Sull’intervento dell’Italia fascista nella guerra civile spagnola

Manifesto di propaganda repubblicano contro l’intervento del regime fascista italiano in Spagna – Fonte: Wikipedia

Il 6 dicembre 1936 Mussolini e Hitler concordarono a Roma le modalità per l’estensione del comune sostegno alla rivolta militare in Spagna; come immediata conseguenza dei colloqui si istituì presso il ministero degli Esteri già due giorni dopo l’Ufficio Spagna. <1
Ciano ne affidò la direzione a Luca Pietromarchi.
La guerra civile spagnola, combattuta tra il luglio 1936 e l’aprile 1939 da soldati e volontari provenienti da diversi paesi, diventò ben presto il simbolo del contrasto e dell’antagonismo tra gli ideali repubblicano-parlamentari delle “vecchie” democrazie e la politica di potenza fascista perseguita dai nuovi sistemi “totalitari” europei.
A proposito dell’intervento da parte della Germania e dell’Italia, Gabriele Ranzato parla di una “convergenza” delle dittature fasciste nel contesto della guerra civile spagnola, <2 mentre Enzo Collotti ha sottolineato che la tesi molto diffusa, secondo cui l’Italia sarebbe stata indotta dalla Germania a sostenere Franco, va nettamente respinta sulla base di un articolato esame degli eventi e dei loro sviluppi. <3
L’azione dell’Italia non fu affatto così “neutrale” e disinteressata, come è stato detto qualche volta. Nella misura in cui il regime fascista s’identificò con il carattere di crociata, attribuita alla “guerra contro il bolscevismo”, si aprì all’Italia la via ad alleanze vantaggiose su diversi livelli. <4
La guerra civile spagnola offrì una buona occasione soprattutto nella prospettiva di consolidare l’Asse Berlino-Roma. Essa costituì la prima impresa politico-militare che poteva essere considerata come iniziativa comune e banco di prova per il futuro. Ciò non significa però che mancassero momenti di concorrenza, conflitti di interessi e tensioni politicomilitari tra gli alleati, come si può rilevare facilmente dalle relative fonti. <5
Per quanto riguarda la percezione della guerra civile spagnola in Italia, i diari e le agende di Pietromarchi sono di duplice interesse perché in essi si rispecchiano sia l’atteggiamento del regime fascista nei confronti della Spagna sia le opinioni personali del diarista e il suo giudizio su determinati eventi e sviluppi storici. Diversamente dalle memorie della guerra civile spagnola, scritte successivamente da alcuni funzionari italiani, come ad esempio quelle di Roberto Cantalupo, l’ex ambasciatore italiano in Spagna, <6 le annotazioni di Pietromarchi costituiscono una fonte straordinaria nella sua autenticità, che finora è stata completamente ignorata dalla ricerca storica sul tema.
Lo stesso John F. Coverdale, che con il suo ampio studio sull’intervento italiano nella guerra civile spagnola, pubblicato a metà degli anni Settanta, svolse un lavoro pionieristico, aveva sì inserito nelle sue indagini anche le carte dell’Ufficio Spagna e addirittura intervistato Pietromarchi, allora settantacinquenne, a Roma, <7 ma non aveva fatto alcun accenno ai diari e alle agende. Presumibilmente il diplomatico non rivelò allora l’esistenza di questi suoi scritti, perché era intenzionato a ricorrere direttamente ad alcune parti delle sue annotazioni per le memorie che avrebbe iniziato a scrivere tra il 1976 e il 1977. Ma anche dopo la consegna dei diari all’archivio della Fondazione Einaudi, essi non vennero presi in considerazione come fonte relativa all’intervento italiano nella guerra civile spagnola. Sia l’eccellente lavoro di Gabriele Ranzato sulla guerra civile spagnola e le sue cause, <8 sia la monografia, pubblicata nel 2005 dallo storico militare Giorgio Rochat sulle guerre italiane dal 1935 al 1943, <9 si riferiscono solo marginalmente all’Ufficio Spagna diretto da Pietromarchi e non utilizzano le sue osservazioni relative alla guerra civile spagnola. Eppure tutta la potenzialità dei diari per l’analisi dell’intervento italiano a sostegno di Franco si rivela già nella summenzionata pubblicazione di alcune pagine dei diari di Pietromarchi scelte da Paolo Soddu, che contengono una lunga e istruttiva annotazione sulla battaglia di Guadalajara del marzo 1937. <10
[NOTE]
1. Cfr. ASMAE, US 5, Relazione Finale, “Costituzione ed organizzazione dell’Ufficio Spagna”.
2. Cfr. R a n z a t o, Eclissi, p. 41.
3. Cfr. C o l l o t t i, Fascismo e politica, p. 286. Sui rapporti politici già esistenti tra l’Italia e la Spagna in quell’epoca, e sulla loro evoluzione cfr. anche S a z C a m p o s, Fascismo, pp. 133s.
4. Cfr. ibid., p. 292. La base ideologica dell’intervento presenta qui delle analogie con la Campagna di Russia durante la Seconda guerra mondiale, che secondo Thomas Schlemmer fu propagata sia dalla dirigenza fascista sia da settori della Chiesa cattolica come “crociata contro il bolscevismo o come guerra santa contro i ‘senzadio’”; cfr. S c h l e m m e r, Italiener, p. 40.
5. Cfr. soprattutto i rapporti italiani dalla Spagna al Ministero di Guerra e al Ministero degli Affari Esteri sulle relazioni italo-spagnole, conservati nell’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito (AUSSME), F 18, R.2, fasc. 17 e 19.
6. C a n t a l u p o, Spagna.
7. C o v e r d a l e, Intervention, pp. 165, 167s.
8. R a n z a t o, Eclissi.
9. R o c h a t, Guerre.
10. Cfr. S o d d u, Pietromarchi.
(a cura di) Ruth Nattermann, I diari e le agende di Luca Pietromarchi (1938-1940). Politica estera del fascismo e vita quotidiana di un diplomatico romano del ’900, dhi Ricerche dell’Istituto Storico Germanico di Roma Band 5 (2009), Istituto Storico Germanico di Roma & Viella S.r.l., 2009

Il dibattito storiografico circa la partecipazione italiana al golpe dei generali in Spagna avvenuto il 18 luglio del 1936 ha visto nel tempo il contributo di numerosi autori di diversa formazione e nazionalità e continua tuttora a interessare le ricerche di molti storici. Nel 1986, Ismael Saz e successivamente Angel Viñas, ma anche Stanley Payne, Paul Preston e John Covedale con i loro contributi hanno saputo risvegliare l’interesse per questo aspetto così controverso della guerra civile spagnola <82.
