A8 Radiati della Questura di Verona, si è detto, comprende documenti che vanno fino al 1963. L’ultimo fascicolo aperto, nel 1958, è quello di Giuseppe De Girolamo, un falegname comunista nato a Reggio Calabria ma trasferitosi a Verona dal 1946, che richiede di accedere ai benefici della legge sui perseguitati politici antifascisti perché più volte percosso e costretto a bere olio di ricino e, in seguito, internato nel campo di concentramento di Manfredonia dal 1940 al 1942. La maggior parte dei fascicoli vengono chiusi tra il 1956 e il 1963 e i sorvegliati sono quindi “radiati”.
Sui criteri adottati per la radiazione torneremo oltre. Non disponiamo di notizie sui fascicoli rimasti aperti o che sono stati aperti in periodi successivi, anche se, in base alla legislazione vigente, altri versamenti di fascicoli personali della serie sarebbero nel frattempo dovuti pervenire dalla Questura di Verona all’Archivio di Stato, cosa che ad oggi non si è ancora verificata <337.
[…] La schedatura dei fascisti si concentra dunque in un ristrettissimo arco di mesi ed è dovuta a condizioni del tutto particolari. Dal maggio al dicembre del 1945 i fascicoli aperti sono ben 231, il numero più alto in assoluto su base annuale nell’intera storia del dispositivo di sorveglianza. Nel 1946 si registrano ancora 61 nuovi fascicoli, un numero rilevante, ma già dal 1947 la quantità di nuovi schedati si riduce sensibilmente a 14, per bloccarsi del tutto a partire dal 1951. Nell’arco di pochissimo tempo, dunque, i fascisti incriminati per collaborazionismo diventano da principale obiettivo della sorveglianza a corrente politica ritenuta scarsamente, se non per nulla, pericolosa: la “virata” è molto evidente, visto che già fra il 1958 e il 1959 vengono radiati all’incirca la metà dei fascicoli aperti a loro carico, e che nel 1960 ne risultano radiati ormai i due terzi.
La distribuzione sul territorio della provincia dei fascisti nati a Verona è abbastanza regolare e non presenta particolarità: del tutto diverso invece è ciò che emerge per quanto riguarda i nati nelle altre province, per i quali il dato complessivo è il più alto in assoluto rispetto a tutti gli altri gruppi: tra i fascisti schedati se ne trovano, dunque, un numero consistente di giunti a Verona in particolare dalla Toscana, dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna, per la maggior parte in seguito al ripiegamento dovuto all’avanzata degli Alleati durante la guerra e al conseguente trasferimento di comandi e uffici della RSI nel Veronese e nell’area del Garda. Alcuni di loro risultano infine emigrati all’estero, specialmente in Spagna e in Sudamerica, dopo la Liberazione.
L’analisi del grado di istruzione dei fascisti schedati è un primo indizio della loro composizione sociale: troviamo infatti, anche se nel complesso rimane maggioritario, un basso numero di persone che ha semplicemente frequentato le scuole elementari, mentre il numero di coloro che hanno frequentato scuole tecniche, licei e università è, anche se di poco, superiore a quello delle altre correnti politiche. Infatti, tra i fascisti si osserva il maggior numero di sorvegliati che ricoprono ruoli dirigenziali, sono professionisti, tecnici, o svolgono lavori intellettuali. Tra i fascisti si riscontra, inoltre, il più alto numero in assoluto di impiegati, che sono spesso stati ufficiali o sottufficiali nei corpi militari e repressivi della RSI, e una consistente quota di commercianti. All’inverso, il numero degli artigiani, degli operai specializzati, dei contadini e delle occupazioni prive di specializzazione è tra i più bassi in assoluto rispetto alle altre correnti politiche. Come è lecito attendersi, infine, la quasi totalità degli appartenenti ai corpi militari e militarizzati si trova tra i fascisti. Si tratta di dati che vengono confermati, per quanto non in modo così evidente, anche guardando ai comparti produttivi, tra i quali emergono in particolare quello dell’amministrazione pubblica e della difesa, e poi il commercio, le attività manifatturiere, i trasporti e le attività professionali e tecniche, nelle quale i fascisti schedati sono la maggioranza.
Evidentemente diversi sono i criteri che ne classificano la pericolosità nei primi anni della Repubblica democratica rispetto a quanto era stato durante il regime: nonostante tra i fascisti schedati ve ne siano diversi condannati in prima istanza dalla CAS a pesanti pene detentive, solo in nove sono classificati come pericolosi (ma 44, un numero rilevante, sono i biografati), mentre un congruo numero viene ritenuto esplicitamente non pericoloso. Il dato relativo al ravvedimento, legato in particolare alla sorveglianza esercitata nel Ventennio, in questo caso non compare. La durata media della sorveglianza, considerato il fatto che viene essenzialmente esercitata dal 1945 e per pochi anni, è la più breve rispetto al complesso delle correnti politiche: 12 anni e mezzo circa.
L’apertura dei fascicoli in tempi molto più recenti rispetto alle altre correnti politiche non è l’unica ragione della breve durata media della sorveglianza nei confronti dei fascisti. Ritenuti il gruppo più pericoloso nell’immediato dopoguerra, nel giro di pochi anni, in conseguenza dell’amnistia e delle mutate condizioni politiche, nazionali e internazionali, la pericolosità attribuita ai fascisti si riduce in modo repentino e assai vistoso, rendendo palese una ragione propriamente politica della loro rapida radiazione dal casellario dei sorvegliati politici. Non potrebbe essere spiegato altrimenti il fatto che la fine della sorveglianza nei loro confronti giunga quasi contestualmente o poco dopo la loro definitiva assoluzione e scarcerazione, dovuta principalmente all’amnistia Togliatti, anche nei casi in cui i crimini appurati e le relative condanne erano stati molto gravi.