A parere di Payne e Preston il governo fascista non ebbe una parte attiva nella preparazione della sollevazione militare dei nazionalisti <83, nonostante l’indubbia approvazione da parte di Mussolini e di Ciano del progetto, se si pensa al sostegno che il governo italiano non fece mai mancare alla Falange.
Tra coloro che sostengono l’ingerenza fascista nella politica spagnola prima del 18 luglio, Angel Viñas ha recentemente cercato di dimostrare come l’apporto militare italiano, in previsione del golpe, sia antecedente alla vittoria del Fronte Popolare alle elezioni del febbraio del 1936: fatto supportato dall’esistenza di quattro contratti stipulati con la SIAI (Società Idrovolanti Alta Italia) in merito alla vendita di aerei da trasporto Savoia – Marchetti alla Spagna, in realtà utilizzabili come bombardieri, come già avvenuto in Abissinia <84.
Viñas, basandosi sulle tesi dello storico danese Morten Heiberg, parte dal presupposto che «ad oggi rimane ancora un’incognita quanto sapesse Mussolini [del golpe programmato per il 18 luglio], quando ne venne a conoscenza, e da parte di chi <85» per affermare, in seguito ad una dettagliata ricostruzione degli eventi e alla luce della scoperta della stipula dei quattro contratti, che il conflitto spagnolo avesse una internazionalizzazione pianificata già mesi prima della insurrezione nazionalista, e che è inesatto sostenere che la guerra civile sia scaturita da fattori puramente nazionali <86.
Seguendo questa teoria, il discorso che Calvo Sotelo tenne alle Cortes il 16 giugno del 1936, dimostra come vi fossero accordi tra la potenza fascista e i leaders della destra spagnola per il pronunciamento. Nel discorso, Sotelo si dichiarava apertamente fascista, faceva esplicito riferimento alle voci di un possibile colpo di stato operato da militari monarchici e bollava questa ipotesi senza alcun fondamento, ma allo stesso tempo, ribadiva l’idea che «sería loco el militar que en frente de su destino no estuviera dispuesto a sublevarse a favor de España y en contra de la anarquía, si ésta se produjera <87». A ridosso del golpe, a parere di Viñas, il leader monarchico esplicitava sempre più apertamente le proprie simpatie per il fascismo, ostentando maggiore sicurezza nelle proprie posizioni, che lo avrebbero portato alla data della stipula dei contratti alla diminuzione esponenziale degli elogi al duce, a quel punto non più necessari.
I contratti “romani”, come li definisce Viñas, furono firmati nel mese di luglio e, a suo parere, è impossibile che, al momento della compravendita, il monarchico Sainz Rodriguez non avesse informato il governo italiano della data in cui sarebbe avvenuto il golpe <88.
Ismael Saz da parte sua sostiene che l’ingerenza italiana nella politica spagnola, che sarebbe sfociata nella linea di intervento a favore dei generali sollevati, possa essere rintracciata già nella stipula di accordi firmati a Roma da una delegazione di monarchici alfonsini e carlisti e da Balbo e Mussolini nel 1934.
In seguito ad essi le autorità fasciste avevano accettato di versare 1,5 milioni di pesetas per i congiurati spagnoli, di cedere una notevole quantità di armi e di garantire altresì l’addestramento militare di truppe scelte. Inoltre, in un “patto segreto” firmato da Balbo e dai congiurati spagnoli, le parti si erano inoltre accordate su un trattato di neutralità e di amicizia che avrebbe garantito lo status quo nel Mediterraneo occidentale; oltre a stabilire che il nuovo governo spagnolo avrebbe dovuto denunciare qualsiasi accordo segreto che sarebbe potuto stipulare con la Francia, i due governi prevedevano anche un accordo commerciale che garantisse una “stretta relazione economica” tra i due paesi <89.
Come è stato osservato, il trattato non contemplava eventuali cessioni territoriali della Spagna all’Italia, ma ciò non dimostra che l’accordo non fosse il risultato di una strategia imperialista. In realtà negli accordi si parlava di “garantire lo status quo nel Mediterraneo occidentale” solo in riferimento ai territori spagnoli peninsulari; inoltre, il fatto che l’Italia apparisse come garante dell’integrità del territorio spagnolo portava a riconoscere implicitamente l’egemonia dell’Italia nella zona del Mediterraneo <90.
[NOTE]
82 Si veda in proposito: I. Saz, Mussolini contra la II República: hostilidad, conspiraciones, intervención (1931-1936), Ed. Alfons el Magnànim, Valencia 1986; S. Payne, The Spanish civil war, the Soviet Union, and communism, Yale University Press, New Heaven – London 2004; P. Preston – J. Casanova (a cura di), La Guerra Civil española, Editorial Pablo Iglesias, Madrid 2008; E. Moradiellos, El reñidero de Europa, Las dimenciones internacionales de la guerra civil española, Península, Barcelona 2001; A. Viñas (a cura di), Los mitos del 18 de Julio, Ed. Crítica, Barcelona 2013.
83 Sulla stessa linea di pensiero degli studiosi anglosassoni si trova anche Arrigo Petacco, il quale da parte sua sostiene che «[…] è certo che il Duce fu estraneo alla preparazione del golpe militare spagnolo. Egli decise di aiutare gli insorti solo dopo essere stato informato che la Francia stava già aiutando il governo repubblicano.» Cfr. A. Petacco, Viva la muerte!, Mondadori, Milano 2008, p. 38.
84 Cfr. A. Viñas, La connivencia fascista con la sublevación y otros éxitos de la guerra civil in A. Viñas (a cura di), Los mitos del 18 de julio, op. cit., pp. 92-136.
85 «El 31 de marzo, el embajador italiano en Madrid comunicò que las posibilidades de que se produjiera un golpe de estado como el de Primo de Rivera eran escasas ya que los generales espanoles “simpatizaban con la izquierda”. El 27 marzo, se hizo eco de algunos rumores que hablaban de un golpe, pero volvía a demostrar su poca predisposiciòn a darle credibilidad, tildándolos como “recriminaciones estériles”. Posteriormente Saz Campos ha demostrado que Pedrazzi había informado a Roma el 24 de febrero de 1936. Es posible que los primeros rumores sean anteriores, porque il 10 de febrero Pedrazzi enviò un telegrama al secretario de Exteriores en Roma donde daba cuenta de una preocupante conspiraciòn monarquica en Espana. El 2 de abril el embajador italiano comunicò que se estaba gestionando un golpe para antes de las elecciones municipales, es decir, allá por el 18 de julio, fecha que acabaría siendo la definitiva. Por conflictivos que sean entre sí los contenidos de estas crònicas, conviene no negar a priori la posibilidad que se hubieran producido algunos acuerdos previos. Que los documentos sobre la cuestiòn no estén a nuestra disposiciòn no demuestra que no existieran.». Cfr. M. Heiberg, Emperadores del Mediterraneo: Franco, Mussolini y la guerra civil española, Crítica, Barcelona 2004, p. 50.
86 «[…] desde antes el 18 de julio el eventual conflicto español tenía su internacionalizaciòn preprogramada. En definitiva, es inexacto afirmar, come sigue haciéndolo una historiografia masiva de casi todos los colores y procedencias, que la guerra obedeció a factores puramente españoles». Cfr. A. Viñas, La connivencia fascista, op.cit., p. 133.
87 Ivi, p. 91
88 Ivi, p. 92.
89 Cfr. I. Saz, Fascist Italy against Republican Spain in R. Rein (a cura di), Spain and the Mediterranean since 1898, Frank Cass, London/ Portland, 1998 p. 120.
90 «As has been observed, the treaty did not contemplate any territorial cessions by Spain to Italy, but this does not mean that it was not the result of an imperialist strategy. In fact, it mentions guaranteeing the status quo in the western Mediterranean only in reference to the Spanish territories there. Futhermore, the fact that Italy appared as a guarantor of the integrity of Spanish territory carried the implicit recognition of Italy’s egemony in the area of the Mediterranean». Ibid.
Giulia Medas, ¿Quiénes fuerón los voluntarios? Identità, motivazioni, linguaggi e vissuto quotidiano dei volontari italiani nella guerra civile spagnola, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Cagliari in collaborazione con Universitat de València, 2014

1937 – Busta inviata da bordo dell’incrociatore DIAZ, una delle navi italiane che effettuavano il blocco navale ai repubblicani nel golfo di Valencia, tassata al retro con tariffa per l’interno. Nel testo: ….non si trovano i francobolli ….. Il giorno 7 abbiamo avuto su Palma [Palma di Maiorca] un bombardamento dai rossi, però ben otto apparecchi rossi da bombardamento ci han lasciato le penne, una trentina di persone in città ci han lasciato la pelle….. Al retro della foto la scritta: “R. Incrociatore DIAZ saluto alla voce” settembre 37 XV. Fonte: www.postaesocieta.it
[  n.d.r.: vengono pubblicate qui di seguito alcune immagini, relative a copertine di libri che non sono citati nell’articolo in questione, solo per il loro evidente rilievo iconografico  ]

Carri leggeri italiani avanzano con un carro lanciafiamme L3-35Lf al comando verso Guadalajara – Fonte: Wikipedia
Scorcio di truppe dell’Italia fascista in Spagna in un’altra fase – Fonte: Wikipedia

Gli artefici dell’intervento bellico furono esclusivamente il duce e il suo Ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano. Proprio quest’ultimo, il 28 agosto 1937, in relazione all’appoggio italiano alle forze nazionaliste, scrisse nel segreto del suo diario: «Questa impresa di Spagna trova la costante opposizione della Marina, che fa resistenza passiva. L’Aeronautica, benissimo. L’Esercito con regolarità. La Milizia con slancio. Ma in fondo il duce ed io soli ne siamo i responsabili: anzi, coloro che ne hanno il merito. Un giorno si riconoscerà che è grande» <14. Oggi possiamo considerare totalmente sbagliata la predizione fatta da Ciano in termini di “merito”. La scelta iniziale di assumere tale impegno militare derivò, probabilmente, da una serie di errate considerazioni. Il conflitto si pensò di breve durata e, dal punto di vista militare, poteva essere un’occasione da sfruttare come luogo per l’addestramento degli uomini nonché come un momento interessante per la sperimentazione di tecniche e materiali. Si pensò, come scrisse Dino Grandi nel suo diario <15, che una vittoria repubblicana avrebbe aperto il dominio francese nel Mediterraneo che, invece, nell’ottica del mare nostrum, costituiva uno dei principali obbiettivi di Mussolini <16. Probabilmente si pensò alla possibilità di convertire la Spagna di Franco in un futuro alleato considerata l’avversione di Mussolini per le repubbliche <17, ma anche ad un veloce accrescimento del peso internazionale dell’Italia.
Si può considerare che la partecipazione militare internazionale, per la sua fattibilità, per la sua efficacia e per la sua organizzazione complessiva, avrebbe dovuto richiedere una più ampia riflessione coinvolgendo un maggior numero di autorità politiche e militari. Appare il caso sottolineare – come già detto – che, dal punto di vista militare, le scorte di materiale bellico erano già basse visto il quasi concomitante impegno militare italiano nella guerra d’Etiopia <18; inoltre, visto il panorama internazionale, non si poteva dimenticare la possibilità di un nuovo conflitto di più vaste dimensioni.
[NOTE]
14 CIANO, Galeazzo, Diario 1937-1943, Milano, Rizzoli Editore, 1980, giorno 28 agosto 1937, p. 29.
15 Riportato nell‟introduzione di DE FELICE, Renzo, al testo di COVERDALE, John F., I fascisti italiani nella guerra di Spagna, op. cit., p. XVII
16 Iº Convegno Nazionale per gli Studi di Politica Estera, Gli interessi dell’Italia nel mediterraneo orientale, (Milano, 15-17 ottobre 1936) relatore PACE, Biagio: «[…] la presenza di interessi italiani (nel Mediterraneo ndr) dura ininterrotta da quando una unità civile è apparsa nel nostro mare». Per quanto il Convegno sia afferente al Mediterraneo orientale, più volte il relatore parla di Mediterraneo in termini generali, coinvolgendo anche collocazioni che sono ad occidente nel definire gli interessi territoriali, economici, marittimi, ecc., del regime fascista. Istituto per gli Studi di Politica Internazionale. Disponibile al sito
URL: < http://cronologia.leonardo.it/storia/a1936xk.jpg > [consultato il 03.05.2007].
17 Proprio nell’occasione della vittoria del Fronte Popolare in Spagna Mussolini disse che «fare una repubblica oggi è come usare la lampada a petrolio al tempo della luce elettrica». Riportato in MONTANELLI, Indro, CERVI, Mario, Storia d’Italia vol. XLII. La guerra di Spagna e il patto di Monaco, op. cit., p. 9.