Tra i tanti esempi possibili, citiamo qui quelli di Silvio Stoia, Ciro Di Carlo e Galliano Bruschelli.
L’avvocato Silvio Stoia, nato a Isernia nel 1928 ma residente a Verona dal 1943, già sottotenente dell’Esercito e poi tenente della GNR nel 40° Battaglione mobile, viene accusato di aver condotto operazioni di polizia e rastrellamenti contro partigiani e renitenti nelle province di Verona, Vicenza e Brescia e di essere stato uno dei più accaniti organizzatori ed esecutori di rastrellamenti nella provincia, soprattutto tra il luglio e l’agosto 1944, con il corollario di omicidi, sequestri di persona, danneggiamenti, perquisizioni e torture. In particolare, lo si accusa di aver comandato il plotone di esecuzione di Onilda Spiazzi, cui avrebbe dato il colpo di grazia alla nuca. Arrestato nel dicembre 1945 e denunciato alla CAS di Verona, viene condannato nell’agosto 1946 a 24 anni di reclusione per collaborazionismo e omicidio (con condono di un terzo). A seguito di un ricorso, il processo viene rinviato dalla Cassazione alla Corte d’Assise di Vicenza, dove Stoia viene infine assolto dall’accusa di omicidio perché «non punibile», ed è stabilito il non luogo a procedere per collaborazionismo in seguito all’amnistia. Scarcerato nel marzo 1948, viene iscritto al CPC ma ne viene radiato dopo pochi anni, nel 1955. Non avendo in seguito dato luogo a rilievi e non avendo più svolto attività politica, viene radiato in sede locale nel 1962.
[…] Che la discontinuità della breve stagione della Polizia partigiana e dei falliti tentativi di epurazione del 1945-46 rappresenti solo una breve parentesi è testimoniato anche da indizi marginali ma rivelatori come i motti di spirito: «Vista l’inconsistenza di tutte le accuse ecc. – considerato che in quel periodo avrebbero dovuto fare l’A8 anche a V.S., si elimini fasc. A8», scrive nel secondo dopoguerra un funzionario di P.S. (forse il questore in persona) a un collega nel disporre la radiazione del fascicolo di Enrico Binato, ex milite delle Brigate nere arruolato a forza durante la RSI; o la rapidità con cui si procede a chiudere fascicoli aperti negli anni dell’immediato dopoguerra: «Esaminato il fascicolo. Visto che trattasi di uno dei soliti A8 del periodo… Si elimini fascicolo A8 di Panzarini Mario», scrive semplicemente nel 1961 il funzionario di P.S. addetto alla revisione a proposito di un ex squadrista, poi milite delle Brigate nere, accusato di collaborazionismo e omicidio e nel frattempo assolto dalla CAS.
[NOTE]
333 Nel fascicolo di Giuseppe De Luisi sono numerosi i documenti del secondo dopoguerra: nel gennaio 1950, ormai sessantaquattrenne, viene fermato mentre si appresta a compiere un attentato contro l’Ambasciata spagnola a Roma. In modo analogo, viene seguita con attenzione l’attività politica di Randolfo Vella, dirigente e fondatore dell’Unione veronese antifascisti militanti (poi sezione veronese dell’ANPPIA) e del Gruppo libertario veronese attivo nel secondo dopoguerra e intitolato a Giovanni Domaschi. Il fascicolo contiene anche il rapporto di un agente relativo al suo funerale, che ebbe luogo nel 1963 con «Nessun prete, nessuna croce e niente in chiesa».
334 Sulle vicende della polizia in questo periodo cfr. Tosatti, Storia del Ministero dell’Interno, cit., pp. 277-315; Della Porta, Reiter, Polizia e protesta, cit., pp. 47-153; A. Sannino, Le forze di polizia nel dopoguerra, Milano, Mursia, 2004; F. Cappellano, Esercito e ordine pubblico nell’immediato secondo dopoguerra, in «Italia contemporanea», n. 250, marzo 2008, pp. 31-58.
335 L’articolo è ora citato anche sulle pagine storiche del sito web del Ministero dell’Interno: http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/ministero/dipartimenti/dip_pubblica_sicurezza/direzione_centrale_della_polizia_di_prevenzione/scheda_liberazione.html, cons. il 12.08.2010. Sulla riorganizzazione del CPC e la presenza anche a livello centrale delle stesse tendenze riscontrate in ambito locale, cfr. Tosatti, Storia del Ministero dell’Interno, cit., pp. 272-276.
336 ASVr, Questura, A8 Radiati, b. Perd-Pero, fasc. “Perotti Berto”, Proposta per l’iscrizione al CPC, minuta. L’ultima frase del documento risulta infine così modificata: «Subito dopo la liberazione, insieme ad altri, si rivestì delle funzioni di vice-questore politico, mantenendo per alcuni mesi tale carica. Al termine dell’incarico non fu più ritrovato il suo fascicolo personale esistente in questi atti».
337 Cfr. P. Carucci, La consultabilità dei documenti, in Istituto nazionale per la storia del Movimento di liberazione in Italia, Storia d’Italia nel secolo ventesimo. Strumenti e fonti, a cura di C. Pavone, vol. 3, Le fonti documentarie, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, Dipartimento per i beni archivistici e librari, Direzione generale per gli archivi, 2006, pp. 23-51.
Andrea Dilemmi, «Si inscriva, assicurando». Polizia e sorveglianza del dissenso politico (Verona, 1894-1963), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Verona, 2010