Edoardo Grassia, «Barcellona, 17 e 18 marzo 1938», Diacronie. Studi di Storia Contemporanea: Spagna Anno Zero: la guerra come soluzione, 29/07/2011

Fiat C.R.32 del XVI Gruppo Autonomo “Cucaracha” scortano un Savoia-Marchetti S.M.81 in una missione di bombardamento in Spagna – Fonte: Wikipedia

Nell’aprile del 1932 e nell’autunno del 1933 esponenti della destra conservatrice spagnola si recarono a Roma a chiedere sovvenzioni per i loro progetti insurrezionali contro la Repubblica. Di nuovo, il 31 marzo 1934, una delegazione, costituita dal generale Emilio Barrera, dell’Unione militare spagnola, dal rappresentante del Partito Carlista, Antonio Lizarza, e da Antonio Goicoechea, ex ministro dell’Interno durante il regno di Alfonso XIII ed esponente di Rinnovamento spagnolo, il partito monarchico alfonsino, si recò da Mussolini per ottenere aiuti, e il duce promise armi e denaro. <110 In cambio dell’aiuto italiano alla destra spagnola per la conquista del potere, veniva chiesta la stipulazione di un patto segreto che mirava a garantire il mantenimento dello status quo nel Mediterraneo, allo scopo di neutralizzare un eventuale legame della Spagna con la Francia e i relativi diritti sulle isole Baleari.
Nell’estate del 1936, Roma si trovava però ancora invischiata negli strascichi della guerra d’Etiopia: la sanguinosa repressione nel paese africano e le ristrettezze economiche all’interno; non prestò pertanto sufficiente attenzione alle notizie di una possibile insurrezione nella Penisola Iberica. Anche la pressante richiesta di Franco, a pronunciamento avvenuto, dell’invio di aerei da trasporto per transitare le truppe dal Marocco al continente non ottenne immediata risposta.
Solo al diffondersi della voce che il presidente del governo francese, Léon Blum, intendesse aiutare la Spagna, con la spedizione di armi e aerei – una promessa accompagnata da titubanze e ripensamenti da parte degli esponenti del suo ministero (e forse il duce ne era al corrente) – e in presenza della neutralità manifestata dalla Gran Bretagna, Mussolini si risolse a dare una risposta affermativa. <111 Ciononostante, agli inizi di agosto, in sintonia con gli altri paesi europei, il governo aderì formalmente alla proposta di non intervento avanzata dalla Francia, che bloccò l’invio di aiuti alla Repubblica – per l’ostilità incontrata da Blum nel suo stesso governo e «per l’azione di freno messa in atto dall’Inghilterra». <112 Se la Francia provvide tuttavia a dare sostegno in forma non ufficiale e sporadicamente nel tempo, <113 il duce, alla fine di luglio, spedì mezzi militari, sostenuto probabilmente dall’idea che la Gran Bretagna fosse favorevole agli insorti. <114 Egli inoltre riteneva che l’URSS non avesse alcuna intenzione di aiutare la Spagna. Solo dopo i primi mesi di guerra passò a un intervento più diretto: sotto l’etichetta di “volontari”, fece trasportare nella Penisola Iberica formazioni regolari dell’esercito, organizzate nel febbraio del 1937 nel CTV, Corpo Truppe Volontarie, agli ordini del generale Mario Roatta. <115
Nella versione riservata al Paese, il coinvolgimento italiano era una diretta conseguenza della preoccupante presenza comunista nella vicina Spagna. Nei primi giorni del pronunciamento, la stampa italiana diede ai propri lettori un’informazione quasi asettica, che riproduceva soprattutto notizie provenienti dalle agenzie straniere e, solo nel mese di agosto, i giornali nazionali si allinearono alla versione ufficiale del regime. Per esempio, un mensile illustrato e popolare come “La Rivista delle famiglie”, edito da Sonzogno, denunciava la gravissima situazione della Spagna «devastata dalla guerra civile, specialmente per l’intervento ormai aperto della Russia nel conflitto: intervento minaccioso e pericoloso», che aveva provocato, «per reazione, uno schieramento anticomunista delle nazioni dell’ordine, col riconoscimento del governo nazionale spagnolo del generale Franco da parte dell’Italia e della Germania e con un’intesa della Germania col Giappone». <116
Per gli inviati delle maggiori testate, la guerra spagnola era la lotta aperta delle forze della tradizione cristiana e dell’ordine contro il bolscevismo, era la difesa sacra della “civiltà” contro il dilagare del pericolo “rosso”. Solo a qualche voce isolata era concesso esprimere parole di condanna del pronunciamento dei generali e di mesto disappunto per l’insipienza della guerra. Tra queste, emergeva quella di Rinaldo Rigola, socialista riformista, primo segretario della Confederazione Generale del Lavoro e fondatore con Filippo Turati e Claudio Treves del Partito socialista unitario, un uomo che Mussolini tollerava poiché riteneva che la sua attività politica, connessa soprattutto allo studio, non avesse effettivi legami con le esperienze e la vita concreta dei lavoratori. Così, nell’agosto del 1936, nella rivista “I problemi del lavoro”, l’organo dell’Associazione Nazionale di Studi e Problemi del Lavoro, da lui fondata, l’ex-dirigente sindacale poté scrivere: «Nessun patriota, nessun uomo semplicemente umano può approvare la condotta dei generali che non hanno esitato a mobilitare persino la legione straniera e scatenare mediante il suo concorso la guerra contro i fratelli». <117
E ancora, nell’agosto del 1938, quando ormai la fine della Repubblica era imminente, attaccava «questa guerra di nazioni, questa guerra che consiste nel rovesciare migliaia tonnellate di esplosivo sulle città fortificate e su quelle indifese, senza distinzione di bersaglio, senza riguardo né per le opere d’arte né per nulla, appunto perché deve essere rapida e breve, ciò che si può ottenere terrorizzando l’avversario, non può più fare distinzione tra civili e militari, né tra giovani e vecchi, né tra donne e bambini». <118
Presso i distretti militari e nelle sedi del fascio era stato avviato il reclutamento di uomini. La fanteria era formata da appartenenti alla milizia fascista e da “volontari” di varia provenienza. Le domande di arruolamento coinvolsero soprattutto i lavoratori agricoli dell’Italia centro-meridionale, spinti dal bisogno, ma non mancarono anche numerosi pregiudicati. All’ inizio del 1937 in Spagna c’erano più di 50000 soldati provenienti dall’Italia, che permisero la formazione di quattro divisioni. <119
Il 18 novembre 1936, Roma e Berlino accordarono alla Giunta di Difesa nazionale, costituitasi a Burgos il 24 luglio, il riconoscimento di unico e legittimo governo spagnolo. Venne inoltre concluso un patto tra l’Italia e la Spagna di Franco, in base al quale il governo fascista si impegnava ad aiutare il generale nella lotta contro il comunismo e per «l’indipendenza e l’integrità dello Stato». <120 I due governi avrebbero inoltre preso accordi su azioni di comune interesse, soprattutto nel Mediterraneo occidentale, e Franco si sarebbe impegnato a favorire l’Italia con la fornitura di materie prime. L’operazione fu condotta da Ciano in modo piuttosto superficiale, cosicché gli impegni della Spagna nazionalista si rivelarono vaghi, e tali da non costituire un valido compenso allo sforzo militare che l’Italia stava compiendo.
Franco invece si limitò a contraccambiare gli aiuti delle due nazioni con manifestazioni di riconoscenza e adulazione. Vittorio Emanuele, Benito Mussolini e Hitler furono insigniti per primi della più alta onorificenza del nuovo ordine statale: il Grande ordine imperiale del giogo delle frecce, il simbolo falangista desunto dal fascismo e dal nazismo (il fascio e la svastica). Sulle orme del nazismo fu dato spazio all’antisemitismo: “I Protocolli dei savi anziani di Sion” (il falso documento prodotto in epoca zarista e attribuito a una cospirazione ebraica tendente a impadronirsi del dominio del mondo) furono ristampati in edizione economica in numerose copie. <121
Il dittatore spagnolo non intendeva però divenire un vassallo di Mussolini e di Hitler; si propose perciò, afferma Candeloro, «di esaurire un po’ per volta le forze repubblicane e di fiaccare l’entusiasmo popolare che le sosteneva allo scopo di poter dominare in modo più completo e sicuro la Spagna intera dopo la vittoria. Per questi motivi evitò di attribuire una funzione decisiva al corpo di spedizione italiano, pur continuando ad adoperarlo per tutta la durata della guerra». <122
[NOTE]
110 Cfr. P. Preston, op. cit., p. 53-54. Per quanto riguarda le forze conservatrici, va rilevato che il cattolico José Maria Gil Robles aveva impostato la politica e la propaganda della Ceda, la Confederación Española de Derachas Autonomas, da lui fondata, sull’esempio della Germania nazista, mentre il partito del Rinnovamento spagnolo, e i Carlisti, fautori della tecnocrazia governativa si erano tenuti in stretto contatto con i fascisti italiani. La Falange di José Antonio de Rivera, figlio dell’ex dittatore, che destava preoccupazione per le sue posizioni estremiste, era stata finanziata da Roma soprattutto con lo scopo di evitare un’influenza nazista. Ma in Spagna la Falange fu però ben presto neutralizzata: José Antonio fu fucilato e la maggior parte dei suoi esponenti cadde nei primi giorni della rivolta. Gli eredi del movimento furono arrestati il 20 aprile del 1937 e condannati per attentato alla sicurezza dello Stato.
111 Lucio Ceva rileva nella sua pubblicazione che, secondo lo studioso danese Morten Heiberg, basatosi sull’analisi di nuovi documenti dei Servizi Segreti Italiani (SIM), «l’attaché militare italiano a Tangeri, maggiore Giuseppe Luccardi, già il 6 giugno 1936 era stato in grado di anticipare notizie precise sul golpe “in preparazione”. Il 21 luglio aveva fatto pervenire a Roma dichiarazioni di Franco sulla sua intenzione di instaurare un governo “tipo fascista” per evitare che la Spagna si convertisse in uno “Stato sovietico”. Erano seguite subito assicurazioni, sempre di Franco, che garantivano un rapido successo purché i modesti aiuti richiesti fossero giunti subito. La decisione di Mussolini non sarebbe stata una “risposta” all’impegno francese ma si sarebbe anzi concretata in un momento in cui egli era al corrente della tendenza prevalsa a Parigi di non inviare armi alla Repubblica.» (L. Ceva, op. cit., p. 269)
112 R. De Felice, op, cit., p. 368. Ventitrè paesi accettarono la proposta francese. Fu costituito rapidamente un Comitato per il non intervento che a sua volta si suddivise in sottocomitati, commissioni di studio, ecc. L’Italia entrò a far parte del Comitato con Germania, Inghilterra e Francia.
113 La Francia inviò 35 navi cariche di armi e munizioni nell’arco di tempo che va dall’agosto al novembre 1936; in sei mesi vennero inoltre spediti 180 aerei e 300 giungeranno nel 1938 (Cfr. La guerra di Spagna, presentata da Bernard Michal, Ginevra, Edizioni di Cremille, 1971, p. 163-164). Sulle richieste di Franco e sulle valutazioni del duce, cfr. P. Rapalino, La Regia marina in Spagna, 1936-1939, Milano, Mursia, 2007, p. 89-91.
114 I conservatori inglesi – scrive Candeloro – si preoccupavano soprattutto «di garantire i grossi interessi, che importanti gruppi capitalistici inglesi avevano in Spagna e temevano (o dicevano di temere) che questa divenisse un paese socialista e cadesse sotto l’influenza sovietica; inoltre non volevano impegnarsi in una politica che poteva portare ad una rottura con la Germania e l’Italia». (G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. 9, Il Fascismo e le sue guerre, Milano, Feltrinelli, 1981, p. 406).
115 L’Italia fornì 6000 fra piloti e tecnici, 763 aerei «per due terzi nuovissimi cacciabombardieri Savoia-Marchetti e Fiat C 132». (M. Serra, Una guerra civile degli intellettuali?, in “Nuova storia contemporanea”, n. 6, nov.-dic. 2007, p. 126). Tenuto conto dell’impiego della marina e dei sommergibili, delle forze dell’ordine e dei servizi ausiliari, Maurizio Serra calcola «che la partecipazione militare italiana si collochi intorno alle 75-80000 unità, ossia più degli effettivi regolari dell’esercito di Franco all’inizio del conflitto». (Ibidem, p. 127). Vanno ancora aggiunti 150 carri armati e 800 pezzi di artiglieria pesante (cfr. P. Brendon, Gli anni Trenta. Il decennio che sconvolse il mondo, Roma, Carocci, 2005, p. 355).
116 Da un mese all’altro, “La Rivista delle famiglie”, Milano, Sonzogno, n. 12, dicembre, 1936.
117 R. R., Gli avvenimenti di Spagna, “I problemi del lavoro”, 1 agosto 1936.
118 r.r., L’umanizzazione della guerra, “I problemi del lavoro”, 1 agosto 1938.
119 Secondo lo studio di Pierre Broué e Émile Témime, nel mese di marzo 1937, nel periodo in cui gli italiani erano più numerosi, in Spagna non dovevano esserci meno di 70000 militari (cfr. P. Broué, É. Témime, op. cit., p. 376). Massimo Salvadori precisa che furono inviati circa 50000 uomini, quasi 800 aeri, 200 camion, circa 8000 automezzi, oltre 90 unità della marina (M. Salvadori, Storia dell’età contemporanea dalla restaurazione ad oggi,. Torino, Loescher, 1990, v. 2, p. 827). Ernesto Ragionieri afferma che secondo la relazione segreta dell’Ufficio Spagna furono inviati 78846 effettivi tra esercito, milizia e aviazione (Cfr. E. Ragionieri, op. cit., p. 2265). Il “Nuovo Avanti” nella sua prima pagina dichiarava: Il 13 marzo v’erano in Spagna 50000 soldati italiani (cfr. “Il Nuovo Avanti”, 5 giugno 1937).
120 G. Candeloro, op. cit., p. 410.
121 Cfr. P. Preston, op. cit., p. 171.
122 G. Candeloro, op. cit., p. 413.
Mirella Mingardo, Il Partito Comunista Italiano e la guerra civile spagnola tra processi staliniani e disagio popolare. La stampa clandestina (1936-1939), Giornalismo e Storia

[ n.d.r.: Graziano Mamone di Vallecrosia (IM), presentando brevemente il suo ultimo libro, Legionari del Duce in Spagna. Tra storia e memoria. 1936-1945 (Fusta Editore), tra gli altri aspetti, sostiene: “Sono i cosiddetti ‘legionari’, 75.000 uomini che spinti dall’ideologia e dalla miseria, hanno contribuito a sopprimere le libertà democratiche in Spagna. Il volume è frutto di oltre tre anni di ricerche in archivi spagnoli e italiani ed ha come obiettivo raccontare con fonti inedite una pagina amara della nostra storia” ]

Premetto che col Ten. Meridda correva una rispettosa ma grande amicizia, derivata da reciproca stima per i comuni valori dimostrati in varie occasioni di fatti d’arme “attuati e voluti” contro postazioni nemiche, dico voluti perché conseguenti a nostre prestazioni volontarie e in particolari azioni là dove l’ardire dei singoli prevaleva sugli schemi tattici dei regolari reparti. E’ peraltro importante dire che -MAI- il ten. Meridda fù comandante del plotone di mia appartenenza. Ii nostri contatti nascevano di volta in volta quando particolari azioni di guerra richiedevano impegni eccezionali da parte di piccoli nuclei volontari. Nel merito e quale buon esempio voglio ricordare in particolare una azione : Dietro sollecitazione del Com. Ferrari, il ten. Meridda si portò presso il mio plotone chiedendo alcuni volontari, per un particolare colpo di mano (il furbo sapeva bene dove “pescare”…gli uomini giusti…), formammo una squadra di una decina di volontari, tra i quali ricordo : Dante Fares (io), Ottavio Capecchi, Sergio Fabbri, Csq. Guido Biagianti, Forci Febo, Guglielmo Corda, Ugo Giglioli, Mille Carboni e Cesare Milani.
Il compito affidatoci era semplice : dovevamo mettere a tacere tre nidi di mitragliatrici nemici, che con il loro tiro incrociato impedivano l’avanzata del nostro battaglione, proiettato, sotto la supervisione di una missione nippo-tedesca di osservatori, alla conquista di Sagunto. Il solo ricordo di quel nostro attacco, ancora oggi, a distanza di 62 anni, mi mette i brividi, perché eravamo allo scoperto e dovevamo superare un culmine spoglio di ogni vegetazione, terreno rasato a zero: quando strisciando come serpenti arrivammo lassù, raffiche di mitragliatrice ci inchiodarono al suolo, le pallottole le sentivamo ronzare come sciami di api, non potevamo nemmeno spostare la testa ne’ alzarla. Con il mento e l’orlo dell’elmetto cercavamo la salvezza scavando nella dura terra alla ricerca del centimetro salvavita. Alla fine intravedemmo la salvezza, e in extremis ci buttammo di fianco rotolando su noi stessi fino ad una cunetta. Eravamo salvi, ma le tre mitraglie nemiche erano ancora al loro posto. Ci eravamo comunque portati a poca distanza da una delle tre, dalla quale ci divideva un argine, un terrapieno insormontabile perché posto sotto il tiro diretto del nemico ma non per noi, abituati ad ogni trucco di guerra : stando così rintanati nella cunetta ci esercitammo al tiro libero di bombe a mano, in particolare col tiro a parabola… che come pioggia cadevano sulla posizione nemica mettendola fuori gioco. Restavano ancora le altre due, che senza il tiro della terza permettevano più movimento alla nostra squadra. Il nostro mitragliere Corda infatti con il suo fucile mitragliatore Breda, riuscì a disturbarle assai, permettendo al nostro battaglione di effettuare il balzo in avanti senza riportare grosse perdite.
Al rientro al reparto, tutti illesi ma alquanto provati nel fisico per essere stati rasati dalle pallottole nemiche, Meridda candidamente ci disse: ora vado a trovare una buca per cambiarmi le mutande… Capito ? E questo valeva per tutti noi… vittime dello stesso sfogo, ma lui lo aveva ammesso per primo con la solita sfrontatezza accompagnata da quel largo e sonoro sorriso, che ce lo rendeva ancora più caro e prezioso. Puro cameratismo ? No qualcosa di più ci univa a lui: stima e affetto, amicizia e colleganza umana nonché lo stesso Amor di Patria. Ma ora lo voglio ricordare nei giorni e negli attimi che precedettero la sua gloriosa morte e di come avvenne. Nei giorni che precedettero l’attacco dalla testa di ponte di Seros (battaglia della Catalogna), la nostra Compagnia Arditi “Folgore”, aggregata al Battaglione CC.NN. Vampa di nuova formazione, si era accampata sul versante alle spalle della prima linea, che divideva i “rossi” dai “neri”. Stante la colleganza e l’amicizia corrente in particolare tra il Ten. Meridda e il Ten. Sorba, comandante del mio plotone, spesso ci univamo per parlare del prossimo attacco. Anzi almeno due volte al giorno, accompagnati anche dal Csq. Pietro Masi, ci portavamo sul ns. trinceramento, tenuto dai fanti di Franco. Per studiare attentamente il terreno che separava le due linee e le composizioni dei fortini nemici.
Tanto studio ci portò alla classificazione storica di quel tratto di terreno come ” gli ottanta metri della morte”. L’attacco era predisposto così: protetti nel primo balzo da altrettanti carri armati leggeri, i tre plotoni della Folgore, giunti a breve distanza dai fortini dovevano sganciarsi e proiettarsi sulle fortificazioni nemiche attaccandole con bombe a mano. Dovevamo volare, non si doveva dare tempo al nemico di abbatterci con le sue mitragliatrici. Il piano era ben congegnato sulla carta, ma a realizzarlo e condurlo a buon fine toccava a noi truppe d’assalto, valorosi quanto si vuole ma pur sempre esseri umani sia pure dediti alla Patria. All’ora X i tre carri varcarono il confine tra i due schieramenti opposti con i tre plotoni : 1°: al comando del C:M. Gatto, 2° al comando del C:M. Meridda, 3° al comando del C.M. Sorba (il mio plotone). A questi tre plotoni ne seguiva un quarto (plotone Comando) con portaferiti etc. al comando del C:M. Vicari. (CM = capomanipolo o tenente nei gradi dell’esercito). Dalla mia posizione di destra vedevo il Meridda, che si trovava al centro dello schieramento offensivo. Tutti i piani predisposti nelle nostre menti si presentarono subito veritieri e crudi nella realtà: dopo lo sgancio dei carri armati che ci avevano protetti dallo sbarramento di fuoco del nemico, si abbatté su di noi una falcidia di proiettili nemici che causò morti e feriti. Nel mentre che si operava lo sganciamento dai carri armati, vidi il Meridda proiettarsi in avanti con lo scatto del vecchio atleta in testa al suo plotone…poi seppi della sua eroica morte e lo piansi così come si può piangere un fratello. Trai ricordi più cari ho la sua foto col pizzo alla moschettiera e col cappello piumato dei bersaglieri. Un giorno ci ritroveremo lassù, nella nuvoletta dei valori, insieme al mio comandante Sorba anch’egli Medaglia d’oro alla memoria.
Dante Fares (Ricordi personali del Legionario Ardito “Folgore”), In memoria del Ten. Giuseppe Meridda di Sassari, Med. d’Oro al V.m. Eroe di guerra
Pietro Ramella, La partecipazione fascista alla guerra di Spagna, in “l’impegno”, a. XXVII, n. 2, dicembre 2007, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia

L’Italia intervenne a fianco dei franchisti (come venivano chiamati i ribelli), inviando armi in gran quantità e soldati (oltre quarantamila); la Germania mise a disposizione aerei e piloti, nonché armamenti di ogni genere. Tra gli amici della Repubblica, solo l’Unione Sovietica spedì rifornimenti, pur con le difficoltà dovute alla distanza geografica; Francia e Gran Bretagna (il governo di Londra, per altro, era assai tiepido verso il Fronte Popolare spagnolo) si attennero alla politica di non-intervento concordata nell’agosto 1936, a cui avevano aderito formalmente anche Germania e Italia, senza però rispettarla (ad esempio, sottomarini privi di insegne riconoscibili, ma italiani, attaccarono più volte nel Mediterraneo mercantili diretti in Spagna, compiendo un atto che il diritto internazionale qualifica come “pirateria”). A fianco della Repubblica si mobilitò un’estesa opinione pubblica internazionale; in molti paesi si costituirono formazioni volontarie per combattere con il Fronte Popolare; aderirono migliaia di persone, tra cui intellettuali e artisti di spicco. Tra i primi a recarsi in Spagna in appoggio ai repubblicani ci furono gli antifascisti italiani e gli antinazisti tedeschi in esilio. Nella battaglia di Guadalajara (marzo 1937) per la prima volta si fronteggiarono, armi in pugno, italiani fascisti (inquadrati nei reparti della milizia mandati in Spagna da Mussolini) e italiani antifascisti dei battaglioni internazionali volontari. Vinsero i secondi; al di là del significato militare della battaglia, essa ebbe un grande valore simbolico. Sul fronte che spaccava la Spagna si contrapponevano i due schieramenti che attraversavano l’Europa e il mondo: da una parte i fascisti, dall’altra gli antifascisti. A spingere Roma e Berlino all’intervento in favore di Franco furono valutazioni politiche, considerazioni pratiche, istanze ideologiche, tra cui l’antibolscevismo, la volontà di impedire un rafforzamento dell’influenza francobritannica nel Mediterraneo, il desiderio di assicurarsi il controllo delle materie prime di cui la Spagna disponeva. La guerra si concluse soltanto nel marzo 1939, con la vittoria dei franchisti. A quel punto fascismo italiano e nazionalsocialismo tedesco erano anche formalmente alleati. Sei mesi dopo avrebbe avuto inizio la Seconda Guerra Mondiale.
Brunello Mantelli, L’Italia fascista. 1922-1945, Fenice 2000, 1995

Dante Fares è nato a Grosseto il 25 dicembre 1915, volontario di Spagna nel 1936 con la Milizia, ritorna in Italia con varie decorazioni di cui una medaglia di bronzo per un assalto ad una trincea nemica. Doveva essere d’argento ma il suo comandate di plotone dovette venire alle mani con un altro ufficiale per chi se la meritava di più, alla fine fù bronzo. Dopo la Spagna, venne richiamato e andò volontario in Russia con le camicie nere del gruppo Montebello, sempre con le truppe d’assalto fino a quando sul Don si congelò un piede dopo una notte passata in agguato delle pattuglie russe. Si salvò.
[…] Liberatori Lazzaro, n. 1903 Collepardo (Frosinone). Camicia Nera del 2° Reggimento CC. NN. d’assalto, Div. «Littorio», ex bersagliere del 2° “Porta arma di un plotone fucilieri avanzato, sprezzante di ogni pericolo, difendeva la posizione che gli era stata affidata, causando gravi perdite ai nemici, che, resi baldanzosi dal numero, per tre volte erano venuti inutilmente all’assalto. Nel corso di nuovo e più violento attacco, avuta la sensazione che i pochi difensori, già duramente provati dalla stanchezza e dalle perdite subite, non avrebbero ulteriormente potuto resistere al nuovo poderoso urto degli assalitori, votandosi coscientemente al sacrificio, per infondere nei propri compagni la disperata volontà di resistere, usciva dalla posizione e si slanciava contro il nemico irrompente. In piedi, solo, bersaglio di tutte le armi, sotto il lancio delle bombe a mano, già ferito, imbracciando il fucile mitragliatore a guisa di moschetto, decimava il gruppo più minaccioso, volgendo in fuga gli altri, sorpresi da tanta audacia. Cadeva poi colpito a morte, mentre i compagni infiammati da tanto sublima eroismo, scattavano al contrattacco che determinava la definitiva sconfitta dell’avversario”. Fronte di Catalogna Quota 802 di S. Coloma de Queralt, 16 gennaio 1939.
Dal diario della M.O. Mario Granbassi
[…] Medaglie d’Oro legionarie
Le Medaglie d’Oro al V.M. concesse a combattenti di Spagna distintisi per atti di eroismo, furono complessivamente 152. Di esse 3 premiarono la memoria di militari spagnoli aviatori. 137 costituiscono riconoscimenti alla memoria di aviatori, fanti, arditi, artiglieri, camicie nere, carristi. 12 furono assegnate a viventi (oggi anch’essi tutti scomparsi), superstiti di straordinarie imprese. 33 di queste ricompense furono attribuite a legionari provenienti dalla M.V.S.N. (30 Caduti e 3 sopravvissuti). Negli appositi albi del Ministero Difesa e nei fogli matricolari, com’è noto, tali decorazioni, come ogni altra al V.M. guadagnate in Spagna dai mobilitati dalle Legioni CC.NN sono state depennate e il loro ricordo scalpellato sulle pietre tombali nel Sacrario di San Antonio de los Italianos in Saragozza. Ma il Gruppo Medaglie d’Oro e l’Istituto del Nastro Azzurro, tutori del valore e dell’onore dei soldati italiani, continuano a conservare nel dovuto rilievo i nomi dei proscritti. Le vedove ed i figli continuano a portarne sul petto le insegne sfidando l’incriminazione a norma delle leggi vigenti.
Le medaglie rimasero però intatte sulle tombe di Saragozza. Ma la burocrazia era in agguato: nel 1982, dopo 37 anni, qualcuno al Ministero della Difesa si accorse che il decreto del ’45 non era stato applicato al sacrario di Saragozza. Un maresciallo dell’esercito fu mandato a Saragozza per completare l’applicazione del decreto, in quel mausoleo dove riposavano insieme i caduti italiani, di entrambe le parti. Le targhe tombali vennero rimosse. Le associazioni d’arma protestarono, ma nessuno in Italia prestò loro ascolto. Nel novembre del ’91 ex-combattenti ottantenni decorati al valor militare decisero di rendere giustizia ai loro commilitoni ripristinando nel mausoleo le targhe affisse ai loculi. Non è stato un atto ufficiale, ma i vertici del Ministero della Difesa erano informati e non hanno frapposto ostacoli.
[…] Nota Storica: La battaglia di Catalogna e la fine della guerra.
In previsione della nuova offensiva nazionalista per la conquista della Catalogna il C.T.V. fu schierato nella piccola testa di ponte di Seros, sulla riva sinistra del Segre. L’attacco ebbe inizio il 23 dicembre; la divisione «Littorio» avanzò su Cogull, avendo sulla sinistra la «Frecce Nere», e riuscendo nella stessa prima giornata di battaglia a penetrare per una trentina di chilometri nelle linee nemiche sulla direttrice della strada da Lerida a Tarragona. Ma davanti agli italiani ecco di nuovo presentarsi la forte e tenace Divisione «Lister»; ed ecco subito farsi più accaniti i combattimenti nella zona di Castellserà. Per liquidare più presto l’avversario intervengono in modo massiccio e come sempre esemplare, l’artiglieria e l’aviazione legionarie. Solo il 5 gennaio 1939 i legionari conquistano Borjas Blancas ed il 10 Montblanch. Durante questi aspri combattimenti i legionari soffrirono sensibili perdite; lo stesso Gen.Gambara fu ferito leggermente ma non per questo lasciò il comando. La ferocia della lotta da parte dell’esercito repubblicano, conscio della sua fine, non ebbe limiti: il tenente Mario Ricci e tre altri suoi compagni del Raggruppamento carri, ebbero la disavventura di essere catturati dagli uomini della Divisione «Lister», nel corso della battaglia, e furono fucilati.
Il proseguimento dell’azione è favorevole ed avviene su due direzioni: una colonna motorizzata agli ordini del Ten. Col. Pace si dirige su Tarragona dove entra con la 5a Brigata di Navarra, l’altra prosegue verso Igualada ed Esparraguera verso il rio Llobregat; superato questo gli italiani, passando al largo di Barcellona, dove entrano solo gli spagnoli, si dirigono verso S. Quirico de Tarrasa. Il 29 gennaio il C.T.V. divide le sue forze sii tre colonne, inviando le «Frecce Nere» su Granollers, la «Littorio» su Gerona (che sarà presa il 4 febbraio), e le «Frecce Azzurre» su Blanes; le «Frecce Verdi» rimangono in riserva. Durante questa seconda fase si ebbero ancora numerose perdite; le sole «Frecce Nere» ebbero 456 caduti (14 ufficiali) e 954 feriti (69 ufficiali). Alcuni giorni dopo la conclusione della battaglia di Catalogna il Generalissimo Franco passò in rivista le truppe vittoriose in Barcellona; alla grande parata intervennero anche i Legionari italiani. Chiusa la fase della guerra in Catalogna, senza fretta, il Comando supremo spagnolo iniziò il concentramento delle truppe per il colpo finale alla barcollante repubblica. Il C.T.V., sempre al comando del Generale Gambara, passò alle dipendenze dell’Esercito del Centro e fu schierato sul fronte di Toledo. Franco, lasciando ai nemici il tempo di sfasciarsi da soli, ritardò l’inizio dell’ultima offensiva e la sferrò solo il 28 di marzo. L’avanzata non fu difficile; i Legionari conquistarono Aranjuez, Albacete e finalmente, il 30 marzo, entrarono in Alicante. Qui sono ricordati con particolare simpatia dagli ex nemici, circa 15.000 fra combattenti, rifugiati e fuggitivi, che si erano raccolti in quel porto in attesa di varie navi inglesi già contrattate e mai giunte, e che furono trattati molto umanamente dagli italiani.
Finita la guerra, cominciarono in Spagna gli onori e le cerimonie di addio ai Legionari che si avviavano al concentramento di Cadice per essere imbarcati e rimpatriati. Il 1° giugno 1939 partirono, coi Legionari, alcuni Generali spagnoli, tra cui l’eroico Queipo de Llano, ed il Ministro degli esteri di Spagna, Serrano Suner. I Legionari sbarcarono a Napoli dove furono accolti dall’entusiasmo della folla e dall’abbraccio affettuoso dei parenti; sfilarono in parata davanti al Re Imperatore. Una rappresentanza dei combattenti volontari e tutti gli ufficiali del C.T.V. raggiunsero Roma dove li attendeva l’elogio commosso di Mussolini, cui furono presentati personalmente dal Generale Bergonzoli. Il tributo italiano alla guerra civile spagnola fu di oltre 3.300 caduti e di più di 11.000 feriti; il sangue delle CC.NN. si era ancora una volta mescolato a quello dei soldati volontari dell’esercito e delle altre FF.AA., così come era avvenuto in precedenza e come avverrà ancora e sempre, fino allo scioglimento della Milizia.
Redazione, Diari di guerra, frontedeserto